venerdì 6 marzo 2020

ZANZARE USATE COME ARMI BATTERIOLOGICHE DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE

La “guerra entomologica” è un tipo di guerra biologica che usa gli insetti per attaccare il nemico. Il concetto esiste da secoli.




LA GERMANIA CI NASCONDE QUALCOSA? I LABORATORI SEGRETI PER LA BIOGUERRA DELLA II GUERRA MONDIALE SONO ANCORA ATTIVI?


Fonti storiche riferiscono che a partire dal 1942 fu reso operativo, nel campo di concentramento di Dachau, un istituto di entomologia destinato allo studio di pesticidi in grado di difendere la Germania da attacchi esterni effettuati con insetti (soprattutto zanzare), oltre che eliminare quelli già presenti in essa.Klaus Reinhardt, un ricercatore dell’università di Tubingen, basandosi su documentazione inedita, ha pubblicato un articolo nel quale sostiene che, molto probabilmente le finalità dell’istituto fossero invece relative allo studio di armi batteriologiche, basate sull’uso di zanzare portatrici di malaria da scatenare contro gli Alleati.

Scrive Reinhardt: «In un documento appena scoperto il direttore del campo, Eduard May scrive che le zanzare Anopheles maculipennis resistono molto meglio delle A. bifurcatus quando vengono aviotrasportate» spiega l’esperto «e aggiunge ‘per l’applicazione pratica sarebbe meglio usare questa specie’. Questa frase suggerisce che gli studi erano indirizzati a come utilizzare gli insetti contro i nemici».

Lo studio di armi batteriologiche da parte delle nazioni coinvolte nella seconda guerra mondiale è un dato di fatto: mentre però è noto che sia alcuni Alleati che il Giappone avessero condotto studi in tale senso, non si hanno notizie certe di quanto fatto dai laboratori di ricerca nazisti. Pare che, infatti, Hitler avesse una grande repulsione per i germi ed il sudiciume in generale e questa sua fobia lo avesse indotto a non dare mai l’avvio ad una ricerca su questa tipologia di armi.

Il ricercatore spiega che alcune fonti inglesi ed americane ritengono che i nazisti abbiano invece fatto qualche sperimentazione con zanzare portatrici di malaria e proprio in Italia. Sfortunatamente, dato che gran parte della documentazione in merito è stata distrutta proprio dai tedeschi poco prima della fine della guerra, tutto quanto ipotizzato è difficilmente provabile. Fonte: I nazisti e la guerra batteriologica FONTE

Operazione May Day

Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.

L’operazione May Day (let. “primo maggio”) si riferisce a una serie di ricerche militari clandestine condotte a Savannah (Giorgia) nel 1956 da parte dell’US Army come parte di un programma per la guerra entomologica (EW).

Svolgimento

Dall’aprile al novembre del 1956, una serie di test sull’EW furono effettuati. Lo scopo principale era quello di verificare gli effetti delle dispersioni di alcune zanzare tigre egiziane in un’area urbana. Il progetto fu quindi effettuato a Savannah, e le zanzare vennero in seguito catturate attraverso trappole innescate con ghiaccio secco. FONTE

La guerra entomologica 

o EW (abbreviazione dall’inglese entomological warfare) è un tipo di guerra non convenzionale ove s’impiegano particolari specie di insetti a scopo tattico e strategico. Il concetto esiste da secoli, e diverse nazioni sono state accusate di aver creato programmi appositi per la realizzazione di tattiche di guerra entomologica o di averne fatto uso nel corso di conflitti…

Con guerra entomologica si intende un particolare sottogenere della guerra biologica, nella quale gli insetti sono usati come arma per attacchi diretti o come vettori per il trasporto di agenti biologici, come peste o colera. In grossa sostanza, l’EW si differenzia in tre categorie: utilizzo degli insetti come mezzo di spargimento di agenti patogeni in specifiche aree, utilizzo degli insetti come vettore per infettare qualsiasi entità vivente (uomini o animali) nell’area di azione, utilizzo dell’insetto a scopo strategico per la rovina di aree agricole o coltivabili. Un altro metodo, il più convenzionale, è quello di usare insetti non infetti, ad esempio api, per attaccare frontalmente il nemico. FONTE

Le 7 profezie che devono compiersi prima del ritorno di Cristo

Risultato immagini per bestia apocalisse

Poco prima della Sua crocifissione e resurrezione, Gesù Cristo enunciò un’importantissima profezia sugli eventi del tempo della fine, riportata in Matteo 24, Marco 13 e Luca 21. I Suoi primi discepoli gli chiesero: «Quando avverranno queste cose, e quale sarà il segno della tua venuta e della fine dell’età presente?» (Matteo 24:3). Gesù rispose con una descrizione delle condizioni e degli eventi che porteranno al Suo secondo avvento.

Inoltre, disse che dal momento in cui tali segnali si renderanno palesi, il Suo ritorno sarebbe avvenuto nell’arco di tempo di una generazione (Matteo 24:34). La generazione in questione potrebbe essere la nostra?
Nel corso dei 2000 anni trascorsi da quando Gesù Cristo enunciò la Sua profezia, sono stati in molti ad aver creduto che il Suo ritorno glorioso sulla terra fosse imminente e di poter vivere abbastanza da riuscire ad esserne testimoni, tuttavia i fatti li hanno smentiti. La cosa interessante è che la Bibbia contiene diverse profezie che non avrebbero potuto trovare compimento prima della nostra epoca moderna, il periodo successivo alla seconda guerra mondiale.

1 – La specie umana è ora in grado di autodistruggersi

Descrivendo le condizioni in cui il mondo si troverà prima del Suo secondo avvento, Gesù specificò che «se quei giorni non fossero stati abbreviati, nessuno scamperebbe; ma, a cagion degli eletti, quei giorni saranno abbreviati» (In Matteo 24:22).
Il messaggio principale che Gesù Cristo volle farci arrivare riguardo al regno ch’Egli instaurerà sulla terra in futuro è descritto come «l’evangelo di Dio» (Marco 1:14). Il termine evangelo significa «buona novella». Anche se alcune profezie sugli eventi che si verificheranno prima dell’avvento del Regno di Dio sulla terra possono suscitare timori, dovremmo tenere sempre a mente che il punto centrale di queste profezia è la buona novella del fatto che «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; ravvedetevi e credete al vangelo» (Marco 1:15).
Matteo 24:22 ci dice che se Gesù Cristo non intervenisse nelle questioni terrene, la specie umana andrebbe incontro all’estinzione. E’ di fondamentale importanza notare che l’uomo ha nelle proprie mani il potenziale per l’auto annientamento solamente da poco più di 50 anni, in particolare da quando gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica sono entrate in possesso della bomba ad idrogeno, costringendo così il mondo intero a dover imparare a convivere con la minaccia di una distruzione reciproca assicurata.
A quel tempo, le potenze nucleari erano solo tre (la terza era l’Inghilterra). Entro la fine degli anni ’60, anche la Francia e la Cina sono entrate a fare parte del club. Oggi come oggi sono almeno otto le nazioni ad avere a disposizione testate nucleari, e questo numero sembra essere destinato ad aumentare a causa della corsa agli armamenti nucleari in Medio Oriente.
Ovviamente, più sono le potenze nucleari nel mondo, più probabilità ci sono che un giorno qualcuno decida di abusare di armi così distruttive.
Ultimamente l’attenzione mondiale si sta concentrando sui programmi nucleari della Corea del Nord e dell’Iran, trascurando l’eventualità che l’arsenale nucleare del Pakistan possa cadere, in parte o interamente, nelle mani dei fondamentalisti islamici.
Durante la crisi tutt’ora in corso in Pakistan, i talebani, al-Qaeda e i loro simpatizzanti hanno acquisito sempre più potere, territori ed influenza, rendendo il terrorismo nucleare una minaccia molto concreta. Considerate le conseguenze che il mondo sarebbe costretto a subire se Osama Bin Laden (o chi per esso) avesse accesso alle armi nucleari!
Nel frattempo la Russia e la Cina stanno ostentando la loro forza militare, facendo crescere la paura di un ritorno alle tensioni dell’epoca della guerra fredda.
La buona notizia in tutto questo è la certezza che Gesù Cristo interverrà per salvare l’umanità dall’autoannientamento. Questa profezia non poteva compiersi prima che l’uomo sviluppasse la capacità di autoestinguersi, non prima cioè che venissero costruite le armi di distruzione di massa. Tutto questo è diventato possibile solo nel corso degli ultimi 50 anni.

