mercoledì 27 febbraio 2019

TERRORISMO ECONOMICO USA: ORA TOCCA A SIRIA E ITALIA

L’OLIGARCHIA BANCARIA CONTRO I GOVERNI SOVRANISTI:
SANZIONI CONTRO DAMASCO DAL SENATO AMERICANO
NELLO STESSO GIORNO DELL’ATTACCO FMI A ROMA.
L’ALLEANZA CON PUTIN E’ L’UNICA VIA D’USCITA
MA SALVINI E MELONI SE LA GIOCANO PER GUAIDO’
DI MAIO: «L’AUSTERITA’ NON HA RIDOTTO IL DEBITO»

___di Fabio Giuseppe Carlo Carisio ___

Proprio nei giorni in cui l’Occidente sembra fare a gara a chi picchia più duro contro Nicolas Maduro ecco l’inevitabile nemesi che preannuncia, alla vista degli analisi più esperti di politica internazionale, il dilagare del “terrorismo economico” nel mondo. Purtroppo a Roma i veggenti anti-mondialismo di sempre, Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia e Matteo Salvini della Lega, hanno gli occhi annebbiati da allucinazioni comuniste nel guardare il Socialismo Bolivariano che è molto più Cristiano e meno Sinistro della tecnocrazia Ue e del Regime rosso Mattarelliano che orienta politica estera e magistratura in Italia, e non si accorgono – o forse peggio fanno finta di non accorgersi – di quanto sta accadendo. In assenza di immediate alleanze internazionali l’attacco del sovrasistema finanziario potrebbe portare il nostro paese al collasso politico-sociale della Grecia, se accetteremo la schiavitù dell’eurotrojka, o del Venezuela, se cercheremo di ribellarci alla plutocrazia del dollaro. Nella stessa giornata di martedì 5 febbraio sono capitati due eventi abbastanza clamorosi che confermano per l’ennesima volta quanto le sorti di una nazione sono ormai in mano all’oligarchia bancaria, perlopiù espressione del massoneria ebrea: uno strapotere finanziario che sembra essere stato capace di chetare e rimbambire persino il presidente degli Usa Donald Trump, riportandolo sulla retta via della politica estera del democratico BarackObama contro Venezuela, Iran e ora nuovamente sulla Siria: da cui sta cercando il disimpegno militare ma ha già incontrato l’arcigna opposizione del Pentagono ed ora del Congresso.



IL MONDO CONTROLLATO DALLE BANCHE DELLA FED

Il palazzo del Campidoglio sede del Congresso degli Stati Uniti d’America

Come ho scritto in un precedente articolo il tentativo di golpe a Caracas (vedi link a fondo pagina) è determinato sì dall’avidità degli smisurati giacimenti di petrolio dell’Orinoco ma anche dalla volontà di recidere sul nascere la proliferazione del progetto Petrocoin, la prima criptovaluta di stato associata ad una risorsa energetica nazionale che potrebbe rivoluzionare la politica finanziaria di tutti i paesi in via di sviluppo del mondo. In attesa che la Ndb (New Development Bank), la banca internazionale creatadai paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) capisca cosa vuole fare da grande, anche alla luce della nuova politica filo-americana del presidente brasiliano Jair Bolsonaro, il pianeta terra non è orientato dall’Onu, nel cui Consiglio di Sicurezza i veti dei paesi membri permanenti pesano sfortunatamente o fortunatamente come macigni d’inciampo ad ogni seria azione umanitaria mondiale, e nemmeno dai paesi industrializzati del G20 e G8, o G7 a seconda di come si comporti quel cattivone del presidente russo Vladimir Putin, ma esclusivamente dal Fondo Monetario Internazionale, controllato dal sistema bancario anglo-ebreo-americano. Ebbene nella stessa giornata di martedì lo Fmi, guidato dagli Usa a loro volta controllati dalla Federal Reserve (consorzio di banche private come la Bce, l’elenco nel penultimo paragrafo), ha rivisto le stime di crescita del Pil italiano censurando le operazioni sociali del Reddito di Cittadinanza e delle pensioni Quota 100, e facendo aleggiare sfiducia sul sistema finanziario italico che suona come allerta per la spada di Damocle di un ulteriore declassamento del rating sul debito pubblico: ovvero ciò che ha fatto schizzare alle stelle l’inflazione in Venezuela mettendo il paese in ginocchio per mancanza di liquidità nonostante possegga i più vasti giacimenti petroliferi del mondo. Nella stessa giornata di martedì 5 febbraio il Senato del Congresso degli Stati Uniti, ha approvato con 77 voti contro 23 un’ulteriore estensione delle sanzioni finanziarie sulla martoriata Siria di Bashar Al Assad e la bocciatura del ritiro dal paese come dall’Afghanistan.

Il vice ministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov definisce le sanzioni statunitensi «terrorismo economico»

«Le sanzioni statunitensi sono il terrorismo economico» ha dichiarato all’agenzia internazionale SputnikNews il vice ministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov annunciando contatti sempre più stretti con Siria e Iran. Lo scorso novembre, un secondo pacchetto di sanzioni statunitensi è entrato in vigore anche contro Teheran dopo il ritiro degli Stati Uniti dal piano d’azione congiunta congiunto (JCPOA) – l’accordo nucleare iraniano – nel maggio 2018. Le sanzioni mirano a esercitare la massima pressione sull’Iran e costringendolo a negoziare un nuovo più vincolante accordo. «Dobbiamo completare il processo di transizione di interazione economica nella valuta nazionale come il modo migliore per proteggerci dagli abusi degli Usa sul ruolo del dollaro» ha aggiunto il viceministro di Mosca. Esattamente ciò che sta cercando di fare Maduro con il Petrocoin in risposta alle pesantissime sanzioni imposte da Donald Trump all’azienda petrolifera statale Pdvsa che nel 2017 inasprirono quelle di Barack Obama contro il Governo venezuelano: una criptovaluta ancorata al Bolivar Soberano da utilizzare sul mercato internazionale dell’oro nero in alternativa alla cartamoneta americana come già fatto dalla Cina a Shangai dove le transazione avvengono solo in yuan. Ma per comprendere bene cosa sta accadendo è meglio sapere come opera e chi gestisce il Fondo Montario Internazionale che ha già messo nel mirino l’Italia ma non la Francia di Emmanuel Macron: libera di sforare tutti i rapporti deficit-pil che desidera e di massacrare di botte tutti i Gilet Gialli che vuole nell’indifferenza degli stessi occidentali che si scandalizzano per le proteste venezuelane condotte con estrema violenza dai guerriglieri professionisti dell’opposizione (vedi video qui). Una conferma che l’oligarchia bancaria massonica applica le regole finanziarie con favore verso gli amici mondialisti, con rigore verso i neutrali come gli italiani in questo momento e con austerità asfissiante verso i nemici sovranisti cui vuole rubare risorse energetiche (Iran, Siria, Venezuela).



