venerdì 2 ottobre 2020

LITURGIA DEL GIORNO: OGGI SI RICORDANO I SANTI ANGELI CUSTODI

La Liturgia di Venerdi 2 Ottobre 2020

Santi Angeli Custodi



Grado della Celebrazione: Memoria
Colore liturgico: Bianco

Antifona d'ingresso
Angeli del Signore, benedite il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli. (Dn 3,58)

Colletta
O Dio, che nella tua misteriosa provvidenza
mandi dal cielo i tuoi Angeli
a nostra custodia e protezione,
fa’ che nel cammino della vita
siamo sempre sorretti dal loro aiuto
per essere uniti con loro nella gioia eterna.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...

PRIMA LETTURA (Es 23,20-23)
Mando un angelo davanti a te.


Dal libro dell’Esodo

Così dice il Signore:
«Ecco, io mando un angelo davanti a te per custodirti sul cammino e per farti entrare nel luogo che ho preparato.
Abbi rispetto della sua presenza, da’ ascolto alla sua voce e non ribellarti a lui; egli infatti non perdonerebbe la vostra trasgressione, perché il mio nome è in lui. Se tu dai ascolto alla sua voce e fai quanto ti dirò, io sarò il nemico dei tuoi nemici e l’avversario dei tuoi avversari.
Il mio angelo camminerà alla tua testa».

Parola di Dio

SALMO RESPONSORIALE (Sal 90)
Rit: Darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutte le tue vie.

Chi abita al riparo dell’Altissimo
passerà la notte all’ombra dell’Onnipotente.
Io dico al Signore: «Mio rifugio e mia fortezza,
mio Dio in cui confido».

Egli ti libererà dal laccio del cacciatore,
dalla peste che distrugge.
Ti coprirà con le sue penne,
sotto le sue ali troverai rifugio;
la sua fedeltà ti sarà scudo e corazza.

Non temerai il terrore della notte
né la freccia che vola di giorno,
la peste che vaga nelle tenebre,
lo sterminio che devasta a mezzogiorno.

Non ti potrà colpire la sventura,
nessun colpo cadrà sulla tua tenda.
Egli per te darà ordine ai suoi angeli
di custodirti in tutte le tue vie.

Canto al Vangelo (Sal 102,21)
Alleluia, alleluia.
Benedite il Signore, voi tutte sue schiere,
suoi ministri, che eseguite la sua volontà.
Alleluia.

VANGELO (Mt 18,1-5.10)
I loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli.


+ Dal Vangelo secondo Matteo

In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è più grande nel regno dei cieli?».
Allora chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli.
Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me.
Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli».

Parola del Signore

Preghiera dei fedeli
L'angelo a cui è affidata la nostra città, l'angelo della nostra chiesa, l'angelo di ognuno di noi ci aiutino, oggi, ad invocare il Signore e a domandargli la sua benedizione. Con fede, quindi, preghiamo:
Benedici il tuo popolo, Signore.

Per il Papa, i vescovi, i sacerdoti: ascoltino con fede, ogni giorno, quello che Dio vuole da loro. Preghiamo:
Per i governanti di ogni nazione: gli angeli ispirino loro pensieri di pace. Preghiamo:
Per chi si trova nelle difficoltà, nei dubbi e nella tentazione: un angelo santo indichi loro il cammino della vita. Preghiamo:
Per tutti i nostri bambini: l'angelo di Dio li custodisca e li preservi da ogni male. Preghiamo:
Per la nostra comunità: i nostri angeli ci insegnino ad adorare continuamente il Signore. Preghiamo:
Per la formazione di una retta coscienza.
Per chi, oggi, si troverà nel pericolo.

Signore, Dio onnipotente, che con la tua provvidenza orienti tutto il creato alla gloria eterna, custodisci il tuo popolo in cammino perchè, assieme agli angeli, giunga davanti a te per godere in eterno la tua beatitudine. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Preghiera sulle offerte
Accogli, Signore,
i doni che ti offriamo in onore dei santi Angeli;
la loro protezione ci salvi da ogni pericolo
e ci guidi felicemente alla patria del cielo.
Per Cristo nostro Signore.

Prefazio degli Angeli.


Antifona di comunione
A te voglio cantare, o mio Dio, davanti agli Angeli. (cf. Sal 138,1)

Oppure:
“Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli:
vi dico che i loro Angeli in cielo
vedono sempre la faccia del Padre mio”. (Mt 18,10)


Preghiera dopo la comunione
O Padre, che in questo sacramento
ci doni il pane per la vita eterna,
guidaci, con l’assistenza degli Angeli,
nella via della salvezza e della pace.
Per Cristo nostro Signore.



Commento
I testi liturgici ci invitano a riflettere sulla nostra relazione con Dio e a prendere coscienza che su di essa è fondata la vera fraternità.
La prima lettura, un passo dell'Esodo, parla dell'Angelo che il Signore manda davanti al suo popolo come protettore e come guida. "Dice il Signore: "Abbi rispetto della sua presenza, ascolta la sua voce ".
Subito queste parole suscitano il sentimento della presenza di Dio. Ma il contesto biblico chiarisce che la presenza dell'Angelo indica che la relazione del popolo con Dio è ancora imperfetta, deve progredire. Dio non può rivelarsi pienamente, non può mettere il popolo in relazione immediata con se stesso perché è un popolo peccatore, ribelle, che si trova soltanto all'inizio del lungo cammino che lo condurrà alla Terra promessa, alla diretta presenza di Dio. L'Angelo è come un intermediario, colui che fa camminare verso Dio e che contemporaneamente, in un certo senso, protegge dalla sua terribile presenza, fino a quando il popolo sarà in grado di reggere di fronte alla sua maestà.
L'Angelo ci fa ascoltare la voce di Dio; secondo la Bibbia la sua presenza accanto a noi non ha altro scopo che di metterci in relazione con lui. E Dio dice: "Ascolta la sua voce, non ribellarti a lui; egli non ti perdonerebbe, perché il mio nome è in lui".
Se siamo docili a questa voce interiore, che è la voce stessa di Dio, siamo condotti progressivamente a una unione profonda con il Signore, simboleggiata nella Bibbia dalla entrata nella Terra promessa, il paese dove scorrono latte e miele, dove Dio prepara tutti i beni della salvezza.
Anche il Vangelo di oggi parla del rapporto con Dio: "Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli".
Gesù stesso ci dice come dobbiamo rapportarci gli uni agli altri e che, per rispettare veramente le persone, per avere rapporti cristiani, dobbiamo anzitutto pensare al loro rapporto con Dio. Avvicinando qualsiasi persona dobbiamo pensare che Dio l'ama, che ha dei progetti su di lei, che l'aiuta a corrispondere a questi progetti. Se ci pensiamo seriamente, il nostro atteggiamento sarà molto più positivo: avremo più pazienza, più comprensione e soprattutto più amore.
Uno dei primi Gesuiti, il beato Pietro Fabre, che viaggiava molto e doveva incontrare tante persone, avvicinare tante autorità nella sua lotta contro l'eresia protestante, aveva molta devozione agli Angeli. Quando passava nelle città, quando si preparava ad incontrare qualcuno, pregava l'Angelo custode di queste città, di queste persone e otteneva grazie mirabili. Si era messo alla presenza di Dio e questa presenza irraggiava da lui sugli altri. Se ci ispiriamo a questo esempio, ogni nostro rapporto splenderà davvero della luce del Signore, nonostante noi siamo cosi deboli e imperfetti, e camminererno sempre più, con la sua grazia, verso la sua presenza.

giovedì 1 ottobre 2020

EUTANASIA: l’associazione Dignitas offre suicidi assistiti al costo di 3.500 euro

SE E' VERO COME E' VERO CHE NEL XIV SECOLO GLI ZUAVI SVIZZERI DIFESERO LA FEDE E LA TRADIZIONE A COSTO DELLA VITA, LA SVIZZERA DI OGGI FAVOREVOLE ALL'EUTANASIA GLI SAREBBE IRRICONOSCIBILE.... 


Zurigo sta diventando sempre di più una meta per i malati terminali che vogliono praticare il suicidio assistito. Per un malato terminale il viaggio di sola andata a Zurigo si conclude alla Dignitas, un’associazione svizzera, che ha sede a Forch (Zurigo), fondata nel 1998 da Luwig Minelli, che si offre di accompagnare i pazienti verso «un’estrema uscita di emergenza».

La ricetta medica somministrata al malato è una pozione amara a base di pentobarbital sciolta in un bicchiere d’acqua e addolcita con qualche cucchiaino di zucchero. Ingerito il cocktail letale, il malato si addormenta, dopo due o tre minuti cade in un coma profondo, poi si ferma la respirazione e il paziente muore. La condizione posta è che l’aspirante suicida porti il bicchiere alla bocca da sé, davanti a testimoni, altrimenti l’associazione può essere perseguita penalmente.