2 – Una patria ebraica in Medio Oriente

Da un punto di vista geopolitico, il fulcro degli avvenimenti che caratterizzeranno il tempo della fine sarà il Medio Oriente e particolarmente «Gerusalemme» con i suoi dintorni, che molti chiamano «la Terra Santa».
Luca 21 presenta molte analogie con Matteo 24. Leggete cosa ci dice Luca riguardo alla lunga profezia di Cristo in risposta alla domanda dei discepoli: «Maestro, quando avverranno dunque queste cose? E quale sarà il segno del tempo in cui queste cose staranno per succedere?» (Luca 21:7).
Gesù disse loro che Gerusalemme sarebbe stata al centro delle agitazioni politiche e militari che precederanno immediatamente il Suo glorioso ritorno: «Quando vedrete Gerusalemme circondata d’eserciti, sappiate allora che la sua desolazione è vicina… Perché quelli son giorni di vendetta, affinché tutte le cose che sono scritte, siano adempite» (Luca 21:20-22).
Solo un secolo fa, davvero nessuno avrebbe saputo dare un senso a queste parole. Gerusalemme è stata teatro di numerosissimi scontri nell’antichità, ma a partire dal 1517 ha goduto di un periodo di pace durato quattro secoli all’interno dei confini dell’Impero Ottomano, dove gli ebrei vivevano come una minoranza sotto il dominio turco. Tuttavia, questa situazione era destinata a cambiare drasticamente nel corso del 20° secolo. Doveva cambiare, affinché la profezia biblica potesse compiersi.
Attraverso Zaccaria, un profeta dell’Antico Testamento, Dio fece molte rivelazioni sugli eventi del tempo della fine e sul secondo avvento del Messia. Zaccaria visse 500 anni prima del primo avvento di Cristo, e nonostante le sue profezie siano altrettanto datate, ci forniscono un’incredibile quantità di informazioni sul mondo odierno.
Attraverso questo Suo profeta, Dio dice: «Ecco, io farò di Gerusalemme una coppa di stordimento per tutti i popoli all’intorno; e questo concernerà anche Giuda [gli ebrei insediati nella terra di Israele], quando si cingerà d’assedio Gerusalemme. E in quel giorno avverrà che io farò di Gerusalemme una pietra pesante per tutti i popoli; tutti quelli che se la caricheranno addosso ne saranno malamente feriti, e tutte le nazioni della terra s’aduneranno contro di lei» (Zaccaria 12:2-3).
Nel versetto 9 Dio aggiunge: «E in quel giorno avverrà che io avrò cura di distruggere tutte le nazioni che verranno contro Gerusalemme.»
Leggendo queste parole profetiche, si potrebbe pensare che si riferiscano ad eventi passati, dato che nel corso della storia si sono combattute infinite guerre per la conquista di Gerusalemme. Tuttavia, il capitolo 14 rende chiaro il fatto che in realtà qui si sta parlando di eventi futuri, e non già avvenuti in passato. L’ambientazione temporale si colloca immediatamente prima del ritorno di Gesù Cristo.
«Ecco, viene un giorno dell’Eterno… Io adunerò tutte le nazioni per far guerra a Gerusalemme, e la città sarà presa, le case saranno saccheggiate, e le donne violate; la metà della città andrà in cattività… Poi l’Eterno si farà innanzi e combatterà contro quelle nazioni, com’egli combatté, le tante volte, il dì della battaglia…»
«I suoi piedi si poseranno in quel giorno sul monte degli Ulivi ch’è dirimpetto a Gerusalemme a levante, e il monte degli Ulivi si spaccherà per il mezzo, da levante a ponente, sì da formare una gran valle; e metà del monte si ritirerà verso settentrione, e l’altra metà verso mezzogiorno» (Zaccaria 14:1-4).
Chiaramente, gli eventi descritti nelle ultime righe di questa profezia devono ancora verificarsi.
Più avanti nello stesso capitolo leggiamo che quelle stesse nazioni che un tempo invasero Gerusalemme con l’intento di soggiogarla, alla fine ci si recheranno nuovamente, ma questa volta per adorare il Re, Gesù Cristo (versetto 16).
Questi capitoli di Zaccaria sono una profezia sugli eventi precedenti e contemporanei al futuro ritorno di Gesù, il cui punto centrale è evidentemente una Gerusalemme sotto il controllo degli ebrei.
Poco prima di Zaccaria, un altro profeta ebreo, chiamato Daniele, visse al tempo della prigionia degli ebrei a Babilonia. Nel suo libro ci anticipa che la sofferenza a cui gli ebrei sono continuamente sottoposti terminerà al tempo della fine (Daniele 12:11; leggere anche versetti 1-13), evento che ha anche un riferimento passato nella profanazione del tempio avvenuta per mano del comandante siriano Antioco Epifane durante il II secolo a.C. Gesù Cristo ha tuttavia ribadito che tale evento si verificherà in futuro, prima del Suo ritorno (confrontate Daniele 11:31; Matteo 24:15), il ché implica che gli ebrei saranno nuovamente sottoposti alle vecchie sofferenze, e che alla fine, con l’aiuto di Dio, riassumeranno il controllo della città.
Solo fino a un centinaio di anni fa sarebbe stato difficile immaginare che gli eventi si sarebbero evoluti in questo modo, per la semplice ragione che non esisteva alcuna entità politica ebraica, indipendente e sovrana, in Medio Oriente.
Dopo essersi ribellata contro i romani nell’anno 66 prima e successivamente nel 132, la Giudea fu schiacciata e la maggior parte del popolo ebraico venne dispersa all’interno dei confini dell’Impero Romano e anche oltre. Non vi fu alcuna patria ebraica fino al 1948, anni in cui venne fondata la moderna nazione di Israele.
Fino a un secolo fa, una patria ebraica indipendente non era altro che un sogno riservato a un gruppo ristretto di fanatici. Un passo in avanti venne fatto durante la prima guerra mondiale, quando gli eserciti del Commonwealth britannico assunsero il controllo di Gerusalemme strappandola dalle mani dei turchi nel dicembre del 1916. Qualche mese dopo, il governo britannico iniziò ad adoperarsi per la fondazione di una patria ebraica indipendente nelle terre in cui gli ebrei avevano vissuto per secoli.
Ci vollero altri 30 anni prima che il sogno diventasse realtà nel 1948. Eppure, da allora il piccolo stato di Israele dovette combattere più volte per la sopravvivenza, più precisamente nel 1948, nel 1967 e nel 1973, e fu costretto a subire innumerevoli attacchi terroristici e minacce di annientamento da parte dei vicini ostili determinati ad eliminare lo stato ebraico.
Ancora una volta, ci troviamo di fronte a una profezia che può trovare compimento solo ora, ai giorni nostri.