IL FONDO DI PRESTITI CHE RUBA AI POVERI PER DARE AI RICCHI

Il saggista e analista statunitense Noam Chomsky

Il Fondo Monetario Internazionale fu costituito nel 1945 per dare le risposte alle esigenze di ricostruzione e finanziamento in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale, al pari dell’invenzione del Cfa, già Fcfa ovvero Franco delle Colonie Francesi d’Africa, con cui la Banca di Francia da allora controlla la moneta di 14 nazioni del Continente Nero, più che uno strumento di aiuto economico si è rivelato uno strumento perverso di indebitamento. «Il risultato finale di decenni di prestiti per lo sviluppo è che i paesi poveri hanno recentemente trasferito più di 21 miliardi di dollari all’anno nei forzieri dei ricchi, osserva l’ Economist riassumendo questo triste scenario» cita l’esperto geopolitico americano Noam Chomsky, tra i più aggueriti contestatori del Fmi nel suo libro Anno 501: «Secondo questo schema, la costruzione di un nuovo sistema mondiale è coordinata dal gruppo dei 7 (paesi più industrializzati – ndr) dal Fondo Monetario Internazionale, dalla Banca Mondiale e dal “Gatt” (General Agreement on Tariffs and Trade); da ricordare anche la valutazione della Banca Mondiale, secondo la quale il 31% delle esportazioni manifatturiere del Sud sono soggette a barriere non tariffarie contro il 18% di quelle del Nord, o la relazione del 1992 dello Human Development Program dell’ONU, che riesamina il divario crescente tra ricchi e poveri – aggiunge l’analista statunitense – Attualmente, l’83% della ricchezza mondiale è nelle mani del miliardo di uomini più benestante, mentre il miliardo dei più indigenti, alla base della scala, ne possiede solamente l’1,4%; il raddoppio di tale divario dal 1960 è attribuito alle direttive del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, e al fatto che ben 20 su 24 paesi industrializzati sono più protezionisti oggi di quanto lo fossero un decennio fa, compresi gli Usa che celebrarono la rivoluzione reaganiana raddoppiando in proporzione il numero dei prodotti importati sottoposti a misure restrittive». Il libro di Chomsky risale al 1992 ma un’analisi contenuta nel rapporto 2018 dell’Human Development Index Onu conferma la sostanziale e invariata drammaticità del fenomeno: «Gran parte del recente dibattito sulla disuguaglianza dei redditi all’interno paesi si concentra sul reddito e ricchezza del l’1% più ricco della popolazione e anche il più ricco 0,1 percento rispetto al resto. I recenti rapporti internazionali Oxfam mostrano che “otto uomini possiedono la stessa ricchezza dei 3,6 miliardi di persone che compongono la metà più povera dell’umanità (2017, p.1)” e “l’82% di tutta la ricchezza globale nell’ultimo anno è andato all’1% superiore, mentre la metà inferiore dell’umanità non ha visto alcun aumento (2018, p.10)”. Mentre la condivisione dell’1% più ricco e lo 0,1% è appariscente, la concentrazione su questi gruppi rischia di oscurare un altro dato di preoccupazione in crescita nella disuguaglianza: il declino e la stagnazione in le condizioni di sussistenza delle famiglie a reddito medio».

Un grafico delle ricchezze mondiali suddivise per aree geografiche



L’ALLARME INTIMIDATORIO DELLO FMI SUL DEBITO PUBBLICO ITALIANO

Un grafico della primavera 2018 sulla distribuzione del debito pubblico in Italia

Le frasi sopracitate sul divario tra poveri e ricchi nel mondo non giungono da un antieuropeista o da un antagonista marxista bensì dalle Nazioni Unite che hanno stilato il rapporto. Occasionalmente rimbalzano su qualche titolo di effetto dei media ma regolarmente spariscono quando c’è una crisi economica reale come in Venezuela, in Grecia o in Italia, essendo ormai giornali e tv controllati da imprenditori filomondialisti. Proprio dal Fondo Monentario Internazionale è arrivata ieri la doccia fredda per il Governo gialloverede di Lega-M5S: la crescita del Pil sarà inferiore all’1% annuo almeno fino al 2023. Lo stima lo Fmi nel suo rapporto ‘Article IV’ sull’economia italiana, che prevede una «crescita dell’Italia dello 0,6% nel 2019 e dello 0,9% nel 2020, non modificando quanto contenuto nell’ultimo aggiornamento del World Economic Outlook, diffuso solo pochi giorni fa a gennaio. Tuttavia, l’aumento del Pil non toccherebbe nemmeno il punto percentuale nei prossimi cinque anni. Il Fondo vede una crescita dello 0,7% nel 2021, dello 0,6% nel 2022 e dello 0,6% nel 2023». Queste stime di per sé non determinano conseguenze immediate sotto il profilo politico od economico ma sono assai pericolose perché le agenzie di rating potrebbero operare un declassamento del debito pubblico italiano, ingenerando una spirale di sfiducia negli investimenti finanziari e sulle obbligazioni Btp che ovviamente porterebbe alla contrazione della liquidità. In realtà si tratta di un gioco virtuale poiché l’affidabilità nella potenziale restituzione del debito pubblico, che è il senso delle valutazioni di rischio, è una mera chimera per gli stessi Stati Uniti d’America dove l’esposizione debitoria è pari a dieci volte quella dell’Italia ovvero 21.210 miliardi di dollari contro i 2.345 miliardi di euro (2650 miliardi di dollari circa). Ma ciò che conta per gli analisti finanziari non è la quantità di debiti bensì il rapporto con il Pil che mette l’Italia purtroppo al terzo peggiore posto mondiale dietro al Giappone e Grecia, due paesi però ormai liberi di fare ciò che vogliono essendo il primo detentore del 90% del proprio debito e la seconda sempre più controllata dalla filo-americana Ue. Al fine di capire cosa c’è dietro l’enorme inganno del debito pubblico generato dai prestiti finanziari internazionali viziato dal signoraggio bancario bisogna sapere che il 70 % di quello americano è nelle mani della Federal Reserve che non è altro un’associazione, molti esperti di economia politica ritengono per delinquere, di banche private. Orbene il Fondo Monetario Internazionale è controllato soprattutto dagli Usa attraverso 82,994 di Dps, i Diritti Speciali di Prelievo, una sorta di valuta internazionale equiparabile ad azioni, che consentono agli americani di esprimere il 16 % dei voti, poco meno della somma degli altri tre principali azionisti Giappone, Cina e Germania. Ma come abbiamo poc’anzi evidenziato il debito Usa per circa 14mila miliardi è nelle mani della Federal Reserve che è controllata da banche private di matrice massonico-ebraica: Banca Rothschild di Londra, Banca Warburg di Amburg, Banca Rothschild di Berlino, Lehman Brothers di New York, Lazard Brothers di Parigi, Banca Kuhln Loeb di New York, Banche Israel Moses Seif in Italia, Goldman, Sachs di New York, Banca Warburg di Amsterdam, Chase Manhattam Bank di New York.



I BANCHIERI MONDIALISTI ALL’ATTACCO DELL’ ITALIA

Ecco le banche che controllano la Federal Reserve americana che a sua volta detiene il 70 % del debito pubblico di 21mila miliardi di dollari degli Usa, socio di maggioranza relativa con il 16 % del Fondo Monetario Internazionale che ha sede a Washington

Questa egemonia finanziaria e politica in virtù del controllo del Fmi (e della Banca Mondiale con sede a Washingtonanch’essa controlata dalla Fed e da Banche Centrali nelle quali ritornano i nomi degli istituti di credito azionisti della stessa Fed) non lascia scampo ai bersagli economici tra i quali l’Italia figura, come da me sempre ribadito, per le ricchezze artistiche e paesaggistiche immense e per la posizione di portaerei nel Mediteraneo dal punto di vista della geopolitica militare. Per far capire la fragilità del sistema finanziario italiano bisogna analizzare non tanto l’entità del debito pubblico ma la sua strutturazione: se infatti in Giappone l’esposizione è controllata al 90 % da soggetti nipponici e gli consente di mantenere rating alto A+ che equivale ricevere finanziamenti internazionali a tassi di interesse bassi, in Italia è al 32 % in mano a investitori stranieri, al 27 % alle banche, 19 % fondi assicurativi, ciò determina un rating medio-basso di Bbb appena sopra all’area di “non investimento speculativo Bb”. Ma c’è una considerazione importantissima da fare: il bazooka di sostegno economico del presidente della Banca Centrale Europea (società per azione di banche private) Mario Draghiche ha consentito ai precedenti governi europeisti Pd ogni sforamento di deficit si è sviluppato coi Quantitative Easing, ovvero l’acquisto di obblicagioni italiane Btp che hanno spostato ulteriormente il debito pubblico dall’Italia (Poste, Generali e Unicredit su tutte) alla stessa Bce, esponendo la nazione ancor di più alle logiche intimidatorie/ricattatorie di Bruxelles. In questo scenario sconcerta la posizione sempre meno euroscettica-antimondialista di Salvini e della Lega, convertiti sulla via di Strasburgo come Silvio Berlusconi, premiato con la nomina di Antonio Tajani a presidente dell’Europarlamento, come di Meloni e Fratelli d’Italia che pur con tuti i distinguo si trovano anche a sostenere la battaglia golpista americana pro Juan Guaidò e contro Nicolas Maduro a Caracas, senza comprendere – o volerlo fare – che potrebbe essere il destino dell’Italia se mai sarà davvero animata da un autentico spirito di risorgimento sovranista. Fa tenerezza l’ingenuintà con cui il vicepremier Luigi Di Maio del M5S replica alle stime del calo del Pil: «Abbiamo già smentito tante voci in soli sette mesi e nel corso del 2019 smentiremo anche il Fondo Monetario Internazionale. Chi ha affamato popoli per decenni, appoggiando politiche di austerità che non hanno ridotto il debito, ma hanno solo accentuato divari, non ha la credibilità per criticare una misura come il Reddito di cittadinanza, un progetto economico espansivo di equità sociale e un incentivo al lavoro».