Suicidarsi con Dignitas, però, costa caro, in media 3.500 euro (costo che può variare in base al reddito) oltre al contributo d’ingresso di circa 72 euro e una quota annuale di 36 euro. «Il nostro scopo – racconta Ludwig Minelli – è quello di prevenire il suicidio. Ma se per il paziente affetto da una malattia terminale o da un’invalidità dolorosa e insopportabile, la morte rappresenta l’unica soluzione, noi lo aiutiamo con il suicidio assistito». Il servizio non è rivolto solo ai cittadini elvetici, ma anche a quelli di paesi in cui queste tecniche non sono permesse.

Ogni settimana, sono circa 30 gli italiani che si rivolgono alle associazioni svizzere per informazioni sul suicidio assistito, 15 sarebbero già morti nei lettini svizzeri e altri 3 sono ora in lista d’attesa. Sono soprattutto malati di tumore, Parkinson e Sla. Le persone che hanno deciso di morire con Dignitas sono già 125. L’associazione consta di 1800 iscritti, che versano annualmente una quota per le spese di 17 euro circa. I presupposti per ottenere il nulla osta verso la morte sono: essere socio di Dignitas, avere la capacità di intendere e di volere, essere afflitto da una malattia terminale o da una menomazione che comporti dei dolori insopportabili. Se si supera la selezione, si sceglie la data e, senza familiare accanto (in Italia l’accompagnatore rischia da 6 a 12 anni di detenzione), si raggiunge la “clinica della morte”.

Il declino della politica estera del Pontefice con la Ue

La bandiera dell'Unione Europea nasconde i simboli dell’Immacolata. E' in atto l'apocalittica lotta tra la donna vestita di sole con in testa la corona di dodici stelle (UE) e il rosso dragone (comunismo cinese)?

Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto. Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda trascinava giù un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra. Il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire per divorare il bambino appena nato.

(Apocalisse 12, 1:4)


Perché Papa Francesco insiste nel voler dimostrare l’esistenza di un fruttuoso dialogo e collaborazione con la Cina mentre in realtà l’Unione europea denunzia a livello diplomatico l’espansionismo politico militare economico del regime di Pechino? Perché Papa Bergoglio insiste nel sostenere politiche di apertura indiscriminata ai fenomeni migratori in Europa mentre la Ue si irrigidisce a livello diplomatico nel confermare che questo problema rientra nelle competenze sovrane degli Stati nazionali, rigettando de facto le insistenti proposte del Pontefice? La questione è di rilevante importanza: la situazione ancora critica nelle relazioni internazionali, determinata dalla pandemia da Covid-19, non ha impedito all’Unione europea di affrontare nelle ultime settimane alcuni temi strategici della sua politica estera, assumendo posizioni che sono inequivocabilmente in linea di collisione con la road-map di Papa Francesco sulle relazioni internazionali. Ci si potrebbe stupire del fatto che la mite Europa, da sempre accusata dagli USA, dai propri stessi Paesi membri, da analisti, studiosi accademici e diplomatici di non saper sviluppare una autonoma energica politica estera, degna del ruolo di global player che le spetta nella relazioni internazionali –si rammenti sempre che la Ue è comunque il secondo gigante economico mondiale quanto a PIL dopo gli USA e ben prima della Repubblica comunista cinese – in quest’ultimo periodo post-Coronavirus manifesti tanto decisionismo politico a livello internazionale. In verità, al di là delle dichiarazioni di facciata della stampa e dei massmedia politically correct, di sinistra liberal o radicale, l’Europa di Bruxelles, mostrando concreta, ragionevole real-politik non condivide un rigo delle linee guida della politica estera della diplomazia vaticana dettate dal Pontefice Bergoglio nei confronti di Bruxelles. Il recentissimo vertice Ue-Cina sullo stato delle reciproche relazioni internazionali, svoltosi a Bruxelles in videoconferenza a causa dei limiti dettati dall’emergenza Covid-19, ha fatto emergere un quadro assai pessimistico sull’affidabilità politica del regime comunista cinese, reo di violare con arroganza i pilastri giuridici dei principali trattati e accordi internazionali di cooperazione.

Le dichiarazioni ufficiali dei vertici europei, dalla Presidente della Commissione Ue Ursula von der Layen alla Cancelliera Angela Merkel, che detiene il turno di Presidenza del Consiglio Ue, vanno tutte nel senso di denunziare le criticità di un rapporto politico diplomatico gravemente sbilanciato a favore dell’aggressività espansionistica cinese: il regime totalitario comunista considera, parole testuali dei vertici di Bruxelles, l’Europa un “campo di gioco”, in quanto la Cina non rispetta i criteri di reciprocità, equità, responsabilità nelle relazioni bilaterali, sostenendo un esasperante protezionismo economico nazionalista, ostacolando i diritti del WTO delle imprese europee presenti in Cina, facendo ricorso ad una permanente politica di contraffazione e falsificazione della tecnologia europea, infine, ignorando del tutto i richiami alla promozione e rispetto dei diritti di libertà, civili e politici e religiosi nel proprio territorio.

Insomma, un quadro devastante e assolutamente preoccupante, al punto che la Cancelliera Merkel ha affermato testualmente che sul regime comunista cinese “non possiamo farci illusioni”. Ha aggravato ulteriormente il carico la dichiarazione dell’Alto Rappresentante degli Affari Esteri Ue, Joseph Borrell, che davanti all’Europarlamento ha affermato che i rapporti nelle relazioni internazionali con la Cina peggiorano e l’Europa deve trovare il modo di proteggere la propria posizione.

In verità la Commissione europea, già nel marzo del 2019, lo scorso anno, nella redazione sullo stato dei rapporti con il regime totalitario cinese ha qualificato il brutale sistema politico di Pechino come un “rivale sistemico che promuove modelli di governance alternativi”: tradotto dal gergo giuridico diplomatico internazionale la Cina è, agli occhi europei non un partner con cui collaborare, non un competitor con cui cimentarsi, bensì un autentico nemico, che ha un sistema politico radicalmente agli antipodi dei diritti civili, politici, di libertà dell’Occidente. Un diplomatico della Ue a Bruxelles, ha affermato, in sede riservata, che la posizione della diplomazia vaticana in vista del rinnovo dell’accordo segreto con Pechino sia improntata ad un confuso moralismo ed ideologismo. Parole molto pesanti. Peraltro si noti come uno dei più autorevoli, acuti ed equilibrati intellettuali della Chiesa cattolica missionaria, Padre Bernardo Cervellera, direttore di Asia News, profondo conoscitore della Cina, abbia riconosciuto che il prossimo rinnovo dell’accordo segreto tra Santa Sede e Repubblica popolare cinese sia di scarso aiuto alla Chiesa cattolica cinese, trasformando de facto i sacerdoti cattolici in funzionari agli ordini del Partito Comunista cinese. La condizione dei diritti umani sotto il criminale regime comunista cinese va sempre più peggiorando, secondo unanimi i dati ufficiali acquisiti dalla comunità internazionale, dall’ONU a Human Rights Watch, e le ultime prese di posizione della Ue contribuiscono a minare ancor più l’autorevolezza morale della diplomazia vaticana e di ciò che ha rappresentato da millenni, una sapiente stella polare di saggezza guidata dal diritto naturale contro i guasti della politica di potenza nelle relazioni internazionali. Anche sul versante della gestione strategica della strutturale crisi dei flussi migratori incontrollati da Africa, Medio Oriente ed Asia la Ue ha esplicitamente smentito le aspettative dei diktat della politica culturale immigrazionista di Papa Francesco La riforma del Trattato di Dublino, che disciplina la gestione strategica dei flussi migratori entro l’Unione europea prevede ancora una volta che la decisione di ciascun paese Ue di accogliere migranti che arrivano in Europa rimanga su base esclusivamente volontaria, rimessa cioè alla piena sovranità nazionale di ogni singolo Stato: nel ‘nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo’ il principio resta, ed anzi, la Commissione Ue insiste sulla necessità di potenziare ogni forma di iniziativa a livello di agreements internazionali con i Paesi di provenienza dei migranti per promuovere partenariati che stabilizzino i flussi di emigrazione e ricerchino soluzioni politiche ed economiche in loco onde evitare la crescita ulteriore del fenomeno.

In buona sostanza, uno schiaffo solenne alla teoria di Papa Francesco dell’implicito valore essenzialmente positivo dei fenomeni strutturali di immigrazione in quanto portatori di un “forzoso meticciato” identitario culturale in grado di favorire un nuovo umanesimo universale; ed al contempo un implicito riconoscimento del valore delle riflessioni di Benedetto XVI, che di fronte a questa drammatica problematica, ha sempre rimarcato come bisogna saper coniugare solidarietà e rispetto delle leggi, affinché non venga stravolta la convivenza sociale e si tenga conto dei principi di diritto e della tradizione culturale e anche religiosa da cui trae origine ogni nazione. Spiazzati dunque i corifei dell’azione politica di Papa Francesco – si legga l’entusiastico retorico articolo dello storico Giovagnoli sulle pagine di Avvenire (12 settembre 2020) – sul presunto successo politico dell’accordo tra Vaticano e Cina. Cinesizzare il cattolicesimo, annullare il cattolicesimo nelle molteplici identità culturali dei flussi migratori. La politica estera della Chiesa in uscita del Pontefice si espone ad un rischio grave e concreto, in nome di una approssimativa attuazione della dottrina della inculturazione: diluire il ricordo, o addirirttura smarrirlo, dell’insegnamento evangelico di Gesù Cristo.

