Prima parte
Siamo assediati. Sentendo parlare in televisione tutti i membri del partito unico dell’euro (giornalisti, politici, semplici opinionisti occasionali) possiamo forse capire da dove prendono ispirazione certi scrittori di fantascienza quando devono immaginare il mondo del futuro disumanizzato, robotizzato, automatizzato. Questi adepti della dottrina mistica dell’euro non sono infatti esseri umani “normali”, “razionali”, “senzienti”, ma automi che ripetono in modo meccanico una lezioncina che hanno imparato a memoria da qualche parte e qualcuno gli ha imposto di recitare in tutte le occasioni pubbliche disponibili. Anche rileggere “1984” di George Orwell può essere utile per comprendere i metodi di lavaggio del cervello usati dalla propaganda di regime per manipolare, addomesticare e rendere docile l’opinione pubblica. Per chi non ha tempo e voglia di leggere, rivedere il film “Matrix” è sempre un buon modo di trascorrere una serata e riflettere sulla natura illusoria e posticcia della realtà che può essere creata quando si altera la verità dei fatti con credenze consolatorie e abitudini rassicuranti. Bisogna insomma imparare a convivere con gli automi e regolarsi di conseguenza, dato che l’agente Smith del partito unico dell’euro è il nostro nuovo interlocutore dialettico, politico: non un uomo, ma una macchina programmata per fare e dire certe cose. Tranquilli, questi automi al momento sono innocui, non uccidono (almeno fino ad oggi, domani chissà), ma chi vuole anche solo iniziare a ragionare sul fallimento dell’euro e le possibili alternative, deve sapere subito che si troverà presto o tardi circondato, assediato, aggredito da un esercito sterminato di agenti Smith, che come gli zombies dell’“Alba dei morti viventi” cercheranno di zittirlo e di fargli cambiare idea con le buone o con le cattive maniere.
Queste suggestioni un po’ gotiche e visionarie mi sono venute in mente riguardando con attenzione gli ultimi interventi televisivi dell’economista Alberto Bagnai a Telenova e L’Ultima Parola, dove il professore si è dovuto difendere come un leone dagli attacchi degli automi che ripetevano le loro strampalate teorie sull’inflazione e la svalutazione, senza ascoltare minimamente le spiegazioni razionali che confutavano ad una ad una quelle tesi prive di fondamento scientifico, empirico, storico. Ovviamente Bagnai non ha bisogno di una difesa d’ufficio, perché il professore si difende benissimo da solo e meglio di chiunque altro in Italia su questi argomenti, ma mi interessava solo fare un approfondimento sulla mentalità contorta e raccapricciante che avviluppa gli automi, che senza troppi giri di parole potremmo anche chiamare terroristi o criminali della democrazia. Come anche sottolineato più volte dallo stesso Bagnai, una vera democrazia compiuta si basa sulla correttezza e trasparenza delle informazioni trasmesse ai cittadini, quindi chi consapevolmente o inconsapevolmente continua a propinarenotizie false, allarmismi infondati, paure ingiustificate alla gente è a tutti gli effetti un terrorista o un criminale. Da rimarcare infatti come Bagnai non si ponga in questi dibattiti come il sostenitore di una particolare teoria economica o di un movimento politico, ma solo come un semplice divulgatore di verità empiriche e dati di fatto acclarati che non possono essere contestati sulla base di slogan propagandistici e meccanici, ma al massimo confutati portando altri dati, numeri, fatti più affidabili e certi. Cosa che non è mai avvenuta in questi dibattiti, perché gli automi non solo non supportano mai i loro discorsi con i dati ma nella maggior parte dei casi non conoscono neppure lontanamente il significato degli argomenti dibattuti.