Il premier Giuseppe Conte e il vicepremier pentastellato Luigi Di Maio mostrano la carta postepay per il Reddito di Cittadinanza

Una circostanza confermata dallo stesso rapporto dello Fmi dopo 7 anni di inutile rigore perpetrato dai premieri Mario Monti, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni imposti dall’accoppiata presidenziale Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella: «il tasso di povertà in Italia non solo è più alto della media europea ma è soprattutto fra le famiglie più giovani. I redditi reali dei dipendenti restano sotto i livelli per accesso all’euro. Oltre il 20% delle famiglie è a rischio povertà e l’emigrazione dei cittadini italiani è vicino ai massimi degli ultimi cinquanta anni». Ma nonostante ciò lo stesso Fondo internazionale boccia la manovra antipovertà del Reddito di Cittadinanza (presente in tutti i paesi Ue ad eccezione della Grecia) voluta da Di Maio; il quale, se da una parte fa tenerezza per l’ingenuità con cui indugia a commentare la trappola ordita dallo Fmi, è anche rimasto purtroppo l’unico a difendere l’ormai vecchia linea dell’economista Paolo Savona per un confronto con l’Unione Europea e la Bce sulla rinegoziazione del debito pubblico: unica via politica d’uscita per la rinascita economica dell’Italia, ultima via diplomatica prima di finire nella schiavitù finanziaria come in Grecia o nella guerriglia urbana come in Venezuela. Un tunnel tenebroso al fondo del quale lo spiraglio di luce reca soltanto una scritta con un nome: Vladimir Putin, l’unico possibile alleato economico che può aiutare Roma a non fare la fine di Atene e Caracas. Purtroppo però, proprio a causa di un’assurda posizione anti-sovranista contro Maduro sia Meloni che Salvini, si stanno giocando l’unico interlocutore possibile nella lotta contro il progetto mondialista ideato nel 1772 da un Rothschild con gli Illuminati di Baviera, la massoneria internazionale e attuato tramite i regimi comunisti atei (vedi l’articolo L’Olocasuto dei massoni comunisti al link sotto): ben diversi dai socialisti bolivariani cristiani.

Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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VENEZUELA: LO STATISTA INVOCA CRISTO, I PRESIDENTI LA GUERRA




MADURO SI APPELLA AL PAPA PER IL DIALOGO
TRUMP MINACCIA L’INTERVENTO MILITARE USA
MATTARELLA ESIGE CHE L’ITALIA APPOGGI IL GOLPE
MA TACE SULLE BOMBE SARDE NELLO YEMEN

___di Fabio Giuseppe Carlo Carisio ___

Ogni giorno che passa Nicolas Maduro mostra a chi vuole vederli un volto umano ed una mente geniale. Ogni istante che passa i mondialisti spalancano le loro fauci assetate di sangue e di petrolio solo per digrignare i denti contro il socialismo bolivariano reo secondo il mainstream occidentale di essere una dittatura armata che soffoca nel sangue i rigurgiti di libertà dell’opposizione ed i diritti umani. Prima di questa breve riflessioni evocata dall’intrusione a gamba tesa dello strapotere mummificato nel Quirinale è doverosa una lapalissinia premessa: in Venezuela vige una democrazia che, a torto o ragione, è imperfetta come lo furono o sono tutte le repubbliche del pianeta e della storia: l’Atene aeropagita condannò all’ostracismo lo stratega eroe di Maratona Aristide perché voleva destinare ai cittadini della polis l’argento delle miniere anziché impiegarlo per costruire navi da guerra come voluto da Temistocle; la Washington di Barack Obama ha seminato distruzione e fame in mezzo mondo con bombe intelligenti che solo in Siria ed Irak hanno causato 1.161 morti accertati tra gli inermi civili, senza alcuna autorizzazione Onu; la Gran Bretagna e la Svezia multiculturali e progressiste hanno accolto così tanti musulmani da non avere abbastanza poliziotti per indagare sulle violenze sessuali su minorenni e bambine inglesi e svedesi; la Roma ladrona garantisce aurei vitalizi a politici anche pregiudicati e costringe gli sfrattati di esosi mutui paranatocistici e pseudousurai al suicidio. Nel 2019 nonostante l’Onu, il suo Alto Commissariato per i Diritti Umani e l’Organizzazione Mondiale della Sanità in molti paesi del G8 la salute è un bene di lusso: per i poveri senza assicurazione negli Stati Uniti le cure sanitarie sono un miraggio, in Italia un sogno, che si concretizza dopo interminabili attese, simili a quelle per le pensioni di invalidità e gli assegni di accompagnamento a volte riconosciuti all’avente diritto quando è ormai morto. Orbene, in questo panorama terzomondista dove un italiano su tre rinuncia a chiedere giustizia a causa di un sistema giudiziario al collasso in cui 7 su dieci non credono, si sentiva proprio il bisogno che il senescente inquilino del Colle, Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura nonché, purtroppo, della Repubblica Italiana rompesse il suo cogitabondo silenzio per occuparsi di una nazione straniera e, con un monito fatalmente ed intrinsecamente guerrafondaio, invitasse un Governo gialloverde finalmente senziente e pensante ad appiattirsi sulle posizioni dell’Unione Europea per firmare una bella “giustificazione di guerra” agli sceriffi nordamericani che dopo aver sterminato gli indiani nativi si sentono il dovere morale di ammazzare ogni presunto dittatore che non è di loro gradimento. «Non ci può essere incertezza nè esitazione nella scelta tra la volontà popolare e la richiesta di autentica democrazia da un lato e dall’altro la violenza della forza» dichiara, probabilmente bruscamente destato dal suo torpore dinnanzi i guai italiani (dalla mafia siciliana a quella nigeriana), il presidente Sergio Mattarella “chiedendo senso di responsabilità e chiarezza in Italia per il Venezuela su una linea condivisa con gli alleati e i partner europei” aggiunge l’Ansafuori dalle virgolette, probabilmente sentendosi ormai autorizzata dal mainstream mondialista a completare le frasi di un capo di stato…



IL QUIRINALE CONTRO MADURO COME CONTRO GHEDDAFI

Il 17° presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con il suo successore Sergio Mattarella

Sembra di essere tornati indietro al 2011 quando il suo predecessore Giorgio Napolitano, forte del suo ruolo presidenziale di Capo supremo delle Forze Armate, chiuse l’allora premier Silvio Berlusconi e gli impose di concedere agli Usa l’utilizzo delle basi per bombardare in Libia ed uccidere il malvagio tiranno Muhammar Gheddafi che aveva pure l’aggravante – concausa del movente bellico – di essere “amico” del leader di Forza Italia. Il cavaliere acconsentì al maligno tradimento, sperando di salvare forse il suo governo già minato dagli occulti golpisti tramanti a sua insaputa, forse il suo impero finanziario, forse la pelle ricordando Aldo Moro, forse la libertà di vivere a Milano pensando a Bettino Craxi. Ma siccome, dalla storia biblica in poi, i fedifraghi scontano le proprie pene già sulla terra. finì disarcionato dalla sella politica e anche dal titolo: ma evitò la galera che ne avrebbe fatto invece un martire giudiziario. Sono passati quasi 8 anni da quel 19 marzo in cui fu sferrato l’attacco dei cacciabombardieri Mirage francesi a Bengasi, la Libia, frammentata da lotte fratricida, non ha ancora un capo dello Stato. Nel frattempo c’è stata la guerra in Siria e pertanto Russia e Cina hanno imparato la lezione, pertanto è ormai vana la ricerca di un’egida del Consiglio di Sicurezza dell’Onu per la guerra ad uno stato sovrano in cui Mosca e Pechino porrebbero il veto. Ecco perché agli Usa, per l’intervento militare in Venezuela a sostegno dei golpisti filoamericani da loro finanziati e cresciuti, oggi basta solo l’avallo dell’Unione Europea incuranti delle conseguenze di un’ennesima provocazione al pacifico orso del Cremlino Vladimir Putin che continua a fare la politica del temporeggiatore. Purtroppo per il Pentagono su Caracas ci sono gli occhi puntati della Repubblica Popolare Cinese che ha prestato 40 miliardi di dollari come anticipo sulle forniture petrolifere degli smisurati giacimenti dell’Orinoco e potendo vantare il record mondiale di esecuzioni di pene capitali non si farebbe grossi problemi a scatenare un olocausto di perdite umane.