3 – I re del Nord e del Sud del tempo della fine

In Daniele 11 troviamo un’interessante profezia che parla di due capi, il «re del Nord» e il «re del Sud», che governano due regioni collocate rispettivamente a nord e a sud della Terra Santa. Per capire questa profezia dobbiamo fare qualche passo indietro fino ai tempi di Alessandro Magno, vissuto verso la fine del IV secolo a.C., 200 anni dopo Daniele.
La figura di Alessandro emerge in modo rilevante in tutto il libro di Daniele, anche se Daniele non conosceva il suo nome né lo conobbe mai personalmente. Del resto non sarebbe stato possibile, dal momento che morì quasi due secoli prima che Alessandro fece la sua comparsa sulla scena mondiale.
Ma Dio rivelò a Daniele che dopo Babilonia, sarebbe stata la Persia a diventare la maggiore potenza della regione, seguita dalla Grecia. Non sorprende il fatto che le profezie riguardanti l’ascesa al potere della Grecia siano incentrate sulla figura di Alessandro Magno, uno dei più grandi conquistatori della storia.
Daniele 8 ci dà un dettagliato resoconto dell’imminente scontro tra la Persia e la Grecia. Mentre leggete, ricordate che il corno simboleggia il potere regale e l’autorità. La Persia aveva «due corna; e le due corna erano alte, ma una era più alta dell’altra, e la più alta veniva su l’ultima.» Questo passaggio si riferisce all’Impero Medo-Persiano, l’unione di due nazioni o popoli. Come predetto nel versetto 3 sopra citato, i persiani arrivarono al potere dopo i medi.
Nel versetto 5 leggiamo della successiva sconfitta della Persia per mano di Alessandro Magno: «E com’io stavo considerando questo, ecco venire dall’occidente un capro, che percorreva tutta la superficie della terra senza toccare il suolo; e questo capro aveva un corno cospicuo fra i suoi occhi» (versetto 5).
Il «corno cospicuo», o comandante reale, era Alessandro Magno. La profezia sul suo esercito che non toccava nemmeno il suolo è un riferimento all’incredibile velocità con cui egli conquistò il mondo allora conosciuto. Tutte le sue conquiste avvennero in pochissimo tempo. Alessandro morì nel 323 a.C., a soli 33 anni. Persino la sua improvvisa ed inaspettata morte era stata profetizzata: «Il capro diventò sommamente grande; ma, quando fu potente, il suo gran corno si spezzò; e, in luogo di quello, sorsero quattro corna cospicue, verso i quattro venti del cielo» (versetto 8).
Quando Alessandro morì, il suo impero fu spartito tra quattro dei suoi generali, le quattro «corna cospicue» citate prima. Due di queste dinastie avrebbero avuto un forte impatto sul popolo ebraico, che si ritrovò nel mezzo. Queste due dinastie erano formate dai discendenti di Seleuco, che comandò un vasto impero da Antiochia in Siria, a nord di Gerusalemme, e di Tolomeo, che governò l’Egitto da Alessandria.
Daniele 11 è una lunga e dettagliata profezia sui conflitti dinastici tra queste due potenze, ai cui capi ci si riferisce rispettivamente come «il re del Nord» e «il re del Sud». E’ molto importante notare che ogni qual volta le due potenze combattevano l’una contro l’altra, gli ebrei venivano coinvolti. Questa situazione si protrasse dai tempi di Alessandro fino alla metà del II secolo a.C., un periodo di quasi due secoli.
Poi, improvvisamente, la profezia fa un salto temporale fino al tempo della fine.
Nel versetto 40 leggiamo: «E al tempo della fine, il re del mezzogiorno verrà a cozzo con lui; e il re del settentrione gli piomberà addosso come la tempesta, con carri e cavalieri, e con molte navi; penetrerà nei paesi e, tutto inondando, passerà oltre. Entrerà pure nel paese splendido [la Terra Santa], e molte popolazioni saranno abbattute» (Daniele 11:40-41).
Non abbiamo abbastanza spazio qui per fornire tutti i dettagli, ma possiamo dire che l’ultima parte della profezia di Daniele sul conflitto tra Nord e Sud descrive uno scontro tra due civiltà; da una parte troviamo il capo di una superpotenza europea che arriverà rapidamente al potere, una sorta di nuovo impero romano seguito al dominio sirio-seleucida, e dall’altra un successore della dinastia tolemaica d’Egitto, ora parte del mondo islamico. (Per saperne di più, richiedete o scaricate il nostro opuscolo gratuito Il Medio Oriente nella Profezia Biblica).
Stiamo assistendo ora all’allinearsi delle condizioni che condurranno a questo inevitabile conflitto internazionale. Segue adesso un’altra circostanza profetizzata che ha potuto trovare le condizioni adatte al suo adempimento solo ai giorni nostri!

4 – L’unione finale delle nazioni europee

In Daniele 2 e 7 leggiamo delle profezie che parlano di quattro grandi imperi di origine non ebraica che ascenderanno al potere nel periodo compreso tra il tempo di Daniele e la futura fondazione del Regno di Dio (Daniele 2:44). Daniele stesso visse al tempo del primo di questi grandi imperi (Daniele 7:4), come esule nell’antica Babilonia.
Dopo la caduta di Babilonia nel 539 a.C., la Persia diventò la potenza più forte, per essere poi seguita dalla Grecia (versetti 5-6). Dopo la Grecia fu la volta dell’Impero Romano, «spaventevole, terribile e straordinariamente forte.» Questo impero dalle «dieci corna» resisterà fino alla fondazione del Regno di Dio quando Cristo farà il Suo ritorno (versetti 7-9).
Come abbiamo visto nella sezione precedente, le corna rappresentano dei capi o dei governi. Qui le 10 corna simboleggiano 10 tentativi di rifondare l’impero romano e di portarlo ai fasti dei tempi antichi. Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente nell’anno 476 ci si è mossi più volte in tale direzione, ma il tentativo finale verrà compiuto poco prima del ritorno di Gesù Cristo.
Apocalisse 17 ci fornisce ulteriori dettagli. Qui leggiamo di un tentativo finale di riportare in vita l’impero romano per mano di «dieci re, che non hanno ancora ricevuto regno; ma riceveranno potestà, come re, assieme alla bestia, per un’ora. Costoro hanno uno stesso pensiero e daranno la loro potenza e la loro autorità alla bestia» (versetti 12-13).
Inoltre, «costoro guerreggeranno contro l’Agnello [Gesù Cristo], e l’Agnello li vincerà, perché egli è il Signor dei signori e il Re dei re» (versetto 14). Come le altre citate prima, anche questa profezia si riferisce chiaramente ad un evento futuro.
Gli sforzi di fondare un impero europeo unito compiuti in passato, da Giustiniano a Carlo Magno, da Napoleone a Mussolini e Hitler, erano stati basati tutti sulla forza. La resurrezione finale dell’Impero Romano, al contrario, avverrà diversamente.
Apocalisse 17 suggerisce che quest’unione avverrà in modo del tutto spontaneo. Quando questi 10 capi riceveranno il potere, lo cederanno volontariamente nelle mani di uno solo di essi. La profezia chiama questa figura o la nuova superpotenza come «la bestia», riconoscendole il ruolo di successore dei quattro imperi non ebraici profetizzati nel libro di Daniele, ognuno dei quali è rappresentato come una «bestia» o animale selvaggio.
Solo ora sussistono le condizioni necessarie al compimento di questa profezia.
Nel 1957 fu firmato il Trattato di Roma da sei nazioni europee che formarono la Comunità Economica Europea. La CEE si è poi evoluta nell’odierna Unione Europea (UE) formata da 27 stati membri, da cui molto probabilmente emergeranno come leader quelle 10 nazioni o quei 10 leader che faranno risorgere l’ultimo impero della storia umana, simile all’antico Impero Romano. (Per maggiori dettagli, leggere L’ascesa della nuova superpotenza mondiale, a pagina 13).
Alcuni hanno ipotizzato che i 10 re a cui ci si riferisce in questa profezia saranno i leader di 10 regioni dell’UE che ridisegneranno i confini dell’Europa, eliminando l’attuale divisione territoriale in nazioni-stati. Nella Bibbia non sono contenuti elementi che indichino quali saranno esattamente le dieci regioni o popolazioni che riporteranno in vita l’ultima superpotenza della storia umana; tuttavia la profezia biblica afferma che essa emergerà poco prima del ritorno di Gesù Cristo.
Le basi necessarie al compimento di questa profezia vennero tuttavia gettate solo nel 1981, anno in cui la Grecia, importante dal punto di vista storico-profetico, diventò il decimo membro dell’Unione Europea.

