PERCHE' "GIOCHI" VIRTUALI DAI NOMI INQUIETANTI E GROTTESCHI ATTIRANO TANTO GLI ADOLESCENTI?
Sempre più spesso i ragazzi, anche quelli considerati “normali”, ossia che non manifestano segni evidenti di disagio, che vanno regolarmente a scuola, che fanno sport o che hanno una famiglia, possono mettere a rischio la propria incolumità per quelli che loro chiamano e vivono come giochi, anche attraverso la ricerca di selfie estremi, messi in atto fondamentalmente per sfidare se stessi e/o gli altri, spinti da un senso di onnipotenza, che li porta a volte anche a superare il limite del limite fino a farsi male e a perdere la vita. E’ importante sottolineare che in quel momento ricercano la sensazione forte, non la morte. È una variabile che non prendono in considerazione, non può accadere a loro, vogliono semplicemente vivere il brivido, la sensazione, “lo fanno gli altri, perché non lo posso fare io?”.
Diventa un affrontare le proprie paure spingendosi a volte sempre un pochino più in là, dimostrarsi e dimostrare di essere “grandi”, perché ai bambini viene sempre inculcato che “i grandi” non hanno paura mentre i piccoli e i fifoni sì. Questo è uno degli errori più gravi che si possa fare, perché i ragazzi che mettono in atto questi comportamenti a rischio hanno un problema con la paura e con la regolazione delle emozioni. I “grandi”, invece, hanno paura eccome, per fortuna! La paura consente di metterci dei limiti, di fare più attenzione a ciò che facciamo e di valutare con più obiettività la situazione. Se io vado a 200 km orari su una strada e ho paura di fare un incidente o temo il comportamento degli altri automobilisti, starò particolarmente attento, ma se io vado a 200 km orari imbevuto della mia onnipotenza, alimentato da un’euforia che si aggira nella mia mente dovuta al rischio che sto correndo in quel momento, che mi crea uno stato di eccitazione simile a quello delle droghe, il mio livello di attenzione sarà decisamente più basso e quindi rischierò di più. Ed è questo che frega i ragazzi, rinforzati anche da quelle dinamiche di gruppo che vengono sottovalutate troppo spesso e che giocano un ruolo cruciale.
I ragazzi di oggi partecipano anche a giochi o sfide estreme, spesso lanciati e diffusi proprio sul web, senza tener conto delle conseguenze, potenzialmente anche letali. Il tutto viene prontamente ripreso e immortalato dalla fotocamera del proprio smartphone con foto o video da pubblicare sui social network e condividere online o via chat. Le chiamano “challenge” cioè “sfide”, le vivono come giochi, ma NON sono giochi. Lo fanno soprattutto per trasgressione, per far salire l’adrenalina, per rinforzare il ruolo all’interno del gruppo dimostrando a se stessi e agli altri il proprio coraggio.
Come può un genitore arrivare prima?
Per prevenire questi comportamenti rischiosi, gli adulti di riferimento, per prima cosa devono essere consapevoli dell’esistenza di questi fenomeni, conoscerne il funzionamento, monitorare i contenuti dei video che i ragazzi guardano quotidianamente in modo tale da saper cogliere precocemente i segnali d’allarme ed educarli in merito fin da quando sono piccoli.
Queste sfide estreme e giochi, NON sono il prodotto del momento, sono sempre esistite all’interno dei fenomeni di gruppo e si sono tramandate un po’ come il nascondino. Oggi la rete però ricopre un ruolo negativo e riveste una funzione di amplificatore di questi comportamenti, che assumono proporzioni sempre più allarmanti e difficili da contenere, creando delle distorsioni che portano i ragazzi a rischiare la vita con più superficialità e frequenza. Esempio il blackout, ossia il “gioco” attraverso il quale si ricerca lo svenimento, è passato dal farlo con le mani al collo ad una corda solo perché girano questi video in rete. È anni che lo tocco con mano e mi meraviglio di come nessuno faccia niente, ma sul web ci sono anche video tutorial, ossia video che spiegano come fare questi giochi non giochi, che lanciano sfide ai ragazzi, li invogliano, anche indirettamente, a partecipare perché il vero guadagno sta nella condivisione e nel rendere virale un fenomeno. Si lanciano le sfide anche tra loro ed esistono migliaia di video in cui anche loro partecipano e si esibiscono in prima persona. Il gruppo, se nell’era non tecnologica aveva una proporzione pari a cinque, sei, dieci membri, ora è arrivato a migliaia di persone e quindi li porta e li porterà sempre più al limite.
