mercoledì 12 giugno 2019

TOGHE SPORCHE ALLA CORTE PD: I CORROTTI LIBERI, LA “SPIA” TORNA A FARE IL PM





SCANDALO AL CSM SULLA CASTA INTOCCABILE:
L’EX PM LONGO SI DA’ AL FITNESS DOPO LA CONDANNA
PER LE MAZZETTE ENI-CONSIP DELL’AVVOCATO AMARA
CHE ORA INGUAIA L’EX PRESIDENTE ANM PALAMARA

L’indagato Spina si dimette dal Csm ed è reintegrato in Procura
Incontri proibiti dei magistrati coi deputati Pd Ferri e Lotti
già interrogato sul caso del giudice arrestato Antonio Savasta 

___di Fabio Giuseppe Carlo Carisio ___ 

Un magistrato può patteggiare 5 anni per corruzione in atti giudiziari, restare a piede libero e reinventarsi istruttore di fitness? Certo che può: basta che viva e lavori in Italia. Meglio ancora a Roma dove la bufera su presunte tangenti per la manipolazione delle nomine ha gettato altro fango sull’istituzione più imbarazzante della Repubblica Italiana: il Consiglio Superiore della Magistratura.

Il Palazzo dei Marescialli sede del Csm a Roma 

La melma che imbratta le toghe di alti esponenti del CSM si aggiunge a quella già grondata sullo stesso organismo per le stragi di Capaci e di Via d’Amelio in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, silurato, isolato e messo sotto inchiesta dallo stesso CSM, ed il giudice Paolo Borsellino, vittima di un attentato dinamitardo poi oggetto del «più grave depistaggio della storia giudiziaria italiana», come sancito dalla Corte d’Assise di Caltanissetta nel processo Borsellino quater. Una vicenda, quest’ultima, che ha sollevato le vibranti proteste di Fiammetta Borsellino, figlia del giudice ucciso, per l’ormai imminente archiviazione determinata dal troppo tempo trascorso dalla tragedia: «Il Csm sul piano disciplinare non ha fatto nulla e quando si è mosso non l’ha fatto di sua iniziativa ma solo su input di noi familiari e questo per me è abominevole». 





Oggi l’indagine della magistratura perugina pare aver scoperchiato un letamaio di sospetti intrighi tra esponenti del Csm, avvocati già condannati insieme a un magistrato per corruzione in atti giudiziari, e parlamentari del Partito Democratico vicini a Matteo Renzi: tra cui l’immancabile ex ministro Luca Lotti, già chiamato in causa, come semplice testimone per un incontro, in una precedente inchiesta che portò all’arresto del giudice romano Antonio Savasta. 



I CONSIGLIERI DEL CSM NELL’OCCHIO DEL CICLONE

Il sostituto procuratore Luca Palamara, ex consigliere del Csm e già presidente dell’Anm 

L’inchiesta della Procura di Perugia ruota tutta intorno al sostituto procuratore romano Luca Palamara, ex pm della Procura di Reggio Calabria, già consigliere del Csm nonché presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati (da cui si è già autosospeso), indagato per corruzione in merito al tentativo di manipolazione di alcune nomine per le procure di Roma, Gela e Perugia, e coinvolge anche l’altro magistrato Luigi Spina, subito dimessosi da consigliere Csm, nei confronti dei quali le ipotesi di reato sono rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento personale. 

Al centro delle indagini ci sono anche i nomi di due figure della malagiustizia già finite in manette per loschi affari: l’avvocato Piero Amara e l’ex sostituto procuratore di Siracusa, Giancarlo Longo. Pizzicati con le mani sulle bustarelle per manipolare i processi e costretti da prove incontrovertibili a patteggiare entrambi la pena per corruzione in atti giudiziari. Longo ho concordato 5 anni di pena e dopo essersi dimesso da magistrato è diventato istruttore di fitness in una palestra di Roma. 

Amara, con il collega Calafiore, ha patteggiato 3 anni ed è anch’egli a piede libero, braccato da vari pubblici ministeri italiani in quanto sospettato di altri episodi delittuosi, tra cui proprio la dazione a Palamara di 40mila euro per la nomina di Longo a Procuratore capo di Gela, al fine, ritengono gli inquirenti, di poter pilotare in modo benevolo i procedimenti penali sul caso Eni di cui lo stesso Amara era consulente esterno. 

Longo, in realtà, al Plenum del Csm non ottenne nemmeno un voto perché la sua nomina «venne stoppata dal presidente Mattarella» avrebbe dichiarato lo stesso ex pm in un interrogatorio. Ma il tentativo di corruzione sarebbe stato oggetto di vari approfondimenti dei Gico della Guardia di Finanza che avrebbero indagato sulle presunte regalie e sugli interessamenti di Palamara e di alcuni politici Pd alle sorti della Procura di Roma, anche attraverso intercettazioni ambientali.

L’avvocato pluriindagato per mazzette ai giudici Piero Amara 

Longo ed Amara sono stati condannati ma restano in libertà anche grazie a quel Decreto Svuotacarceri che ha innalzato fino a 4 anni di pena il tetto della carcerazione e fu predisposto dal ministro di Giustizia Andrea Orlando con l’aiuto del sottosegretario Cosimo Maria Ferri, ex magistrato, oggi deputato democratico. Una riforma approvata dal Governo Gentiloni ormai scaduto e dopo la sconfitta elettorale del Partito Democratico alle elezioni politiche del 4 marzo 2018.

Il magistrato Cosimo Maria Ferri con il premier Paolo Gentiloni quando fu riconfermato Sottosegretario al Ministero della Giustizia prima di essere eletto deputato Pd 

E anche Ferri, sottosegretario alla Giustizia in tutti i Governi targati Pd benedetti dai presidenti della Repubblica di tale schieramente, Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella, avrebbe incontrato Palamara insieme ad altri componenti del Csm tra cui il già menzionato Luigi Spina. 

Ciò è emerso dalle intercettazioni raccolte dagli investigatori delle Fiamme Gialle tramite un trojan inoculato nel telefonino del magistrato. Ferri non ha negato gli incontri bensì minimizzato coi giornalisti: «Gli incontri con Palamara e Lotti? Niente di male: di sera uno puà fare ciò che vuole». 

Ma quei vertici, secondo le registrazioni della Gdf, sarebbero avvenuti per discutere del successore del procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone: un magistrato che ha lasciato il segno con l’inchiesta su Mafia Capitale ma anche con quella sviluppata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo sul maxi-appalto truccato del Consip, l’ente del Ministero dell’Economia e Finanze incaricato della selezione dei fornitori per la pubblica Amministrazione.

Il deputato ed ex ministro del Pd Luca Lotti, uomo di fiducia di Matteo Renzi 

Per rivelazioni ad alcuni indagati dell’inchiesta Consip, in violazione del secreto istruttorio, l’attuale deputato democratico Luca Lotti, ex ministro allo Sport e braccio destro del premier Matteo Renzi, è sottoposto a richiesta di rinvio a giudizio. 

Anche Lotti, sebbene parlamentare indagato proprio dalla Procura di Roma, avrebbe preso parte a quegli incontri notturni avvenuti tra il 9 ed il 16 maggio in un hotel della capitale. In virtù della netta distinzione tra politica e giustizia sancita dalla Costituzione si tratta di meeting assolutamente proibiti nei quali, i condizionali sono d’obbligo, magistrati ed esponenti di partito si sarebbero incontrati per pilotare le nomine di procuratori amici in sedi importanti: non solo Roma ma anche Perugia, cui compete la giurisdizione territoriale sulle indagini a carico di magistrati capitolini come nel caso di Palamara. 

Spina, che secondo la Procura di Perugia avrebbe fatto soffiate al collega Palamara per avvertirlo delle indagini a suo carico, per ora ha evitato il peggio: si è dimesso il primo giugno da consigliere del Csm e tre giorni dopo è stato subito reintegrato nel ruolo di sostituto procuratore presso il Tribunale di Castelveteri. In Italia, infatti, un cittadino non è colpevole sino al Terzo grado di giudizio. Una logica che vale quasi sempre per i magistrati, soprattutto se vicini alla sinistra, ed un po’ meno per i politici, soprattutto se di destra… 



IL CSM TRA DOSSIER SECRETATI E “TRAFFICI VENALI”

L’ex ministro Luca Lotti ad un evento a Valdarno “scortato” dall’onorevole David Ermini 

Il Comitato di Presidenza del Csm, guidato dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ex deputato Pd come il vicepresidente avvocato David Ermini, nel confermare l’inchiesta di Perugia ha rilasciato il seguente comunicato: «Si impone oggi un confronto responsabile tra tutti i componenti per la forte riaffermazione della funzione istituzionale del CSM a tutela dell’intera Magistratura. E’ convocato, pertanto, un Plenum straordinario per martedì 4 giugno, alle ore 16.30, nel corso del quale verrà anche preso atto delle sopravvenute dimissioni del Consigliere Luigi Spina». 

Ma lo stesso Consiglio Superiore della Magistratura non ha ovviamente dato notizia della secretazione dell’Odg n. 2893 ex art. 70 del 22 maggio 2019 per il procedimento 1/CA/2019 che aveva come relatore proprio Spina. La si trova nascosta tra gli ordini del giorno nel sito web ufficiale del CSM insieme al fascicolo 12/AE/2018 in merito all’«annullamento in autotutela della Delibera consiliare del 22 maggio 2019 di applicazione extradistrettuale Corte d’Appello di Reggio Calabria» concernente incarichi di urgenza ad alcuni magistrati per le croniche carenze di tale sede giudiziaria. Un annullamento che induce subito ad inferire qualcosa di assai grave connesso alle indagini in corso… 

Quale attinenza abbiano questi procedimenti secretati con la bufera sulle nomine pilotate è uno dei tanti misteri sepolti tra milioni di carte burocratiche di un sistema giudiziario in mano ad una casta che mira prima di tutto alla propria autodifesa a discapito dalla crescente sfiducia dell’opinione pubblica. il 7 dicembre 2018 il ministro di Grazia e Giustizia Alfonso Bonafede (M5Stelle) lanciò l’allarme sul fatto che «un italiano adulto su tre negli ultimi due anni ha rinunciato a far valere i suoi diritti» anche «per la scarsa fiducia nella magistratura, ma non per colpa della magistratura che lavora benissimo». Il post del ministro di Grazia e Giustizia Alfonso Bonafede pibblicato su Facebook venerdì 7 dicembre 

Parole evocatrici di disgrazia e smentite oggi dal vicepresidente del CSM che usa frasi lapidarie proprio contro i magistrati sotto inchiesta intrigati con i suoi colleghi del Pd: «Sono emersi traffici venali, degenerazioni correntizie e giochi di potere – denuncia l’ex deputato democratico Ermini nel suo intervento al Plenum straordinario – Gli eventi di questi giorni sono una ferita profonda e dolorosa alla magistratura e al Consiglio superiore. Il Csm e la magistratura hanno al loro interno gli anticorpi necessari per poter riaffermare la propria legittimazione agli occhi di quei cittadini nel cui nome sono pronunciate le sentenze. Siamo di fronte a un passaggio delicato: o sapremo riscattare con i fatti il discredito che si è abbattuto su di noi o saremo perduti». E proprio Ermini, in una delle intercettazioni, sarebbe stato definito «inaffidabile» dal compagno di partito Lotti per le sue resistenze… 



SPINA INDAGATO TORNA SUBITO A FARE IL PUBBLICO MINISTERO

il magistrato Luigi Spina, consigliere del Csm dimissionario 

Ma alle parole seguono fatti ben differenti: il Plenum ha subito accolto la richiesta del consigliere indagato e dimissionario Luigi Spina di tornare a fare il Pubblico Ministero. Il CSM proprio il 4 giugno, nel giorno in cui Ermini tuonava contro il vulnus tra le toghe, ha infatti deliberato «il richiamo nel ruolo organico della magistratura» del dottor Spina «magistrato ordinario che ha conseguito la V valutazione di professionalità, e la riassegnazione dello stesso alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Castelveteri con funzione di sostituto procuratore». 