5 – Ascesa e caduta di Israele e Giuda al tempo della fine

«Israele» era il nuovo nome che Dio diede al patriarca biblico Giacobbe in Genesi 32. Le 12 tribù di Israele erano formate dai discendenti dei suoi 12 figli. Queste tribù formarono in seguito un regno unito.
Sono passati quasi 3000 anni da quando il regno di Israele fu diviso in due. Dieci delle 12 tribù di Israele si ribellarono al Re Roboamo, figlio di Re Salomone e nipote di Re Davide. La Bibbia continua a riferirsi a queste 10 tribù con il nome di Israele, mentre le altre due tribù (Giuda e Beniamino), che rimasero fedeli ai discendenti di Davide, erano conosciute come il regno di Giuda, o semplicemente Giuda.
Talvolta Israele viene definito come il regno settentrionale e Giuda come il regno meridionale. Tra le tribù settentrionali prevarranno i discendenti di Giuseppe, figlio di Giacobbe, grazie ai suoi figli Efraim e Manasse, che secondo la profezia di Giacobbe sarebbero diventati le nazioni più potenti del mondo negli ultimi giorni (Genesi 49:1, 22-26; confrontate Deuteronomio 33:13-17).
Circa 200 anni dopo la divisione del regno, le tribù settentrionali di Israele caddero sotto il dominio dell’Assiria e furono deportate dagli assiri nelle terre a nord del loro impero. In terre straniere essi perdettero la loro lingua e identità nazionale. Spesso definite come le tribù perdute, migrarono in seguito a nord-ovest attraversando l’Europa e insediandosi alla fine in nuove terre lontane dal Medio Oriente.
Il regno di Giuda cadde invece sotto Babilonia più di un secolo dopo la deportazione di Israele, ma la sua popolazione giudea non fu dispersa e potè preservare l’identità. Oggi li conosciamo con il nome di Ebrei.
Il nome Efraim è a volte usato rappresentativamente nelle Scritture per indicare l’intero regno settentrionale, anche se può anche riferirsi solamente ai discendenti del figlio di Giuseppe che portavano quel nome, destinati secondo la profezia a diventare una «moltitudine di nazioni» (Genesi 48:19). Per alcuni studiosi di profezia, questa promessa fatta ad Efraim avrebbe trovato compimento nell’impero britannico e nel Commonwealth.
Secondo la profezia, anche il fratello maggiore di Efraim, Manasse, era destinato a dar vita a una grande nazione (stesso versetto), separandosi dalla moltitudine di nazioni. Questa profezia troverebbe compimento con la formazione, la crescita e il dominio degli Stati Uniti d’America.
In un’illuminante profezia che riguarda gli Stati Uniti e l’Inghilterra, Giacobbe (Israele) disse: «Siano chiamati col mio nome» (versetto 16). I riferimenti ad «Israele» contenuti nelle profezie del tempo della fine sono spesso associati agli Stati Uniti o ai paesi anglofoni dell’impero britannico, o ad entrambi. Talvolta “Israele” può indicare tutte e 12 le tribù. Bisogna considerare i versetti specifici nel loro contesto per capirne con precisione il significato.
Il nome «Giudei», tuttavia, si riferisce sempre agli Ebrei, i discendenti del regno di Giuda. Dobbiamo anche ricordare che la moderna nazione chiamata Israele, formata solo da Giudei, rappresenta in realtà la rinascita dell’antico regno di Giuda.
Comprendere questa parte fondamentale della storia biblica ci aiuterà a capire meglio un passaggio delle Scritture contenuto nel libro di Osea, una profezia che riguarda Efraim (la «moltitudine di nazioni», cioè la Gran Bretagna e alcune delle nazioni che ne nacquero). Queste Scritture profetizzano la caduta sia d’Israele (Inghiterra e Stati Uniti) sia di Giuda (il moderno Stato d’Israele), al tempo della fine.
In Osea 5 leggiamo una profezia che menziona Israele, Efraim e Giuda: «L’orgoglio d’Israele testimonia contro di lui, e Israele ed Efraim cadranno per la loro iniquità; e Giuda pure cadrà con essi» (versetto 5). La profezia continua: «Andranno coi loro greggi e con le loro mandrie in cerca dell’Eterno, ma non lo troveranno; egli s’è ritirato da loro. Hanno agito perfidamente contro l’Eterno, poiché hanno generato dei figliuoli bastardi; ora basterà un mese a divorarli coi loro beni» (versetti 6-7).
«Basterà un mese a divorarli» sembra indicare che Israele, Efraim e Giuda cadranno tutte in breve tempo, forse davvero nel giro di un mese.
Questa profezia non trovò compimento in passato. Come già detto, l’antica Giuda cadde nelle mani di Babilonia più di un secolo dopo che Israele cadde sotto il dominio assiro. Eppure, sembra che alla fine essi cadranno insieme, nel giro di un mese l’una dall’altra. Questa profezia deve ancora compiersi.
Non dimenticate che Israele diede il suo nome ad Efraim e Manasse, i progenitori del popolo inglese e del popolo americano. Mentre Efraim è citato separatamente in questa profezia, il riferimento ad «Israele» deve essere associato agli Stati Uniti, al momento la nazione dominante tra le due.
Per i due secoli che hanno preceduto la seconda guerra mondiale i ruoli erano ribaltati: la moltitudine di nazioni, ovvero l’impero britannico, era una potenza più forte rispetto alla singola nazione, gli Stati Uniti. Tuttavia oggi è l’America ad essere più potente.
«La casa o regno di Giuda» si riferisce al popolo ebraico, in particolare a coloro i quali oggi formano la moderna nazione collocata in Medio Oriente che porta il nome di Israele.
La profezia di Osea riguarda tutte e tre le nazioni, ovvero gli Stati Uniti, l’Inghilterra e Israele (Giuda). Secondo tale profezia, sembra che tutte e tre cadranno nell’arco di un mese. Il versetto 6 descrive queste nazioni voltarsi indietro verso Dio, ma accorgendosi solo allora che è troppo tardi. A causa dei loro peccati, Egli le lascerà crollare e subire la sconfitta.
Questa profezia non poté compiersi prima dell’ascesa dell’Inghilterra e degli Stati Uniti al ruolo di potenze mondiali nel XIX secolo e della formazione dello stato ebraico di Israele nel XX secolo.
Per evitare che quest’ipotesi possa sembrare bizzarra, considerate che Israele e gli Stati Uniti sono forse le nazioni maggiormente contrastate e criticate sulla faccia della terra. Tra i fanatici islamici, l’America è comunemente chiamata “il grande Satana”, mentre Israele e l’Inghilterra vengono definiti “i piccoli Satana”.