In particolare ci riferiamo alla confusione enorme che gli automi fanno con i concetti di inflazione e svalutazione, mischiando alla rinfusa il fenomeno interno di aumento dei prezzi di beni e servizi (inflazione) con il fenomeno esterno di aumento del prezzo delle valute straniere in termini di valuta nazionale (svalutazione). Ma chi ha già visto questi dibattiti televisivi, si sarà anche accorto che tutti gli automi di qualunque partito politico e estrazione sociale, da Tabacci ad Albertini, dal PD al PDL, dal professore all’ultimo fesso del pubblico, ragionano secondo un preciso schema mentale che si ripete sempre nello stesso ordine. Se entriamo di più nel dettaglio e vediamo come si articola il programma che è stato caricato magari in modo subliminale in tutti questi anni di disinformazione selvaggia nella mente degli automi, ci accorgiamo subito che il loro cervello si attiva immediatamente ogni volta che un diretto interlocutore pronuncia le parole “uscita dall’euro”. Quando allo stato di coscienza arriva la frase “uscita dall’euro”, fra i neuroni dell’automa si apre una valvola o si chiude un interruttore che mette in moto una serie di frasi fatte che si susseguono nella medesima, uguale, rapida successione:
1) L’uscita dall’euro sarebbe per l’Italia una catastrofe, un disastro, una sciagura
2) Uscendo dall’euro e ritornando alla lira, la nostra moneta nazionale subirebbe una svalutazione del 30-50% rispetto ad un’altra imprecisata moneta straniera
3) Una svalutazione del 30-50% comporta un aumento dei prezzi interni o un’inflazione di pari entità, del 30-50% appunto, con conseguente perdita del potere di acquisto del salario dei lavoratori
4) I tassi di interesse schizzerebbero alle stelle
5) Con la nostra moneta svalutata non potremmo più comprare le materie prime che tanto ci servono per vivere e per lavorare, soprattutto il petrolio e il gas
6) La benzina alla pompa costerebbe molto di più, nell’ordine del 30-50% in più
7) Chi ha un mutuo in euro, avrebbe un aumento della rata del 30-50% in più
In genere dopo aver sproloquiato a perdifiato tutte queste scemenze, l’automa si placa e si mette in disparte senza più intervenire attivamente nel dibattito, se non per dissentire o sbuffare ad ogni spiegazione o replica fornita dall’interlocutore: in fondo l’agente Smith inviato a sua insaputa o membro funzionale e arruolato della propaganda di regime ha svolto il suo dovere di spaventare e terrorizzare la gente ed è poco o niente interessato a capire come stanno realmente le cose. La fissità nello sguardo dimostra infatti che nel suo cervello si sta svolgendo intanto un progressivo processo di distacco ed estraniamento dalla realtà, dato che l’automa non vive fisicamente su questa terra ma è mentalmente proiettato ad interagire soltanto con l’universo parallelo illusorio che gli è stato impiantato nella testa fin dalla nascita o per convenienza personale ha imparato ad apprezzare nel corso del tempo. Inutile dire che nel loro mondo, il debito pubblico è la peggiore delle afflizioni che può colpire un paese, la spesa pubblica è uguale a spreco e corruzione, le tasse servono per pagare il debito e la spesa del governo, il pareggio di bilancio è cosa buona e giusta perché incoraggia gli operatori esteri ad investire in Italia. Ma tralasciando per un attimo la descrizione completa dell’universo parallelo in cui vivono questi zombies, queste mummie, concentriamoci punto per punto sul programma specifico “uscita dall’euro” caricato nel cervello degli automi. Ripeto, malgrado nelle mie parole traspaia evidentemente un po’ di sarcasmo ed ironia, l’argomento è molto più serio di ciò che può sembrare in apparenza, perché questi uomini-macchina saranno nel prossimo futuro i nostri principali interlocutori e nel bene o nel male dobbiamo quindi trovare un modo per approcciare con loro, aiutandoli magari ad uscire dal mondo illusorio in cui vivono e sostenendoli durante il percorso di riabilitazione alla realtà. Per carità, nessuno vuole obbligare altri a disintossicarsi da una droga che reputano gradevole e indolore, perché ognuno degli automi conoscendo quanto sia dura, complessa, austera la realtà, potrebbe decidere a buon diritto di continuare a vivere immerso nelle sue illusioni. Alzi la mano chi non adora trastullarsi nelle proprie illusioni. Anche noi, piccola minoranza, che disperatamente cerchiamo di comprendere e interpretare la realtà che ci circonda abbiamo delle illusioni e per quanto mi riguarda, posso serenamente svelarmi la mia: stravolgere il folle paradigma economico che governa le nostre vite per consentire a tutti noi di vivere realmente meglio e con meno affanni inutili ed evitabili. Tuttavia la mia illusione non presuppone una mistificazione della realtà, anzi, necessita di una conoscenza più scrupolosa, capillare, certosina della realtà per essere magari in grado un giorno di trasformarla. Esattamente il contrario di ciò che accade nella mente degli automi che confondono continuamente la dimensione della realtà con quella dell’illusione e spesso senza nemmeno accorgersene, adattano la realtà secondo l’illusione che intanto si sono costruiti nella testa, banalizzando e semplificando in modo grossolano gli aspetti più ostici e controversi del faticoso processo di conoscenza. In perfetta analogia con le leggi della robotica immaginate dallo scrittore russo Isaac Asimov, è come se la prima istruzione del programma caricato nella testa degli automi dicesse loro che il mondo illusorio nel quale vivono è il vero mondo e non ne esistono altri (principio che si ricollega direttamente al famoso TINA, There Is No Alternative, non ci sono alternative a questa impostazione neoliberista, individualistica e privatistica del mondo).