Spina, che come Palamara è esponente di Unicost, la corrente di centro delle toghe, avrebbe rivelato al suo collega notizie relative all’inchiesta di Perugia, apprese proprio grazie al suo ruolo nel Csm. Una conversazione dello scorso 9 maggio «tra Spina, Palamara e due parlamentari (…) dimostra che lo stesso Palamara – riporta Rai News in merito agli atti dell’inchiesta – era “già consapevole del suo procedimento pendente a Perugia, tanto da parlarne con un parlamentare imputato”». 


«I virus inoculati dalla Guardia di Finanza nei telefoni di Luca Palamara e di altri indagati sono riusciti a risalire indietro nel tempo, documentando anche il lato oscuro del Csm in carica fino all’anno scorso – scrive Luca Fazzo su Il Giornale – È il Csm che – come ricorda Franco Roberti, ex procuratore nazionale antimafia – ridisegnò quasi per intero gli organigrammi della magistratura, dopo che Matteo Renzi aveva mandato in pensione d’autorità tutti gli ultrasettantenni, liberando decine di posti chiave. Ne scaturì una spartizione senza precedenti, davanti alla quale – dice Roberti – “Il caso Palamara è solo la punta dell’iceberg”. Una intera generazione di procuratori e presidenti di tribunale eletti in quei mesi rischia di essere investita dallo scandalo». 

Le parole dell’avvocato Ermini, uno dei primi a minimizzare lo scandalo Consip quando era responsabile parlamentare alla Giustzia nel Partito Democratico, riecheggiano in quelle dell’eurodeputato piddino Franco Roberti e sembrano voler tracciare una netta trincea tra la gestione Renzi e quella successiva che il Pd si trova ad affrontare. Una demarcazione su cui pesa come un macigno, però, la nomina della moglie dello stesso Palamara quale dirigente esterna della Regione Lazio sotto la presidenza di Nicola Zingaretti, il nuovo segretario del Partito Democratico. 



ATTACCO ALLE TOGHE PER LE INCHIESTE SUI POTENTI

Il procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo, responsabile del dipartimento reati contro la Pubblica Amministrazione e titolare dell’inchiesta Consip 

«Alla Procura di Roma, da quando è andato in pensione l’ex capo Giuseppe Pignatone, le tensioni che già c’erano sono esplose e sembra tirare un’aria da resa dei conti – scrive l’agenzia Adnkronos – Dietro i nomi dei tre pretendenti alla guida del più importante ufficio giudiziario d’Italia si combatte infatti una ‘guerra’ fra toghe più che fra correnti. Gli ‘umori’ dicono che chi vuole dare un più forte segno di continuità con la gestione Pignatone sponsorizzi il procuratore di Palermo Franco Lo Voi mentre dall’altra parte ci sarebbero quelli che puntano su Marcello Viola, procuratore generale di Firenze. Il terzo ‘incomodo’, una figura considerata intermedia, è quella del procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo. Ad infiammare lo scontro fra toghe è stato il sostituto procuratore Stefano Rocco Fava che ha scritto al Csm per segnalare il presunto conflitto di interessi di Pignatone e dell’aggiunto Paolo Ielo in merito ad alcune importanti inchieste giudiziarie a causa dell’attività professionale dei loro fratelli. Per tutta risposta, ha denunciato Fava, gli è stato tolto il fascicolo sul caso Amara e sulle presunte sentenze pilotate nell’ambito della giustizia amministrativa. A confermare l’aria tesa che tira in Procura sono alcuni magistrati titolari di inchieste che hanno chiamato in causa politici locali e nazionali e che rivendicano di aver dato fastidio ai ‘potenti’». C’è già chi parla apertamente di “una guerra che ha l’obiettivo di depotenziarci”. 

La memoria va all’inchiesta su Salvatore Buzzi e Massimo Carminati per Mafia Capitale che smascherò un sistema di appalti, in particolare nella gestione dell’emergenza migranti. trasversale a vari esponenti politici. Ma l’attualità riporta soprattutto al caso Consip ora pendente davanti al Giudice dell’Udienza Preliminare per le richieste di rinvio a giudizio formulate dal procuratore aggiunto Paolo Ielo, responsabile del dipartimento Reati contro la Publica Amministrazione, per turbativa d’asta a carico di tredici imprenditori e manager delle aziende coinvolte: tra i quali l’imprenditore napoletano Alfredo Romeo, amministratore della Romeo Gestioni, e i manager di Manutencoop, Cns, Cofely, Manital, Gestione Integrata, Siram e infine la Sti, già implicata in una precedente inchiesta sull’avvocato Amara di cui parliamo più avanti. 

L’accusa è di avere stretto accordi sotterranei per vincere le gare, in spregio alla libera concorrenza. Gli indagati sono accusati di “collusioni consistite in accordi preordinati alla ripartizione” degli appalti. Mentre l’ex ministro Lotti è accusato di aver informato l’ex ad della Consip. Luigi Marroni, dell’esistenza delle cimici vanificando così le ulteriori indagini della Procura. 

Dal calderone delle battaglie tra magistrati non si salvano nemmeno quelli di Firenze dove sono ormai molteplici i fascicoli aperti dalla Procura nei confronti di parenti dell’ex premier Matteo Renzi: da quelli sui genitori Tiziano Renzi e Laura Bovoli per bancarotta fraudolenta a quelli per appropriazione indebita del cognato Andrea Conticini e fratelli per i fondi Unicef finiti nei conti correnti privati anziché in servizi per i bimbi africani. Il procuratore capo Giuseppe Creazzo, in corsa proprio per la guida della Procura di Roma, insieme al suo collega Luca Turco, è stato di recente bersagliato da un esposto a Genova in cui si contesta la gestione di alcune indagini nel campo sanitario. 





Ma lo stesso pm Fava, grande accusatore contro i colleghi romani, si trova ora invischiato nell’inchiesta su Palamara: anch’egli è indagato per favoreggiamento e rivelazione del segreto di ufficio in concorso (con Spina – ndr). Altri quattro togati, componenti del Consiglio Superiore della Magistratura, si sono autosospesi: due dei quali perché avrebbero preso parte agli incontri notturni coi parlamentari piddini Lotti e Ferri, gli altri due anche se avrebbero rinunciato all’ultimo momento alla riunione. 



L’IMPRENDITORE DEI REGALI A PALAMARA 

«Nel registro degli indagati, con l’accusa di corruzione, i pm di Perugia hanno iscritto anche Fabrizio Centofanti, l’imprenditore dei ‘regali’, e gli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore – riferisce Rai News – Dalle indagini emergono viaggi e vacanze per Palamara (all’epoca consigliere del Csm) e famiglia: un’attività corruttiva messa in atto, secondo la procura di Perugia, “per fare in modo che Palamara mettesse a disposizione, a fronte delle utilità, la sua funzione di membro del Csm, favorendo nomine di capi degli uffici cui erano interessati Amara e Calafiore”. Tra i regali, anche un anello “del valore di duemila euro in favore dell’amica Adele Attisani”, oltre a un soggiorno a Taormina. E poi viaggi per lo stesso Palamara, o la sorella, in Toscana, a Madonna di Campiglio, a Dubai e Favignana». 

«Sulla mia persona si stanno abbattendo i veleni della Procura di Roma, ma ho la tempra forte e non mi faccio intimidire. Sto chiarendo punto per punto tutti i fatti che mi vengono contestati perchè ribadisco che non ho ricevuto pagamenti, né regali, né anelli e non ho fatto favori a nessuno» ha invece ribattuto lo stesso Palamara al termine dell’interrogatorio durato più di 4 ore negli uffici di una caserma della Guardia di Finanza durante al quale era assistito dagli avvocati Benedetto e Mariano Marzocchi Buratti e Michele Di Lembo. «Ribadisco che non ho ricevuto soldi né regali e non ho fatto favori a nessuno. Chi conosce le dinamiche consiliari sa benissimo che non ho mai parlato di Giancarlo Longo (ex pm di Siracusa, ndr) ne’ tantomeno ho danneggiato qualche altro collega, trattandosi di un organo collegiale che come tale ha bisogno della partecipazione di tutti i suoi membri» ha aggiunto l’ex presidente Anm spiegando di aver esibito «le ricevute dei pagamenti dei viaggi e altro mi riservo di farlo nel prosieguo dell’interrogatorio». 

Il sostituto procuratore romano, secondo i pm perugini, quando rivestiva il ruolo di componente del Csm, avrebbe anche ricevuto 40 mila euro dagli avvocati Calafiore e Amara per favorire la nomina di Giancarlo Longo, poi arrestato nel febbraio 2018 per corruzione a Messina. Ma è proprio da quell’inchiesta per corruzione in atti giudiziari che giungono le accuse di oggi. 



IL MAGISTRATO CONDANNATO E’ LIBERO E SI DA’ AL FITNESS 

«Da pubblico ministero a istruttore di fitness. Giancarlo Longo, smaltiti i veleni del “Sistema Siracusa”, ha deciso di rifarsi una vita a Roma. Dopo aver patteggiato 5 anni di pena con l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e aver consegnato le dimissioni dalla magistratura (con annesso “sacrificio” del Tfr), l’ex pm ha deciso di ricominciare da quella che da sempre è stata la sua passione: lo sport». A raccontare la storia di Longo come in un gossip è il sito Siracusa News che mostra anche una foto del magistrato in tenuta da palestra. 

«L’ex pm era accusato di corruzione in atti giudiziari davanti il Tribunale di Messina nell’ambito del “Sistema Siracusa”. Inchiesta che ha al centro due avvocati, Piero Amara e Giuseppe Calafiore, che per anni avrebbero pilotato inchieste e fascicoli al tribunale di Siracusa per avvantaggiare loro clienti di peso – scrive Siracusa News – Longo, dal canto proprio, in cambio di mazzette e regali, avrebbe messo a disposizione la propria funzione di magistrato condizionando le inchieste, aprendo fascicoli ad hoc per favorire gli assistiti dei due legali o per sviare le indagini, come sarebbe accaduto nel caso Eni-Descalzi».

Un incontro tra l’ex pm Giancarlo Longo e l’avvocato Giuseppe Calafiore che hanno patteggiato per corruzione in atti giudiziari 

Un sistema rodato che ha visto gli avvocati Amara e Calafiore sotto accusa anche per le sentenze pilotate presso il Consiglio di Stato. Per la corruzione in atti giudiziari i due legali nel febbraio scorso avevano patteggiato davanti al Gup di Roma, Alessandro Arturi, una pena a 3 anni di reclusione per il primo (con 75mila euro di multa) e a 2 anni e nove mesi per il secondo (con 32,5mila). 