6 – E questo evangelo sarà predicato in tutto il mondo

Nella Sua più importante profezia sul tempo della fine, Gesù risponde alla domanda dei Suoi discepoli: «Quando avverranno queste cose, e quale sarà il segno della tua venuta e della fine dell’età presente?» (Matteo 24:3).
Dopo aver elencato diversi segnali che indicheranno l’imminenza del Suo avvento, Egli rivela che «questo evangelo del Regno sarà predicato per tutto il mondo, onde ne sia resa testimonianza a tutte le genti; e allora verrà la fine» (versetto 14).
Il vangelo è la buona novella del «regno di Dio», che Gesù Cristo instaurerà su tutta la terra al Suo glorioso e personale ritorno. L’evangelo iniziò a propagarsi in tutto il mondo solo a partire dal XV secolo, grazie a Johan Gutenberg, che rese possibile la stampa della Bibbia in molte copie e in diverse lingue, e a popoli come gli anglofoni, i quali introdussero gradualmente sia la Bibbia che la libertà di culto, entrambe necessarie alla diffusione dell’evangelo. (Prima di allora fino a meno di 50 anni fa la maggior parte delle popolazioni era analfabeta e la lettura della Bibbia era una prerogativa esclusiva dei preti.)
Tuttavia, fu solo con i progressi tecnologici raggiunti con la televisione, la radio e altri mezzi di comunicazione di massa dopo la seconda guerra mondiale e la loro diffusione a livello globale che divenne possibile portare il messaggio della Bibbia a centinaia di milioni di persone. Il vangelo del Regno di Dio continuerà ad essere predicato in tutte le nazioni fino a quando avremo la libertà di continuare a pubblicare La Buona Notizia e a portare avanti gli altri nostri messaggi multimediali.
Ciò nonostante, durante gli ultimi 50 anni non è stato possibile recapitare il messaggio in tutti i paesi. Le ex nazioni comuniste, ad esempio, non permettevano la libertà di culto. La Cina, la cui popolazione ammonta a un quarto di quella mondiale, la vieta tutt’ora, ma non è la sola. Ci sono infatti molte altre nazioni in cui la pubblicazione della verità biblica e persino della Bibbia stessa è vietata. In molte nazioni islamiche non è permesso professare altre religioni all’infuori dell’islam, tanto che in alcuni paesi c’è addirittura la pena di morte per chi cambia religione.
Ma l’avvento di internet sta cambiando tutto. E’ molto più difficile per i governi esercitare il loro controllo. Il messaggio del vangelo concernente il futuro avvento del Regno di Dio si sta ancora propagando nel mondo, e si fermerà quando Dio avrà deciso che la Sua opera è compiuta e che è giunto il momento che gli eventi finali del tempo della fine abbiano inizio. Questa è un’altra profezia che non si è potuta compiere fino a poco tempo fa.

7 – La comunicazione globale e gli ultimi due testimoni di Dio 

C’è un’altra profezia biblica sul tempo della fine che può compiersi solo ora, in quest’epoca caratterizzata da una comunicazione globale in tempo reale.
Nella Sua più importante profezia sul tempo della fine (in Matteo 24, Marco 13 e Luca 21), Gesù ha dato una descrizione a grandi linee dei disastri che sconvolgeranno la scena mondiale con sempre maggiore frequenza ed intensità, al punto tale che «gli uomini verranno meno per la paurosa attesa di quello che starà per accadere al mondo» (Luca 21:26). Per poter avere piena consapevolezza della situazione che verrà a crearsi e per agire di conseguenza, bisogna prima conoscere tali eventi.
Al tempo in cui la profezia fu scritta, potevano passare diversi mesi o anni prima che la gente venisse a conoscenza dei vari disastri accaduti in altre parti del mondo, in molti casi addirittura non si veniva a sapeva proprio niente, e ancora più difficile era riuscire a realizzare che le varie catastrofi si stavano verificando su scala globale sempre più frequentemente.
Solo con la crescente diffusione dei quotidiani e di altre forme di comunicazione di massa tutto questo è diventato possibile. Tuttavia, il livello di consapevolezza e il conseguente timore di molti di cui parla Cristo implica una disponibilità e una facilità di reperimento di informazioni ancora maggiori, condizione resa possibile solo grazie allo sviluppo di mezzi di comunicazione elettronici rapidissimi come Internet.
Infatti, solo con i progressi tecnologici degli ultimi anni potranno prendere corpo gli eventi descritti in Apocalisse 11, e la gente in tutto il mondo potrà conoscere, vedendo in diretta, il destino dei due ultimi testimoni di Dio che questi farà sorgere quando Gerusalemme sarà calpestata dagli eserciti stranieri.
Questi due testimoni, che ricordano altri profeti biblici come Elia e Eliseo, porteranno al mondo l’avvertimento finale di Dio durante i tre anni e mezzo che precederanno il ritorno di Cristo.
«Io darò ai miei due testimoni di profetizzare, ed essi profetizzeranno milleduecentosessanta giorni, vestiti di sacco… E quando avranno compiuto la loro testimonianza, la bestia che sale dall’abisso farà guerra contro di loro, li vincerà e li ucciderà. E i loro cadaveri giaceranno sulla piazza della grande città, che spiritualmente si chiama Sodoma ed Egitto, dove anche il nostro Signore è stato crocifisso. E uomini dei vari popoli, tribù, lingue e nazioni vedranno i loro cadaveri per tre giorni e mezzo, e non permetteranno che i loro cadaveri siano deposti nei sepolcri. E gli abitanti della terra si rallegreranno su di loro, faranno festa e si manderanno doni gli uni agli altri, perché questi due profeti avevano tormentato gli abitanti della terra» (Apocalisse 11:3, 7-10).
Notate il fatto che tutto il mondo potrà vedere i loro corpi senza vita durante i 3 giorni e mezzo in cui giaceranno a Gerusalemme esposti alla vista di tutti. Questo non sarebbe stato possibile prima dell’avvento della televisione satellitare, degli apparecchi di comunicazione mobile e di internet. Di nuovo, solo negli ultimi anni sono maturate le condizioni necessarie affinché questa profezia potesse compiersi.
Sarà questa nostra generazione a vedere il ritorno personale e glorioso di Gesù Cristo e l’instaurazione del Regno di Dio sulla terra?
Abbiamo visto come le condizioni necessarie al compimento di queste sette profezie bibliche si siano venute a creare solo in tempi recenti. In effetti, la fondazione dello stato di Israele nel 1948 è stato un punto di svolta fondamentale nel compimento della profezia biblica, così come l’acquisizione della bomba ad idrogeno da parte delle due superpotenze degli anni ’50 che ci ha condotti ad un’epoca di autodistruzione totale.
Ora tutto è possibile, e questo rende molto più probabile il fatto che sia proprio la nostra generazione quella che assisterà al ritorno di Cristo e all’instaurazione del Regno di Dio in terra. Dopo tutto, Gesù Stesso disse che una volta che questi eventi avranno inizio, «…questa generazione non passerà, finché tutte queste cose non siano avvenute» (Matteo 24:34).
E’ spaventoso ed incoraggiante allo stesso tempo pensare che molto probabilmente apparteniamo al secolo che testimonierà all’evento più importante nella storia dell’umanità. Come Gesù Cristo dice ai Suoi discepoli di tutti i tempi in Luca 21:28, «Ora, quando queste cose cominceranno ad avvenire, riguardate ad alto, e alzate le vostre teste; perciocchè la vostra redenzione è vicina.»