Ad ogni modo, a prescindere dalla preferenza per la realtà o l’illusione e dal grado di commistione fra questi due livelli della vita, ognuno di noi, consapevole o meno di avere fatto questa precisa scelta di campo, dovrebbe astenersi dalla tentazione di influenzare negativamente o informare scorrettamente chi invece questa scelta deve ancora farla. Per me insomma sarebbe già molto bello ascoltare un giorno gli automi dire: “Sentite gente, è vero, lo ammettiamo, la realtà è quella descritta da questi seriosi professori di economia, scienziati, filosofi, ma è una verità ruvida, spinosa, scomoda, meglio che venite a vivere nel nostro mondo illusorio, è bellissimo, non dovete sforzarvi, non dovete pensare, ma vi viene tutto già precaricato nel cervello da “altri”. Sono questi “altri” che governano il mondo al posto nostro e noi dobbiamo solo adeguarci alle loro direttive. E’ facilissimo, semplicissimo, siamo già milioni quelli che abbiamo deciso di vivere così e adesso mancate solo voi. Dai, venite con noi, vi aspettiamo!”. Sappiamo già che una simile sconcertante ammissione di deficienza mentale sarà impossibile da prevedere nel breve periodo, perché contrasta con la prima istruzione di stravolgimento assoluto della realtà del programma degli automi, i quali continueranno a vivere beatamente nel loro bel mondo parallelo illudendosi di avere i piedi ben piantati per terra e infischiandosene dei richiami e dei segnali di allarme che arrivano a fiotti dalla vera realtà.
Quindi, malgrado tutte le nostre comprensibili preoccupazioni e angosce, al momento possiamo solo limitarci a riassumere brevemente i punti fondamentali attraverso i quali sarebbe abbastanza facile smontare tutte le illusorie certezze degli automi, prendendo spunto dalle analisi empiriche dello stesso Bagnai, di Borghi, di Zezza e di tanti altri “veri” economisti (“veri” perché basano i loro ragionamenti sui veri dati di fatto della realtà, non perché abbiano la verità assoluta in tasca, atteggiamento questo che appartiene ai mistici, ai dogmatici, ai religiosi, da cui per ora prendiamo le distanze in quanto i loro insegnamenti sono più utili e adatti per descrivere “verità ultraterrene” e non le miserie di questo mondo). Ma prima di passare all’analisi logica ritengo opportuno che vediate questo video di Byoblu per capire meglio di cosa stiamo parlando e la pericolosità, pervasività, contagiosità del fenomeno di disumanizzazione in corso (mi raccomando concentratevi bene sulle facce del “falso” economista Giuricin e del politicante stralunato e confuso Borghesi).
Fonte:
Seconda parte
1) Uscita dall’euro
Come abbiamo detto e sentito le prime parole utilizzate dagli automi per descrivere questa eventualità sono catastrofe, disastro, apocalisse, appellandosi quasi sempre ai flagelli della svalutazione e dell’inflazione per giustificare queste rovinose visioni. Gli automi però non dicono mai che la vera catastrofe la stiamo già vivendo adesso in conseguenza della sciagurata scelta di aderire ad un’unione monetaria sbagliata e squilibrata, che consente di bilanciare shock asimmetrici tra i vari paesi soltanto attraverso la svalutazione interna dei salari dei lavoratori o dei prezzi dei beni e servizi prodotti in un determinato stato. Tra i vantaggi dell’euro che vengono ogni tanto elencati dagli automi alcuni sono davvero bizzarri e curiosi: la possibilità di viaggiare senza vincoli burocratici o pagamento di commissioni di cambio da un paese all’altro dell’eurozona. Ciò significa che per loro la possibilità di mandare a spasso i propri figli a Parigi, Berlino, Madrid è molto più importante della vita degli imprenditori che si sono suicidati, della dignità dei lavoratori o della tenuta dell’intero tessuto produttivo nazionale, che basandosi su una struttura diffusa sul territorio di piccole e medie aziende è stato oltremodo penalizzato da un aggancio rigido ad una moneta forte come l’euro-marco. Ricordiamo che la commissione di cambio, che può essere fissa o variabile in base all’importo da convertire in altra valuta, oscilla fra 1 e 5 euro e non ha mai scoraggiato nessuno dall’intenzione di andare a Londra, Stoccolma, New York o Zanzibar. Ma questo modo cinico e inquietante di pensare è perfettamente in linea con il principio che volevano imporre gli oligarchi e i banchieri fondando l’eurozona: la moneta viene prima degli stati, della politica, della cultura, e l’istinto che fin dalla notte dei tempi spinge gli uomini a viaggiare, conoscere, vedere posti nuovi deve essere subordinato alla moneta che utilizziamo per viaggiare, conoscere, vedere posti nuovi. E’ come se un esploratore con gli scarponi e lo zaino in spalla diretto verso luoghi imprecisati ancora da scoprire, fosse in qualche modo obbligato a chiedersi sull’uscio della porta: “Eh sì, però chissà che monete usano laggiù e quale sarà il tasso di cambio? E le commissioni da pagare? Forse è meglio che me ne stia a casa in attesa di tempi migliori per il mercato valutario”.