MATTARELLA RICHIAMA ALL’ORDINE DI GUERRA


In questo scenario pre-apocalittico il taciturno inquilino del Quirinale, espressione di una maggioranza politica del Partito Democratico spazzata via alle recenti elezioni politiche, si sente il dovere di richiamare il Governo italiano all’ordine: che di fatto si tramuterebbe in un’ordine di guerra, per passiva o attiva che potesse poi configurarsi. In questo pandemonio disumano in cui l’astuzia diabolica dei cospiratori ha violato cento, mille volte ben più dei diritti umani, tanto che i reparti speciali dell’Usaf americana hanno liberato 40 jihadisti Isis da una prigione talebana in Afghanistan per elitrasportarli non si sa dove, il potere mummificato rosso sbugiarda sé stesso offendendo la dignità di una repubblica fondata sul socialismo bolivariano cattolico che è forse quanto di migliore si sia mai visto nella storia dell’umanità di sinistra. Ho già scritto articoli su Gospa News e su Sputnik News (multimedia russo) per ribadire che quanto sta accadendo in Venezuela è soltanto frutto della perversa ingordigia americana che si arrampica sugli specchi della democrazia negata senza vedervi il volto deforme della propria totalmente incompiuta e pertanto assai simile. Chi commenta miei articoli e miei post sui social criticandomi (nel 99 % dei casi senza averli letti) deve sapere che il Venezuela lo conosco indirettamente e un pochino direttamente. Perché un anno orsono ho avuto la fortuna di vivere un brevissimo flirt con un’avvenente venezuelana giunta in Italia con l’asilo politico e soggiornante in Piemonte da parenti. Era arrivata in aereo nel 2017, aveva stupendi occhi leggermente a mandorla, eleganti abiti e scarpe, era laureata in Pedagogia, la sua pelle olivastra era sinuosa di ampollose forme persino un po’ esuberanti e tutto lasciava trasparire tranne che fosse profuga di un paese ridotto alla fame. Sperava che cadesse presto il dittatore Maduro da lei opportunisticamente odiato per tornare nel suo Venezuela dove evidentemente non aveva mai vissuto così male… Discutemmo proprio perché già allora avevo avuto il presentimento che Caracas stesse scontando il tentativo di un golpe come Damasco e Kiev, guarda caso tutti paesi ricchi di risorse del sottosuolo: una discussione che certo non giovò all’armonia di coppia… Proprio per questo quando terminò la nostra fugace frequentazione indugiai con attenzione sulle cronache dei media internazionali sul Venezuela per trovare conferma o smentita alle mie intuizioni E più leggevo della repubblica maduregna e più mi convincevo che non era così infame come alcuni occidentali volevano farcelo vedere. Gli studi approfonditi sul Socialismo Bolivariano di Hugo Chavez nelle ultime settimane me ne hanno date ulteriori certezze mai venute meno nemmeno durante momenti di preghiera a Gesù Cristo nella ricerca di un’illuminazione interiore dallo Spirito di Dio. Anzi proprio la scoperta che la popolazione in quel mirabile paese dei Caraibi baciato dall’eterno sole è al 90 % cattolica, grazie al riconoscimento costituzionale della libertà religiosa che manca in moltissimi paesi dell’Onu, mi ha dato la certezza che gli stati canaglia sono ben tutt’altra cosa e spesso, ma non sempre, sono governati da teocrazie musulmane amiche degli Usa.



MADURO “AL SERVIZIO DI CRISTO” CHIEDE RISPOSTE AL PAPA

La benedizione di Papa Francesco al presidente venezuelano Nicolas Maduro il 17 giugno 2013 durante il primo incontro ufficiale in Vaticano (Photo by Vatican ). Un successivo incontro improvviso ed urgente avvenne il 24 ottobre 2016 per affrontare le spinose questioni della crisi politica ed economica. 

Le parole con cui oggi lo stesso Maduro risponde al mondo intero meriterebbero di essere scolpite nel cuore di ogni statista del mondo, ivi compreso quello di Mattarella ammesso che ne abbia ancora uno… «Ho inviato una lettera a papa Francesco spero che sia in viaggio o che sia arrivata a Roma, al Vaticano, dicendo che io sono al servizio della causa di Cristo – ha detto il legittimo presidente della Republica Bolivariana del Venezuela in una intervista a Sky TG24 – E con questo spirito gli ho chiesto aiuto, in un processo di facilitazione e di rafforzamento del dialogo, come direzione. Io chiedo al Papa che produca il suo miglior sforzo, la sua volontà per aiutarci nella strada del dialogo. Speriamo di ricevere una risposta positiva». Ma nei giorni scorsi i media del mainstream, il consigliere militare fraudolento della Casa Bianca, John Bolton, gli europarlamentari, nessuno si è soffermato sull’apertura di Maduro ad un dialogo con l’autoproclamato presidente ad interim Juan Guaidò da cui ha subito ricevuto un netto rifiuto. Senor Nicolas, come se fosse davvero illuminato dal Cielo o da qualche statista cristiano come Putin, però non sbaglia una mossa. A chi lo accusa di tenere il popolo alla fame (conseguente a sanzioni e inflazione creata ad hoc dalle agenzie di rating, ma per l’Onu resta paese ad “alto sviluppo umano”, leggi sotto articolo Maduro, il Gheddafi latino fa paura col Petrocoin) ha risposto chiedendo alla Banca d’Inghilterra 15 tonnellate di una parte dell’oro che Caracas ha lì conservato; ma Londra da quest’estate gli risponde picche. A chi gli ha chiesto nuove elezioni presidenziali ha risposto che convocherà a brevissimo nuove elezioni parlamentari per saggiare la forza politica dell’opposizione che nel 2015 conquistò la maggioranza dell’Asemblea Nacional proprio grazie ad una campagna di manipolazione mediatica costruita su scontri di guerriglia sucidida dei manifestanti guidati da Leopoldo Lopez. Al machista Trump, che ha ribadito che l’opzione “militare” è sul tavolo, ha fatto rispondere da una donna (ah, ah, ah): la vicepresidente Dulcy Rodriguez, la viragica politica che giovedì scorso ha già ribadito la sua risposta in un chiaro ritornello chavista “el pais no se vende, el pais se defende” pronunciato davanti a migliaia e migliaia di venezuelani in marcia coi lavoratori dell’azienda petrolifera Pdvsa. Una folla che ascoltava, urlava “americano ladrones” ma anche ballava, cantava e pregava in barba alla presunta carestia. I loro occhi erano gioiosi, le loro labbra sorridenti, i loro sorrisi giocondi ma nessun media occidentale ha fatto un reportage scritto o video della manifestazione, soltanto Russia Today Espanol, Sputnik Espana e Gospa News…




IL SILENZIO DI MATTARELLA SULLE BOMBE SARDE NELLO YEMEN


Amal Hussain, denutrita e infine morta di stenti: immagine della fame nello Yemen (clicca per leggere l’articolo) devastato dalle bombe, alcune delle quali prodotte in Sardegna.