Ma restano entrambi in attesa di conoscere l’esito della richiesta di patteggiamento in continuazione del reato proprio per il filone siciliano riferito alla corruttela di Longo e pendente davanti al Tribunale di Messina (prossima udienza 25 giugno). Secondo fonti giornalistiche i due avvocati, pur di guadagnarsi il parere favorevole della Procura di Roma ai patteggiamenti, sarebbero diventati collaboratori di giustizia vuotando il sacco sulla vicenda Palamara. 

Un’inchiesta che va però presa con la massima cautela poiché gli avvocati giungono da quella Sicilia che è stata fucina di pentitismo finalizzato ai depistaggi giudiziari. Ma in quegli episodi di corruzione in atti giudiziari c’è l’anello di congiunzione tra le inchieste sulle tangenti Eni e una branca del già citato scandalo Consip. 



DALL’ENI AL CONSIP: LE MAZZETTE DELL’AVVOCATO 

«L’avvocato Piero Amara sapeva come fare: mazzette da 5.000 euro messe in una busta e lasciate nel bagno di un palazzo di giustizia, viaggi a Dubai e soggiorni in hotel di lusso per un pm “asservito alla sua causa”, l’ex sostituto procuratore di Siracusa Giancarlo, generosi mensili passati a consulenti e oscuri personaggi, verbali di interrogatorio fasulli scritti di suo pugno e finiti in fascicoli giudiziari. E il geniale metodo del procedimento “specchio” per attrarre in Sicilia inchieste giudiziarie che nulla avevano a che fare con la Sicilia, ma che qui potevano essere aggiustati per garantire gli interessi di due clienti preziosi». E’ quanto scritto dalla giornalista Alessandra Ziniti su Repubblica lo scorso 22 febbraio. 

«C’è tutto questo nell’ultima tranche dell’inchiesta sulla lunga catena di corruttela capace di pilotare le sentenze della giustizia amministrativa del Consiglio di Stato e del Cga siciliano che all’alba di oggi ha visto finire agli arresti domiciliari il noto imprenditore piemontese Ezio Bigotti, presidente del gruppo Sti, aggiudicatario di numerose ed importanti commesse della Consip, la centrale acquisti del Tesoro, fermato nella sua casa di Pinerolo, e Massimo Gaboardi, ex tecnico petrolifero dell’Eni, arrestato a Milano. L’Eni ha però spiegato con una nota che “da un esame degli archivi aziendali disponibili non risulta che il signor Massimo Gaboardi sia mai stato dipendente di Eni né di società del gruppo”» rimarcava sempre il quotidiano Repubblica. 

Duplice l’obiettivo dell’intervento corruttivo di Amara. In primo luogo ostacolare l’attività di indagine della procura di Milano sulle tangenti Eni in Algeria e Nigeria, avviando un filone parallelo d’inchiesta per avvalorare l’ipotesi di un complotto internazionale ai danni dell’amministratore delegato Claudio Descalzi ordito utilizzando come pedina il tecnico petrolifero Gaboardi. 

In contemporanea creare un “fascicolo specchio” con documenti creati ad hoc per consentire all’ex pm di Siracusa Longo di attrarre i fascicoli per reati fiscali aperti a Torino e Roma nei confronti di Bigotti e quindi produrre consulenze addomesticate per chiedere l’archiviazione della posizione dell’imprenditore permettendogli una pacificazione fiscale per una delle sue società del gruppo Sti sottoposta ad accertamenti dell’Agenzia delle Entrate. 



L’EX MINISTRO PD E L’INCONTRO CON IL PM POI ARRESTATO

L’ex pm di Trani poi giudice a Roma Antonio Savasta 

Alla luce di questi precedenti sviluppi l’inchiesta della Procura di Perugia su Palamara pare assumere una rilevanza maggiore soprattutto per la figura politica che sempre aleggia dietro le quinte: quella dell’ex ministro renziano Luca Lotti. Sotto inchiesta per le rivelazioni nel caso Consip si ritrova invischiato anche negli incontri notturni con i consiglieri del Csm indagati ma è anche comparso in un’ulteriore indagine che ha portato addirittura dietro le sbarre l’ex pm di Trani e poi giudice a Roma Antonio Savasta. 

Nella primavera 2018 Lotti fu interrogato dai pm di Lecce (competenti per territorio sui reati commessi nella Procura di Trani) ed affermò di non ricordare quell’incontro a Palazzo Chigi del giugno 2015: «Ho una conoscenza superficiale di Antonio Savasta – spiegò l’ex ministro ai magistrati – sicuramente me l’hanno presentato ma non ricordo chi né in quale occasione». 



A chiamarlo in causa fu il re degli outlet pugliesi, Luigi Dagostino, che per ottenere indagini aggiustate in modo a lui favorevole pagò ben 53mila euro all’ex sostituto della Repubblica di Trani, secondo l’ordinanza di arresto. Ma non si limitò a questo. 

Dagostino, oggi a giudizio a Firenze insieme a Tiziano Renzi e Laura Bovoli per una presunta maxi-fattura gonfiata, avrebbe pure favorito, secondo la Procura di Lecce, gli incontri di Savasta, che ambiva ad essere trasferito a Roma, con alcuni politici influenti come l’ex ministro Lotti e l’ex sottosegretario del Partito Democratico nei governi Letta e Renzi, Giovanni Legnini, poi divenuto vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura. Un’ulteriore vecchia storia che fa calare altre ombre sul Palazzo dei Marescialli e riporta alla mente il titolo del saggio di storia politico-giudiziaria dell’ex magistrato del pool antimafia Giuseppe Ayala: “Troppe coincidenze”… 

Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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La venuta del Paraclito "Spirito di verità" e difensore dei credenti


"Quando sarà venuto, il Paraclito dimostrerà
la colpa del mondo riguardo al peccato, 
alla giustizia e al giudizio". 
(Giovanni 16,8)


Gesù nel Cenacolo parla a lungo ai suoi discepoli, mentre cala il crepuscolo sulla città santa, e questi discorsi si distendono nei capitoli 13-17 del quarto Vangelo. Il loro movimento è stato comparato dagli studiosi alle onde della risacca che ritornano sulla spiaggia in forme sempre diverse pur occupando lo stesso spazio. 

Così, Gesù ribadisce ripetutamente, ma con iridescenze differenti, il tema dell’amore e per ben cinque volte promette la venuta dello Spirito Santo o Spirito di verità o Paraclito. Quest’ultimo termine è di matrice giuridica e in pratica designa l’avvocato difensore: perciò lo Spirito inviato dal Padre, oltre al compito di far comprendere in pienezza la “verità”, cioè la rivelazione portata da Gesù, si ergerà in difesa della comunità dei credenti nel processo che il mondo aprirà contro di loro. 

In questo atto giudiziario Gesù delinea tre temi dell’arringa che il Paraclito terrà a tutela di Cristo e di coloro che credono in lui. 
Metterà in luce e accuserà una triplice colpa del mondo, visto negativamente come coloro che rigettano Cristo e il bene e si collocano sotto le insegne del “principe di questo mondo”, Satana. Il primo atto di accusa riguarda il “peccato” che è così spiegato da Gesù: «Perché non credono in me» (16,9). 
È, dunque, l’incredulità la prima grande colpa, come si diceva a Nicodemo: «La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce perché le loro opere erano malvagie» (3,19). 

Il secondo atto forense del Paraclito riguarda la “giustizia”, e la spiegazione è sorprendente (sant’Agostino riteneva il passo difficilissimo): «Perché vado al Padre e non mi vedrete più» (16,10). 
La “giustizia” in questione è quella divina espressa in Cristo: egli è venuto nella storia ad annunciare la parola di Dio e l’amore, dimostrando così la volontà di salvezza (nel linguaggio biblico “la giustizia”) del Padre e attestando di essere Figlio. 

Ma non fu accolto e, così, ora – mentre svela la sua divinità ritornando al Padre – condanna il rifiuto che il mondo ha compiuto della salvezza da lui offerta. Infine, lo Spirito Santo Paraclito annuncia il “giudizio”: infatti, aggiunge Gesù, «il principe di questo mondo è già condannato» (16,11). Il Cristo crocifisso sembra il segno della sconfitta e della sentenza di condanna; in realtà, quella croce si ribalta in una disfatta del male e in un trionfo del bene e dell’amore. 

Lassù, sul Golgota, si consuma in una sorta di anticipazione quello che l’Apocalisse descriverà per la fine della storia: il Messia è esaltato, Satana è incatenato e precipitato nello stagno di fuoco (c. 20).

Tutti i 50 motivi per cui all'Italia conviene uscire dall'euro




QUESTI I 50 MOTIVI PER CUI CONVIENE USCIRE DALL'UE, E NON SOLO ALL'ITALIA....



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Mentre tutti i giornali sono pieni e zeppi di Italicum - condito ormai nelle salse più diverse - e di ragioni per il sì o il no ad un referendum su una revisione costituzionale da vero sballo, vi offriremo un piccolo manuale di salvezza nazionale su due temi che riteniamo veramente decisivi per la sorte del nostro Paese e di cui solo Libero parla. L’euro da una parte e l’Unione Europea dall'altra.



Il primo è un cappio al collo che sta inesorabilmente umiliando e devastando un Paese che nel dopoguerra ha dimostrato - invece - di saper brillantemente camminare e correre sulle sue gambe fino a diventare una delle principali potenze manifatturiere del pianeta. La seconda è una gabbia soffocante che limita la nostra sovranità in spregio ai più elementari principi di libertà.


Riconquistare la propria indipendenza monetaria è condizione necessaria - anche se non sufficiente - per tornare a crescere. Senza questo scatto di orgoglio e libertà ogni altro meritevole sforzo per rilanciare l'economia del Paese si rivelerà purtroppo inutile. Ecco perché abbiamo deciso di elencare “nero su bianco” 50 buoni motivi per dire NO all’euro e NO all’Unione Europea. E lo faremo sfatando uno per uno tutti i luoghi comuni più radicati di volta in volta tirati in ballo da chi sostiene che non ci sia alternativa.


1. PERCHÉ I TRATTATI DELL’UNIONE VIOLENTANO LA NOSTRA COSTITUZIONE 
L’adozione dei trattati palesa un’esplicita violazione dei più elementari principi fondanti della nostra Costituzione. Tutto è fuorché un progetto che risponde allo spirito della nostra Carta. Ci si riferisce in particolare all'articolo 1. Il secondo comma recita «La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». È impossibile non toccare con mano come il potere decisionale sia stato di fatto delegato ad élite tecnocratiche, non elette ed irresponsabili. Come altrettanto evidente e palese è la violazione dell'articolo 11 della nostra Carta laddove viene scritto che l'Italia «consente in condizioni di parità con gli altri Stati (principio nei fatti già sconfessato dalle cronache quotidiane) alle limitazioni (si badi bene non si parla di "cessioni" ma di "limitazioni") di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni». I Padri Costituenti si riferivano in maniera esplicita ad Organizzazioni transnazionali quali le Nazioni Unite. Non certo ad un mostro giuridico quale l'Unione Monetaria Europea che addirittura pretende di promuovere o bocciare le leggi di bilancio dei singoli Stati aderenti prima ancora che queste siano presentate al voto dei parlamenti nazionali. E cosa c'è dunque di più anticostituzionale che cedere la propria sovranità monetaria?