Capisco che può sembrare un po’ paradossale come esempio, ma l’euro come valore principale di riferimento e di aggregazione di un’intera società, da anteporre alla stessa democrazia, alla cultura, alla libertà, all’uguaglianza dei diritti, pone questo serio problema di alterazione della realtà e della storia del mondo. Gli automi forse ingenuamente o per calcolo credono davvero che l’intera evoluzione della civiltà ruoti intorno alle monete che i popoli hanno via via adottato, mentre le lotte per la democrazia, la tutela dei diritti, l’emancipazione delle classi subalterne, il progresso scientifico e culturale siano soltanto una conseguenza di quella primigenia, originaria, fondamentale scelta: “Ma come hanno fatto i popoli primitivi del passato a vivere senza l’euro? Per fortuna che il buon Dio ci ha dato l’euro e guai a chi ce lo vuole toccare!? Non è forse l’euro il prodotto più alto della modernità, del progresso, della cultura, della creatività dell’Occidente?”. E’ evidente che questa profonda e pervicace distorsione della realtà, della storia, della scala dei valori sia servita invece ai banchieri, agli affaristi, ai faccendieri, agli speculatori per mascherare il loro vero obiettivo e interesse: l’annullamento del rischio di cambio. L’azzeramento del rischio e delle oscillazioni competitive di cambio è stato infatti molto utile e vantaggioso per i grandi gruppi finanziari e commerciali che dovevano spostare grosse quantità di soldi e di merci da un paese all’altro dell’eurozona per fare investimenti, prestiti, profitti, pura speculazione, senza incorrere nel pericolo di subire svalutazioni della moneta locale. Ora però, preso atto di questa circostanza realedifficilmente contestabile, sarebbe molto interessante capire se tutti gli automi, di qualunque corrente politica siano dato che il fenomeno della robotizzazione è trasversale, abbiano presente alcune semplici considerazioni sugli ordini di grandezza: il risparmio sulla commissione di cambio di €2000 per fare una vacanza a Parigi è cosa assai diversa rispetto al prestito di €200 milioni di una banca tedesca ad una spagnola o irlandese per favorire l’inizio di una bolla immobiliare, senza rischiare nulla sul versante della svalutazione. Lechiacchiere stanno a zero e mi pare fuori discussione stabilire a chi veramente abbia più giovato l’introduzione dell’euro, con buona pace di tutti gli studenti che hanno vissuto 6 mesi in Francia o in Germania grazie al progetto Erasmus, risparmiando sulle oscillazioni o commissioni di cambio.
Non capire questo semplice passaggio mi sembra dunque un offuscamento clamoroso della vista, un atto di malafede indecoroso o peggio ancora una conclamata collusione con gli interessi di questi grandi gruppi finanziari e commerciali, dalle cui direttive gli automi sono stati direttamente o indirettamente indottrinati. La gente invece ancora in grado di fare a mente una semplice conversione di valuta può chiaramente comprendere che subire angherie, tasse, vessazioni, privazioni di servizi pubblici essenziali, decurtazioni di stipendi e pensioni per consentire ai grandi capitalisti di aumentare le loro rendite o i profitti, limitando al massimo i rischi e la concorrenza di cambio, non è sicuramente un buon motivo per rimanere ancora nell’area euro. L’Europa non è e non sarà mai l’euro, ma rappresenta da sempre un’entità geopolitica e culturale ben identificabile che prescinde e prevarica la moneta o le monete utilizzate dai paesi del vecchio continente, che ricordiamolo sempre nella sola Unione Europea allargata a 27 stati sono 11. Fra l’altro, l’euro come tutte le monete nella storia (compresa la nostra lira, il marco o il franco) non è irreversibile e non ci è stato consegnato in dono da Dio: esistono nella storia centinaia di casi di distruzione di valute o sganciamenti da altre valute che non hanno comportato assolutamente catastrofi (l’Argentina è l’ultimo e più eclatante caso), a parte un normale periodo transitorio di assestamento e instabilità della nuova valuta.
