In base ai numeri raccolti su dati del Registro imprese, quasi 20mila imprenditori cinesi sono attivi nel commercio e 17 mila nel manifatturiero. Ci sono poi oltre 7mila imprese dell'alloggio e ristorazione e oltre 4mila nei servizi alla persona. E se il manifatturiero si concentra in Toscana (7.485 imprese su 17.572 in Italia, 42,5% nazionale), la Lombardia è prima per presenza di ristoratori e baristi (2.564 imprenditori su 7.131, 36% nazionale) e fornitori di prestazioni alla persona (1.908 su 4.775, il 40%). I settori in cui "dominano" i cinesi sono senza dubbio alcino il commercio-venditori ambulanti, il manifatturiero e la ristorazione-bar.
Nella sola Lombardia, che conta complessivamente oltre 10mila imprese cinesi, alle spalle di Milano si piazzano per numero di imprenditori attivi Brescia (1.019), Mantova (757), Bergamo (684), Varese (573) e Monza Brianza (535). Per tasso di crescita negli ultimi sei anni domina in regione la provincia di Monza Brianza che segna un +80%. Segue Lecco (+68%), Lodi (+60%) e Como (+57%). Milano, da sempre molto vissuta dalla comunità del Dragone, negli ultimi sei anni ha visto aumentare le imprese cinesi crescere del 38%.
A livello regionale, in base agli ultimi dati disponibili, le imprese cinesi in Italia si concentrano soprattutto al nord, in particolare in Toscana, Lombardia e nel Veneto. Interessante notare come negli ultimi anni si sia registrato un boom in Campania, dove le imprese cinesi sono cresciute del 46%. L'imprenditoria straniera nel 2017 è stata pari all'8,8% del totale Italia, mentre nel 2009 era soltanto pari al 6,2%: una crescita costante.
Nel 2017 le somme complessive di denaro inviate verso il Paese d'origine dagli immigrati cinesi presenti nel nostro Paese è stato di 136 milioni di euro. Nel 2012 erano stati inviati in Cina ben 2,6 miliardi di euro, secondo recenti studi della Cgia di Mestre.
Un autentico contributo all’economia del paese
Le aziende cinesi, negli ultimi anni, hanno aumentato sempre più la loro presenza in Italia con investimenti che sono andati a coprire pressoché tutti i settori dell’economia. Questo fenomeno, oltre a costituire per il nostro Paese una grande opportunità di rilancio e di crescita – che, peraltro, l’attuale Governo sta notevolmente favorendo ed incentivando attraverso le recenti missioni istituzionali organizzate in Cina – ha, al tempo stesso, consentito di salvaguardare un considerevole numero di posti di lavoro, diversamente destinati ad andare inevitabilmente persi a causa della crisi.
Di fatto, è dagli inizi del 2014 che la Cina ha dato massicciamente il via ad un’intensa opera di penetrazione del panorama industriale italiano.
Fca, Telecom Italia, Enel, Generali e Terna sono solo alcune delle realtà in cui, allo stato attuale, le aziende cinesi risultano aver acquisito significative partecipazioni.
Il picco di investimento si è avuto, in particolare, tra il 2014 ed il 2015, anno in cui il gigante dell’industria chimica cinese, China National Chemical, si è garantito una quota di controllo di Pirelli per un valore pari a 7.3 miliardi di euro, realizzando, così, l’operazione di acquisizione di un gruppo italiano da parte di una realtà cinese statale ad oggi, in assoluto, più rilevante – fatta, ovviamente, eccezione per quelle che hanno riguardato il mondo del calcio e che, per loro stessa natura, hanno potuto godere di una cassa di risonanza mediatica senza pari (si pensi all’ingresso del gruppo Suning nell’Inter di Moratti nel 2016).
La verità è che gli investimenti cinesi stanno andando, via via, a toccare aziende italiane, di primo piano e non, nei più svariati settori.
Come non citare, tra i casi più eclatanti, l’investimento da 400 milioni di euro fatto da Shanghai Electric in Ansaldo Energia, o l’acquisizione del 35% di Cdp Reti da parte del colosso di Pechino China State Grid, per un valore complessivo pari a 2.81 miliardi di euro.