2. PERCHÉ LA «CASTRAZIONE MONETARIA» OLTRE AD ESSERE ANTICOSTITUZIONALE NON È COSA AFFATTO NORMALE 
Gli eurofili ritengono che sia assolutamente naturale aver conferito ad un'autorità sovranazionale come la Banca centrale europea il diritto di coniare moneta. Segue un illuminante elenco di alcuni altri Paesi al mondo che hanno deciso di non coniare monete nazionali. E vi assicuriamo che vederli colorati in un planisfero (come ha fatto il sito qz.com) fa un certo effetto. Ecuador, Timor est, El Salvador, Isole Marshall, Micronesia, Palau, Turks and Caicos, Isole Vergini Britanniche, Zimbabwe, Benin, Burkina Faso, Camerun, Repubblica Centro Africana, Ciad, Repubblica del Congo, Guinea Equatoriale, Costa d'Avorio, Mali, Niger, Senegal, Togo, Antigua e Barbuda, Dominica, Grenada, Saint Kitts e Nevis, Santa Lucia, Saint Vicent and the Grenadines ecc. Tutti Stati, cioè, con un recente passato da colonia.

3. PERCHÉ L'UNIONE MONETARIA NON È FATTA SU MISURA PER L'ITALIA 
L’Europa non è affatto una casa comune. L'Italia abbandonò nel 1992 un insostenibile tasso di cambio "fisso" con le altre valute per essere poi sciaguratamente ripreso nel 1996. Nel 1999 - al momento dell'ingresso nell'euro - il reddito pro-capite degli italiani era il 96 per cento di quello tedesco. Nel 2015 dopo sedici anni di euro il reddito degli italiani è il 76 per cento di quello dei tedeschi (Fondo Monetario Internazionale). Le alternative sono due. O Meno Europa oppure Meno Reddito. Tertium non datur.

4. PERCHÉ L'UNIONE MONETARIA È FATTA INVECE SU MISURA DELLA GERMANIA 
La pretesa di ritenere che l'Unione sia un progetto comune costruito nell’interesse ed al servizio di tutti è una pura utopia. Basta rielaborare i dati relativi al surplus/deficit delle partite correnti di Italia e Germania. Nel periodo intercorrente fra il 1993 ed il 1999 l'Italia ha sempre avuto un surplus positivo per arrivare a toccare il suo massimo nel 1996. Un valore del 2,9 per cento sul Prodotto interno lordo. Purtroppo in quell'anno l'Italia cessa di far fluttuare liberamente la propria valuta per rientrare nuovamente nel Sistema Monetario Europeo, in previsione dell'adozione dell’euro del 1999 (sebbene l'euro sia entrato materialmente in circolazione il primo gennaio del 2002). Nello stesso periodo la Germania ha quasi sempre registrato un deficit (mediamente dell’1 per cento con l'eccezione del 1998). Ma dal 2000 al 2013 la situazione si capovolge radicalmente. L'Italia in questi 14 anni ne colleziona 12 di deficit per arrivare ad un picco negativo di -3,5 per cento sul Prodotto interno lordo nel 2010 mentre la Germania "ingrana la quarta" collezionando 12 anni di surplus ed arrivando al picco positivo del 7 per cento nel 2012 (Fmi).

5. PERCHÉ AVEVANO BISOGNO DI UN POLLO DA SPENNARE: L'ITALIA 
Queste in proposito le confessioni dell'ex Ministro delle Finanze italiano Vincenzo Visco (esponente del Partito democratico) a Stefano Feltri nel maggio 2012: «L'Italia fuori dall'euro, visto il nostro apparato industriale, poteva fare paura a molti, incluse Francia e Germania che temevano le nostre esportazioni prezzate in lire. Ma Berlino ha consapevolmente gestito la globalizzazione: le serviva un euro deprezzato, così oggi è in surplus nei confronti di tutti i Paesi, tranne la Russia da cui compra l'energia. Era un disegno razionale, serviva l'Italia dentro la moneta unica proprio perché era debole». 
Ogni ulteriore commento ci sembra superfluo.

6. PERCHÉ ECONOMIE DIVERSE DEVONO AVERE MONETE DIVERSE 
Ma è semplice: altrimenti il debole diventa sempre più debole ed il forte diventa sempre più forte. La moneta, cioè, assolve al ruolo di "ammortizzatore" nei rapporti fra diverse economie. Quella che si trova in una situazione di difficoltà vedrà la sua moneta svalutarsi. Ovvero il prezzo di quella moneta si riallineerà al giusto prezzo di mercato, così consentendo un recupero di competitività. Ma non potendo svalutare la moneta, l'unica alternativa per recuperare la competitività rimane quella del taglio dei salari e dell'aumento di produttività attraverso licenziamenti. E la conferma arriva addirittura dalla Commissione dell’Unione europea che in un report del gennaio 2014 rivelava: «Venuta meno la possibilità di svalutare la moneta, i Paesi della zona euro che tentano di recuperare competitività sul versante dei costi devono ricorrere alla “svalutazione interna” (contenimento di prezzi e salari). Questa politica presenta però limiti e risvolti negativi, non da ultimo in termini di un aumento della disoccupazione e del disagio sociale».

7. PERCHÉ LA GERMANIA CE LO HA DETTO CHIARO E TONDO 
6 Maggio 2014: la tedeschina Ska Keller - leader dei verdi - viene intervistata in televisione su Rai 3. Queste le sue testuali parole: «Se la Germania lasciasse l'euro perderebbe moltissimi posti di lavoro nel settore delle esportazioni perché nessuno comprerebbe più i prodotti carissimi tedeschi». Theo Waigel, ex ministro delle finanze tedesco (10 luglio 2016): «Se la Germania oggi uscisse dall'Unione Monetaria allora avremmo immediatamente, il giorno dopo, un apprezzamento tra il 20 per cento ed il 30 per cento del marco tedesco che tornerebbe nuovamente in circolazione. Chiunque si può immaginare che cosa significherebbe per le nostre esportazioni, per il nostro mercato del lavoro, per il nostro bilancio federale. Invece con un'uscita dall'euro ed un taglio netto del debito la crisi interna italiana finirebbe di colpo». Più chiaro di così.

8. PERCHÉ FAMOSISSIMI ECONOMISTI CE LO HANNO DETTO CHIARO E TONDO 
Sul testo "Macroeconomia" scritto da Rudiger Dornbush e Stanley Fischer si sono formati milioni di studenti di tutto il mondo. In un articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista Foreign Affairs, Dornbusch venti anni fa scriveva: «Abolendo gli aggiustamenti del tasso di cambio l'Euro finirà per scaricare sul mercato del lavoro il compito di adeguare la competitività ed i prezzi relativi. Diventeranno preponderanti recessione, disoccupazione e pressioni sulla Banca centrale europea affinché inflazioni l'economia. Una volta entrata l'Italia con una valuta sopravvalutata si troverà di nuovo alle corde come nel 1992, quando venne attaccata la lira». Un'ulteriore conferma arriva addirittura da uno studio finanziato dalla Commissione dell’Unione europea a firma degli economisti Lars Jonung ed Eoin Drea. Già il titolo parla da solo: «L’Euro non può essere realizzato. È una pessima idea. Non durerà. Il parere degli economisti americani nel periodo 1989-2002». Nel sommario riassuntivo addirittura leggiamo: «Tutti gli economisti -pur nella diversità di approccio- mostrano un forte scetticismo per un progetto politico che ignora i più elementari fondamenti della scienza economica non essendo l'Europa un'area valutaria ottimale».

9. PERCHÉ GLI STATI UNITI D'EUROPA SONO UN PROGETTO ANTISTORICO E FALLIMENTARE 
Nel 1940 gli Stati indipendenti e sovrani al mondo erano in tutto 69. Nel 2015 erano saliti a 205. In 75 anni il numero è quasi triplicato. A chi dice che gli Stati Uniti d'Europa sono un progetto che asseconda la storia noi rispondiamo quindi numeri alla mano che è l'esatto contrario (Cia factbook). E non è neppure vero che l'unione faccia la forza. Chiunque sostenga che la creazione dell'Unione Monetaria risponda all'obiettivo di rafforzare l'intero blocco si scontra con la cruda realtà dei numeri. La quota di Pil mondiale dell'eurozona nel 1999 era pari al 22 per cento oggi è il 17 per cento. (Fmi).

10. PERCHÉ NON POTREMO MAI CREARE GLI STATI UNITI D'EUROPA 
È un mantra ricorrente. Ossessivo e compulsivo. «La globalizzazione incombe. Impone sfide che i singoli Stati nazionali da soli non potrebbero affrontare. Abbiamo una moneta in comune? Bene andiamo avanti e facciamo gli Stati Uniti di Europa». 
Ma è veramente. questa, una prospettiva concreta e razionale? È vero, i cinquanta Stati a stelle e strisce condividono come moneta il dollaro come gli Stati dell'eurozona condividono l'euro. Ma le somiglianze finiscono qui. Gli Stati Uniti d’America, infatti, hanno in comune la stessa lingua. Quando il Presidente eletto degli Usa parla lo comprendono in Florida e nel Wisconsin. Immaginatevi la scena di un ipotetico presidente degli Stati Uniti d'Europa che parla a reti unificate. Il suo discorso dovrebbe essere tradotto o sottotitolato in altre diciassette lingue. E che razza di campagna elettorale potremmo mai avere con queste barriere linguistiche? L'assenza delle quali -ricordiamolo- consente al disoccupato del poverissimo stato del Mississippi (il cui Prodotto interno lordo è grosso modo quello dell'Ecuador) di poter agevolmente emigrare e trovare lavoro in Texas (il cui reddito è pari a quello dell'Australia). E voi pensate forse che un dentista disoccupato di Salonicco possa agevolmente esercitare la propria attività a Riga? E sempre negli Stati Uniti d'America esiste un bilancio federale che si fa carico di trasferimenti dalla California all'Alabama senza che a quest'ultima vengano imposte deliranti "riforme strutturali" in cambio di trasferimenti finanziari. Tutte cose che in Europa non solo non abbiamo ma neanche avremo mai; perché altrimenti le vedremmo già realizzate. E che - se comunque fatte - non agevolerebbero certamente lo sviluppo degli stati sussidiati come del resto dimostra l'esperienza plurisecolare del nostro Mezzogiorno. 
Ricapitolando: gli Stati Uniti costituiscono un'area valutaria ottimale non perché condividono il dollaro ma perché hanno in comune una lingua, quindi la mobilità del fattore lavoro ed anche un bilancio federale unico. L'Unione Monetaria Europea manca di tutto questo. 