2) Svalutazione
Secondo gli automi robotizzati una volta usciti dall’euro, la nuova lira si svaluterebbe di circa il 30%-50%, un dato sparato a caso che non tiene in debito conto nessuno dei fattori che realmente influiscono sul tasso di cambio. Nelle precedenti occasioni storiche di sganciamento di una valuta da un’altra moneta forte (per noi l’euro-marco), i fatti e i dati empirici ci dicono che il cambio tende a recuperare la competitività di prezzo perduta nei confronti del paese principale dell’area valutaria (la Germania). Dato che il differenziale di inflazione complessivo dal 1999 ad oggi con la Germania ammonta a circa il 20%-25%, la svalutazione della lira nei confronti dell’euro-marco dovrebbe attestarsi intorno a questa banda di oscillazione. Ovviamente la nuova lira si deprezzerebbe rispetto all’euro-marco, ma potrebbe apprezzarsi nei confronti di altre valute con i cui paesi di origine l’Italia intrattiene rapporti commerciali. Quindi quello che è importante non è tanto la svalutazione bilaterale fra l’Italia e un altro paese, ma il tasso di cambio effettivo che è una media pesata di tutti i tassi di cambio bilaterali principali misurata in base al valore specifico degli scambi effettuati con i rispettivi paesi d’origine.
Tuttavia se questa teoria della “parità relativa del potere d’acquisto” (PPP, Purchasing Power Parity) può essere utile per spiegare i movimenti del cambio nel lungo periodo ed è applicabile soltanto alle variazioni di prezzo di beni e servizi effettivamente destinati all’esportazione (l’aumento di prezzo dei prodotti locali e del barbiere sotto casa non dovrebbe essere conteggiato insomma), il tasso di cambio nel breve periodo è influenzato da altri due elementi: il saldo delle partite correnti e gli investimenti finanziari. Il nostro attuale saldo delle partite correnti è in deficit (-€30 miliardi circa, vedi grafico sotto), ma la causa principale non è dovuta tanto a fattori commerciali (la bilancia commerciale è in pareggio), quanto al peso molto maggiore degli interessi pagati sul debito estero, i profitti portati via dagli investimenti esteri in Italia, le rimesse dei migranti. Siccome la svalutazione iniziale della lira dovrebbe favorire ulteriormente le esportazioni e ridurre le importazioni, migliorando nel complesso la nostra bilancia commerciale, questo processo insieme ad un rinnovo del debito estero a tassi di interesse più bassi (la “nostra” banca centrale, Banca d’Italia, svincolata dalla BCE, potrebbe riacquistare piena autonomia nella scelte di politica monetaria e in particolare nella definizione dei tassi di interesse di riferimento), ad una qualche forma di limitazione degli investimenti esteri in Italia e ad uncontrollo più accurato del deflusso dei capitali, dovrebbe migliorare in breve tempo il saldo delle nostre partite correnti, con conseguente apprezzamento della nostra valuta.
Dal punto di vista finanziario, l’Italia ha una ricchezza complessiva di €3600 miliardi, che difficilmente potrà essere smobilizzata per essere trasferita all’estero, con evidenti effetti negativi sul cambio della nuova lira. Innanzitutto perché molti di questi assets finanziari hanno già subito forti svalutazioni durante gli ultimi anni, quindi l’effetto marginale del deprezzamento della nuova lira sarebbe meno incisivo (una cosa è svalutare del 20% un asset che vale 100, altra cosa è svalutare del 20% un asset che vale già 50). In pratica è come se l’Italia stesse già subendo da qualche anno una svalutazione sotto forma di un maggiore spread sui titoli di stato, che obbliga le aziende a finanziarsi a tassi di interesse più alti e rende meno pregiati i nostri assets. In secondo luogo le fughe di capitali più massicce si sono già verificate in questi ultimi anni e quindi, con un controllo più puntuale sulla circolazione dei capitali durante il periodo di transizione in cui è maggiore l’instabilità di cambio, si potrebbero evitare ulteriori crisi nei nostri conti con l’estero. Se questo presunto deflusso incontrollato di capitali è dunque molto limitato e circoscritto, è invece molto più probabile che nei primi periodi di passaggio alla nuova lira possa presentarsi il fenomeno opposto di afflusso di capitali esteri: gli operatori stranieri potrebbero infatti approfittare dell’iniziale vantaggio di cambio per fare investimenti finanziari di portafoglio o in conto capitale in Italia, aumentando quindi l’offerta di valuta estera e la domanda di nuove lire. Queste operazioni, che ripetiamo dovrebbero essere opportunamente controllate per evitare un aumento eccessivo delle passività (debito estero) nel conto finanziario della nostra bilancia dei pagamenti, tenderanno ad apprezzare e non a deprezzare il cambio della nuova lira. Quindi, in buona sostanza, la paura della svalutazione catastrofica della nuova lira è assolutamente infondata, ingiustificata, non sostenuta dai dati e dai fatti.