Leggi anche:

Ue, la bandiera nasconde i simboli dell’Immacolata. Un libro svela il segreto delle 12 stelle



Anche la Chiesa cattolica si prepara alle prossime elezioni europee. E lo fa guardando con attenzione il nuovo scenario politico che si va delineando nel Vecchio continente. Il vaticanista del Tg2 Enzo Romeo torna in libreria per offrire un interessante contributo al dibattito con il suo nuovo volume Salvare l’Europa. Il segreto delle dodici stelle (Ave). Il libro è impreziosito dai discorsi degli ultimi Pontefici sul Vecchio continente, da Pio XII a Francesco, e dagli interventi di Sergio Mattarella e del cardinale Gualtiero Bassetti. La tesi di Romeo è abbastanza chiara e ben dimostrata nel suo saggio: l’Europa è inscindibile dalle sue radici cristiane. Ne è prova il fatto, sottolinea il giornalista, che dietro la bandiera azzurra a 12 stelle si nascondono i simboli dell’Immacolata, a cui erano devoti coloro che lavorarono al progetto per dare un emblema all’Europa.

“Nessuno o quasi – spiega Romeo – fa caso al fatto che le stelle e il blu della bandiera europea rimandano alla corona e al manto di Maria. E a quella medaglia miracolosa ispirata alle visioni di rue du Bac. Per almeno mille anni, sino alla lacerazione della Riforma, la Vergine di Nazaret è stata venerata in tutto il continente come ‘Regina d’Europa’. Il credente può pensare, ora, che la costruzione dell’Europa è posta sotto un’eminente protezione, che qualcuno molto più in alto di noi veglia su chi lavora per realizzare una casa comune dove prevalgano pace e giustizia, fratellanza e solidarietà. Ma, come al solito, la presenza di Maria è insieme imponente e discreta, tanto da essere sotto gli occhi di tutti e al contempo ignorata dai più”. 



Per il vaticanista “salvare l’Europa significa ben più che vincere una tornata elettorale. Vuol dire preservare un patrimonio senza il quale il mondo sarebbe più povero”. Il libro di Romeo svela “il ‘segreto’ che si cela nel cerchio a 12 stelle della bandiera europea, oggi lacerata dai venti del sovranismo populista. Da dove trae ispirazione il vessillo azzurro che sventola sugli edifici pubblici e che è impresso sulle targhe delle nostre automobili? Per scoprirlo va seguito un filo sottile, che dal cuore di Parigi porta a Roma e di qui torna in Francia, fino a Strasburgo, dove 70 anni fa si piantò il seme dell’unità. Un continente dilaniato – evidenzia il giornalista – da due guerre mondiali ha così vissuto la più lunga era di pace della sua storia. Grazie anche a un’invisibile ma potente protezione materna”.

Eppure oggi la genesi dell’Europa sembra totalmente ignorata. Lo si vede non solo nel difficile riconoscimento da parte degli attuali leader politici delle radici cristiane del Vecchio continente. Ma soprattutto nella gravi crisi dei migranti, con il Mar Mediterraneo divenuto un cimitero, come ha denunciato suor Eugenia Bonetti nelle meditazioni della via crucis del venerdì santo 2019 al Colosseo presieduta da Bergoglio. Del resto, in questi sei anni di pontificato, i discorsi più forti Francesco li ha rivolti proprio ai vertici delle istituzioni europee.

“Sogno un’Europa – affermò nel 2016 il Papa – in cui essere migrante non sia delitto bensì un invito a un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano. Sogno un’Europa che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti. Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stata la sua ultima utopia”. Parole pronunciate con grande coraggio davanti ai principali responsabili di queste politiche. Così come parlando, nel 2014, al Parlamento europeo di Strasburgo, Francesco non aveva avuto paura di puntare il dito contro “un’Europa nonna e non più fertile e vivace”.

“Di sicuro – scrive Romeo – servirebbe un aiuto sovrannaturale per sbrogliare l’intricata matassa formata dai diversi interessi e dalle differenti sensibilità dei singoli Paesi. In questi anni gli egoismi nazionali si sono accentuati, alimentati dalle paure portate dalla crisi economica mondiale, dalla minaccia terroristica – soprattutto di matrice jihadista -, dall’eccezionale ondata migratoria. Le istituzioni europee, progressivamente svuotate del loro propellente ideale, sono state sempre più percepite dalla gente come distanti e inutili. Una grande e costosa macchina burocratica, che pone vincoli e frena lo sviluppo, che si intromette impropriamente nella vita e negli affari dei singoli cittadini e della nazione. Questa impressione fa dimenticare che proprio grazie al processo di unità europea si è garantito al continente il più lungo periodo di pace della storia, che sono state riconosciute garanzie politiche e democratiche, che sono stati tutelati il diritto alla sicurezza, alla salute, all’educazione”.

Bruxelles e Roma spalancano porte e porti ai clandestini



Con 23.373 clandestini sbarcati tra inizio anno e ieri contro i 7.035 dello stesso periodo dell’anno scorso Conte e Lamorgese (che in agosto definirono “inaccettabili” gli sbarchi annunciando che saremmo stati “duri e inflessibili”) hanno quasi quadruplicato i flussi in soli 12 mesi di governo, superando a settembre persino il numero di clandestini sbarcati nell’intero 2018 che si fermò a 23.370.

Una “competizione” in cui il governo non è più in gara con Matteo Salvini ma con sé stessi. Fermi a circa 4mila sbarchi all’inizio della crisi del governo giallo-verde nell’agosto 2019, i flussi migratori illegali cominciarono subito a registrare forti incrementi per poi esplodere dopo il 5 settembre, quando il leader della Lega lasciò a Lamorgese il Viminale.

Da allora i numeri sono cresciuti rapidamente fino a raggiungere gli 11.471 di fine 2019, con quasi 7.500 sbarchi negli ultimi quattro mesi dell’anno contro i circa 4nmila dei primi otto mesi dell’anno.

Quest’anno la “performance” del Governo Conte è decisamente più spinta nonostante l‘emergenza Covid giustificherebbe ogni iniziativa di chiusura dei confini che invece restano spalancati a chiunque paghi criminali peer venire in un’Italia in cui lo Stato sembra aver cessato di esercitare le sue prerogative.

I dati del Viminale

I dati diffusi nei giorni scorsi dal Viminale ben illustrano la drammatica situazione nonostante il tentativo di dare ampio risalto alla disponibilità tunisina a incrementare i rimpatri con voli speciali oltre ai due charter settimanali per complessivi 80 clandestini previsti dagli accordi e nonostante l’annuncio che sulla base dell’accordo di Malta proseguono i ricollocamenti di richiedenti asilo in Europa con 60 partenze il 24 settembre verso la Germania e altri 67 il 1° ottobre verso la Francia.

Un supporto marginale quello dell’Europa se si considera che degli oltre 23 mila clandestini sbarcati quest’anno la stragrande maggioranza è priva dei diritti per ottenere l’asilo.


A un anno dagli accordi di Malta sono stati ricollocati 689 richiedenti asilo in altri Paesi europei (814 dal gennaio 2019), di cui 189 dopo il periodo di lockdown. I Paesi in cui è stato effettuato il maggior numero di trasferimenti sono: Francia, con 422 richiedenti asilo (di cui 369 dopo Malta e 62 dopo il lockdown), e Germania, con 246 richiedenti asilo (di cui 238 dopo Malta e 106 dopo la ripresa dei voli charter).

Seguono il Portogallo con 60 trasferimenti, l’Irlanda con 29, il Lussemburgo con 23 e la Spagna con 15. Sono ripresi anche i rimpatri, dopo la sostanziale sospensione nel periodo di lockdown. Dall’inizio dell’anno al 20 settembre sono stati rimpatriati 1.828 clandestini (la media degli anni scorsi era di circa 7mila all’anno) di cui 717 in Tunisia e 384 in Albania; 710 sono i rimpatri effettuati dopo il lockdown.

In particolare, verso la Tunisia sono ripresi, lo scorso 16 luglio, i voli charter bisettimanali: in una prima fase per un numero massimo di 20 espulsi per volo, dal 10 agosto 40 per volo (80 su base settimanale), secondo quanto previsto dagli accordi vigenti con il Paese nordafricano, consentendo l’espulsione di 536 cittadini tunisini su quasi 10 mila sbarcati.