11. PERCHÉ NON È VERO CHE USCIRE DA UN'UNIONE MONETARIA SAREBBE UNA CATASTROFE 
È un classico, come l'agnello a Pasqua o il Panettone a Natale. «Se entrare nell'euro è stato un errore, uscirne sarebbe letale». E con queste parole è morta lì. Ma è veramente così? Il Centro Studi Oxford Economics ha condotto nel 2015 un accurato studio evidenziando come dal 1945 ad oggi «oltre settanta Stati hanno sperimentato uscite da unioni monetarie». In media una ogni anno. E non è neppure vero che tali disgregazioni monetarie siano state accompagnate da conseguenze economiche disastrose. Tutt'altro. Dal momento che lo studio rileva che in oltre «due casi su tre si è registrato un tasso di crescita fin dall'anno in cui un il Paese di turno ha lasciato l'Unione con un valore mediano pari al 2,7%». 

12. PERCHÉ NON È VERO CHE USCIRE DALL'EURO SIGNIFICHI USCIRE DALL'UE 
Vi sono Paesi quali, ad esempio, la Svezia, l'Ungheria, la Danimarca ecc. che pur non avendo l'euro fanno comunque parte dell'Unione Europea e guarda caso stanno meglio. Una rielaborazione del Centro Studi Unimpresa sui dati della Banca d'Italia mostra che nel periodo 2008-2015 i Paesi dell'eurozona hanno perso 3,238 milioni di posti di lavoro mentre quelli dell'Unione con propria moneta nello stesso periodo di tempo hanno creato 1,068 milioni di posti di lavoro. L'Eurozona è un'autentica macchina di distruzione del lavoro. 

13. PERCHÉ COMUNQUE NON È VERO CHE USCIRE O NON FAR PARTE DELL'UNIONE EUROPEA SIGNIFICHI NON AVERE ACCESSO AL MERCATO CONTINENTALE 
Vi sono Paesi quali la Norvegia, l'Islanda, il Liechtenstein e la Svizzera che hanno stipulato da tempo accordi per la partecipazione al mercato interno che disciplina la libera circolazione delle merci, dei servizi e dei lavoratori all'interno del cosiddetto Spazio Economico Europeo (di cui fanno parte questi Paesi assieme all'Unione Europea). Ora toccherà alla Gran Bretagna negoziare un accordo che preveda l'uscita dall'Unione Europea nel rispetto dell'esito del referendum del 23 giugno 2016. E sono già tantissimi gli osservatori che prevedono l'adozione del cosiddetto "modello Norvegia" da parte del Regno Unito.

14. PERCHÉ FUORI DALL'UNIONE EUROPEA SI STA COMUNQUE MEGLIO 
Mentre i Paesi senza euro ma dentro l'Ue stanno meglio dei cugini che hanno scelto la moneta unica, così i Paesi che stanno fuori dall'Unione vivono molto meglio dei vicini condomini dell'Unione Europea. Il Pil pro-capite medio dell'Efta (l'accordo di libero scambio fra Norvegia, Liechtenstein, Islanda e Svizzera) è infatti pari a 62.534 dollari, mentre quello dell'Unione Europea è pari a 37.800 dollari. In altre parole un cittadino dell'Unione mediamente guadagna il 60 per cento del cugino che sta fuori. I dati sono riferiti al 2015 (Fonte Cia factbook). A riprova di quanto detto sia l'Islanda che la Svizzera hanno di recente ufficialmente abbandonato il progetto di adesione all'Unione Europea. Un tempo si facevano carte false per entrare nell'Unione, ora se puoi la eviti.

15. PERCHÉ NON È VERO CHE ABBANDONANDO L'EURO TORNEREMO AI VECCHI MILIONI E MILIARDI 
Sono in molti quelli che spesso - in cattiva o buona fede - fanno confusione fra tasso di conversione e tasso di cambio. L'Italia uscendo dell'euro potrà scegliere di convertire la propria nuova moneta con un tasso di conversione "convenzionale" rispetto all'euro. Cioè frutto di una deliberata scelta tecnica. Può essere 1 lira per ogni euro e quasi sicuramente così sarà per semplicità. Dopodiché il prezzo della lira sarà libero di fluttuare nel mercato valutario e quasi sicuramente svaluterà del 20 per cento - 30 per cento circa rispetto alle altre monete. Questo è il cosiddetto tasso di cambio. Ma ciò non deve destare preoccupazione. Per caso qualcosa nella vostra vita è drammaticamente cambiato da quando l'euro ha pesantemente svalutato rispetto al dollaro? Due anni fa con un euro acquistavamo 1,35 dollari mentre oggi ne acquistiamo 1,10 circa. Ovviamente nulla è cambiato nella vita quotidiana di ciascuno di noi per il semplice motivo che non facciamo la spesa al supermercato di Cleveland.

16. PERCHÉ NON È VERO CHE SVALUTARE NON SERVE A NIENTE 
Dopo la conversione la nostra nuova moneta si svaluterà rispetto alle altre. Raggiungerà cioè il giusto prezzo di mercato di mercato rispetto alle altre valute. Tutti i più importanti economisti sono concordi nello stimare il riallineamento in misura pari ad una svalutazione del 20 per cento - 30 per cento. In considerazione dei diversi livelli di prezzo relativo fra le varie economie. Sarà più conveniente per gli stranieri acquistare il Made in Italy, fare le vacanze nel Bel Paese o mettere su una fabbrica da noi. E sarà simmetricamente più costoso per gli italiani acquistare prodotti stranieri, fare le vacanze all'estero o delocalizzare la produzione. Ma per un Paese come l'Italia che vive di manifattura e turismo si aprirebbero enormi opportunità di crescita. Tutto ciò che purtroppo oggi è precluso da una moneta artificialmente troppo forte per la nostra economia.

17. PERCHÉ NON È VERO CHE SE TORNASSIMO ALLA LIRA SAREMMO TRAVOLTI DALL'IPERINFLAZIONE O DALL'INFLAZIONE 
È questa una delle più ricorrenti mistificazioni. L'Italia sarebbe devastata da una terribile iperinflazione. Innanzitutto partiamo dalla sua definizione. Si parla convenzionalmente di iperinflazione quando il tasso di incremento dei prezzi supera l'1 per cento al giorno o, alternativamente, il 50 per cento in un mese. Il Centro Studi americano Cato Institute ha catalogato e studiato oltre 50 casi di iperinflazione avvenuti nella storia contemporanea fino ai giorni nostri. Tutti sono accomunati da uno o più fenomeni di straordinaria ed eccezionale gravità quali in particolare: (a) conflitti internazionali; (b) devastanti guerre civili interne; (c) instaurazione di regimi totalitari con conseguente adozione di scriteriate e non ragionate politiche economiche; (d) traumatica trasformazione dei modelli economici con successivo passaggio degli stessi da sistemi di mercato a regimi pianificati di tipo socialista o viceversa. Niente a che vedere con la situazione italiana. Quanto ai più tenui timori di inflazione, anche qui occorre fare chiarezza. L'inflazione altro non è che l'aumento generalizzato dei prezzi al consumo dovuto ad surriscaldamento della domanda. Detto in soldoni la gente lavora, ha i soldi in tasca, acquista e quindi i prezzi crescono. Non è un caso che disoccupazione ed inflazione siano inversamente correlate. Più una è alta, più l'altra è bassa. Detta relazione è stata modellizzata dall'economista neozelandese Phillips. Svalutazione e inflazione sono invece fenomeni scorrelati. 
Ne volete una prova diretta e recente? Negli ultimi sette mesi il prezzo del petrolio è aumentato di quasi il 50 per cento sia in dollari che in euro. Una svalutazione mostruosa. Ebbene: vi risulta per caso che gli italiani stiano tutti andando in giro a cavallo? In sintesi: l'inflazione è direttamente correlata all'occupazione e non alla svalutazione.

18. PERCHÉ NON È VERO CHE SENZA L'EURO I RISPARMI SI DIMEZZEREBBERO 
Se vuoi impaurire una persona devi colpirla negli affetti più cari. Il risparmio. Che come sapete può essere investito in molti modi: case, azioni, obbligazioni, oro ecc. E non è certo cambiando la moneta che perderebbero mercato. È solo grazie alla ripresa o alla stagnazione che il valore del risparmio sale o scende. Anzi è proprio con l'euro che in Italia i risparmiatori hanno visto andare in fumo i risparmi di una vita grazie al bailin (anzi Belin! come si dice a Genova). Ne sanno qualcosa gli obbligazionisti di Banca Etruria & C.

19. PERCHÉ NON È VERO CHE SENZA L'EURO I MUTUI ANDREBBERO ALLE STELLE 
Le strategie del terrorismo sulla moneta unica passano con grande spregiudicatezza dai risparmi ai mutui. Il mutuo viene convertito in lire e la sua rata andrebbe alle stelle. Come se con il passaggio dalla lira all'euro questa si fosse dimezzata. Facciamo chiarezza. Il tasso del mutuo non è indicizzato alla valuta. Il debitore deve solo temere la perdita del posto di lavoro, senza il quale non avrà fondi a sufficienza per rimborsare il mutuo. Situazione purtroppo tipica in cui si trovano oggi i molti disoccupati italiani. Circa tre milioni. Aumentati di oltre un milione rispetto al 2004 (Fonte Istat). Provate a pagare il mutuo da disoccupati, in euro o in lire la cosa non cambia.

20. PERCHÉ NON È VERO CHE È TUTTA COLPA DELLA SPESA PUBBLICA 
La spesa pubblica (assieme ai consumi delle famiglie, agli investimenti delle imprese ed alle esportazioni nette) è una delle componenti del Prodotto interno lordo. Non si vede come la sua semplice riduzione possa determinare un aumento del reddito nazionale. Certamente potremmo meritoriamente utilizzare i risparmi di spesa per abbassare le tasse. Giusto. Ma avremmo comunque effettuato soltanto un'operazione di redistribuzione fiscale. E non si vede come ridurre lo stipendio al segretario comunale per incrementare lo stipendio di un creativo pubblicitario possa alimentare la domanda aggregata. La verità è che quando la crisi economica morde due sono i modi per uscirne: spendere di più e tassare di meno. Ecco, noi in Italia dall’arrivo del professor Mario Monti alla presidenza del Consiglio in poi stiamo facendo invece l'esatto opposto: spendere di meno e tassare di più. E non è neppure vero che l'Italia sarebbe malata di eccessiva spesa pubblica, dal momento che l'incidenza media della spesa primaria (esclusi cioè gli interessi) sul Prodotto interno lordo nel periodo 1999-2012 è stata pari al 40 per cento circa, contro una media del 41 per cento dell'eurozona (Fmi). 


21. PERCHÉ NON È VERO CHE TUTTA COLPA DEL DEBITO PUBBLICO 
Chi dice tutto questo, sia chiaro, non siamo noi, ma addirittura il Vice Presidente della Banca centrale europea Vitor Constancio in una famosa conferenza tenuta ad Atene il 23 maggio 2013 in cui spiega a chiare lettere come il debito pubblico non sia mai la causa bensì la conseguenza di squilibri di finanza privata. Come altrimenti spiegarsi la crisi di Paesi come Spagna, Portogallo o Irlanda che nel 2007 avevano livelli di debito pubblico rispetto al Prodotto interno lordo rispettivamente pari al 36 per cento, al 68 per cento ed al 25 per cento mentre il debito privato era cresciuto nel periodo 1999-2007 (dall'introduzione dell'euro fino allo scoppio della crisi) rispettivamente del 75 per cento, del 49 per cento e del 101 per cento? Per non parlare del Giappone che con un debito del 240 per cento del Prodotto interno lordo registra una disoccupazione giovanile del 4 per cento. Vero è piuttosto che il debito pubblico è la conseguenza della crisi, dal momento che alla fine tocca sempre al contribuente farsi carico degli oneri di salvataggio del sistema bancario.