3) Inflazione
Questo è sicuramente l’aspetto più incredibile e grottesco di tutta la vicenda: secondo gli automi con una svalutazione della lira del 20% avremmo un’inflazione della stessa entità, quindi intorno al 20%. Capite bene che il meccanismo mentale che porta a questa conclusione è assurdo, illogico, dato che un’eventualità del genere avverrebbe solo se l’Italia non producesse nulla e importasse tutto dall’estero, ma proprio tutto: materie prime, semilavorati, prodotti finiti, servizi. Fra svalutazione e inflazione non c’è mai stata nella storia del mondo una correlazione così forte e diretta, mentre si verifica molto più spesso il fenomeno inverso, ovvero un’inflazione molto alta alla lunga produce una svalutazione del cambio, perché a parità di beni prodotti in due diversi paesi sarà necessaria una maggiore quantità di moneta del paese più inflativo rispetto a quello meno inflativo e il cambio si adegua di conseguenza. Per questo motivo, molto spesso per valutare l’effettivo potere di acquisto di una moneta rispetto ai beni e ai servizi prodotti in un determinato paese, si considera il tasso di cambio reale che tiene conto appunto del differenziale di inflazione fra i due paesi. Se la moneta di un paese si svaluta del 10% e l’inflazione per altri motivi cresce del 10%, il tasso reale di cambio non varia, perché l’aumento dei prezzi interni compensa la svalutazione e per un acquirente estero sarà indifferente comprare prodotti da quel paese.
Questo è a mio avviso il motivo che crea tanta confusione nella mente degli automi perché loro ragionano in termini di tasso di cambio reale e non di quello nominale effettivo: la svalutazione del 20% produce un’inflazione del 20% e per l’acquirente straniero non sarà più vantaggioso rispetto a prima comprare prodotti italiani e l’Italia avrà perso i margini di competitività recuperata, perché i benefici della svalutazione saranno riassorbiti dai danni dell’inflazione. Peccato però che è sbagliato il passaggio intermedio: una svalutazione del 20% non ha mai provocato nella storia, almeno in Italia, un’inflazione del 20%. E vediamo pure con alcuni dati, il motivo per cui possiamo essere abbastanza certi di questa affermazione. Nel grafico sotto possiamo confrontare l’andamento dell’inflazione con il tasso di cambio effettivo dal 1975 ad oggi: come si può vedere già ad occhio nudo non c’è alcuna correlazione diretta fra i movimenti abbastanza ripidi di cambio e l’inflazione, che nonostante i cambiamenti repentini di rivalutazioni e successive svalutazioni della lira continuava a viaggiare per conto suo seguendo un preciso percorso di deflazione. In particolare la forte rivalutazione della lira avvenuta nel 1979 con l’ingresso nello SME è avvenuta a inflazione crescente, mentre al contrario la svalutazione della lira del 1992 seguita all’uscita temporanea dallo SME è stata addirittura accompagnata da una discesa dell’inflazione dal 5% al 4%. Ciò significa che se esistesse davvero una correlazione fra svalutazione ed inflazione, questa sarebbe opposta a quella postulata e propagandata dagli automi.
Il caso della svalutazione del 1992 è sicuramente il più emblematico in questo senso. Il governo Amato decise unilateralmente di far uscire l’Italia dallo SME il 18 settembre del 1992, per mettere un freno agli attacchi speculativi alla lira che erano iniziati nell’estate precedente e avevano costretto il governatore della Banca d’ItaliaCarlo Azeglio Ciampi a bruciare circa 50 miliardi di riserve in dollari nel vano tentativo di difendere la parità di cambio della lira imposta dagli accordi SME. Nel giro di un anno, con la lira libera di fluttuare nel mercato valutario, abbiamo assistito ad una svalutazione nominale effettiva del 25%, che ha favorito le nostre esportazioni e reso meno convenienti le importazioni. Se questa svalutazione fosse stata accompagnata da un corrispondente aumento dell’inflazione (che non c’è stato, dato che l’inflazione è invece diminuita) come sostenuto dagli automi, la nostra bilancia commerciale non avrebbe subito grandi cambiamenti perché per gli acquirenti esteri il prezzo dei prodotti italiani sarebbe rimasto pressoché invariato. Cambiamento che invece c’è stato, e come se c’è stato, perché nel giro di un anno la nostra bilancia commerciale è passata da un deficit ad un surplus (vedi grafico sotto) fino al picco del 1996, ritornando a decrescere non appena si decise malauguratamente per noi la reintroduzione della lira nello SME (1996) e l’ingresso definitivo nell’area euro (1999).