Dati che evidenziano come ricollocamenti e rimpatri col contagocce non potranno mai costituire una risposta al fenomeno dell’immigrazione illegale se non verranno accompagnati da respingimenti immediati di chi arriva sulle nostre ciste ed espulsioni di massa dei clandestini presenti sul territorio nazionale.

Elementi che impattano direttamente sulle nuove regole della Ue sui migranti e sulla modifica ai Decreti Sicurezza di Matteo Salvini in Italia. Novità sul tavolo del dibattito politico a Bruxelles come a Roma non inducono certo all’ottimismo chi auspicava una posizione più ferma a contrasto dei flussi illegali ma non piacciono neppure ai fans dell’immigrazione “senza se e senza ma” che vorrebbero maggiore decisione nell’aprire i porti a tutti.

Superare Dublino, anzi no

“Posso annunciare che aboliremo il regolamento di Dublino e lo rimpiazzeremo con un nuovo sistema europeo di governance delle migrazioni. Avrà strutture comuni per l’asilo e per i rimpatri insieme a un forte meccanismo di solidarietà” aveva detto a metà settembre il presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen.

In realtà però il nuovo meccanismo di solidarietà Ue nei confronti dei Paesi di primo arrivo non prevede per ora l’annunciata rimozione degli accordi di Dublino che lasciano agli Stati di primo arrivo (cioè Italia, Grecia e Spagna) l’onere di occuparsi dei clandestini.


“Il Migration Pact si focalizzerà principalmente sui ricollocamenti oppure sulla sponsorizzazione dei rimpatri” ha chiarito la Commissione Europea: di fatto i partner Ue si dovranno fare carico di accogliere chi sbarca nel Sud Europa oppure potrà sostenere finanziariamente i rimpatri di chi non ha diritto all’asilo.

E’ il caso dei partner Ue del Gruppo Visegrad che non accettano di accogliere clandestini e ai quali si vuole attribuire l’onere di occuparsi del rimpatrio di un numero di clandestini analogo a quello di cui hanno rifiutato l’accoglienza con l’impegno a ospitarli se dopo otto mesi non saranno riusciti a rimandarli nei paesi di origine.

Clausola non gradita dal Gruppo di Visegrad proprio a causa delle difficoltà a effettuare i rimpatri in assenza di solidi accordi con i paesi afro-asiatici.

I ricollocamenti dagli Stati di sbarco agli altri partner saranno limitati a quanti hanno diritto all’asilo (quindi quasi nessuno dei 24 mila clandestini sbarcati quest’anno in Italia) mentre i “migranti economici” dovranno venire rimpatriati.


Di fatto quindi l’accordo di Dublino non verrà rimosso e nella pratica i rimpatri resteranno in gran parte inattuati dal momento che sono pochi i paesi di origine dei migranti illegali che hanno accettato di riprendersi i propri connazionali e quelli che hanno stabilito accordi in tal senso prevedono numeri limitati che rendono infinite le operazioni di rimpatrio e spesso inattuabili in caso di fuga dei clandestini dai centri d’accoglienza.

E’ il caso dei tunisini, sbarcati in Italia in quasi 10 mila unità quest’anno dei quali poco più di 700 sono stati rimpatriati.

Come ha detto il ministro Lamorgese i migranti illegali provenienti dalla Libia sbarcati in Italia nel corso dell’anno, sono circa 9.139, pari a circa il 40% dei 23.273 sbarcati alla data del 23 settembre 2020. Il 60% sono arrivati da Tunisia, Algeria e Turchia.

Nonostante queste evidenti limitazioni e difficoltà nell’attuare i rimpatri la Ue sottolinea che continuerà ad avere la priorità di soccorrere in mare i migranti illegali e solo dopo averli fatti sbarcare in Europa verrà effettuata la selezione tra chi ha diritto a restare o meno.

Se il salvataggio in mare è fuori discussione, è evidente che ad esso dovrebbe fare seguito il respingimento immediato nei paesi di imbarco (Libia, Tunisia e Algeria nel caso dei flussi diretti in Italia) con lo scopo di scoraggiare ulteriori partenze e nuove morti in mare.

Invece di stabilire il principio che chi può chiedere asilo lo deve fare attraverso i canali da sempre attivati dagli organismi internazionali, la Ue continua a consentire a chiunque paghi criminali di giungere in Europa.


“L’approccio di base della Commissione von der Leyen è rimasto invariato” – ha detto il primo ministro ungherese Viktor Orban – “la Ue vorrebbe gestire la migrazione ma la posizione di Budapest resta quella di fermare i migranti. Sono due cose diverse”.

Il portavoce del governo ungherese, Zoltan Kovac, ha ribadito che “dal 2015, la posizione del governo ungherese sulla migrazione è stata chiara e immutata. No alla distribuzione obbligatoria dei migranti e protezione delle frontiere esterne. Crediamo che l’Unione Europea e i suoi Stati membri debbano cooperare per mantenere la pressione migratoria al di fuori dei nostri confini.

A tal fine, dovremmo formare alleanze con i Paesi di origine. Crediamo che le frontiere dell’Europa debbano essere protette: dovranno essere istituiti hotspot esterni per trattare le richieste di asilo: dobbiamo garantire che le frontiere esterne dell’UE e dello spazio Schengen rimangano perfettamente sigillate. Il nostro obiettivo è vedere gli Stati membri dell’UE sostenersi a vicenda nel raggiungimento di questi obiettivi”.

Il “Migration Pact” si pone l’obiettivo di migliorare i rapporti con gli Stati extra-Ue pone attraverso aiuti economici e per il controllo e la gestione dei loro confini, sforzi per firmare accordi di rimpatrio con gli Stati d’origine dei migranti, maggiore impegno per perseguire i trafficanti e più controlli anche sanitari sui clandestini in arrivo, il rafforzamento dell’agenzia delle frontiere Frontex, procedure più veloci e standardizzate per la richiesta di asilo politico, ha precisato Margaritis Schinas, vicepresidente della Commissione e commissario per la Promozione dello stile di vita europeo.


Ma è chiaro che su questi punti si sono spese per anni parole invano ed è lecito esprimere dubbi circa la loro reale attuazione ed efficacia.

Meglio quindi non farsi illusioni né circa soluzioni rapide né tanto meno efficaci. Anche perché finora ricollocamenti e redistribuzioni dagli Stati di “prima linea” sono fallite un po’ in tutti gli Sfati e non solo con quelli del Gruppo di Visegrad che si rifiutano di accogliere anche un solo clandestino.

La risposta non è indurre cechi, slovacchi, ungheresi e polacchi a cambiare opinione e diventare “accoglienti” ma è riposta invece nell’opzione contraria e cioè che tutta la Ue rifiuti l’immigrazione illegale attuando respingimenti immediati di chi arriva illegalmente ed espulsioni di massa minacciando di chiudere ogni accesso ai mercati europei a merci, persone e capitali dei paesi che non si riprendono i loro immigrati illegali.

Uno scenario quest’ultimo difficilmente concretizzabile con gli attuali equilibri politici a Bruxelles come in molti singoli Stati dell’Unione ma non sarà possibile neppure obbligare gli Stati che si oppongono all’immigrazione illegale ad aprire le proprie frontiere dal momento che i governi dei paesi del Gruppo di Visegrad hanno negoziato con Berlino il supporto alla Commissione von der Leyen in cambio di una sorta di “non ingerenza” su temi a forte carattere nazionale come quelli migratori.

Il rischio è quindi che annunciando ridistribuzioni la Ue incentivi nuovi flussi migratori di clandestini tesi a raggiungere il Nord Europa.

Una ragione in più per strutturare la risposta alla sfida migratoria a livello nazionale puntando subito a sigillare le frontiere, attuando respingimenti immediati ed espulsioni dei clandestini imposte ai paesi di origine con la minaccia di ritorsioni economiche e commerciali. Opzioni purtroppo opposte a quelle che il governo italiano sembra voler varare.

Cancellare i Decreti Sicurezza

La vocazione “immigrazionista” della Commissione von der Leyen si abbina perfettamente alle iniziative annunciate dal governo italiano che dopo il voto regionale che ha visto il tracollo di M5S sembra dominato dall’egemonia del PD che punta ad attuare, dopo un anno di annunci, il superamento dei decreti Sicurezza messia punto quando al Viminale sedeva Matteo Salvini.


Da quanto annunciato dal ministro Lamorgese verranno abrogate le multe milionarie alle navi delle Ong che entrino senza invito nelle acque italiane.

Misure del resto mai applicate poiché l’attuale governo ha sempre spalancato i porti alle navi delle Ong: emblematico a tal proposito in queste ore il caso della nave Alan Kurdi che mentre dirigeva verso la Corsica in violazione del no francese allo sbarco dei 125 clandestini a bordo, è stata autorizzata da Roma a sbarcarli in Sardegna.

Alla faccia del decreto del 7 aprile scorso col quale quattro ministri del governo italiano (inclusa Lamorgese) chiudevano i porti alle navi delle ong e a tutte le navi che avessero raccolto clandestini fuori dalle acque di competenza italiana per la ricerca e soccorsi.