Questi contenuti sono liberamente presenti in rete anche alla portata dei bambini e si trovano in tutti i social media, sui canali più conosciuti per la visione di video o sui social dove trascorrono più tempo, comprese le chat di messaggistica istantanea. Per fermarli è necessario segnalarli altrimenti il tempo passa e i giochi diventano letali, ma attenzione, non è un problema relativo solo a questo periodo, sono in rete da anni, solo che a quanto pare non ci si muove fino a che non iniziano a morire i ragazzi. Tutti sanno e nessuno interviene.
L’altro aspetto a dir poco vergognoso è il ruolo che gioca la scuola che tratta questi argomenti con troppa sporadicità senza capire che deve essere un lavoro costante. È più importante che imparino una poesia a memoria o che non si uccidano? Si possono fare entrambe le cose, basterebbe solo un po’ di preparazione e di buon senso.
Un’altra critica la faccio ai media che cercano solo il sensazionalismo ricercando fenomeni che fanno notizia dimenticandosi di quanto sia deleterio l’effetto contagio tra i giovani.
Inoltre, bisognerebbe togliersi dalla testa l’idiozia che parlarne alimenta il problema. Il problema esiste, andrebbe semplicemente trattato da esperti in settore e non da opinionisti e nella dovuta maniera per far arrivare i messaggi giusti con la corretta efficacia comunicativa, ma in un mondo di tuttologi non è per niente facile.
I genitori, però, troppo spesso non conoscono realmente i rischi della rete e cadono dalle nuvole e il consiglio che posso dare è quello di formarsi, formarsi e formarsi sulle abitudini dei loro figli. Bisogna partire dai ragazzi stessi, chi meglio di loro può spiegare ad un adulto ciò che fa, per poi frequentare anche quei corsi che ormai vengono fatti in ogni scuola, dove purtroppo ci sono sempre i soliti 10 o 20 genitori istruiti e, soprattutto, creando rete. Per esempio, invece di usare le chat dei genitori per perdere tempo a scrivere demenzialità e passare ore a rispondere a tutti gli inutili messaggi, perché non si iniziano ad usare queste chat in un modo costruttivo e pertinente, utile per il benessere dei figli, per esempio facendo rete, condividendo link di articoli sulle abitudini dei ragazzi, sui pericoli della rete, tenendosi vicendevolmente aggiornati e man mano istruendosi per arrivare in tempo ed evitare il peggio. Altrimenti si rischia sempre di arrivare dopo.
Come educarli?
I figli vanno educati fin da quando sono piccoli a riconoscere e gestire anche la paura in modo tale che perdano il meno possibile l’obiettività, adattando ovviamente ogni comunicazione alla loro età e tenendo conto di quelli che comunque possono essere i limiti propri del cervello di preadolescenti e adolescenti ancora in fase di sviluppo. Fin da bambini hanno bisogno di non essere sempre tutelati sulla tematica della morte, devono affrontarla perché fa parte della vita e devono avere ben chiaro il concetto di irreversibilità morte e di pericolosità di specifici comportamenti. È vero che soprattutto nella prima adolescenza, direi la fascia più a rischio, le capacità di pianificazione e di esecuzione non sono ancora pienamente sviluppate; infatti, quella parte del cervello chiamata corteccia prefrontale e adibita proprio allo svolgimento di queste funzioni, oltre che alla valutazione degli impulsi, all’autoregolazione e quindi alla gestione delle emozioni, deve ancora maturare e il processo di maturazione non è immediato, ma graduale. Non ci dimentichiamo poi che le esperienze eccitanti provocano anche il rilascio di quel neurotrasmettitore chiamato dopamina, che permette di sperimentare il piacere.