Ma l’interesse crescente del Celeste Impero si è esteso anche ai gruppi dell’agroalimentare, come è accaduto per il brand “Filippo Berio” (controllato da Salov e la cui quota di maggioranza è, ormai, passata nelle mani della “cinesissima” Bright Food); o allo scintillante mondo della moda – come attesta il passaggio di Krizia al gruppo di Shenzhen Marisfrolg -.
Tra gli investimenti più recenti spicca, senz’ombra di dubbio, l’acquisizione del gruppo biomedicale Esaote da parte di un consorzio che annovera tra le sue fila anche Yufeng Capital e che vede la massiccia partecipazione del “patron” del gigante dell’e-commerce Alibaba, Jack Ma.
L’elenco delle operazioni “made in China” è lungo ed il crescente aumento di interesse nei confronti del nostro Paese non è di certo sfuggito all’attenzione degli osservatori più esperti. Secondo uno studio pubblicato dal “Mercator Institute for China Studies” di Berlino e dal gruppo di consulenza “Rhodium” a inizio 2017, nel periodo compreso tra il 2000 e il 2016 l’Italia è risultata al terzo posto nella classifica comprendente i Paesi dell’Unione Europea verso cui la Cina ha indirizzato i propri investimenti, per un ammontare complessivo pari a 12.8 miliardi di euro. Ci hanno superato solo la Gran Bretagna (al primo posto con 23.6 miliardi di euro) e la Germania (in seconda posizione a quota 18.8 miliardi).
Noi, dal canto nostro, abbiamo, invece, ampiamente surclassato la Francia – malgrado gli storici rapporti di amicizia coltivati con la Cina dai tempi di Chirac e Mitterand -, ferma a “soli” 11.4 miliardi di euro.
Il trend sembra essere mutato proprio alla fine del 2016, quando il Governo Cinese ha dato un taglio allo shopping sfrenato – e senza chiare e ben definite direzioni – dei diversi gruppi di investimento all’estero per concentrare, invece, l’attenzione sui progetti specificatamente industriali e su quelli che rientrano nell’iniziativa di sviluppo infrastrutturale tra Asia, Europa ed Africa nell’ambito dell’epocale “Belt and Road”, lanciata dal presidente Xi Jinping nel 2013.
Gli interscambi in costante crescita ed, al contempo, un deficit commerciale italiano in riduzione, sono, indubbiamente, tra i segnali più positivi a testimonianza della bontà dei rapporti tra Italia e Cina.
Secondo le ultime stime, l’Italia è sempre più presente in Cina, come ben attesta il record assoluto di esportazioni registrato nel 2017, pari a 20.33 miliardi di dollari – con una crescita del 22.2% rispetto all’anno precedente – ed il contemporaneo aumento del 10% delle importazioni, per un valore di 29.2 miliardi di dollari.
Il deficit commerciale è sceso per la prima volta sotto i 9 miliardi di dollari ed il valore dell’interscambio tra Roma e Pechino ha portato l’Italia a divenire il quarto partner della Cina tra i Paesi dell’Unione Europea.
La tendenza, secondo quanto riportato dalle Dogane cinesi, si è ampiamente confermata anche nel primo trimestre 2018.
Nei primi tre mesi dell’anno le importazioni in Cina provenienti dal nostro Paese hanno avuto un incremento del 18.62% su base annuale (pari a 4.98 miliardi di dollari), mentre le esportazioni cinesi verso l’Italia hanno registrato un balzo del 18.86%, per un valore pari a 7.48 miliardi di dollari ed un interscambio complessivo quotato ad oltre dodici miliardi di dollari.
In molti, però, ritengono che i margini per aumentare gli scambi siano ancora ampi, soprattutto nei settori delle tecnologie verdi, dell’agroalimentare, dell’urbanizzazione sostenibile, dei servizi sanitari e del settore aerospaziale, individuati già nel 2014 come priorità nella cooperazione tra i Governi dei due Paesi.
Gli ambiti di punta dell’export italiano nel 2017 sono stati, indubbiamente, quello della meccanica strumentale (che lo scorso anno ha segnato un aumento del 24.8% rispetto al 2016), quello automobilistico (con una crescita dell’11.8%) e quello farmaceutico (con un incremento del 9.09%).