Il piano del governo prevede di ripristinare la “protezione umanitaria” attribuita per anni dai governi di centro-sinistra ai clandestini che non avevano diritto all’asilo e in gran parte abrogata dai Decreti Sicurezza: una misura che incoraggerà nuovi flussi e porrà per anni sulle spalle dei contribuenti italiani un numero enorme di clandestini.


La bozza prevede la riforma del sistema di accoglienza che torna ad essere diffusa senza che i comuni possano opporsi ad accogliere clandestini sul proprio territorio, con la possibilità per i richiedenti asilo di iscriversi all’anagrafe comunale e la possibilità di convertire il permesso di soggiorno in permesso di lavoro, di fatto equiparando un clandestino a un lavoratore straniero regolare.

Non è un caso che nella bozza del decreto composto da 9 articoli non compaia la parola “sicurezza” nonostante già oggi gli immigrati illegali giunti negli ultimi anni in Italia rappresentino la più seria minaccia alla sicurezza delle nostre città.

Inoltre il nuovo “sistema di accoglienza e integrazione” ricadrà finanziariamente sulle casse dello Stato nel momento di più grave crisi economica e sociale dell’Italia e dell’Europa contemporanea e produrrà benefici solo ai clandestini e alla pletora di coop ed enti della “lobby dell’accoglienza” che dal 2013 si sono già spartiti una torta di circa 20 miliardi di euro.

Onore agli Svizzeri, difensori della Fede e della Tradizione


Nessuno ricorda, nessuno rende omaggio alla memoria dei 16 zuavi che, quel 20 settembre 1870, morirono per difendere lo Stato della Chiesa dall’aggressione dei Bersaglieri di Lamarmora. Non il Vaticano, non la Svizzera, che pure era la loro patria, meno che mai – e questo è comprensibile – la Repubblica italiana. E allora lo facciamo noi. La leggenda degli svizzeri pacifisti, borghesi, nemici delle armi e amici della speculazione bancaria è facilmente smontabile. In realtà, nella tradizione svizzera giganteggiano gli episodi legati al valore militare, allo spirito battagliero, all’onore per la parola data. Episodi che trovano il loro culmine in due date fondamentali della storia d’Europa: il 14 luglio (anno 1789, presa della Bastiglia e festa nazionale francese), e, appunto, il 20 settembre (anno 1870, breccia di Porta Pia e festa nazionale italiana fino al 1929). Con decine di strade e piazze intitolate, ancora oggi, in Francia e in Italia, a quelle due date che videro – anche se nessuno ne parla – il sacrificio di un pugno di giovani svizzeri in nome dell’onore, della tradizione, dell’ordine e della fede.

La parola stessa (soldati) nasce in Svizzera. E sta per “assoldati”, cioè “ingaggiati a pagamento”. Siamo sempre nel XIV secolo, ovvero quel 1300 segnato dalle imprese di Guglielmo Tell, che è divenuto ben presto un mito in tutti i cantoni. I soldati sono mercenari che si mettono in luce per il loro valore e la determinazione sui campi di battaglia di tutta Europa, come pure per la loro assoluta fedeltà verso chi li aveva ingaggiati. Ben presto, segneranno la superiorità della fanteria sulla cavalleria che era stata l’arma privilegiata del Medio Evo. “Mercenari” perché si battono in cambio di una “mercede”. Già nella «Guerra dei Cent’anni» si erano messi in luce per il loro coraggio e la loro audacia. Re Luigi XI ne arruolerà seimila nel 1480, guidati da Guglielmo di Diesbach, per addestrare il suo esercito. Con Papa Giulio II animeranno la Lega Santa.

Fu lo sviluppo degli eserciti permanenti a porre fine all’era dei mercenari svizzeri. Soprattutto con la nascita della cosiddetta “leva obbligatoria”, parola che nasce dalla “levée”, figlia della Rivoluzione francese (che sta per “levata”, ovvero i ragazzi sottratti, levàti, portati via con la forza alle famiglie e ai genitori). Sistema indecoroso e violento, subito imitato da tutti gli Stati europei, compresi quelli monarchici. Infatti, costava assai meno mandare a morire i ragazzi del proprio Paese che ingaggiare, a suon di monete d’oro, i pur valorosi ed imbattibili svizzeri.

Dopo la Restaurazione seguita alla parabola napoleonica, i mercenari svizzeri ancora disponibili continueranno a servire in Francia la monarchia fino alla caduta di Luigi Filippo nel 1848, e, in Italia, il Regno delle Due Sicilie con un Reggimento battutosi valorosamente contro Garibaldi alle battaglie del Volturno e del Garigliano.

A Lucerna giganteggia la celebre statua del leone morente con la scritta in latino «Helvetiorum fidei ac virtuti» (“Alla fede e al valore degli Svizzeri”). Un motto che sintetizza in maniera perfetta le qualità degli svizzeri guerrieri: la fede e il valore. Gli autori del capolavoro marmoreo e delle scritte che lo circondano pensavano sicuramente a quei soldati svizzeri che sacrificarono le loro vite per difendere l’ultimo Re di Francia dai furori giacobini. Accadde a Parigi martedì 14 luglio 1789, allorché la folla istigata dai «sanculotti» di Robespierre, di Marat e di Danton assaltò l’Hotel des Invalides, deposito di armi dell’Armata francese, impadronendosi di ben 28 mila fucili e di 12 cannoni. Mancavano però le cartucce e la polvere da sparo per le bocche da fuoco. Erano custoditi alla Bastiglia, fortezza simbolo dell’autorità reale, difesa dalle guardie svizzere comandate dal capitano Hulin. I soldati francesi erano spariti. L’Armata aveva fatto causa comune con il popolino e il generale Besenval, abbandonato dai suoi uomini, era fuggito a Versailles, per raggiungere re Luigi XVI.

Unici a restare fedeli al sovrano erano gli svizzeri. Governatore della Bastiglia era il marchese Bernard de Launay, che ordinò di resistere. La folla (migliaia di assatanati) urlava: «En bas la troupe!». Alle 13,30 si scatenò l’assalto con l’abbattimento, a colpi d’ascia, del ponte levatoio. Gli svizzeri aprirono il fuoco. Da tutti i quartieri di Parigi iniziarono ad accorrere gruppi di armati che ben presto ebbero la meglio. Il governatore De Launay e il prevosto Jacques de Flesselles furono decapitati, le loro teste issate sulle forche e trascinate in corteo per le vie di Parigi. Le 32 guardie svizzere che avevano cercato di fermare la folla furono massacrate e decapitate. Ancora oggi la Francia celebra quella orribile giornata come «festa nazionale».

E veniamo a Porta Pia. Otto anni fa, il 29 settembre 2012, in occasione della festività di San Michele Arcangelo, patrono della Gendarmeria vaticana, il principe Sforza Ruspoli, che l’aveva ereditata dai suoi avi e la custodiva con cura e amore, donò al Pontefice Benedetto XVI la bandiera sotto la quale le truppe pontificie si erano battute contro gli invasori dell’esercito piemontese in difesa dello Stato Vaticano a Porta Pia. Un evento di rilevante portata storica, ancorché ignorato nella maniera più totale da tutti i mezzi d’informazione. Sotto quella bandiera, infatti, erano caduti gli ultimi difensori della sovranità della Chiesa, tutti svizzeri: gli zuavi del generale Kanzler, che lasciarono sul posto, dilaniati dai cannoni, 16 morti e 49 feriti. Per decenni, fino ai Patti Lateranensi del 1929, il 20 settembre fu, in Italia, festa nazionale.

Tutti sembrano aver dimenticato che anche allora, in quel lontano ed infuocato settembre 1870, vi fu chi non condivise l’entusiasmo ufficiale per la presa di Roma. Soprattutto una nobile figura finita nel dimenticatoio: il conte Edoardo Crotti di Costigliole, membro del Parlamento, che, gravemente ammalato (sarebbe passato a miglior vita dopo pochi giorni), scrisse in proposito una coraggiosa e significativa lettera a Re Vittorio Emanuele II. L’abbiamo recuperata e la riproduciamo:

«Sire! Tornato in Italia dall’estero, trovo il mio Paese in uno stato di profonda agitazione per l’ordine dato dal governo di occupare Roma…Non posso pensare senza un sentimento di profonda indignazione che il mio governo assalga a baionetta e a mitraglia la metropoli della Cristianità e l’augusta persona del Vicario di Gesù Cristo…(che) è un sovrano. Chi lo scorona deve rispondere a Dio. E poi chi non conosce la mano di ferro dei governi che si sono succeduti?(…) Non hanno forse spogliato il clero dei suoi beni, profanato chiese, ostacolato le vocazioni religiose, imprigionato sacerdoti, vescovi, cardinali? Sì!… Conosciamo molto bene il loro rispetto per la religione…L’occupazione di Roma è considerata con orrore dalla quasi totalità degli italiani. Lo affermo come italiano e come deputato…Io protesto contro coloro che considerano stranieri quei cattolici che servono sotto le bandiere del Sovrano Pontefice. No, non sono stranieri questi figli che fanno scudo coi propri petti al venerato Padre loro. Gli unici stranieri a Roma sono quelli che bombardano il Vaticano. Roma, sotto il potere temporale del suo Re Pio IX, è la metropoli dei cattolici!».