In quel video di due ore non ci sono comparse: ci sono i volti di venezuelani distesi e festanti, qualcuno un po’ preoccupato, ma tutti con le guance tonde e paffute. Ben diverse da quelle di migliaia di macilenti bambini morti di stenti nello Yemen per la guerra civile tra varie fazioni che comprendono gli alleati di Washington dell’Arabia Saudita e i miliziani jihadisti di Al Qaida. Secondo l’ONU, tra marzo 2015 e aprile 2016 fra 7.400 e 16.200 persone sono morte in Yemen, di cui civili fra 4.125 e 10.000. Secondo il presidente dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani (fonte Bbc) la coalizione a guida saudita ha causato il doppio delle vittime civili rispetto a tutte le altre forze messe insieme, quasi tutte in conseguenza degli attacchi aerei. Ma tutto ciò non sembra avere la priorità sul tavolo politico di Mattarella. «Nello Yemen 1,8 milioni di bambini soffrono di malnutrizione acuta e 400.000 di loro versano nella sua forma più grave e pericolosa: la malnutrizione acuta grave – scrive l’Unicef – Il 40% di questi bambini a rischio imminente di morte per fame si trovano nella città portuale di Hodeidah e nei governatorati vicini, dove infuria la guerra. Ogni anno, 30.000 bambini yemeniti muoiono a causa della malnutrizione». Ma tutto ciò non interessa al presidente italiano: in 10 pagine di ricerca su Google non c’è una sola parola, un solo titolo che metta in connessione una dichiarazione di Mattarella con lo Yemen: c’è la visita diplomatica della nuova ambasciatrice per ricevere le credenziali di protocollo nel 2016; ci sono solo le manifestazioni di strada nel Sulcis, in Sardegna, dove una fabbrica tedesca produce le bombe che vengono esportate nello Yemen in sfregio ad una risoluzione dell’Unione Europea per i soliti cavilli burocratici di una vendita mediata da altri paesi ed il rimpallo di responsabilità sull’export di armi tra i Dicasteri della Difesa e degli Esteri «Il ministero della difesa è comunque coinvolto – ribadì a suo tempo il coordinatore nazionale della Rete Italiana Disarmo, Francesco Vignarca – perché grazie agli accordi militari che l’Italia può stipulare con vari Paesi, la procedura di autorizzazione può essere in qualche modo bypassata, come aveva denunciato, da parlamentare, anche l’attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella». I sardi, si sa, sono di capoccia dura e dove aver gridato inutilmente ai quattro venti quella vergogna per circa due anni e nel novembre 2018 andarono a sbandierarla in Piazza del Quirinale. Che restò muto: come sempre sulle questioni scottanti che non siano nel carnet di priorità di europeisti e mondialisti.

Ecco perché il Venezuela non ha bisogno di altre bombe, né ignoranti né intelligenti. Ecco perché non resta che unirsi all’auspicio benefico di Maduro e, servendo la causa di Cristo, aspettarsi una mediazione del Papa per il Venezuela; una riposta diplomatica illuminata dalla stessa Fede, Speranza e Carità con cui nell’Angelus di domenica ha pregato per lo Yemen prima di partire per Abu Dhabi e raggiungere gli Emirati Arabi Uniti nella prima visita di un Pontefice della Chiesa Cattolica nella penisola musulmana.

Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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MADURO: IL GHEDDAFI LATINO FA PAURA COL PETROCOIN



BASTA QUESTA IMMAGINE A FAR CAPIRE COME SIANO SALTATI I NERVI A USA E ISRAELE, I PADRONI DI GUAIDO'


TEMPESTA PERFETTA AI CARAIBI COL PAPA A PANAMA:
I CONTRO-OPINIONISTI «COMPLOTTO USA COME IN SIRIA»
PER LA CRIPTOVALUTA MONETARIA SUL PETROLIO.
BOMBARDIERI RUSSI PRONTI A DIFENDERE L’ALLEATO
L’ONU PREMIA IL VENEZUELA: “PAESE AD ALTO SVILUPPO”


___di Fabio Giuseppe Carlo Carisio ___

«Se uno dei vostri diventa povero e privo di mezzi, tu lo sosterrai, come sosterrai lo straniero e l’ospite, affinché possa vivere presso di te. Non prendere da lui interesse, né usura; ma temi il tuo Dio e il tuo prossimo viva presso di te. Non gli presterai il tuo denaro a interesse, né gli darai i tuoi viveri per ricavarne un’usura». (SACRA BIBBIA – Levitico 25,35-37)

Se questo passo della Bibbia fosse applicato da tutti i paesi del mondo oggi George Soros sarebbe un vecchietto che va a giocare a carte nel caffè sotto casa, la strozzina Bce e la terribile Federal Reserve americana due organizzazioni filantropiche, il Fondo Monetario Internazionale un dispensatore di aiuti umanitari ai bisognosi della terra, e Nicolas Maduro, il Gheddafi sudamericano che gli Usa hanno disconosiuto a favore del leader dell’opposizione, potrebbe essere uno degli statisti più acclamati al mondo. A sostenere quest’ultima ipotesi non è un delirio fantapolitico ma l’Indicatore di Sviluppo Umano, lo Human Development Index dell’Onu che, come vedremo, smentisce le teorie apocalittiche degli statunitensi e dei loro manipolati rivoltosi golpisti di Caracas, e attesta il Venezuela al 8° posto in Sud America e al 78° del mondo, davanti a Brasile, Cina, Thailandia, Ucraina e Tunisia, sebbene sotto il terribile dittatore! Ma quando nel medioevo la Chiesa Cattolica Cristiana condannò severamente l’usura i mercanti ebrei si attaccarono con le avide unghie solo alla locuzione “se uno dei vostri” sentendosi autorizzati ad esigere interessi usurai (per la Bibbia qualsiasi prestito lo è), divenendo pian piano padroni finanziari del mondo e strozzinando i non-sionisti prima, con la stessa logica con cui i jihadisti musulmani ammazzano gli infedeli, e chiunque poi. Non solo. L’Illuminato di Baviera che fu il capostipite della dinastia di banchieri Rothschild sfruttò le massonerie internazionali per costruire il progetto del Nuovo Ordine Mondialein modo da influenzare la politica eliminando gli ostacoli principali al loro piano plutocratico, le monarchie aristocratiche ereditarie, attraverso la scusa delle rivoluzioni sociali. Ma siccome il diavolo, si sa, fa la pentola ma non il coperchio la reazione del popolo bue partorì mostri peggiori a quelli immaginati con la nascita del comunismo, capace di fare 90milioni di morti mai abbastanza pianti sulla faccia della terra (vedi link articolo L’Olocausto dei massoni comunisti a fondo pagina): un numero in continuo aumento a causa delle pene capitali sommarie tuttoggi perpetrate nei paesi dove ancora vige.



DALL’URUGUAY AL VENEZUELA: UNA RAFFICA DI GOLPE MILITARI

Il presidente venezuelano Nicolas Maduro a dicembre a Mosca dal presidente russo Vladimir Putin

A ciò non fece eccezione l’America Latina ove purtroppo si ricordano le gesta di quel disertore italiano e guerrigliero mercenario mazziniano che combattè in Uruguay in uno dei tanti golpe militari sudamericani contro un presidente conservatore, democratico e cristiano legittimamente eletto (Manuel Oribe): ovvero Giuseppe Garibaldi, massone iniziato nel 1944 prima alla loggia irregolare Asilo de Vertud di Montevideo e poi a quella regolare Les amis de la Patriedella Gran Loggia di Francia, fondatore della milizia Legione Italiana. Da allora il Sud America, ritenuto dagli yankees a stelle e strisce il giardino della propria casa, è stato vituperato e martoriato da innumerevoli golpe per motivi di geopolitica militare o di sfruttamento delle ricchezze naturali: il Venezuela, con la più grande riserva petrolifera internazionale che da sola rappresenta la metà di quella globale, è il bersaglio prediletto da più di 16 anni, da quel lontano 2002 in cui gli Usa con un colpo di stato in piena regola arrestarono il presidente Hugo Chavez, il socialista bolivariano democraticamente eletto, e misero al suo posto l’affarista Pedro Carmona, durato pochi giorni per l’insurrezione del popolo che rivolle il leader destituito. Ora Caracas è diventato l’obiettivo più urgente anche in virtù dell’ultima geniale trovata dell’erede chavista Maduro per difendersi dalle asfissianti sanzioni americane: il Petro o Petrocoin, la prima criptovaluta di Stato del mondo. Una moneta virtuale collegata al nuovo Bolivar Soberano garantita però dallo Stato al 50 % proprio grazie alle immense riserve petrolifere. Un progetto simile a quello del greenback del presidente americano Abramo Lincoln per affrancare gli Usa dalle banche e a quello di Muhammar Gheddafi per creare una valuta africana unitaria, garantita dalle sue imponenti riserve auree libiche, alternativa Cfa: il Franco delle Colonie Francesi d’Africa, inventato da Parigi nel 1945 ed al centro delle attuali polemiche sullo sfruttamento economico di 14 paesi paesi grazie alla gestione di questa moneta da parte della Banca Nazionale di Francia. Sappiamo benissimo che fine hanno fatto Lincoln, ucciso proprio da un massone (vedi link articolo a fondo pagina Massoneria e grandi crimini a fondo pagina), e Gheddafi che, secondo un dettagliato articolo dell’inviato di guerra Gian Micalessin, fu preso di mira dai bombardamenti occidentali ed eliminato proprio per l’idea di quella nuova moneta.