Geopolitica del Coronavirus

LA BESTIA DI TERRA E LA BESTIA DI MARE: COLOSSI CONTINENTALI E POTENZE MARITTIME IN UN PROSSIMO SCONTRO APOCALITTICO? (Apocalisse 13)

DI FEDERICO DEZZANI



Mentre in Italia il Coronavirus produce i suoi pesanti e scontati effetti economici/finanziari, nell’ottica di una più ampia destabilizzazione dell’Europa, altri Paesi risultano essere particolarmente investiti dal virus: in primis Corea del Sud e Iran. Il diffondersi della malattia segue dunque criteri squisitamente geopolitici e si inserisce nella più ampia strategia delle potenze marittime anglosassoni contro la massa continentale afro-euro-asiatica.



Virus lungo la Via della Seta

Sono trascorsi poco più di sette giorni dalla nostra ultima analisi sul diffondersi del Coronavirus in Italia e gli avvenimenti intercorsi ne mostrano la validità: a fronte di un numero relativamente basso di vittime (circa 80 su 2.500 casi) ed una mortalità di poco superiore alla normale influenza, questa acuta forma di polmonite ha prodotto, produce e produrrà enormi danni economici e finanziari, vero obiettivo dell’attacco asimmetrico di cui è vittima l’Italia. Le regioni più produttive d’Italia sono soggette a misure che restringono la circolazione delle persone e delle merci; il clima di incertezza ha congelato gli investimenti e le assunzioni; i voli aerei da/per l’Italia sono stati oggetto di limitazioni; il turismo, una voce che vale il 5% del PIL, ha incassato forse il colpo più duro, grazie anche al clima d’emergenza creato ad hoc attorno all’Italia dai media esteri. Ci sono volute poche ore perché la crisi si trasmettesse ai titoli di Stato italiani ed è molto probabile che il circolo vizioso (panico>crisi economica>crisi del debito) debba produrre ancora i suoi effetti peggiori. L’Italia è, infatti, il “ventre molle” dell’eurozona e l’attacco bioterroristico angloamericano mira sopratutto a destabilizzare l’eurozona e l’Unione Europea nel suo complesso: l’operazione è facilitata anche dalle dinamiche messe in moto dal virus: la tentazione di ripristinare le frontiere in Europa e procedere in ordine sparso è fin troppo evidente. Va da sé che un collasso violento dell’Unione Europa, con la conseguente crisi politica ed economica, rallenterebbe non poco il tentativo cinese di “agganciare” il Vecchio Continente alla Via della Seta.

Già, perché il Coronavirus sembra proprio studiato per destabilizzare non soltanto l’Europa, ma la massa afro-euro-asiatica nel suo complesso, massa che Russia e Cina stanno tentando di organizzare con una rete di infrastrutture sempre più fitta ed intricata. Il primo e più potente colpo è stato sferrato dagli angloamericani ovviamente in Cina (80.000 casi) che, per fare fronte al propagarsi dell’epidemia, ha dovuto adottare contromisure senza precedenti: come nel caso italiano, i danni umani sembrano contenuti, ma quelli all’attività economica sono ingenti e si attende per questi mesi un brusco calo dell’attività produttiva: il sistema-Paese non dà comunque segni di cedimento, grazie alla solidità della macchina statale centralizzata e alla consapevolezza, molto diffusa tra tutti gli strati della popolazione, di dover fronteggiare un vero e proprio assalto statunitense. Ovviamente le ripercussioni economiche sono pesanti anche per gli Stati Uniti, ma è errato in questa nuova fase storica attribuire troppa importanza al “business”: la geopolitica, intesa come duello tra colossi continentali e potenze marittime, domina ormai l’agenda di Washington e Londra e una destrutturazione violenta della globalizzazione (velocizzata da un collasso delle piazze finanziarie che si fa giorno dopo giorno più concreto) coincide perfettamente con i piani delle potenze anglosassoni, accortesi di aver perso il primato economico in troppi campi (dal 5G ai treni superveloci).


Tra Italia e Cina, i principali focolai di Coronavirus agli estremi opposti dell’Eurasia, due Paesi risultano essere stati particolarmente colpiti, attraverso i soliti canali “misteriosi” dietro cui si celano attacchi biologici mirati: Iran e Corea del Sud. Sull’Iran (90 morti e 2.900 casi), specie dopo il recente omicidio del generale Souleimani, si è troppo scritto per doverne parlare ancora: ci basti qui dire che Teheran è un ottimo fornitore di greggio alla Cina, è parte integrante del corridoio centrale della Via della Seta che dovrebbe unire le regioni occidentali cinesi all’Europa via Istanbul, consente alla Russia di affacciarsi, se necessario, all’Oceano Indiano. Più interessante, perché ne abbiamo sinora parlato meno, è il dilagare del Coronavirus nella Corea del Sud, dove sinora si contano circa 5.000 casi ed una trentina di vittime ed il governo di Seul si è visto costretto a dichiarare “guerra” al virus. Colpire l’Italia per destabilizzare l’Europa e punirla per aver aderito alla Via della Seta, colpire l’Iran perché un tradizionale nemico, ma perché colpire anche la Corea del Sud? Chi avesse seguito la politica dell’Estremo Oriente in questi ultimi anni, dominata dalle tensioni attorno al nucleare nordcoreano, avrà certamente notato il progressivo “ritorno” (perché così è stato per millenni) anche della Sud Corea nell’orbita cinese. Il dislocamento nella penisola coreana del sistema antimissilistico THAAD, uno strumento neppure troppo velato di “contenimento” della Cina, aveva inasprito nel 2017 i rapporti tra Pechino e Seul; da allora, fungendo da mediatore tra le due Coree, Pechino si è riavvicinata al piccolo, ma altamente industrializzato, paese asiatico, sino alla decisione del dicembre 2019 di “normalizzare” i rapporti, chiudendo i recenti dissapori dovuti al dispiegamento del THAAD. Seul, come molti altri Paesi del sud-est asiatico, sta dunque anch’essa convergendo verso l’Impero Celeste e non ha alcuna intenzione di fungere da “testa di ponte” degli angloamericani sul continente asiatico: come molti altri Paesi del sud-est asiatico (si veda il caso della Malesia), anche la Corea del Sud ha quindi avuto la sua “punizione”. Il Coronavirus appunto.