In Usa ed Ecuador vince la vita



(Mauro Faverzani) Buone notizie sul fronte della vita. A dispetto del nome, Lenin Moreno, e del partito, Alianza Pais, dichiaratamente di sinistra, il presidente dell’Ecuador ha posto il proprio veto all’intero progetto di legge relativo al Cos-Codice Organico per la Salute, benché già approvato a maggioranza dall’Assemblea nazionale con soli 8 voti contrari. In questo modo Moreno ha bloccato nel suo Paese la pericolosa avanzata di aborto, maternità surrogata e ideologia gender nelle scuole, dando retta alla popolazione, mobilitatasi nei giorni scorsi dinanzi alla sede del governo, a Palazzo Carondelet, residenza del Presidente, nonché sui social, per chiedere che col proprio intervento scongiurasse l’entrata in vigore della normativa. Non si può ancora gridare allo scampato pericolo, poiché il rischio ora è che, con qualche minimo correttivo, il testo possa essere a breve ripresentato. Lo stesso ministro della Salute, Juan Carlos Zevallos, ha dichiarato in tal senso: «Non v’è stato né rigore scientifico, né rigore clinico nel redigere la legge. Il veto totale al Codice Organico della Salute risponde ad un imperativo sociale. Dobbiamo intraprendere un nuovo processo più inclusivo, più tecnico, più basato sull’evidenza scientifica», parole che suonano quanto mai sibilline. Intanto, comunque, un importante, benché temporaneo argine è stato messo al tentativo posto in essere dalle forze progressiste. La segreteria del Presidente ha chiarito come il veto sia stato motivato da ragioni tecniche e non religiose, comunque sia ciò è bastato per far esultare i gruppi pro-life ecuadoregni. Gioia ha espresso anche l’arcivescovo metropolita di Quito, nonché primate dell’Ecuador, mons. Alfredo José Espinoza Mateus, che ha definito senza mezzi termini il testo bloccato un «codice di morte: la vita ha trionfato».

Ed ha trionfato anche negli Stati Uniti dopo l’annuncio dato dal presidente Donald Trump relativo all’«Ordine esecutivo Born Alive», con cui ha garantito le necessarie tutele legali ai bambini sopravvissuti all’aborto, con ricovero in ospedale e cure adeguate. Furibondi i Democratici, che al Senato avevano promesso di bloccare il disegno di legge in materia, d’accordo anche la loro candidata alla vicepresidenza, Kamala Harris. Secondo loro, le normative vigenti assicurerebbero già adeguata protezione ai neonati, ma non è così, come evidenziato dal senatore Ben Sasse, repubblicano del Nebraska, co-promotore del progetto legislativo relativo alla protezione dei bimbi sopravvissuti all’aborto, progetto purtroppo bocciato in Senato lo scorso 23 febbraio. Ma il presidente Trump ha provvidenzialmente fatto piazza pulita degli oppositori con l’annuncio di questo nuovo ordine esecutivo, annuncio dato nel corso dell’annuale «Colazione nazionale di Preghiera Cattolica», quest’anno, a causa della pandemia, svoltasi non in presenza, bensì trasmessa in diretta ad oltre 10 mila partecipanti registrati: «Noi crediamo nella verità eterna per la quale ogni bambino, nato e non nato, viene creato come santa immagine di Dio – ha detto Trump – Io difenderò sempre il sacro diritto alla vita».

Il provvedimento presidenziale, secondo l’Istituto Guttmacher, riguarderebbe almeno 12 mila sopravvissuti sui circa 926 mila aborti praticati ogni anno. Intanto, restando in tema, i Cavalieri di Colombo hanno organizzato dal 4 al 12 ottobre una «Novena per la Vita» nell’ambito delle manifestazioni previste negli Stati Uniti in occasione del «Mese per il Rispetto della vita», promosso ogni anno ad ottobre dalla Conferenza episcopale americana ed avente come tema per il 2020 «Vivere il Vangelo della Vita». Ogni giornata della novena prevede la recita del S. Rosario, una meditazione ed un’orazione conclusiva a Maria, tratta dall’enciclica «Evangelium Vitae» di Giovanni Paolo II. Nel «Mese per il Rispetto della vita», la Conferenza episcopale americana stanzia risorse economiche per aiutare le parrocchie, i sacerdoti, le famiglie e le scuole a promuovere incontri di preghiera e di sensibilizzazione sul tema, restando purtroppo l’aborto la principale causa di morte negli Stati Uniti, avendo provocato molte più vittime di quelle causate dalla stessa pandemia da Covid-19.

La speranza è che queste buone notizie rappresentino il volano per promuovere ed incoraggiare anche altrove nel mondo una presenza creativa del popolo per la vita a tutti i livelli, popolari, ecclesiali ed istituzionali.

Cina, il Vaticano sta sbagliando. Mons. Viganò spiega perché Pompeo ha ragione


ORA CAPIAMO BENE LA FUNZIONE DELLE MASCHERINE NELLA CHIESA BERGOGLIANA CHE STRIZZA L'OCCHIO A PECHINO. L'ITALIA COME LABORATORIO DI INGEGNERIA SOCIALE DEL NUOVO ORDINE MONDIALE....


“Bene ha fatto il Segretario di Stato Pompeo a censurare il rinnovo dell’Accordo segreto stipulato tra Bergoglio e Xi Jinping”. A parlare è Monsignor Carlo Maria Viganò. Lo fa senza veli, al solito, e senza mezzi termini.

Arcivescovo, già Segretario generale del Governatorato Vaticano e Nunzio apostolico negli Stati Uniti, personalità di spicco della Chiesa, e al tempo stesso al centro di tante controversie, dallo scandalo Vatileaks al dossier sul cardinale McCarrick, torna a parlare in pubblico, e a Formiche.net confida il suo sdegno per i negoziati in corso fra Cina e Santa Sede volti a rinnovare dopo due anni l’accordo sulle nomine dei vescovi.

Il suo è un endorsement netto alle parole di Mike Pompeo, il Segretario di Stato di Donald Trump che in un intervento sul sito conservatore First Things ha denunciato il rinnovo dell’accordo, a soli nove giorni dalla sua visita in Vaticano, prevista il prossimo lunedì. Viganò rincara la dose: “La sua lucida denuncia porta alla luce l’aberrante atteggiamento vaticano, il tradimento della missione della Chiesa, l’abbandono della Comunità cattolica cinese per bieco calcolo politico, l’allineamento al pensiero unico”.

Non è certo un mistero la posizione di Viganò sul pontificato di papa Francesco. Negli ultimi due anni, dopo che nel 2018 ne ha auspicato le dimissioni pubblicando un dossier relativo alla condotta scandalosa dell’ex arcivescovo di Washington Dc Theodore McCarrick, accusato di abusi sessuali e ridotto allo stato laicale nel 2019, non ha mai fatto sconti. E il giudizio sul pontificato in essere è rimasto invariato.

“Se pensiamo che tra le personalità che si occuparono dell’elaborazione dell’Accordo tra la Santa Sede e il Partito comunista cinese vi fu l’allora Cardinale McCarrick, su incarico di Bergoglio, si comprende anche il motivo per cui gli atti del processo canonico che ha portato alla riduzione allo stato laicale del potente Prelato rimangano coperti dal segreto – dice oggi – in entrambi i casi un’operazione di trasparenza e di verità è urgente e dovuta, perché sono in gioco l’onore e l’autorevolezza morale della Chiesa Cattolica dinanzi al mondo”.

È uno degli attacchi più duri sferrato alla Santa Sede da quando Pompeo ha lanciato il suo appello per annullare il rinnovo dell’intesa. Per Viganò “non si comprende perché un accordo presentato come assolutamente limpido e privo di punti oscuri sia stato secretato e non possa esser letto nemmeno dal benemerito Cardinale cinese, Joseph Zen”.

Finora le reazioni del mondo ecclesiastico all’affondo di Pompeo sono state misurate con il conta-gocce. Un editoriale di Gianni Cardinale su Avvenire, il quotidiano della Cei (Conferenza episcopale italiana), ha stigmatizzato l’intervento, dubitando che possa “spostare anche solo di una virgola la posizione vaticana riguardo il dialogo con Pechino”.