LA TEMPESTA PERFETTA IN VENEZUELA IN ONORE DEL SANTO PADRE

Juan Guaido, il presidente dell’Assemblea Nazionale di Caracas e leader dell’opposizione si è autoproclamato presidente ad interim ottenendo il riconoscimento degli Usa e di altri stati EPA/Cristian Hernandez

«E’ bene che la gente non sappia come funziona il nostro sistema monetario perché, se lo sapesse, farebbe una rivoluzione entro domani mattina». Questa celebre frase non è di un politico sovranista dell’Unione Europea in riferimento alla Bce ma dell’ex presidente degli Usa, Henry Ford, perfettamente consapevole che il sistema economico americano, e di conseguenza mondiale attraverso le correlazioni tra Fed e Fmi, è sempre stato una giostra di banche che a loro piacimento decidono chi può indebitarsi e chi no: usando parametri flessibili per gli amici, rigorosi per gli sconosciuti ed esiziali per i nemici. Ma quando un paese ostile è troppo ricco di risorse naturali scatta la guerra se è in un’area geopolitca scottante come Medioriente o Asia, come contro Gheddafi nel 2011, oppure una cospirazione più lenta, ma spesso più efficace, attraverso il finanziamento di un leader delle opposizioni che sostenga le accuse di mancato rispetto dei diritti democratici e la contestuale applicazione di sanzioni internazionali che si traducano in gravi crisi economiche fomentando così l’ovvio malcontento popolare a sostegno del politico compiacente. «Quando gli Stati Uniti volevano rovesciare un governo, lo facevano fare segretamente alla Central Intelligence Agency (CIA), particolarmente quando questi governi erano stati democraticamente eletti, come Iran (1953), Guatemala (1954), Cile (1973), Nicaragua (1980), Haiti (2006), Honduras(2009), Ucraina (2013) e Siria (2011) – scrive l’opinionista internazionale britannico Davide William Pear – Nel corso degli ultimi decenni, gli Stati Uniti sono diventati più sfrontati nei loro progetti di regime change. Quel che di solito si faceva in segreto, attualmente viene praticato senza complessi sotto gli occhi di tutti. Il progetto di regime change in Venezuela del 2017 è oramai diventato di pubblico dominio». «Che l’annuncio del ritiro delle truppe americane dal teatro siriano fosse semplicemente dovuto a un cambio nella strategia comunque imperialista della presidenza degli Stati Uniti (rispetto a quella precedentemente impostata dal deep state), piuttosto che a una supposta volontà “antisistema” di Donald Trump, lo si era chiaramente anticipato su questo blog – scrive nella sua rubrica Il Ghibellino su Il Giornale il giornalista italiano Cristiano Puglisi – Il caos esploso ieri in Venezuela, con l’autoproclamazione del presidente dell’Assemblea Nazionale e leader dell’opposizione Juan Guaidò a presidente della Repubblica in luogo del capo di Stato eletto Nicolas Maduro, appoggiata dagli Stati Uniti, dimostra ora che le previsioni erano corrette. Ovviamente, come c’era da attendersi, è partito il coro dei media occidentali, pronti a chiedere la testa del “tiranno Maduro”. Sembra di rivivere quanto avvenuto, tra il 2012 e pochi mesi fa, con il presidente siriano Bashar Al Assad». Ora che abbiamo già chiarito chi, dove, perché, cosa e come soffermiamoci sull’ultimo dei “topos” indispensabile per analizzare la situazione: quando. Ciò che sta accadendo oggi in Venezuela in quella che potrebbe sembrare una tempesta perfetta nel Mar dei Caraibi pare organizzato apposta in concomitanza della Giornata Mondiale della Gioventù che vede il Santo Padre a Panama. Papa Francesco, si sa, non è solo buonista ma è proprio buono davvero: si commuove e piange per i migranti come per i morti venezuelani di questi giorni (tra i quali ci sono i militari insorti per tentare il golpe contro Maduro), ma la sua anima candida gli impedisce di ponderare che dietro questi drammi esistano dei complotti internazionali politico-finanziari-mediatici. Ed ovviamente alcuni suoi collaboratori infidi fanno di tutto per nasconderglieli. «Gli Stati Uniti hanno perfezionato le loro tecniche di regime-change, camuffandole in promozione della democrazia, che finanzia la sovversione attraverso l’Agenzia per lo Sviluppo internazionale (USAID), il Servizio di Informazioni degli Stati Uniti (USIS) e il National Endowment for Democracy (NED)finanziato dal Congresso, l’International Republican Institute (IRI) e altre organizzazioni non governative selezionate» aggiunge ancora Pear scordandosi di citare l’Unicef: secondo i documenti pubblicati da Edawrd Snowden, l’ex agente di Cia e Nsa che svelò le intercettazioni dei presidenti europei da parte dei servizi segreti americani, il Fondo Onu per l’infanzia era tra gli obiettivi di sorveglianza dell’intelligence britannica (Gchq – Government Communications Headquarters) e americana (Nsa – National Security America).



LA RIVOLTA PILOTATA A CARACAS CON MILITARI INSORTI E MORTI

Alcuni militari che nell’agosto 2017 tentarono un golpe armato che provocò morti e feriti come quello dei giorni a Caracas iniziato con l’occupazione di una caserma e sventato dall’esercito governativo

«Ho trascorso 33 anni e quattro mesi in servizio militare attivo e durante quel periodo ho passato la maggior parte del mio tempo come uomo altolocato per il grande business, per Wall Street e per i banchieri. In breve, ero un racket, un gangster per il capitalismo – Questa frase è contentuta nel libro War is Racket scritto dal generale statunitense Smedley Butler che aggiunge – Ho aiutato a rendere il Messico e soprattutto Tampico sicuri per gli interessi petroliferi americani nel 1914. Ho aiutato a rendere Haiti e Cuba un posto decente per i ragazzi della National City Bank per raccogliere entrate. Ho aiutato a stuprare una mezza dozzina di repubbliche centroamericane per il beneficio di Wall Street». Riporto queste righe mentre in Venezuela si contano 26 morti negli scontri tra le forze di polizia e l’esercito governativo da una parte e dall’altra i militari insorti e i manifestanti dell’opposizione, scesi in piazza a migliaia. Come scrivono i colleghi in Venezuela si sta cercando di riproporre il medesimo criminale format già utilizzato con successo in Ucraina da Barack Obama con la rivolta di piazza Euromaidan, fomentata per presunte velleità europeiste e miso-russe, in realtà finalizzata non solo al controllo dei confini della rivale Mosca ma anche allo sfruttamento dei giacimenti di gas naturale e petrolio del Donbass (vedi articolo Donbass: strage per il gas a fondo pagina): non fu certo per caso che Hunt Biden, figlio dell’ex vicepresidente Usa, entrò nel Cda della società energetica nazionale ucraina Burisma. E proprio il già citato Micalessin intervistò dei militari georgiani che confermarono di essere stati tra i cecchini mercenari pagati per sparare sulla folla e giustificare con quasi cento morti l’indignazione mondiale.

I BOMBARDIERI RUSSI GIA’ PRONTI IN VENEZUELA

Gli aerei bombardieri russi Tu-160 inviati dall’alleato Vladimir Putin a dicembre in Venezuela

«Attualmente è più difficile controllare un milione di persone, che ucciderle» avrebbe apertamente dichiarato Zbigniew Brzezinski, già consigliere di quel presidente americano Jimmy Carter che, in qualità di osservatore internazionale, nel 2012 certificò la bontà del sistema elettorale chavista. Esattamente lo scenario costruito in Siria grazie al finanziamento dei ribelli (vedi articolo I cospiratori contro Assad a fondo pagina) e persino dei terroristi dell’Isis, i quali, una volta armati dagli Usa, decisero di conquistare l’intero medioriente in nome della Jihad costringendo la stessa Usaf (Us Air Force) a bombardarli causando 1.160 morti civili. Se in Venezuela non ci sono ancora state eco di guerra è soltanto per due motivi: Trump, per quanto soggiogato da consiglieri fraudolenti nel proseguire le strategie imperialiste americane, non è malvagio e sanguinario come il suo predecessore Obama, il più inverecondo Nobel per la Pace mai assegnato; inoltre, a metà dicembre, all’Aeroporto Internazionale di Maiquetia “Simon Bolivar” sono atterrati due bombardieri strategici Tu-160, un cargo An-124 e un velivolo a lungo raggio IL-62 della Russia, alleata di Maduro, che ha nel paese molteplici relazioni commerciali attraverso la società petrolifera a maggioranza statale Rosneft. Il Cremlino, oltre ad inviare gli aerei da guerra, ha già condannato la pantomima dell’autoproclamazione del nuovo presidente ad interim Guaidò ed il sostegno giunto da varie nazioni del mondo come «inquietanti» per bocca del ministro russo degli Esteri Sergey Lavrov, che ha promesso al governo venezuelano le «armi necessarie per difendersi». Il presidente russo Vladimir Putin, che pare attento alle sorti delle sovranità nazionali e dell’umanità intera, ha già fatto capire che Caracas non sarà una nuova Damasco con intorno mezzo milione di morti. A ciò si aggiunge il fatto che Maduro ha ottenuto dalla Cina prestiti per 40 miliardi di dollari che sta restituendo in natura, con l’invio di quantità crescenti di petrolio a prezzi bloccati e facendosi carico dei costi di trasporto. E’ pertanto ovvio che Pechino non correrebbe mai il rischio di un cambio di scenario politico, che se va bene potrebbe congelare la restituzione del finanziamento, se va male cancellarla. Ecco perché la strategia americana potrebbe avere successo solo in due modi: l’attentato omicida del presidente chavista, con inevitabile caos simile a quello della Libia, o la Terza Guerra Mondiale. E Trump sta tanto bene alla Casa Bianca quanto nel suo grattacielo di Manhattanper correre simili rischi…