Questo passaggio determinante e decisivo per capire meglio come funzionano le dinamiche della svalutazione di cambio, può essere anche evidenziato benissimo esaminando il grafico sotto, in cui viene riportato l’andamento del tasso nominale effettivo a confronto con il tasso di cambio reale (misurato in termini di valuta estera): i due andamenti sono esattamente speculari, perché ad ogni svalutazione nominale della nostra moneta corrisponde esattamente una rivalutazione reale della valuta estera, come se l’effetto inflazione tanto paventato dagli automi che vanificherebbe i benefici della svalutazione non esistesse proprio. Un falso storico a tutti gli effetti che merita l’accusa di terrorismo mediatico e attentato alla democrazia dell’informazione.
Terza parte
L’inflazione come abbiamo più volte detto è un fenomeno molto complesso che presenta numerose interconnessioni e ha molta più attinenza con i cambiamenti che avvengono nell’economia reale rispetto ai processi monetari, siano essi variazioni di tassi di cambio o aumento di moneta circolante. In generale possiamo dire che si verifica inflazione quando la domanda di beni e servizi supera l’offerta e nel contempo il tessuto produttivo non è così elastico da adattarsi al nuovo regime di domanda. A sua volta questo aumento di domanda può essere collegato ad una politica salariale espansiva o a cambiamenti strutturali nel mercato del lavoro, che migliorano il potere di acquisto reale dei salari (cioè decurtato del tasso di inflazione misurato in quel periodo). La politica salariale espansiva dipende però dal tasso di disoccupazione, perché è storicamente dimostrato (e facilmente intuibile) che un aumento dell’offerta di lavoro, dovuto ad una maggiore disoccupazione, produce una tendenza al ribasso del valore dei salari. Un innalzamento repentino e consistente del costo delle materie primepuò anch’esso tradursi in inflazione, come è avvenuto per esempio in Italia nel 1974 (picco di inflazione del 20%), in conseguenza del primo grande shock petrolifero del 1973, che ha causato un aumento medio del prezzo del petrolio del 258%. Capite bene che quando un imprenditore si trova ad affrontare una quadruplicazione del prezzo di una materia prima così importante come il petrolio (che influisce direttamente e indirettamente sui costi di produzione, a causa dell’aumento della bolletta energetica), è costretto ad aumentare per forza di cose ilprezzo di vendita dei suoi prodotti per coprire i costi e mantenere ancora dei margini di profitto.
La svalutazione, almeno in Italia, è un fenomeno che si muove invece su una banda di oscillazione molto ridotta, nell’ordine del più o meno 20%-25%, quindi consente facilmente agli imprenditori di rimodulare la struttura dei costi aziendali, compresi i margini di profitto, per mantenere inalterata la competitività di prezzo e rispondere ad un aumento del costo di quelle materie prime, semilavorati, prodotti finiti, servizi effettivamente riconducibili a fornitori esteri. Quindi come abbiamo già detto e visto, non solo la svalutazione ha poco o scarsissimo effetto sull’inflazione, ma nella maggior parte dei casi è una conseguenza diretta dell’inflazione. Questo trasferimento dall’inflazione alla svalutazione è avvenuto per esempio in Italia nel 1976 quando la banca centrale decise di attuare una svalutazione competitiva della lira del 20%, per recuperare i margini di competitività di prezzo perduti dalle aziende italiane negli scambi con l’estero, a causa del picco di inflazione del 20% che si era registrato appunto due anni prima. Anche l’introduzione dell’euro nel 1999 ha comportato nei primi due anni una svalutazione iniziale complessiva del 20% della moneta europea nei confronti del dollaro, che non ha avuto alcuna influenza sull’inflazione, la quale ha continuato a ristagnare intorno al suo valoreartificialmente basso del 3% (artificialmente basso perché dovuto soprattutto alle politiche di contenimento dei salari reali dei lavoratori attuate in tutta Europa).