L’ex Nunzio apostolico trova invece perfettamente legittima la richiesta di Pompeo. E anzi si chiede perché, se “Bergoglio può impunemente affermare che «Trump non è cristiano» evocando i fantasmi del nazismo e del populismo, per quale motivo il Segretario di Stato americano, con un obiettivo più che lecito di sicurezza internazionale, non avrebbe il diritto di esprimere il suo giudizio sulle connivenze della Santa Sede nei riguardi della più feroce – ma anche più potente ed influente che mai – dittatura comunista?”. E ancora: “Per quale motivo il Vaticano, che tace dinanzi all’appoggio dell’aborto da parte dei democratici e alla violazione dei più elementari diritti in Cina, considera un’indebita ingerenza quella dell’amministrazione Trump in un accordo che ha evidenti ripercussioni negli equilibri politici internazionali?”.

In America, fra i cattolici-conservatori, Viganò ha un’eco profonda. È un punto di riferimento per il fronte antibergogliano. Lo stesso Trump ne apprezza le pubbliche uscite. Tanto che a giugno ha voluto postare su twitter una lettera di supporto inviatagli dall’arcivescovo, che nelle tensioni scoppiate con il caso Floyd e, di rimando, nelle elezioni presidenziali di novembre, scorge una battaglia in corso fra “figli della luce e figli delle tenebre”. Allora, il presidente si era detto “onorato” e aveva invitato chiunque, “religioso o no”, a leggere la missiva.

La dura critica del Segretario di Stato ed ex capo della Cia all’accordo Cina-Santa Sede, sostiene Viganò, rientra in una lettura più ampia che l’attuale amministrazione americana fa della Chiesa di Francesco. Una lettura che vede in Vaticano un supporto aperto alla corsa di Joe Biden per la Casa Bianca. “Gli Stati Uniti vedono i vertici ed i centri di influenza culturale della Chiesa Cattolica americana schierata spudoratamente a favore del candidato democratico e in genere di tutto l’apparato che in questi decenni si è andato consolidando all’interno dell’amministrazione pubblica”, dice il monsignore.

“Il deep state, nemico giurato di Trump, è affiancato da una deep church che non risparmia critiche e accuse al Presidente in carica, mentre ammicca indecorosamente a Biden e ai Blm, seguendo pedissequamente la narrazione imposta dal mainstream. Poco importa che Trump sia dichiaratamente pro-life e che difenda quei principi non negoziabili cui hanno rinunciato i democratici”: l’importante è trasformare la Chiesa Cattolica nel braccio spirituale del Nuovo Ordine Mondiale, al fine di avere un imprimatur da parte della massima autorità morale al mondo. Cosa impossibile con Benedetto XVI”.

In Italia, Viganò rinviene il volto più autentico di quella stessa “deep church” nei gesuiti, che per la prima volta nella loro storia esprimono un loro esponente al soglio petrino. La critica dell’arcivescovo è frontale. “Cercare nell’azione recente della Compagnia di Gesù una qualche coerenza con ciò che essa fu nelle intenzioni di Sant’Ignazio di Loyola è opera ardua se non impossibile, al punto da rendere improvvida, col senno di poi, la ricostituzione dell’Ordine nel 1814 dopo la sua soppressione decisa da Clemente XIV nel 1773”. Reputa addirittura “determinante” il ruolo dei gesuiti nel “processo di dissoluzione e di autodemolizione cui è sottoposto l’intero corpo ecclesiale”.

Sono loro, continua l’arcivescovo, i più accorti tessitori delle interlocuzioni con il governo cinese. “La vicinanza ideologica della Compagnia di Gesù a movimenti rivoluzionari di sinistra risale ai prodromi del Sessantotto, di cui il Vaticano II pose le basi ideologiche e che trovarono nella Teologia della Liberazione la loro massima espressione, dopo aver espunto dai documenti preparatori del Concilio la condanna del Comunismo”.

Nel mirino c’è la storica rivista della Compagnia di Gesù, la “Civiltà Cattolica” diretta da padre Antonio Spadaro, che da sempre studia e dialoga con l’ex Celeste Impero. Un dialogo che si è fatto serrato negli ultimi anni, con un via-vai di esponenti di primo piano della politica italiana, vedi Romano Prodi, ai convegni a tema ospitati a via di Porta pinciana.

“Vedere Prodi e Gentiloni assieme a padre Spadaro per la presentazione del saggio “Nell’anima della Cina” non deve scandalizzare: essi sono l’espressione di quel deprecabile “cattolicesimo adulto” che ignora la doverosa coerenza dei Cattolici in politica auspicata da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI, ma che tiene insieme l’eterogeneo bestiario del progressismo in nome dell’ambientalismo malthusiano, dell’accoglienza indiscriminata degli immigrati, della teoria gender e dell’indifferentismo religioso sancito dalla Dichiarazione di Abu Dhabi”, commenta impassibile Viganò. Trump, aggiunge il prelato, “ha ben capito” che la “svolta antropocentrica e la svolta green della chiesa bergogliana”, segnate, dice, da due appuntamenti imminenti, “Il Convegno di Assisi – Economy of Francesco – e la prossima Enciclica Fratelli tutti, non sarebbero altro se non un assist alle “istanze ambientaliste e immigrazioniste dell’agenda globalista”.

Ma la schiera di chi improvvidamente cerca una special relationship con Pechino, accusa Viganò, è molto più estesa, ed ha la sua regia ai piani alti della politica italiana. Anche a Palazzo Chigi. “A Prodi e Gentiloni in Italia – e potremmo dire anche al Premier Conte, vista la sua provenienza e la sua formazione –, sul versante americano fanno pendant personaggi sedicenti cattolici come Joe Biden, Nancy Pelosi e Andrew Cuomo: tutti orgogliosamente sostenitori dell’aborto e dell’indottrinamento gender, e tutti fieramente favorevoli ai movimenti Antifa e Black Lives Matter, che stanno mettendo a ferro e a fuoco intere città americane”.

Non è un caso se l’Italia è oggi attenzionata speciale dell’amministrazione Trump, conclude l’ex Nunzio a Washington. “Nel contesto geopolitico internazionale il ruolo dell’Italia può apparire per certi versi marginale: in realtà essa è un laboratorio nel quale sono compiuti quegli esperimenti di ingegneria sociale che l’agenda globalista intende estendere a tutti i governi nell’arco dei prossimi dieci anni. E questo avviene sia in campo politico ed economico, sia in campo religioso”.

“Pompeo ha ragione, la Cina viola i diritti umani”




 «Sono d’accordo con il segretario di Stato americano Mike Pompeo quando denuncia la violazione dei diritti umani in Cina. La situazione è veramente grave.

Le testimonianze che ricevo da tutte le province cinesi lo confermano. Sia i cattolici ufficiali, sia quelli sotterranei – non riconosciuti dal governo – parlano di situazione soffocante. La cacciata di sacerdoti dalle parrocchie è assai frequente e riguarda tutti i preti che rifiutano di firmare i documenti sul riconoscimento della cosiddetta chiesa indipendente. Quel termine nel linguaggio comunista significa non dipendente dal Vaticano, ma dipendente del Partito. Per questo chi non firma viene cacciato».

Su molti punti Padre Bernardo Cervellera, missionario del Pime e Direttore di Asia news, non esita a concordare con Mike Pompeo – il Segretario di Stato americano deciso ad approfittare della visita in Vaticano di martedì 29 settembre per convincere l’omologo monsignor Pietro Parolin a non rinnovare l’intesa segreta con Pechino sulla nomina dei vescovi firmata due anni fa. Quell’intesa a detta di Pompeo impedisce alla Chiesa di esercitare il «potere di testimonianza morale» che negli anni ’80 contribuì a metter fine al comunismo. «Su questo non sono d’accordo – obbietta Padre Cervellera a Il Giornale – e non solo perchè Papa Francesco gode di un’autorità morale altissima, ma perchè è mutata la situazione geopolitica. Negli anni 80 c’era una cortina di ferro da demolire sollecitando il rispetto dei diritti umani e della liberta religiosa. Oggi, invece, bisogna evitare una nuova guerra fredda».

Ma lei stesso è critico sull’accordo…

«É vero sono molto scettico, ma il Papa e il Vaticano cercano di preservare l’unico filo che li lega alla diplomazia cinese nella speranza di allargare il dialogo. Il Cardinale Parolin dice di auspicare un rinnovo dell’intesa per altri due anni pur ammettendo che i problemi non mancano. Quindi spero chiedano più garanzie per la libertà religiosa e per tutti i sacerdoti non ufficiali che rifiutano l’iscrizione alla cosiddetta Associazione Patriottica».

Secondo Pompeo rinnovare l’intesa equivale a mettersi in ginocchio

«Il Vaticano sarà anche di scarso aiuto alla Chiesa cinese, ma quella Chiesa non si farà mai mettere in ginocchio. Il moltiplicarsi di conversioni e battesimi segnala una crescente vivacità religiosa. I tentativi di controllare il cattolicesimo e le altre religioni evidenziano le paure del Partito. Temono di venir abbandonati da una popolazione pronta a preferire la religione al comunismo».