Chiudiamo la nostra analisi sulla geopolitica del Coronavirus con un accenno all’Africa. Nelle ultime settimane, prima che il virus si diffondesse in Italia, si è molto parlato del rischio di un’epidemia in Africa, dove peraltro mancherebbero le strutture per contenerla. Pare che il clima caldo disincentivi il propagarsi della malattia e ciò metterebbe dunque almeno parzialmente al sicuro le regioni africane tropicali: non c’è alcun dubbio, infatti, che se gli angloamericani dovessero sferrare un attacco biologico anche nel Continente Nero, sceglierebbero certamente il Corno d’Africa e la regione compresa tra Gibuti e l’Etiopia: i Paesi, cioè, toccati dal corridoio marittimo della Via della Seta.
(L'attacco c'è stato  in Etiopia vedi: https://verainformazionerealtime.blogspot.com/2020/03/malattia-x-si-teme-abbia-colpito.html)


Federico Dezzani



1969. Da Hong Kong arrivò la "spaziale", il diverso approccio mediatico rispetto al Coronavirus


Da ieri è diventato virale un filmato dell'Istituto Luce sull'epidemia influenzale denominata "la spaziale" che ebbe la sua diffusione in Italia tra il 1969 e il 1970 . L'influenza si propagò da Hong Kong nel 1968, a quell'epoca colonia britannica, e causò tra i tra i 750.000 e i 2 milioni di morti nel mondo. In Italia, almeno 13 milioni di Italiani rimasero al letto, e 5000 furono i morti.


Nel video dell'Istituto Luce quello che sorprende è la tranquillità con la quale viene descritta la situazione, seppur grave. Si parla di ospedali pieni, fabbriche, scuole, uffici vuoti senza toni apocalittici.


Addirittura non manca un cenno ironico quando si cita il proverbio inglese "quando Mao starnuta il mondo si ammala".




Epidemia Virus Cinese In Italia 1970
Epidemia Virus Cinese In Italia 1970
00:00
/
01:34

 LIVE
00:00
Next Video
×
Next Video
Cancel
Autoplay is paused

 FONTE E ARTICOLO COMPLETO: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-1970_dalla_cina_arriv_la_spaziale_13_milioni_di_italiani_al_letto_5000_morti_nessuna_isteria/82_33419/

Mazzucato: “O cambia il capitalismo o ci sarà un nuovo fascismo”

Incontro con Mariana Mazzucato (gruppo Bilderberg)


Mariana Mazzucato, di recente è entrata (insieme al belga Gunter Pauli) a Palazzo Chigi in veste di nuovo consigliere economico del premier Giuseppe Conte. 


Spendere, ma per fare il bene pubblico. Creando valore, e non sottraendolo alla collettività. Guardando al lungo periodo, e non all’immediato: perché gli strumenti per ripensare l’economia sono gli stessi capaci di produrre inclusività, giustizia sociale, attenzione alla diversità. In altre parole, una società migliore.

Mariana Mazzucato, https://marianamazzucato.com, economista, docente di Innovation and Public Value all’University College di Londra, direttrice dell’Institute for Innovation and Public Purpose e autrice di The value of everything (Il valore di tutto) da tempo racconta l’esigenza di un cambio di paradigma nei modelli economici dominanti, a partire da una consapevolezza: se non si cambia rotta il rischio molto concreto è quello di una nuova ondata di fascismo, perché gli effetti di scelte economiche sbagliate si misurano non solo sul Prodotto interno lordo, ma soprattutto sulla società.

Partiamo dall’inizio: il capitalismo è davvero “rotto”?
“Direi di sì, e le ragioni sono diverse. La prima è che c’è stata una finanziarizzazione spaventosa dell’economia, il che significa sia che il settore finanziario è diventato più importante dell’economia reale, sia che l’economia reale è diventata finanziarizzata: con un gioco di parole, la finanza finanzia la finanza”.

Cosa significa concretamente?
“Gli investimenti si concentrano nei settori che in inglese si indicano con l’acronimo FIRE: Finance, Insurance, Real Estate (finanza, assicurazioni e immobiliare). Va poi anche detto che l’enfasi delle aziende, a livello globale, è più nel ricomprare le proprie azioni che nell’investire lo stesso denaro sul capitale umano, o per altri investimenti produttivi: soltanto le imprese del cosiddetto Fortune 500 hanno speso tre trilioni di dollari in shares buyback”.

Sostanzialmente, fanno salire il valore delle proprie azioni usando la finanza piuttosto che creare le condizioni per una crescita di lungo periodo.
“Esatto. C’è poi una terza questione che spiega perché il capitalismo è “rotto”. Se infatti anche gli investimenti ci fossero, servirebbe una profonda trasformazione del modo in cui vengono erogati e gestiti. Prendiamo il settore dell’acciaio, che è in crisi seria sia in Italia che nel Regno Unito. Le aziende hanno affrontato la crisi semplicemente richiedendo fondi e altre forme di sostegno al governo, spesso ottenendoli. Ma non è accettabile: i governi non devono distribuire denaro, devono creare le condizioni per la trasformazione del comparto in crisi. Qualsiasi settore dovrebbe poter ricevere sostegno solo a condizione che metta in piedi le condizioni per trasformarsi, e che evolva in qualcosa che porti benefici alla società nel suo complesso. Questo è l’approccio che è stato usato in Germania, per esempio, ma è un caso abbastanza isolato. Ironicamente, sono i Paesi in via di sviluppo quelli più inclini a trasformazioni che vadano in direzione della sostenibilità ambientale”.

E l’Italia?
“L’Italia affronta una crisi massiccia, politica ed economica, da prima dell’introduzione dell’euro: vent’anni caratterizzati da zero crescita della produttività, da bassissimi investimenti pubblici e privati e da una relazione parassitaria tra il settore pubblico e quello privato. Il governo gialloverde in carica finora ha fatto promesse populiste che portano immediata soddisfazione – la flat tax, per esempio – mentre servirebbero investimenti massicci in tutto quello che può garantire e strutturare una crescita di lungo periodo: scuola, ricerca, scienza e via discorrendo”.

C’è sempre la questione dei conti pubblici.
“Si continua a parlare del deficit, ma non è un problema reale. Infatti è stato molto basso per anni eppure il rapporto tra il debito e il Pil ha continuato ad alzarsi perché il denominatore non cresce. A livello puramente teorico, il rapporto potrebbe crescere all’infinito se non si fa qualcosa per far crescere il Pil. Non sono a favore della Brexit o di alcuna uscita dall’euro, ma uno dei problemi dell’Europa è che deve capire che il problema dei Paesi del Sud – Italia, Grecia, Portogallo – non è l’eccesso di spesa, bensì gli investimenti scarsi, l’assenza di un ecosistema di innovazione, la produttività ferma, la mancanza di cambiamenti strutturali. La diagnosi sbagliata del problema produce effetti: la prolungata enfasi sul tagliare – è così ancora adesso – ha reso il deficit basso una scusa per non cambiare le componenti strutturali dell’economia”.





Quali sono gli effetti di un capitalismo che non cambia, e di governi che sbagliano gli interventi, sulla società?
“L’avanzata di un nuovo fascismo. Per capirlo bisogna fare un passo indietro. La crisi finanziaria ha avuto enormi conseguenze che ancora persistono, e che ancora animano la rabbia della gente: basti dire che nel novembre del 2010, 120 mila case furono pignorate solo negli Stati Uniti e nessuna delle persone impiegate nelle banche e nel settore finanziario – responsabili della crisi – sono state chiamate a rispondere legalmente delle proprie azioni. Questo ha contribuito ad alimentare l’insoddisfazione anche nei confronti della politica, e la crescita delle destre. Così, in assenza di una contronarrativa e di una seria strategia alternativa per la crescita, basata sull’inclusività e non sulla mera redistribuzione a qualcuno, che è uno degli argomenti facili del populismo, emergono personaggi come Salvini in Italia o Trump negli Stati Uniti, capaci di intercettare e fare crescere questa onda di insoddisfazione, un po’ come è successo negli Anni 30”.