22. PERCHÉ NON È VERO CHE IL NOSTRO DEBITO PUBBLICO DOVREMMO COMUNQUE RIPAGARLO IN EURO 
Perché oltre il 96 per cento del debito pubblico - stando alle statistiche del Ministero del Tesoro - è emesso e disciplinato dalla legge italiana. E quindi in caso di uscita dalla moneta unica verrebbe convertito in valuta domestica ai sensi degli articoli 1277 e seguenti del Codice Civile (la cosiddetta Lex Monetae). Gli investitori esteri che hanno Titoli di Stato subiranno certo una perdita dovuta al rischio di cambio in caso di svalutazione della lira. Niente di drammatico. Come nulla è successo quando gli investitori stranieri che avevano in portafoglio titoli di stato britannici hanno visto svalutare la sterlina. E lo stesso dicasi per il gli investitori americani che avevano in portafoglio titoli di stato italiani o tedeschi a seguito della pesante svalutazione dell'euro rispetto al dollaro.

23. PERCHÉ NON È VERO CHE FAREMO LA FINE DELL'ARGENTINA 
Pur di impaurire e terrorizzare la gente, gli euroinomani sono soliti sproloquiare che faremo la fine dell'Argentina in caso di uscita dell'euro. Chi non ricorda il più grande default sovrano della storia? Ebbene quasi tutti trascurano che il debito pubblico argentino al momento del default era grosso modo pari al 45 per cento del Prodotto interno lordo. Come si spiega quindi la successiva rovinosa caduta? Semplicemente con il fatto che questo debito era stato contratto in dollari Usa (cioè una valuta straniera). E si dà il caso che l'Argentina non possa stampare dollari alla bisogna per far fronte a questo debito. Illuminanti le parole dell'ex governatore della Federal Reserve Greenspan che risponde ad un preoccupato giornalista della Cnbc: «Gli Usa possono rimborsare qualsiasi debito in quanto possiamo stampare valuta per pagarli. La probabilità di default è ZERO». Non è quindi la quantità di debito pubblico a determinare la maggiore o minore probabilità di default ma la possibilità o meno di coniare la moneta con cui il debito viene rimborsato. Ed è così che che l'Argentina indebitata in dollari ma "virtuosa nei conti" va in default ed il Giappone no.

24. PERCHÉ NON È VERO CHE NEPPURE I PAESI DEL SUD EUROPA NON VOGLIONO USCIRE DALL'EURO 
Si dice spesso che Paesi come Grecia, Irlanda e Spagna anche nei momenti più acuti della loro crisi mai hanno accarezzato l'idea di lasciare l'Unione Monetaria. Intanto si consideri che nel luglio 2015 gli elettori greci hanno con un referendum sonoramente bocciato i "piani di salvataggio" elaborati dalla Troika (Banca centrale europea, Commissione europea e Fondo monetario internazionale). inoltre si tenga conto del fatto che tutti questi Paesi hanno ricevuto corposi finanziamenti dagli altri cugini europei affinché rimborsassero con questi soldi i prestiti incautamente erogati loro dalle banche francesi e tedesche. Ad esempio nel luglio 2015 per impedire alla Grecia di uscire dall'Unione Monetaria è stato accordato un finanziamento per complessivi 86 miliardi di euro. Quasi il 50% del Pil. Insomma, se li sono comprati per farli rimanere nell' euro, ovviamente con i soldi nostri. 

25. PERCHÉ NON È VERO CHE SE LA BCE SI COMPORTASSE COME LA FED RIUSCIREMMO A SUPERARE LA CRISI RIMANENDO NELL'EURO 
Sono in molti a sostenere che la Bce dovrebbe essere come la Fed (la Banca Centrale degli Stati Uniti d’America) che fra i suoi obiettivi principali non ha soltanto il controllo della stabilità dei prezzi ma anche la crescita occupazionale. Ma in realtà tutto ciò che una Banca Centrale può fare in caso di crisi è abbassare i tassi di interesse e stampare nuova moneta per "annaffiare l'economia". E questo è ciò che la Banca centrale Europea sta già facendo da tempo. Come rileva una rielaborazione del Centro Studi Unimpresa, nel periodo 2013-2016 le banche italiane hanno raccolto un importo lordo di 859 miliardi. Quasi un terzo del totale messo a disposizione da Draghi per tutte le banche europee. Ma nello stesso periodo i crediti ad imprese e famiglie sono diminuiti di 15 miliardi. Keynes - del resto - era solito ricordare ai suoi alunni che «la politica monetaria è come una corda. Buona per tirare ma inutile per spingere». Fuor di metafora, aumentando i tassi di interesse o drenando moneta dall'economia si raffredda il ciclo economico. Ma viceversa no. Se il cavallo non beve puoi dargli tutta l'acqua che vuoi. Sarà semplicemente sprecata.

26. PERCHÉ NON È VERO CHE L'UE PROTEGGE LE NOSTRE BANCHE 
Era il 19 dicembre 2013 e l'allora Presidente del Consiglio Letta così festeggiava: «Finita ora la sessione del Consiglio Europeo. Approvata la Banking Union. Per tutelare i risparmiatori ed evitare nuove crisi. Buon passo verso una Unione europea più unita». Parole che alcuni obbligazionisti di Banca Etruria, Cariferrara, Carichieti e Banca Marche troveranno a dir poco incaute e beffarde 23 mesi più tardi. Ma l'applicazione della direttiva sul bailin ha avuto conseguenze devastanti anche sull'intero sistema bancario. Basti pensare che il comparto delle banche quotate a Piazza Affari ha registrato pesantissime perdite passando da un valore di borsa di 130 miliardi a Novembre 2015 ad uno di 59 miliardi a Giugno 2016. Completamente rovesciato e sovvertito il funzionamento del sistema bancario: dai risparmiatori che finanziano le banche con l'implicita garanzia della Banca Centrale a quest'ultima che le tiene in piedi grazie a copiosi finanziamenti garantiti dagli incolpevoli risparmiatori.

27. PERCHÉ NON È VERO CHE È TUTTO E SOLTANTO COLPA DELLA CATTIVA GESTIONE DELLE NOSTRE BANCHE 
Al netto di deprecabili episodi di "mala gestio" sui quali sta indagando la magistratura, la crisi delle nostre banche non può essere confinata a semplici episodi di cronaca giudiziaria. L'economista Lars Christensen estensore del blog Market Monetarist rileva che se la crescita del Pil nominale non si fosse arrestata ed invertita in maniera così acuta a partire dal 2008 oggi non staremmo a parlare di una crisi bancaria italiana. Nessuna bolla speculativa prima del 2008 e neppure indizi che le banche italiane fossero state particolarmente irresponsabili. Anche la banca più prudente finirebbe nei guai non appena il Pil nominale scendesse di un quarto del suo valore. Cosa che di fatto è successa in Italia a partire dal 2008. 
Tutto spiegato da quella che Christensen chiama la "morte incrociata"; da una parte il Pil nominale italiano che nel periodo 2008-2015 crolla di un quarto del suo valore; dall'altro l'esplosione dei crediti deteriorati che in pratica triplicano passando dal 4% al 12% del Pil.

28. PERCHÉ NON È VERO CHE BASTEREBBE METTERE LE BANCHE IN CONDIZIONI DI RECUPERARE PIÙ VELOCEMENTE I CREDITI DETERIORATI PER RILANCIARE L'ECONOMIA 
Il Ministero dell'Economia e delle Finanze annuncia nel Maggio 2016 che grazie alle misure approvate per velocizzare le procedure esecutive le banche disporranno di maggiori spazi per l'erogazione del credito. Il punto è: rilanciare la domanda interna per rendere più semplice il rimborso del debito da parte delle imprese debitrici oppure "spezzare i mignolini subito subito a chi non paga" senza tante storie o lungaggini burocratiche? Il Governo italiano in ossequio ai diktat europei non ha avuto alcun dubbio in proposito. Ma è solo rilanciando l'economia che i debitori rimborsano i prestiti e le banche malate guariscono.

29. PERCHÉ NON È VERO CHE L'EURO PROTEGGE LA NOSTRA INDUSTRIA 
Chiunque pensasse che l'Ue abbia protetto o rafforzato la nostra industria deve purtroppo misurarsi con la cruda realtà dei fatti. La quale dimostra che l'indice di produzione industriale è salito da un livello di circa 85 nel 1984 per arrivare ad un massimo di 120 nel 2008 e quindi ritornare intorno a 91 nel 2015. L'incapacità di reagire a shock esterni attraverso il riallineamento del cambio della moneta nei confronti dei nostri principali competitor europei ha cioè spostato le lancette dell'orologio di nuovo intorno agli anni 90. I dati sono frutto di una rielaborazione dei numeri Ocse effettuato dalla Federal Reserve di St. Louis.

30. PERCHÉ NON È VERO CHE GLI ALTRI SONO EFFICIENTI, INVESTONO IN RICERCA E SVILUPPO E LE NOSTRE IMPRESE NO 
Le argomentazioni di denigrazione non mancano anche riguardo alle nostre imprese. «Non hanno fatto abbastanza in termini di efficientamento e di ricerca e sviluppo» è il mantra ricorrente. «Lo avessero fatto oggi le nostre imprese sarebbero competitive ed esporterebbero di più». Ricordiamoci che l'euro è per la Germania un marco svalutato che aiuta ad esportare, vendere, incassare e in queste situazioni fare innovazione è molto più semplice che non quando devi affrontare pesanti crisi di domanda interna oppure Equitalia ti notifica una cartella da pagare mentre la banca ti chiede di rientrare immediatamente nel fido. Ma pur fra queste mille difficoltà il sistema manifatturiero rimane comunque uno dei più competitivi al mondo. Non sappiamo ancora per quanto.

31. PERCHÉ NON È VERO CHE L'EUROPA MIGLIORA LA QUALITÀ DELLA VITA DEI CONSUMATORI 
Un luogo comune è: l'Europa ha in generale migliorato la qualità della vita di ogni cittadino tranne il fatto che non ha per ora dimostrato di avere concordato alcunché in merito alla realizzazione di opportune azioni di politica economica atte a rimuovere le cause della crisi. A parte che ci verrebbe da dire "hai detto scansati!". Ma sinceramente non si capisce in quale misura gli sconcertanti regolamenti europei possano avere migliorato la qualità della vita dei consumatori o delle nostre imprese.
Cogliamo fior da fiore alcuni regolamenti Ue decisamente emblematici: c'è quello che disciplina la lunghezza minima delle banane (almeno 14 cm) o quello che impedisce la messa in vendita di fave con meno di tre piselli all'interno (sempre in tema!); quello che stabilisce che le vongole debbano avere un diametro non inferiore ai 25 mm per arrivare a quello che disciplina il raggio di curvatura del cetriolo; dai carciofi con sezione equatoriale non inferiore a 6 cm (altrimenti non commestibili?!?) alla cipolla con diametro che deve essere non inferiore ai 10 centimetri. L'ex ministro Giulio Tremonti in una intervista a Libero ha rivelato che se mettessimo in fila le oltre 32.000 pagine di Gazzetta Ufficiale Europea pubblicate nel 2015 arriveremmo a coprire la distanza record di oltre 151 km lineari.