Aggiungiamo anche per completezza, che quando invece si assiste ad un aumento esogeno della moneta circolante, dovuto per esempio a politiche espansive della spesa pubblica dello Stato, gli effetti tanto temuti sull’inflazione, invocati spesso dagli stessi automi che sproloquiano sui danni della svalutazione, sono quasi sempre contenuti principalmente da due fenomeni: la mancata saturazione della capacità produttiva di un paese e la disoccupazione. Il previsto aumento della domanda dovuto alla maggiore quantità di moneta circolante può essere infatti corrisposto da un incremento dell’offerta, trainato da maggiore produttività del lavoro, miglioramenti tecnologici, efficienza dei processi produttivi, senza influire sui tanto osteggiati innalzamenti dei prezzi al consumo. Inoltre l’elevata disoccupazione tenderà a spostare queste nuove masse di moneta circolante nei risparmi di chi ha già un reddito e magari preferirà tesaurizzare questi soldi, investendoli soprattutto in attività finanziare, piuttosto che convogliarli verso nuova domanda di consumi. La paura eccessiva della spesa pubblica, che nella maggior parte dei dibattiti si accoppia quasi sempre con quella dell’inflazione e della svalutazione, presenta quindi notevoli sintomi di infondatezza quando siamo in presenza di alta disoccupazione e scarsa saturazione della capacità produttiva, che consente ampi margini di elasticità dell’offerta. Ma questo purtroppo fa parte ormai integrante della mentalità bacata degli automi, con cui volenti o nolenti dovremo sapere convivere per parecchi anni ancora, dato che l’uscita dall’euro e il ritorno alla nostra moneta sovrana equivale secondo i loro calcoli errati e tanto immaginifici a svalutazione, aumento della spesa pubblica, e “quindi” ad inflazione, la tassa più iniqua del mondo perché colpisce il potere di acquisto dei salari.
A parte che il potere di acquisto dei lavoratori può essere difeso con i normalissimi meccanismi di indicizzazione dei salari all’inflazione utilizzati in quasi tutti i paesi più civili e democratici del mondo, quello che gli automi non capiscono o fanno finta di non capire, per i soliti motivi di annebbiamento, malafede e collusione, è che l’inflazione mantenuta artificialmente bassa in Europa serve più che altro a proteggere nel tempo il valore dei grandi patrimoni finanziari accumulati dagli oligarchi, dai capitalisti, dagli speculatori, e da tutti coloro che vivono di rendita senza sapere neppure cosa sia il lavoro. Questa è una colossale ed epocale lotta di classe che ha come principale obiettivo la distribuzione iniqua dei redditi a favore di una ristretta minoranza di rentiers, benestanti, grandi imprenditori e a danno della maggioranza, che comprende lavoratori, pensionati, piccoli e medi imprenditori, società civile.
Mantenere l’inflazione artificialmente bassa grazie al contenimento dei salari reali e all’aumento della disoccupazione non avvantaggia di certo i lavoratori, i cittadini, la gente comune, che malgrado il ridotto aumento dei prezzi al consumo non avranno mai benefici reali da questa politica ottusa, miope e palesemente iniqua. L’inflazione bassa scoraggia pure gli investimenti perché se un imprenditore deve indebitarsi oggi con una banca ad un certo tasso di interesse e prevede già che i suoi futuri flussi di cassa saranno incerti o decrescenti perché legati ad un andamento costante o addirittura deflativo dei prezzi di vendita dei suoi prodotti, preferirà rimandare sempre a tempi migliori di maggiore vivacità del mercato il momento dell’investimento. Ovviamente l’argomento è molto complesso e meriterebbe ben altri approfondimenti (invito a tal proposito la lettura del libro del professore Alberto Bagnai, il Tramonto dell’Euro, oppure il trattato collegiale dei “veri” economisti italiani scaricabile gratuitamente da internet, Oltre l’Austerità), ma per non appesantire oltremodo i contenuti, rimando l’analisi degli altri punti ad un prossimo articolo, dato che tutti gli effetti collaterali denunciati meccanicamente dagli automi con l’uscita dall’euro (il costo delle materie prime, la benzina, i tassi di interessi, il mutuo), sono solo un corollario delle due principali armi di distrazione e disinformazione di massa: la svalutazione e l’inflazione.
Concludo questo lungo viaggio dentro il mondo illusorio degli automi con una frase dell’economista inglese John Maynard Keynes che racchiude bene in sintesi il significato della cruciale lotta di civiltà che ci troviamo ad affrontare oggi, in cui non solo dobbiamo essere capaci ad intaccare gradualmente, costantemente, implacabilmente i principi su cui si fonda l’enorme potere delle classi dominanti, ma anche a contrastare il possente muro di mummie, subumani, corrotti, inetti, stupidi eretto a loro difesa nella società: “Il futuro ci è sfuggito di mano e nessun uomo detiene più il controllo dei destini immediati dell’Europa. Gli eventi del prossimo anno non saranno opera deliberata degli statisti, ma saranno determinati da quelle correnti segrete che fluiscono continue sotto la superficie della storia, e di cui nessuno sa predire lo sbocco. Abbiamo un solo modo per influire su di esse: mettere in moto le forze della conoscenza e della fantasia capaci di mutare l’opinione. Affermare la verità, distruggere le illusioni, dissipare gli odi, aprire gli animi e istruire le menti; questi devono essere i nostri strumenti”.
Fonte:
http://causacomune.blogspot.it/2012/12/uscita-dalleuro-i-terroristi_2793.html (Rimosso. Chissà come mai.....)