La redistribuzione però è importante.
“Infatti nelle nostre priorità deve esserci sì risolvere la questione del cambiamento climatico, per cui abbiamo soltanto 12 anni rimasti o saremo tutti sott’acqua, ma c’è anche con parimenti forza l’esigenza di risolvere la crisi del populismo: altrimenti rischiamo di avere un pianeta sostenibile, ma senza la giustizia sociale, la tolleranza, l’inclusività. L’esigenza di lottare per una società tollerante ed equa, basata sulla collaborazione e sulla cooperazione, in cui si rispettano le diversità, va di pari passo con l’importanza della definanziarizzazione dell’economia e con la lotta ai cambiamenti climatici. Le tre cose sono assolutamente collegate, perché lavorare sulle prime significa spingere per una crescita sostenibile, verde, inclusiva. Significa passare da un modello di estrazione del valore a uno di creazione del valore”.

Come si traduce in concreto?
“A un livello di politiche, significa letteralmente rendere più premiante “il lungo periodo” piuttosto che il breve. Un esempio semplice è una tassa che renda le transazioni finanziarie che avvengono in millisecondi meno profittevoli degli investimenti nell’economia reale. Questo coincide esattamente con l’idea di premiare la creazione di valore, e non la sua estrazione. Invece, per effetto della finanziarizzazione di cui parlavamo all’inizio, le aziende si preoccupano prevalentemente dei prezzi di Borsa, e non della ricerca e sviluppo, delle risorse umane, della formazione del personale in modo che non resti sopraffatto dalla rivoluzione tecnologica. C’è di più: molte corporation hanno ricevuto massicci benefici dai governi, senza che fossero condizionati all’impiegarli per fare anche il bene pubblico. Negli Usa per esempio l’industria farmaceutica riceve 40 miliardi di dollari all’anno di investimenti, che andrebbero utilizzati non solo per sviluppare i farmaci che servono ma anche per renderli disponibili a costo sostenibile per la popolazione. Purtroppo, siamo abbastanza lontani dal vederlo succedere: per lo più siamo ancora con un modello economico in cui le aziende “estraggono” valore dal pubblico, ma non lo creano”.


È una dinamica parassitaria del capitalismo: le aziende assorbono i benefici, ma non restituiscono nulla.
“Tutti parlano dei robot e di come ci stiano rubando il lavoro, ma non è vero. Il problema non è la tecnologia, è che le aziende non investono sui lavoratori: ci vorrebbe una sorta di contratto sociale obbligatorio che regoli i benefit di cui godono le aziende e quello che devono restituire al pubblico. Il posto in cui si vede questo meccanismo all’opera è la Silicon Valley, dove le società del tech che hanno approfittato massivamente di investimenti pubblici, evadono le tasse penalizzano quindi i fondi pubblici per le scuole e ed altre infrastrutture critiche per i cittadini”.


Qual è invece la responsabilità dei governi?

“I governi dovrebbero fare almeno due cose importanti. In primis, assicurarsi di fare investimenti, specie quando c’è un problema di investimenti privati; poi, premiare le aziende che fanno investimenti di lungo periodo, così come quelle che lavorano concretamente per spingere la transizione a un altro modello. Si deve mettere denaro pubblico nell’economia verde, o usare le tasse e gli stimoli per spingere il cambiamento”.


Questi temi sono stati trattati più di una volta. Si fanno conferenze, gli economisti lo dicono, se ne parla sui giornali. Perché la classe politica – in Italia e non solo – non sembra afferrare l’urgenza del cambio di paradigma?
“Beh, intanto non credo che siano davvero molti gli economisti che la pensano così: basta pensare a quello che scrivono Alesina e Giavazzi, in Italia, che è più o meno l’opposto. Anche nel Regno Unito e in America la dottrina economica predominante è ancora su posizioni molto diverse per quello che riguarda gli investimenti pubblici e la tassazione, e influenza la pratica politica. Ci sono alcuni economisti che sostengono le cose che abbiamo detto in questa chiacchierata, ma non sono abbastanza e forse non c’è abbastanza attenzione dei media tradizionali. Soprattutto, però, per capire come mai non si cambia prospettiva bisogna considerare il denaro: l’ideologia che predica il contrario di quello che abbiamo appena detto serve enormi interessi economici. Non solo perché si possono fare profitti - per esempio se alle aziende o a certi settori industriali vengono offerti sgravi fiscali - ma perché dietro all’aumento dei profitti ci sono quantità enormi di denaro speso in lobbying. Tutti sappiamo che Google non paga abbastanza tasse, ma la vera questione sono i denari spesi e gli accordi presi sottobanco per riuscirci. Il che peraltro non fa che aumentare il populismo, e non produce nessun effetto reale sull’economia. Ci vorrebbero risorse enormi per combattere quella propaganda…”.


Quindi, come si inverte la rotta?
“Ci vuole molta più coordinazione e bisogna anche capire che l’innovazione non è solo una questione di buone o cattive idee. Questa è l’estate in cui celebriamo lo sbarco sulla luna, forse l’impresa più grande compiuta dall’uomo, e dimostra che possiamo fare cose grandiose se ce lo diamo come obiettivo e costruiamo un mind set, una cornice mentale per ottenerlo. Dopo la crisi economica, per esempio, non ci siamo dati come obiettivo il cambiamento del sistema finanziario, e non perché non fossimo capaci: non eravamo abbastanza determinati. Per cambiare il modello serve coordinamento tra Paesi con uno sforzo internazionale, trainato da qualche governo illuminato: il livello nazionale non basta. Ma ci vogliono anche un pensiero sistematizzato e moltissime risorse: se potessimo mettere insieme gli economisti, i ricercatori, gli avvocati e i media in una coalizione per creare una narrazione alternativa dei fattori chiave di una crescita di lungo periodo e della lotta al cambiamento climatico, dell’esigenza di creare nuovi tipi di partnership provato pubblico, ogni risultato sarebbe alla nostra portata. Bisogna solo capire che è davvero una battaglia”.



E tuttavia, considerato il mondo in cui viviamo, in cui si sfarinano persino le intese già fatte come quella sul cambiamento climatico, non sembra uno scenario realistico.
“È vero, ma la cosa importante è concentrarsi sugli esempi che funzionano: per esempio se si prende il settore dell’acciaio è chiaro che bisogna fare come la Germania e non come l’Italia e il Regno Unito. La Danimarca, un Paese molto piccolo, è diventato il fornitore numero uno di servizi high tech al settore dell’economia verde cinese, che investe nella trasformazione energetica 1,7 trilioni di dollari. Questo è possibile perché a livello locale la Danimarca ha saputo costruire un ecosistema sostenibile, creando connessioni rilevanti tra i servizi e il settore manifatturiero: ora quel know how è al servizio della più grande economia mondiale, e possono insegnarlo al resto del mondo.
È da qui che bisogna ripartire: quello che non mi piace dell’economia predittiva è che spesso non si prende il giusto tempo per provare a cambiare le cose dal basso, o anche solo a imparare dalle esperienze degli altri per poi “teorizzare”. In questo momento storico, non abbiamo bisogno di più critici, ma di più persone che facciano”.