32. PERCHÉ NON È VERO CHE SE I PREZZI CALASSERO NOI SAREMMO A POSTO 
C'è pure chi magnifica la deflazione perché una diminuzione del livello dei prezzi aumenterebbe, secondo loro, il potere di acquisto dei salari. Niente di più stupido. In contesti deflattivi i consumatori rimandano le scelte di consumo (aspettando che i prezzi calino ancora). Le imprese vendono di meno, rimandano gli investimenti e licenziano. Andate a spiegare al lavoratore disoccupato quanto è bello avere i prezzi stabili o in calo se il suo reddito è zero. Ovviamente il circolo vizioso si autoalimenta in una terribile spirale. Meno salari, meno vendite, meno investimenti, meno produzione, ancora più licenziamenti eccetera. Esattamente ciò che stiamo sperimentando ora. La nostra domanda è semplice: è meglio avere gente che lavora e consuma alimentando l'inflazione o il terribile circolo vizioso della deflazione?

33. PERCHÉ NON È VERO CHE UN SINGOLO STATO NAZIONALE NON PUÒ AVERE TUTTE LE NECESSARIE LEVE PER REAGIRE AD UNO SHOCK ECONOMICO ESTERNO 
È un altro luogo comune con cui si intende giustificare l'assoluta necessità di delegare potere a Bruxelles. Niente di più falso. Basta vedere come la Gran Bretagna ha reagito al crack Lehman Brothers nel 2008. Crollo dei mercati finanziari. Cui segue una consistente svalutazione della sterlina. Politica fiscale espansiva ed un deficit/Pil crescente. Con la Banca Centrale che inizia ad acquistare i titoli di stato emessi da Sua Maestà. Il bilancio della Banca d'Inghilterra che si gonfia grazie alla politica monetaria accomodante. Conseguente crescita del rapporto Debito/Pil. E il Prodotto interno lordo? Inizia a crescere costantemente fin dal 2009. Ecco in proposito le parole rilasciate dall'ex premier islandese Gunnlaughsson in una recente intervista al Telegraph: «Non avere l'euro è stato essenziale per riprenderci velocemente dalla crisi. Se avessimo avuto la moneta unica o comunque fossimo stati parte dell'Unione Europea oggi avremmo fatto la fine della Grecia».

34. PERCHÉ NON È VERO CHE CON UNA SUPERPOTENZA COME LA CINA È IMPOSSIBILE COMPETERE PER UN SINGOLO STATO NAZIONALE 
Lo spettro della Cina viene costantemente evocato per giustificare la necessità di creare un Superstato Europeo. Ovviamente è una mistificazione sesquipedale. Basti vedere ciò che ha fatto la Corea del Sud. Oltre ad essere il Paese Ocse con il tasso di disoccupazione più basso del mondo (sotto al 4 per cento) la Corea nel periodo 1999-2014 ha visto aumentare la propria quota di Prodotto interno lordo mondiale dall’1,5 per cento all1,8 per cento circa finendo per quasi raddoppiare il proprio reddito. Ed ha la Cina li a due passi.

35. PERCHÉ NON È VERO CHE L'ITALIA DA SOLA NON CE LA FACEVA 
Ovviamente niente di più falso in quella retorica che dipinge un’Italia di operetta con la sua povera lira. Tutt'altro. L'Italia è dal 1976 che fa parte del G6 (i sei grandi). Che poi sarebbero diventati 7 con l'ingresso del Canada. 
Illuminanti le riflessioni di Giuseppe Guarino nel suo intervento "Il lungo e sorprendente miracolo italiano": «Nel periodo 1945-1980 l'Italia è stato il primo - non il secondo il primo - Paese al Mondo per tasso medio di crescita annuo. Se si considera anche il decennio 1980-1990 l'Italia è seconda al mondo solo dietro la Germania».

36. PERCHÉ NON È VERO CHE SENZA L'EURO SAREMMO MENO AFFIDABILI 
Premessa doverosa: non metteteci nel gruppo di coloro che ritengono che il giudizio di affidabilità delle agenzie di rating sia Vangelo, anzi tutt'altro. Ciò non toglie che nel 1996 (ultimo anno in cui l'Italia ha operato con un cambio flessibile) l'Italia aveva un rating AA da parte di Standard and Poor’s. Un giudizio lusinghiero quasi di massima affidabilità. Mentre oggi il voto è BBB-. Qualora detto voto fosse abbassato anche di un solo piccolo scalino, il debito dell'Italia sarebbe catalogato come "spazzatura".

37. PERCHÉ NON È VERO CHE BASTEREBBE «PIÙ EUROPA» PER RISOLVERE I PROBLEMI 
Dire «ci vuole più Europa» equivale a dire una fesseria. In uno Stato unico le regioni ricche sussidiano quelle povere. E i tedeschi mai e poi mai si sognerebbero di fare trasferimenti in favore dei greci, dei portoghesi, degli italiani e degli spagnoli. E se anche lo volessero ci dovremmo opporre con forza noi a questa soluzione. 
Lo abbiamo visto col nostro Mezzogiorno. I sussidi creano malcostume e criminalità vanificando ogni sforzo imprenditoriale. 

38. PERCHÉ NON È VERO CHE «SBATTENDO I PUGNI SUL TAVOLO» RISOLVEREMMO I NOSTRI PROBLEMI 
A parte il fatto che a forza di sbattere questi pugni, il tavolo dovrebbe essersi ormai rotto. Ma come diceva Sun Tzu nell'arte della guerra ogni battaglia è vinta prima di essere combattuta. 
Il Centro Studi a/simmetrie ha accuratamente mappato l'esercito tedesco attualmente stanziato nelle file dell'eurocrazia di Bruxelles pronto a fare gli interessi della Germania e non il nostro. Dodici potentissimi funzionari teutonici sconosciuti al grande pubblico, ma che hanno un potere decisionale enorme. Sono a capo delle segreterie più rilevanti: dalla concorrenza alla commissione Ue; dal Consiglio Ue all'Eurogruppo; dall'Unione bancaria agli affari economici. Tutti i posti chiave sono occupati da tedeschi o da amici di tedeschi. 

39. PERCHÉ NON È VERO CHE I PROBLEMI SONO SOLO ITALIANI E NON EUROPEI 
L'argomentazione in base alla quale l'Italia soffra di problemi interni specifici rispetto all'Europa è una nuova ennesima fesseria che non trova riscontro nei numeri. Osservando l'elenco dei Paesi Ocse riportati in ordine decrescente per tasso di disoccupazione si scoprono cose illuminati. I primi dieci Paesi sono quelli che hanno la disoccupazione più alta. Per intendersi a doppia cifra. Ebbene nove di questi Paesi su dieci con disoccupazione superiore al 10 per cento hanno una cosa in comune. La moneta. Abbiamo Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna (i famigerati PIIGS). Non ci facciamo mancare pure Slovenia e Slovacchia. E, per finire, i nostri cugini d'oltralpe - la Francia - assieme ai vichinghi della Finlandia.

40. PERCHÉ NON È VERO CHE L'UE È UNA BARRIERA CONTRO LA POVERTÀ 
L'Europa doveva essere un progetto di libertà e prosperità. I numeri purtroppo dicono che i poveri in Italia sono aumentati in maniera esponenziale. Nel 2005 gli italiani in situazione di povertà assoluta erano 1,9 milioni. Nel 2015 quasi 4,6 milioni (rilevazione dati Istat). La situazione della Grecia è per certi versi ancor più drammatica ed agghiacciante. La banca di Grecia e la rivista scientifica The Lancet riportano in proposito numeri inequivocabili. La mortalità infantile è aumentata di quasi il 50 per cento passando dal 2,65 per cento del 2008 al 3,75 per cento nel 2014 mentre oltre 800.000 persone si stima che non abbiano più accesso alle cure mediche di base.

41. PERCHÉ NON VERO CHE L'AUSTERITÀ PAGA 
In questi anni la Grecia è stata oggetto dei più feroci ed insulsi esperimenti di politica economica mai concepibili. Il tutto è stato pure giustificato con affermazioni risibili del tipo: «i greci hanno truccato i conti»; «hanno sperperato denaro in apparati pubblici improduttivi» ovvero «sono pigri e lazzaroni». 
C'è del vero nel fatto che i conti pubblici siano stati oggetto di manipolazione e che il tessuto manifatturiero ellenico sia di fatto inesistente. Ma ciò rende ancor più deprecabile il sadismo delle torture cui il popolo e l'economia della Grecia sono stati sottoposti in questi ultimi anni dalla Troika; peraltro con risultati sconcertanti. La Commissione Europea - ad esempio - riportava nel luglio 2015 che la spesa primaria annua (esclusi cioè gli interessi sul debito) sia stata tagliata da 110 a 81 miliardi nel periodo 2008-2014. Una sforbiciata del 26 per cento circa. La disoccupazione è nel frattempo salita dal 7,8 per cento al 26,5 per cento. Cioè è più che triplicata. 
Giusto per darvi un'idea dell'ordine di grandezza di questa follia, è come se l'Italia fosse arrivata a tagliare la spesa pubblica primaria annua di quasi 200 miliardi di euro. In pratica cancellando tutto il Servizio Sanitario Nazionale, mandando a casa medici, infermieri ed impiegati, chiudendo tutti gli ospedali e non garantendo più alcun farmaco ai nostri assistiti, dovremmo ancora trovare dagli 80 ai 90 miliardi di euro per raggiungere l'incredibile cifra di 200 miliardi di euro. Viceversa l'esperienza di Paesi quali Stati Uniti d’America, Giappone e Regno Unito dimostra che arrivare a livelli di deficit di bilancio fra l'8 per cento ed il 10 per cento nei momenti di crisi -grazie anche agli investimenti pubblici ed alle minori tasse - aiuta l'economia a ripartire.

42. PERCHÉ NON CI DOBBIAMO FIDARE DELLE PREVISIONI DI ORGANISMI QUALI IL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE 
Quando gli euroinomani citano a supporto delle proprie narrazioni le previsioni del Fmi (non i dati consuntivi come facciamo noi) iniziate pure a ridere. Non ne hanno mai azzeccata una. Nel 2010 il Fondo Monetario prevedeva che il Prodotto interno lordo del 2015 della Grecia sarebbe stato pari a 260 miliardi di euro. Nel 2011 invece scrisse che sarebbe stato intorno a 230 miliardi di euro; nel 2012 prevedeva infine che sarebbe stato intorno a 220 miliardi di euro per poi "arrotondare" questa cifra a 195 miliardi. Il Pil greco nel 2015 si è attestato comunque intorno ai 180 miliardi cioè oltre il 30% in meno rispetto a quanto prevedeva cinque anni prima (fonte The Telegraph).