L’ALTO SVILUPPO UMANO DEL VENEZUELA

Una parte della tabella dell’Indice di Sviluppo Umano (Hdi) dell’Onu 2018 dove il Venezuela risulta al 78° posto nel mondo – CLICCA SULL’IMMAGINE PER IL DOSSIER COMPLETO

Tralasciando le fumose e in gran parte fittizie contestazioni sull’esercizio autoritario del potere politico in Venezuela da parte di Maduro, rieletto presidente a maggio 2018 con il 67,84% delle preferenze, sebbene il voto sia stato disconosciuto dall’opposizione per la scarsa affluenza alle urne comunque intorno al 50 %, vediamo quali sono le cause della crisi economica che sta attanagliando il paese da qualche anno. Per farlo facciamo riferimento alle tabelle Onu sull’Indice di Sviluppo Umano. Lo Human Development Index è un indicatore di sviluppo macroeconomico realizzato nel 1990 dall’economista pakistano Mahbub ul Haq con il collega indiano Amartya Sen. Viene utilizzato dal 1993 dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per valutare la qualità della vita nei Paesi membri in sostituzione del precedente indicatore basato solo sul Pil (Prodotto interno lordo). L’Hdi è calcolato in millesimi e definito come la media geometrica di tre indici di base, legati rispettivamente alla speranza di vita, al livello di istruzione e al reddito. Prevede una tabella in cui le nazioni sono suddivise con quattro criteri di sviluppo umano: molto alto, alto, medio e basso. Ebbene sosprenderà tanti detrattori del bolivarismo chavista leggere che il Venezuela nel 2017 è attestato al 78° con un indice dello 0,761 che lo include tra i paesi con Alto Sviluppo Umano: appena prima del Brasile e sopra a Thailandia, Algeria, Cina, Equador, Ucraina, Peru, Colombia, Giordania, Tunisia, Giamaica, Maldive, Paraguay, Moldavia, Filippine, SudAfrica, Egitto, Indonesia e Vietnam. Un analista pignolo noterà certamente nella tabella che riportiamo un’enorme criticità: il paese ha perso ben 16 posizioni in cinque anni tra il 2012 e il 2017, ma il coefficiente è rimasto pressochè invariato rispetto al 2014 ed al 2015 confermando che le sanzioni americane imposte in quegli anni dal Governo Obama e i conseguenti declassamenti delle agenzie di rating hanno bloccato una crescita che altrimenti si stava rivelando esponenziale. Analizzando infatti la tabella dei coefficienti si può notare che il dato è balzato dal 0,759 del 2010 al 0,774 del 2012 per poi crescere fino al picco dello 0,778 del 2014, declinare allo 0,775 del 2015 e cadere bruscamente allo 0,766 del 2016 per perdere ancora 5 millesimi l’anno dopo. Ciò indica che il paese ha retto sostanzialmente alla crisi del petrolio del 2014 che ha fatto precipitare il costo del barile ma meno alle conseguenze dei declassamenti di rating e delle repressive sanzioni iniziate nel 2015.



LA RIVOLUZIONE BOLIVARIANA PER “DIOS Y FEDERACION”

La folla assiste al discorso del leader di opposizione Juan Guadio a Caracas

«La Rivoluzione bolivariana, oltre a portare una cospicua fetta della popolazione fuori dalla povertà, persegue da sempre un processo di riforme verso la creazione di un’inedita democrazia economica. Dal 1999 ad oggi sono nate decine di migliaia di cooperative e un’apposita legge del 2010 ha creato centinaia di comuni autogestite. È evidente il trasferimento di poteri in atto: dall’élite capitalistica al popolo». Lo sostiene Samuel Boscarello in un blog politico di sinistra citando anche dati precisi: «Fino ad oggi i profitti derivanti dall’industria petrolifera hanno permesso lo sviluppo dei vasti programmi di assistenza sociale da cui è derivato un drastico calo della povertà (dal 42% del 1999 al 27% del 2011 in termini relativi, mentre quella assoluta è scesa dal 17% al 7%)». Una circostanza confermata anche dall’economista Sissi Bellomo sull’Atlante Geopolitico 2015 nel sitoweb dell’enciclopedia Treccani: «La compagnia petrolifera di Stato, Petroleos de Venezuela (Pdvsa), dalla fine degli anni Novanta è stata usata come strumento per finanziare le politiche populiste del regime di Hugo Chavez prima e del suo successore Nicolas Maduro poi, senza alcun riguardo per i più banali criteri di redditività ed efficienza gestionale. Basti pensare che il Venezuela, costretto a importare benzina – e recentemente persino petrolio, per diluire il greggio extra pesado – praticamente regala il pieno di carburante ai suoi cittadini e attraverso l’alleanza Petrocaribe invia greggio a prezzi stracciati a Cuba e ad altri 16 paesi dell’area». Due pareri abbastanza tecnici che se da una parte evidenziano i noti motivi della crisi dall’altra dipingono una cultura socialista chavista che sembra porre al centro della sua politica l’essere umano e non il vil denaro o il profitto sulle risorse. Non va inoltre dimenticato che la Repubblica Bolivariana del Venezuela, dipinta da molti opinion-maker occidentali come dittatura comunistoide, è uno dei rarissimi paesi socialisti in cui la libertà religiosa è garantita dalla Costituzione. La gran maggioranza dei venezuelani sono di fede cristiana e in particolare cattolica (oltre il 90%): il motto popolare è proprio Dios y Federación a conferma. Quindi perché la crisi si sta facendo così sentire? Per colpa della tipologia di petrolio e delle sanzioni. Ma anche, secondo alcuni opinionisti, per la manipolazione di grossisti venezuelani sostenuti dagli americani che volutamente centellinano la distribuzione dei beni di prima necessità. Un’ipotesi tutt’altro che da sottovalutare in un paese dove la corruzione è una delle piaghe sociali ancora gravi.