La prima China International Import Expo – tenutasi a Shanghai, con la partecipazione di oltre 170 Paesi e la presenza del presidente Xi Jinping – è stata, senz’ombra di dubbio, un’eccezionale vetrina per l’export italiano.
Ritornando al tema degli investimenti cinesi che hanno permesso di salvare aziende italiane ormai in grave sofferenza e, di conseguenza, posti di lavoro, un esempio eclatante è l’acquisizione a Nerviano, in provincia di Milano, del Medical Sciences, eccellenza dell’oncologia lombarda e, più in generale, italiana.
Il fondo Hefei Sari V-Capital Management, con sede a Shanghai, ha acquisito il 90% di Nms Group, la holding al controllo del centro di ricerca e delle società ad esso collegate.
Il rimanente 10% continua ad essere proprietà della Fondazione Regionale per Ricerca Biomedica (Frrb), l’ente costituito nel 2011 da Regione Lombardia che, fino ad ora, aveva agito come socio unico del Gruppo.
Completata l’acquisizione, è stata definita anche la nuova governance, senza che, peraltro, vi siano stati cambi al vertice (Andrea Agazzi è stato, infatti, confermato presidente del CdA di Nms Group).
L’operazione è, quindi, avvenuta nel segno della continuità e con la precisa volontà di rispettare e valorizzare la forte ed originale identità della ricerca nervianese.
La sfida, adesso, sarà quella di mantenere il bagaglio di conoscenze e cultura originario ed aprirlo ai nuovi partner, caratterizzati, a loro volta, da precise peculiarità e da capacità tecniche straordinarie.
Questa operazione, oltre a salvare quattrocentocinquanta posti di lavoro, porterà al confronto tra competenze ed esperienze importanti. La speranza è che tutti – la ricerca italiana e quella cinese – ne possano uscire vincitori; ma soprattutto, che il Gruppo Nms ne tragga nuove eccezionali prospettive di sviluppo, di fatto fino a ieri assolutamente impensabili.
Proprio all’insegna della crescita sempre più significativa dei rapporti di cooperazione e scambio tra Cina ed Italia, è stato organizzato il viaggio istituzionale del Ministro dell’Economia, Giovanni Tria, che, tra la fine di agosto e gli inizi di settembre 2018, ha visitato Pechino e Shanghai. Si è trattato, di fatto, del primo banco di prova per il Governo “giallo-verde” in trasferta in Cina.
Il Governo cinese, dal canto suo, ha manifestato fiducia nei confronti del nuovo esecutivo italiano. Subito dopo la nascita del Governo guidato da Giuseppe Conte, Pechino si è dichiarata – per bocca della portavoce del Ministero degli Esteri, Hua Chunying (che ha ricordato la “tradizionale amicizia” che lega i due Paesi) – “…felice di vedere la stabilità politica e sociale…” in Italia.
Pochi giorni dopo, in un messaggio di congratulazioni inviato a Conte dal Primo Ministro cinese, Li Keqiang, Pechino si è detta “…pronta a lavorare con il nuovo Governo italiano…” con il quale c’è “…una fiducia politica reciproca in costante crescita…”.
Nel messaggio, il Premier cinese non ha dimenticato di citare l’iniziativa “Belt and Road”che ha auspicato possa “allineare” le strategie di sviluppo cinesi, italiane ed africane. D’altro canto, l’interesse e la propositività italiana si sono manifestati concretamente con la recente creazione di una nuova “Task Force” specificamente deputata allo sviluppo di relazioni e progetti con la Cina.
A questo gruppo di lavoro ho aderito anch’ io, su iniziativa del Ministero al Lavoro e allo Sviluppo Economico ed, in particolare del Vicepresidente del Consiglio, Luigi Di Maio, e del Sottosegretario Michele Geraci (ben noto in Cina per la sua passata attività di Direttore del China Economic Research Program presso la Nottingham University Business School China).
Sono convinto, infatti, che possa essere uno strumento privilegiato per garantire uno slancio sempre maggiore verso l’apertura ed il consolidamento della cooperazione tra i nostri due Paesi.
La strada da percorrere è, indubbiamente, ancora lunga, ma c’è una grande volontà di dialogo ed una grande fiducia nelle prospettive e nelle opportunità che ne possono derivare ed i frutti si vedono già.