43. PERCHÉ NON È VERO CHE IL PROBLEMA SONO LE NOSTRE PENSIONI TROPPO ALTE 
Altra balla. Il sistema pensionistico italiano sarebbe fuori controllo. Ma qual è effettivamente lo stato del nostro sistema pensionistico? Esiste una grandezza per determinarne la sostenibilità. Si tratta del cosiddetto debito implicito. Ovvero il debito che lo Stato deve pagare per erogare le future prestazioni previdenziali, sanitarie ed assistenziali secondo quanto previsto dalla legislazione vigente, nell'ipotesi che la legislazione sulla previdenza sociale e sulla sanità pubblica resti invariata in futuro. Ebbene uno studio dell'Università di Friburgo in Germania già nel 2011 rilevava come il nostro sistema pensionistico fosse il più sostenibile in Europa.

44. PERCHÉ L'UNIONE EUROPEA NON È DEMOCRATICA 
L'Unione Europea in generale (e quella monetaria in particolare) tutto sono fuorché democratiche. I cittadini di ben undici Stati membri dell’Unione, non si sono mai potuti esprimere con un voto sull'adesione o meno del proprio Paese all'Europa. Dieci di questi sono anche Paesi che hanno adottato la moneta comune. 
La cosa ancora più inquietante è che tra questi undici ci sono tutti e tre "soci fondatori" dell'Europa, cioè Francia, Germania e Italia. Ma quello che più fa paura è che la Germania, architrave dell'Europa, il Paese che detta la politica economica dell'Unione e che si è assunta il ruolo di contro-potere rispetto alla Banca Centrale Europea, in 44 anni non ha mai permesso ai propri cittadini di votare su nessuna questione che riguardasse temi europei. L'Italia lo ha fatto una sola volta e la Francia tre, una delle quali (adozione del trattato costituzionale) finita con la vittoria dei no.

45. PERCHÉ NON È VERO CHE USCENDO DALL'UNIONE EUROPEA PERDEREMMO I FINANZIAMENTI UE 
È vero l’esatto contrario. Lasciando l'Unione Europea risparmieremmo un sacco di soldi. Per l’esattezza 25 milioni di euro al giorno. Questo è quanto ci costa l'Unione Europea. Dal 2001 al 2014 l'Italia ha versato nelle casse dell'Unione europea 70,9 miliardi di euro in più di quanti ne abbia ricevuti. E questo - sia chiaro - nell'ipotesi che tutti i soldi ricevuti fossero effettivamente spesi. La fonte è la Ragioneria Generale dello Stato. 
A tutto questo si aggiungano i circa 60 miliardi di euro che nel 2014 avevamo prestato in varie forme agli altri Stati dell’Unione europea (la Grecia, l’Irlanda, la Spagna) affinché restituissero i crediti che le banche francesi e tedesche avevano loro incautamente prestato. Crediti che oggi sono in massima parte inesigibili e che avremmo invece potuto prestare alle nostre imprese.
Ergo, in 14 anni sono stati spesi 130,9 miliardi di euro. Cioè, per l’appunto, 25 milioni di euro al giorno. Se uscissimo di sabato dall’Unione europea per rientrare il lunedì dopo risparmieremmo più di quanto il presidente del Consiglio Matteo Renzi sostiene che si possa tagliare con la sua revisione costituzionale del Senato della Repubblica.

46. PERCHÉ NON È VERO CHE NON SAPPIAMO SPENDERE I FONDI CHE L'UNIONE EUROPEA CI ASSEGNA 
Le regole in materia sono talmente demenziali da far pensare che siano state disegnate pur di non far spendere questi soldi. La normativa europea spesso prevede che i fondi assegnati per determinati investimenti (soldi nostri in quanto l'Italia è un "contribuente netto") possano essere spesi solo se gli Enti destinatari cofinanziano la spesa con altri fondi. E le restrittive politiche di bilancio spesso sono di una tale durezza che gli enti possono benissimo non avere la disponibilità dei soldi per cofinanziare l'operazione.
Ma la cosa più incredibile è che talvolta anche riuscendo a racimolare i soldi per miracolo, gli investimenti devono essere comunque rimandati o accantonati pur di rispettare il demenziale vincolo di stabilità interna che obbliga tutta la Pubblica Amministrazione a razionare ogni e qualsiasi spesa pur di rispettare il "sacro" limite del 3 per cento del rapporto tra il deficit e il Prodotto interno lordo.

47. PERCHÉ NON È VERO CHE L'UNIONE EUROPEA HA PORTATO LA PACE 
L'Unione europea nella sua attuale fisionomia è in vita soltanto a partire dal 1993. Prima di lei c’erano state la Ceca (Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio) e poi la Cee. Organizzazioni di Paesi indipendenti e sovrani e non un superstato; soggetti capaci di assicurare decenni di prosperità e pace. 
È vero invece che ogni sforzo di costringere all'unità popoli diversi è finito sempre tragicamente. Si pensi, per fare solo alcuni esempi, ai casi della Yugoslavia e dell'Unione Sovietica. In Europa a partire da Maastricht è cominciato il disastro, o come diceva l’antropologa Ida Magli, la «dittatura europea».

48. PERCHÉ NON È VERO CHE È IMPOSSIBILE USCIRE DALLA UE 
Che l’uscita dalla Unione europea da parte di uno Stato membro sia sempre possibile, lo ha dimostrato, di recente, la Brexit. Ma come funzionano le cose dal punto di vista delle procedure definite dal Trattato di Lisbona? 
L'articolo 50 del suddetto Trattato ha introdotto una particolare procedura "liberatoria". Al primo paragrafo viene riconosciuto che «ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall'Unione». Lo Stato, tuttavia, ha l'onere di notificare tale intenzione al Consiglio Europeo. Alla luce degli orientamenti formulati da quest'ultimo, «l'Unione negozia e conclude con tale Stato un accordo volto a definire le modalità del recesso, tenendo conto del quadro delle future relazioni con l'Unione». L'accordo è, infine, concluso a nome dell'Unione europea, dal Consiglio «che delibera a maggioranza qualificata previa approvazione del Parlamento europeo». 
Secondo l'articolo 50, pertanto, uno Stato che intenda uscire dall'Unione dovrebbe negoziare un accordo con quest'ultima attraverso una procedura che, per giungere ad un esito positivo, richiede non soltanto il consenso del Consiglio Europeo, ma anche l'approvazione da parte del Parlamento Europeo.
Vale la pena, però, notare che il paragrafo 3 prevede che «i trattati cessano di essere applicabili allo Stato interessato a decorrere dalla data di entrata in vigore dell'accordo di recesso o, in mancanza di tale accordo, due anni dopo la notifica di cui al paragrafo 2, salvo che il Consiglio europeo, d'intesa con lo Stato membro interessato, decida all'unanimità di prorogare tale termine». Il recesso non richiede, pertanto, la conclusione dell'accordo previsto dai primi due paragrafi dell’articolo 50: nel caso di fallimento dei negoziati, infatti, i trattati cessano comunque di avere efficacia per lo Stato membro che intenda "uscire" dall'Europa, con il solo limite temporale di due anni dalla notifica dell'intenzione di recedere. 
L'accordo bilaterale, pertanto, non esclude la possibilità di un recesso unilaterale, ma, al contrario, la presuppone. Nei prossimi mesi vedremo quello che succederà in Gran Bretagna.

49. E SE UNO STATO VOLESSE USCIRE SOLO DALL'EUROZONA? 
«Se uno Stato non volesse uscire dalla Unione europea ma soltanto rinunciare all'euro si potrebbe fare?» Vi sono, nell'Unione, Stati che non hanno adottato l'euro, come è noto. Logica vorrebbe, pertanto, che sia certamente possibile restare in Europa uscendo soltanto dalla moneta unica.
Eppure la cosa sembra più complicata di quanto si penserebbe. Mentre, infatti, il Trattato di Lisbona disciplina, all'articolo 50, la procedura di uscita dall'Unione, nessuna disposizione fa riferimento alcuno al recesso dall'Unione Monetaria (così come, del resto, nulla diceva il Trattato di Maastricht a questo proposito). Sembrerebbe quasi che, una volta accettata la moneta, non si possa più neppure tornare indietro. 
Impossibile uscirne, dunque? Secondo alcuni costituzionalisti l'uscita unilaterale per decreto è assolutamente legittima. Secondo altri, invece, proprio in forza del fatto che il sistema europeo è stato disegnato sia con Stati dentro che fuori dalla moneta unica comune, l'uscita dovrebbe essere consentita, quantomeno con un negoziato analogo a quello previsto dall'articolo 50 del Trattato. 

50. PERCHÉ NON È VERO CHE NON È POSSIBILE UN REFERENDUM SU UE E EURO 
Se ne è molto discusso, ma poca chiarezza è stata fatto fino ad oggi. Anzitutto, occorre precisare che dall'Euro l'Italia non potrebbe uscire tramite un referendum abrogativo. Non soltanto, infatti, l'articolo 75 della Costituzione vieta esplicitamente che possa svolgersi un simile referendum sulle leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali ma, secondo una consolidata interpretazione della Consulta, non sarebbe mai possibile interferire, attraverso referendum, con l'ambito di applicazione delle norme comunitarie e con gli obblighi assunti dall'Italia nei confronti dell'Unione Europea. Nel nostro ordinamento, inoltre, al momento (le cose potrebbero cambiare qualora venisse approvata la revisione costituzionale) non è possibile proporre lo svolgimento di referendum consultivi, al di là delle espresse previsioni della costituzione (articolo 132, ai sensi del quale tali consultazioni riguardano unicamente modifiche ai territori delle Regioni). 
Abbiamo, però, un precedente, che potrebbe valere anche per il caso dell'Euro. Nel 1989, con legge costituzionale (3 aprile 1989, n. 2), fu indetto un "referendum di indirizzo" (ossia consultivo) sul conferimento di un mandato al Parlamento europeo per redigere un progetto di Costituzione europea. Fu necessaria, allora, una legge di iniziativa popolare promossa dal Movimento federalista europeo - successivamente sostituita dalla proposta di legge costituzionale presentata dal Pci - la cui approvazione richiese la doppia lettura in entrambi i rami del Parlamento, secondo l'iter necessario per le leggi costituzionali. La Costituzione non prevede, nella sua lettera, un'ipotesi simile, ma nell'89 i partiti furono concordi nell'approvare questo strumento atipico (il “referendum di indirizzo”) mediante una legge costituzionale ad hoc, formalmente derogando da quanto previsto dall'articolo 75 della Costituzione, per legittimare in quel caso con il ricorso al voto popolare l'accelerazione del processo di integrazione europea.
Limitandosi all'indizione di quella singola consultazione la legge costituzionale non ha introdotto nel nostro ordinamento il referendum di indirizzo, il quale è per così dire, una volta svoltesi le operazioni di voto, uscito dallo scenario costituzionale. Ma nulla esclude che possa ritornare sulla scena. Con legge costituzionale (e dunque con doppia votazione in entrambe le Camere, ed approvazione a maggioranza di 2/3 o, quantomeno, assoluta), sarebbe dunque possibile istituire un referendum di indirizzo ad hoc per la moneta unica. Si potrebbe obiettare che non ci sono oggi le condizioni politiche per realizzare quanto accadde nel 1989 data la delicatezza del tema. Ciò non toglie che, in linea di principio, la possibilità esista. Ecco perché la raccolta di firme iniziata da Libero, oltre a stimolare il dibattito tra i cittadini, è del tutto degna di considerazione.

di Paolo Becchi e Fabio Dragoni