Sono anche troppo iperprotetti ed inconsapevoli, fin da piccoli, invece, hanno bisogno di crescere con l’abitudine a pianificare, a valutare le conseguenze delle azioni che mettono in atto e a ragionare perché quando “cambia” il loro cervello, quando entrano nella preadolescenza, inizia a cambiare anche la relazione con il genitore che viene sempre più messo in discussione, regole e limiti compresi. Per cui è meglio arrivare preparati e più pronti possibile, per evitare che siano eccessivamente influenzabili e che superino il limite del limite.
Per parlare con loro e sensibilizzarli bisogna essere formati.
I ragazzi, infatti, non ascoltano un genitore che non è “preparato in materia”, obiettivamente non sarebbe credibile, rifiutano l’approccio con un tono inquisitorio e la “paternale”, ma soprattutto bisogna togliersi dalla testa l'idea che basta una volta sola affinché ascoltino e incamerino immediatamente ciò che gli viene detto Quante volte ci è stato detto per esempio che non si deve fumare eppure in tanti lo fanno? Si deve partire da fatti reali e concreti, da ciò che accade veramente il più possibile vicino a loro per cercare di trovare uno spiraglio e un dialogo. Per parlare, però, bisogna che siano abituati fin da piccoli, altrimenti educarli al dialogo in adolescenza è veramente difficile.
La prevenzione più efficace è comunque l’informazione e oggi, con internet a disposizione a tutte le ore del giorno e della notte, non si possono trovare scuse. Se ci si rifiuta di ascoltare le “fesserie” della loro generazione, se non si vogliono capire questi giochi non giochi perché non si accettano, si rifiutano loro e la loro adolescenza, creando solo un inutile divario tra le due generazioni. Bisogna essere pronti all’ascolto e sentire anche ciò che non si vorrebbe mai sentir dire. Questo non significa essere permissivi o non mettere dei no, paletti e limiti; l’ascolto è una cosa, la permissività è un’altra. Si deve ponderare l’intervento in base alla gravità di ciò che fanno: l’adolescenza di un figlio non è altro che un braccio di ferro continuo attraverso il quale si deve aiutarlo a tenersi (il più in equilibrio possibile.
In conclusione vi riporto solo alcuni dei principali “giochi a rischio” diffusi tra i giovanissimi:
BLACKOUT GAME: un “gioco” non gioco, che si è diffuso con nomi differenti (Flash Indiano, Chocking Game, Space Monkey, Funky Chicken) in cui l’obiettivo è quello di provocarsi volontariamente uno svenimento, da soli o insieme ad altri, utilizzando le mani o strumenti quali ad esempio corde, lacci o sciarpe. Ci si procura una sorta di soffocamento per privarsi dell’ossigeno, per periodi sempre più prolungati.
DAREDEVIL SELFIE: letteralmente "selfie temerario", consiste nel fotografarsi in luoghi e/o in condizioni estremamente pericolosi e ad alto rischio, ad esempio sulla cima di grattacieli e palazzi, su una torre oppure sporgendosi da un precipizio.
SELFIE COL TRENO: i ragazzi sfidano la sorte scattandosi un selfie mentre schivano il treno in corsa, posizionati sui binari dei treni o delle metropolitane.
ROULETTE RUSSA TRA LE AUTOMOBILI: consiste nel riprendersi sdraiati sulla strada mentre si aspettano le macchine in arrivo, possibilmente al buio, di notte, dietro una curva oppure nei pressi di un incrocio, per aumentare la pericolosità della sfida.
BALCONING: si tratta del gesto di lanciarsi dal balcone di una camera d’albergo, posta ad un piano elevato, per tuffarsi nella piscina sottostante o per atterrare su un altro balcone.
CAR SURFING: consiste nel salire sul tetto di una macchina in corsa, passando dal finestrino, per poi rimanere in equilibrio sul tettuccio dell’automobile, come quando ci si trova su una tavola da surf.
SELFIE KILLER. Li chiamano KILFIE ossia i selfie in cui, pur di ottenere visibilità, like e condivisioni, si rischia anche la vita. Il dato più grave e allarmante è che circa 1 adolescente su 10 fa selfie pericolosi in cui mette anche a repentaglio la propria vita e oltre il 12% è stato sfidato a fare un selfie estremo per dimostrare il proprio coraggio. Si è disposti a tutto pur di ottenere popolarità. La percentuale sale nei più piccoli, dagli 11 ai 13 anni, raggiungendo il 12%.