IL CORONAVIRUS COME PRETESTO PER SVILIRE FESTE CATTOLICHE IMPORTANTI COME PASQUA E NATALE CON MISURE RESTRITTIVE LIBERTICIDE INGIUSTIFICATE. IL COMUNISMO E' SINONIMO DI SATANISMO. SENZA DIO APRIAMO LA PORTA A DITTATURE FEROCI E ALL'ERESIA ISLAMISTA....
Della storia del Novecento si parla sempre, tante sono le ferite che ci ha lasciato addosso. Ma sembra che l’insegnamento da trarre sia spesso ignorato. Proverò a riassumerlo in una sola frase: comunismo, nazismo, e, con le opportune differenze, il fascismo, hanno avuto un solo intento – quello stesso della massoneria, del positivismo e di ogni forma di progressismo: la realizzazione del regnum hominis, l’auto-redenzione dell’uomo tramite l’uomo. Forme diverse di umanesimo ateo, insomma.
Per capirlo possiamo pensare alle due feste più importanti del cristianesimo: il Natale e la Pasqua. La prima ci dice che l’uomo ha avuto bisogno di Dio, che Dio gli venisse incontro; la seconda che Dio ha redento l’uomo, aprendogli la strada per la vera immortalità.
Ebbene, vediamo brevemente come i totalitarismi atei, promotori del regnum hominis, hanno cercato di sradicare le feste cristiane, in primis il Natale.
I primi a combattere le feste religiose, il Natale e la Pasqua, furono i comunisti.
Francine-Dominique Liechtenhan, nel suo Il laboratorio del gulag (Lindau, Torino, 2009), ricorda gli sforzi del PCUS per spingere i cittadini a festeggiare l’inverno al posto del Natale, e la rinascita primaverile della natura al posto della Pasqua.
“Nei tempi antichi, quando si celebrava il culto delle piante e degli animali ignorando l’ipocrisia della Chiesa – recitava un testo della propaganda -, l’umanità festeggiava quel giorno e celebrava ingenuamente le forze della natura”.
Per i comunisti il Natale era una “schifosa festa borghese”, che venne abolita per molti anni, e poi sostituita, a partire dal 1935, con il Capodanno, cioè con una ricorrenza laica. Rimaneva il vecchio albero di Natale, ma con un significato del tutto nuovo: nessun riferimento a Gesù, ad un bimbo in fasce, ma palline con la faccia dei “salvatori” Lenin e Stalin, stelle dell’Armata Rossa, statuette di uomini politici o di elementi naturali (limoni, pannocchie…).
Nella Germania dell’est, comunista, si insegnava ai bambini così: “Lenin ha spiegato che quest’epoca in cui non esisteranno più le lacrime ha un nome: non si chiama Natale nè primavera. Tenete a mente questa parola difficile: si chiama comunismo” (citato da E. Neubert, I crimini politici nella RDT, in Il Libro nero del comunismo europeo, Mondadori, Milano, 2006, p. 381).
Anche i nazisti preferivano le festività naturali a quelle religiose. Come noto Aldolf Hitler riteneva il cristianesimo “un’invenzione di cervelli malati”, “fandonie”, “superstizioni” buone per le contadine, gli operai, ma non per le persone colte ed intelligenti (Hitler, Conversazioni a tavola, Goriziana, Gorizia, 2010).
Il Fuhrer disprezzava profondamente l’idea dell’Incarnazione, essendo convinto negatore di ogni dimensione trascendente: ad essa preferiva la reincarnazione; al Natale la festa del solstizio. Per questo si adoperò per depotenziare la festa, in parte sostituendola con riti neopagani, legati alla “rinascita del sole”, in parte mutandone il significato, decristianizzandola. Il tutto all’interno del tentativo di “sostituire il calendario nazista all’anno cristiano”, creando una quantità di cerimonie che si svolgevano, di solito, la domenica mattina, “con l’intenzione di distogliere la gente dall’andare in chiesa” (George Mosse, La nazionalizzazione delle masse. Simbolismo politico e movimenti di massa in Germania dalle guerre napoleoniche al Terzo Reich, Il Mulino, Bologna, 1975, p. 92, 104, 230).
Sotto il nazismo, ricorda lo storico Paul Ginsborg, in Famiglia Novecento (Einaudi, Torino, 2013), “le famiglie furono incoraggiate ad accogliere nelle loro case i simboli del regime, adobbando l’albero di Natale con bandierine naziste ed esponendo la foto di Hitler”.
L’albero di Natale andava bene: bisognava però scollegarlo dalla Tradizione cristiana, e riagganciarlo a quella pagana. Per questo era chiamato “albero di luce” o “albero di Yule” ed era sormontato dalla svastica, simbolo solare, e non dalla croce.
Il Natale stesso veniva chiamato più volentieri Rauhnacht (“L’aspra notte”) e il canto Astro del ciel venne riscritto, sostituendo il Salvatore Gesù con il salvatore Hitler. Persino Babbo Natale, e cioè san Nicola da Bari, venne restituito alla paganità: venne trasformato in Odino.
Anche Benito Mussolini, che pure non arrivò mai ad imporla agli italiani la sua visione, aveva una certa avversione per il Natale (ne ho parlato anche nella appendice al testo di Mussolini, Dio non esiste, pubblicato da Gondolin qualche mese orsono).
Se ne trova traccia in vari articoli dell’epoca in cui era socialista e direttore de l’Avanti (“Il Natale cattolico è una mistificazione. Cristo è morto e la sua dottrina agonizza”), nel suo Diario di guerra, ma anche più tardi, nella stagione del fascismo.
Ne abbiamo testimonianza, per esempio, nelle memorie di Galeazzo Ciano, così come in quelle di Quinto Navarra, che nel suo Memorie del cameriere di Mussolini (Longanesi, Milano, 1946) scrive: “Mussolini odiava la domenica e le altre feste comandate dell’anno. Starace, che conosceva questa antipatia di Mussolini, fece ufficialmente vietare le celebrazioni dell’ultimo dell’anno e l’uso tradizionale dell’albero di Natale. Il Natale riconosciuto divenne soltanto il Natale di Roma e l’inizio dell’anno da festeggiare non era il I gennaio, ma il 28 ottobre, principio dell’anno fascista”.
Per concludere: anche oggi si fa di tutto per occultare il Natale, per tornare alla festa d’inverno. Ma non c’è bisogno di fare ciò apertamente: anche i presepi “attualizzati”, più o meno strumentalizzati e politicizzati, in fondo, hanno la stessa visione: mettono in secondo piano Dio, il Redentore, per puntare l’attenzione sull’uomo, per dare vita ad un nuovo umanesimo (che non si dichiara ateo, ma lo è). Dimenticando che senza Dio, l’uomo non è nulla, non vale nulla, perchè non ha un’Origine né un Fine.