Ma l’accordo con il Vaticano trasforma i sacerdoti in funzionari di stato

«Questo, purtroppo, è vero. E lo confermano sia sacerdoti della chiesa ufficiale, sia quelli della Chiesa sotterranea. Per diventare sacerdoti riconosciuti bisogna accettare la supremazia del Partito, contribuire allo sviluppo del comunismo, evitare i rapporti con gli stranieri – quindi anche con i cristiani stranieri – , vietare ai minori di 18 anni di entrare in chiesa e di ricevere educazione religiosa ed, infine, esercitare il ministero solo tra le mura della parrocchia. Sottoscrivendo quelle regole i sacerdoti finiscono con il propugnare la politica del governo. Si trasformano di fatto in funzionari di stato».

Il Vaticano tace anche su Hong Kong. E lì i cristiani sono più del 12 per cento

«Sì, il Vaticano è molto silenzioso. Ma la Chiesa ad Hong Kong ha sempre parlato. Sia per bocca del Cardinale Joseph Zen che dell’amministratore apostolico John Tong Hon. Fin dalle prime manifestazioni John Tong ha chiarito che la Chiesa sostiene la democrazia e le inchieste indipendenti sulle violenze della polizia. Quindi il Vaticano tace, ma la chiesa di Hong Kong si esprime con molta chiarezza. Non a caso è accusata di diffondere un pensiero eccessivamente liberale».

Ma se le cose dopo la firma di quell’accordo segreto sono andate così male perchè rinnovare l’intesa? Qual’è la convenienza?

«Il Vaticano aspettava da 70 anni di aprire un rapporto con la Cina e vuole tenerselo stretto. Pur di tenerselo è disposto a dare molto. O come dice il cardinale Zen a svendere tanto».

L’ultimo appello del cardinale Zen per la Cina e Hong Kong

IL CARDINALE CINESE ZEN E IL SEGRETARIO DI STATO AMERICANO POMPEO LASCIATI FUORI DELLA PORTA DA PAPA BERGOGLIO. C'ENTRA MICA IL COMUNISMO?.... 


Un cardinale 88enne attraversa mezzo mondo per venire a Roma chiedendo di poter essere ricevuto dal Papa per una questione delicatissima, ma viene lasciato fuori della porta. È successo anche questo nella settimana in cui il Vaticano è stato sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo per il siluramento del cardinale Angelo Becciu. E, probabilmente, la vicenda che ha per protagonista il cardinale Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong, è anche più grave del caso Becciu, almeno per quanto riguarda la posta in gioco per la Chiesa.

Abbiamo incontrato il cardinale Zen a Roma sabato sera, quando ormai anche le ultime tenui speranze di una chiamata da Santa Marta erano svanite. Poche ore dopo si è imbarcato sull’aereo che lo ha riportato ad Hong Kong (da dove si collegherà sabato 3 ottobre in video conferenza per essere presente alla Giornata della Bussola). Cento ore gli erano state concesse in Italia, un permesso speciale per poter incontrare il Papa, e al ritorno nell’ex colonia britannica dovrà farsi l’ormai classico periodo di quarantena. Uno sforzo notevole, ma a casa torna con un pugno di mosche, il Papa non ha avuto tempo di riceverlo, lui è riuscito soltanto a consegnare una lettera a monsignor Gonzalo Aemilius, il segretario personale di papa Francesco.

Alla vigilia del rinnovo del tanto discusso accordo tra Santa Sede e Cina popolare sulla nomina dei vescovi, evidentemente nessuno deve disturbare il manovratore.

Ma non c’è solo la questione dell’accordo sino-vaticano sul tavolo: «Io sono venuto anzitutto per la diocesi di Hong Kong, per la nomina del nuovo vescovo», ci dice Zen. Potrebbe suonare strano mettere il problema della diocesi di Hong Kong davanti all’accordo per la Chiesa in Cina, ma la nomina del nuovo vescovo di Hong Kong sarà cruciale anche nel rapporto tra Cina e Santa Sede. «Sono preoccupato perché ci sono movimenti che fanno credere ci sia l’intenzione di scegliere padre Peter Choi. Sarebbe un disastro per la Chiesa di Hong Kong, un disastro di cui si pagherebbero le conseguenze per decenni». Il motivo è che mons. Choi è il nome gradito a Pechino.

Abbiamo raccontato lo scorso febbraio tutti i retroscena dietro la battaglia per la guida della diocesi di Hong Kong, che dal gennaio 2019 non ha un vescovo titolare. Sullo sfondo la prova di forza di Pechino per prendere il pieno controllo di Hong Kong malgrado l’accordo tra Cina e Regno Unito preveda l’autonomia del Territorio secondo il motto “Un Paese, due sistemi”; e l’accordo tra Cina e Santa Sede già menzionato. Ormai siamo a quasi due anni di stallo: inizialmente sembrava ovvia la nomina a vescovo dell’ausiliare Joseph Ha Chi-shing, ma il nome era fortemente sgradito a Pechino: ha dimostrato troppa simpatia per il movimento democratico che si ribella al colpo di mano del regime cinese.

La cosa rimane in sospeso finché nel febbraio scorso circola la notizia che la scelta sia ricaduta su uno dei quattro vicari della diocesi, monsignor Peter Choi Wai-man: nomina già fatta ma si aspetta per l’annuncio a causa del coronavirus. La sosta serve però alle autorità vaticane anche per rendersi conto che la nomina del filo-regime mons. Choi rischia di spaccare la Chiesa di Hong Kong. E il nome viene ritirato, ma per la nomina si cerca una terza figura.
A un certo punto, nei mesi scorsi, esce fuori il nome del vescovo di Macao, Stephen Lee Bun Sang, come probabile nomina. Ma anche questo nome tramonta. Ed ecco che ci sono segnali da Roma, per cui sembra certo il ritorno su monsignor Choi. Devono essere segnali ben forti e molto grande il pericolo di un vescovo come Choi, se il cardinale Zen, molto anziano e con problemi che gli rendono difficoltoso camminare, si è deciso a prendere un aereo e venire a Roma. È arrivato mercoledì, è riuscito a consegnare la lettera al segretario personale del Papa, e poi la lunga attesa, vana.

Se venisse nominato monsignor Choi – a parte la forte reazione che ci sarebbe nella maggioranza dei fedeli cattolici della diocesi – sarebbe la capitolazione definitiva della Chiesa davanti al potere politico cinese; significherebbe che l’accordo “segreto”, siglato due anni fa, in realtà dà mano libera al regime di Pechino. «Non bastano le buone intenzioni – dice il cardinale Zen -, bisogna capire le cose, bisogna conoscere i comunisti». Per questo voleva incontrare il Papa; spiegargli la situazione, appellarsi a lui perché scongiuri questo disastro per Hong Kong e per tutta la Chiesa. La nomina di un vescovo filo-regime, oltretutto in una diocesi che non rientra nel territorio a cui si applica l’accordo con la Cina, sarebbe un tragico segnale a tutto il mondo e anche ai fedeli cattolici.

Ma intanto si è rassegnati a vedere rinnovato l’accordo “segreto” tra Cina e Santa Sede: «A meno che prevalga l’ala sinistra del Partito comunista cinese – dice il cardinale Zen – che resta contraria a qualsiasi tipo di accordo: “Perché un accordo? Siamo noi che comandiamo e basta”, così ragionano». Ma è solo una differenza di strategia: «Il governo ha voluto che l’accordo rimanesse segreto, così possono imporre qualsiasi cosa dicendo che anche il Papa è d’accordo». Alla fine il risultato non cambia, decide il regime cinese e la Santa Sede è in silenzio.

«Non posso neanche giudicare l’accordo – prosegue Zen – perché non so cosa c’è scritto. Anche questo è incredibile: sono un cardinale cinese e non posso sapere che cosa la Santa Sede ha deciso per la Chiesa cinese». Ma in realtà quando si parla di accordo sino-vaticano, il cardinale Zen è un fiume in piena: «L’accordo riguarda la nomina dei vescovi: ebbene in due anni non c’è stata alcuna nomina nuova. In compenso, con il pretesto dell’accordo sono stati riconosciuti dalla Santa Sede sette vescovi scomunicati». Per non parlare dell’intensificarsi della persecuzione contro i cattolici, di cui abbiamo dato più volte conto: «È tornato il tempo delle catacombe», dice rassegnato Zen.

Quello del vescovo emerito di Hong Kong è un appello accorato, che vuole scongiurare una tragedia per la Chiesa intera: «Il comunismo non è eterno – dice ancora Zen – e quando cadrà si troverà che la Chiesa ha collaborato con questo regime disumano, non avrà più alcuna autorità morale». Non si possono fare accordi con questo regime: «Pensare di fare accordi con Pechino è folle. È come con il diavolo, non puoi dialogarci, o di qua o di là».

Le parole chiare del cardinale Zen risuonano forte e si deve sperare facciano breccia nelle stanze segrete di Santa Marta malgrado la porta sbattuta in faccia dal Papa al vescovo emerito di Hong Kong.