IL PETROLEO EXTRA PESADO E LE DISTRUTTIVE SANZIONI

Uno dei depositi di petrolio dell’azienda statale Pdvsa – Petroleos de Venezuela

«È la più grande riserva di petrolio al mondo ed è tuttora sfruttata solo in minima parte: la fascia dell’Orinoco, un’area di 54mila chilometri quadrati lungo il corso del fiume omonimo in Venezuela, potrebbe contenerne fino a 1300 miliardi di barili secondo le stime più ottimiste, una quantità quasi pari a quella di tutte le risorse di petrolio convenzionale del globo. Già, perché quello dell’Orinoco convenzionale non è, ma rientra nella categoria – più difficile e costosa da estrarre – dei greggi non convenzionali. Stessa categoria dello shale oil statunitense, dunque. Ma il petroleo extra pesado venezuelano non gli assomiglia affatto, mentre ha molto in comune con le sabbie bituminose del Canada: come le oil sands, il greggio dell’Orinoco è molto pesante, con una densità che lo colloca tra 4 e 16 gradi nella scala Api, dunque all’estremo opposto rispetto ai greggi leggeri o leggerissimi estratti dalle shale rocks negli Usa». Ecco il problema cruciale ben illustrato ancora dall’analista Bellomo: un petrolio “non convenzionale” si rivela prezioso quando il prezzo del greggio è alto, critico quando è basso per i costi di estrazione. « Ci sono buone ragioni per credere che il crollo del prezzo del petrolio sia stato una cospirazione USA-saudita, dal momento che le vittime economiche erano la Russia e il Venezuela – rileva sempre Pearazzardando una gigantesca cospirazione – Il petrolio è il 95% delle entrate del Venezuela dalle esportazioni e il 25% del suo PIL». A complicare la situazione politica economica giunsero le reiterate sanzioni varate nel dicembre del 2014 dagli Usa per presunte violazioni dei diritti umani, della libertà di stampa e della democrazia. «La legge votata dal Senato Usa nel dicembre del 2014 era in coincidenza con il fatto che il Venezuela aveva sconfitto le barricate dell’operativo golpista “La Salida” – scrive il sito di geopolitica Contropiano – Leopoldo López, di Voluntad Popular e della MUD, era stato giudicato e condannato a 14 anni di carcere per diversi reati che quell’anno avevano provocato 43 morti e 3.000 feriti». Le sanzioni colpirono una ventina di funzionari ma anche imprese venezuelane complicandone le operatività commerciali. A ciò si aggiunse, praticamente contestuale, il declassamanto delle agenzie di rating che trasformò così il paese da appetibile area di investimento e interessante partner di sviluppi commerciali in appestato finanziario. «L’agenzia di rating Moody’s ha declassato il debito sovrano del Venezuela di due gradini a “Caa3”, il livello più basso assegnato ai paesi non in default, al pari di quello dell’Ucraina, sconquassata dalla guerra con la Russia e lo smembramento della Crimea, e la Giamaica, che ha dichiarato default due volte dal 2010. Fitch aveva declassato i bond di Caracas a “CCC” il mese scorso, mentre a settembre S&P li aveva retrocessi a “CCC+”» scriveva nel gennaio 2015 il quotidiano InvestireOggi. Obama, un anno più tardi e successivamente una settimana prima di lasciare la Casa Bianca, riconfermò le sanzioni, sfidando le proteste della Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici (Celac) che sostenevano il Venezuela. Nell’agosto 2017 Trump ha vibrato la mazzata finale con le sanzioni economiche vietando alle istituzioni Usa di comprare e vendere nuovi bond emessi dal governo venezuelano e da Petroleos de Venezuela, la compagnia petrolifera di Stato. Ma il presidente Maduro ha reagito forte della solidarietà e del credito internazionale in svariate forme da parte di Cina, Russia e Turchia, con cui è in vigore un accordo per la costosa raffinazione del petrolio extra pesado che Ankara utilizza come merce di scambio per aggirare a sua volta le misure Usa contro l’Iran. In questo contesto il leader venezuelano, seguendo la Cina che ha iniziato a gestire il mercato del petrolio in yuan e non più in dollari, ha inventato una nuova originalissima forma di difesa: il Petrocoin, la prima valuta monetaria di Stato in formato digitale.


IL PETRO-COIN: LA GRANDE SCOMMESSA PER IL 2019

Il Petros o petrocoin, la prima criptovaluta di Stato al mondo emessa dal Venezuela

Messo in commercio nel febbraio 2018, ancorato alla nuova valuta anti-inflazione del “Bolivar Soberano” nel luglio scorso, l’annunciato Petro o Petrocoin è divenuto realtà il primo ottobre scorso in Venezuela tra interesse, curiosità e diffidenza. Sui siti specialistici prevalgono tre orientamenti: quello di boicotaggio politico che evidenzia le carenze strutturali determinate innanzitutto dalla catena di distribuzione che si appoggia a 6 agenzie di cambio della criptovaluta e non 16 come inizialmente dichiarato; quelle di cautela per il rischio che questa nuovissima valuta internazionale si riveli un flop; infine quello realista che si limita ad analizzare che esiste, che ha registrato volumi di scambio e dettaglia le variazioni delle garanzie a suo supporto articolate in petrolio (al 50 %) ma anche in oro, gas naturale e diamanti. Una moneta che di primo acchito si presenta quindi più garantita dell’euro! Il Petro è stato lanciato in anteprima a febbraio con una vendita di 100 milioni di coin, equivalenti a 6 miliardi di dollari. Può essere utilizzato per transazioni internazionali ma nelle ambizioni di Maduro si candida a divenire il primo strumento digitale nel mercato del petrolio segnando così una rivoluzione epocale in una delle materie prime più commerciate al mondo. «In un discorso a reti unificate – riportò Il Fatto Quotidiano – l’erede di Hugo Chàvez ha annunciato l’attivazione del blockchain venezuelano, la tecnologia decentralizzata e trasparente che – come avviene per ogni criptomoneta – permetterà di certificare le transazioni svolte in Petro. Inoltre, è stata inaugurata la piattaforma web petro.gob.ve, dove ogni venezuelano potrà acquistare Petros pagandoli in bolìvares sovrani o in altre criptovalute, come Bitcoin, Ripple o Ethereum, e accumularli su un apposito portafoglio digitale».

La quotazione in tempo reale della criptovaluta Petro e del Bolivar Soberano sul sito del Banco Central de Venezuela

Nello stesso giorno, il primo ottobre, è stata inaugurata a Caracas la sede della Sovrintendenza nazionale per i criptoattivi (Sunacrip), l’ente statale che vigilerà sulla nuova moneta, ed il Governo bolivariano ha già comunicato alle compagnie aeree internazionali che faranno scalo in Venezuela l’obbligo di pagare i rifornimenti di carburante in Petro. Il coin caraibico è stato quotato 36mila Bolivar Soberano per unità, pari a circa 60 dollari, ma ha già pagato le successive svalutazioni della valuta venezuelana tanto da valere oggi circa 23 dollari. Il presidente ha però nel cassetto un piano finanziario di sei anni per utilizzare la criptovaluta negli scambi con altre monete per scongiurare l’impatto paralizzante delle sanzioni guidate dagli Stati Uniti sull’economia venezuelana. «Nel 2019, abbiamo un programma per il petrolio da vendere in Petro e in questo modo continueremo a liberarci da una valuta che l’élite di Washington e degli Usa» ha dichiarato Maduro agli inizi di dicembre proprio al rientro del suo incontro con il presidente russo Vladimir Putin a Mosca. Gli ha fatto eco Manuel Quevedo, ministro del Petrolio del Venezuela e presidente della compagnia petrolifera statale PDVSA, anticipando il Petro sarà presentato all’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (OPEC) nel 2019, come «la principale valuta digitale sostenuta dal petrolio». Una scommessa che dovrà farsi strada tra diffidenze, invidie celate ed aperte ostilità dei paesi produttori come della finanza internazionale ma che potrebbe davvero essere rivoluzionaria e diventare apripista per iniziative analoghe di altri paesi di Sud America, Asia ed Africa in ristrettezze economiche a causa del debito pubblico ma ricchi di risorse naturali. «Il Petro – si legge sul sito web dedicato petro.gob.ve – è uno strumento che consoliderà la stabilità economica e l’indipendenza finanziaria del Venezuela, unitamente a un progetto ambizioso e globale per la creazione di un sistema finanziario internazionale più libero, equo ed equilibrato». Per l’alta finanza, le lobbies bancarie e i padroni del dollaro un motivo ben più allarmante delle presunte violazioni democratiche per volere l’eliminazione immediata di Maduro come accadde per Lincoln e Gheddafi. Per chi crede in un mondo meno schiavo del signoraggio bancario e più umano un sogno in cui credere.



Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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VENEZUELA, MIGLIAIA IN MARCIA PRO MADURO: CENSURA MEDIA



MENTRE L’UE, SENZA L’ITALIA, LEGITTIMA IL GOLPISTA
A CARACAS FOLLA BALLA IN PIAZZA COI LAVORATORI
DELL’AZIENDA PETROLIFERA BLOCCATA DAGLI USA.
MA LA STAMPA OCCIDENTALE PARLA SOLO DI GUAIDO’
CHE RIFIUTA IL DIALOGO COL GOVERNO BOLIVARISTA.
AEREO SPIA AMERICANO INTERCETTATO IN COLOMBIA

___di Fabio Giuseppe Carlo Carisio ___

E’ assolutamente vergognoso che sia un piccolo webmedia come Gospa News a dover rendere noto all’occidente che migliaia e migliaia di persone sono scese in piazza a Caracas ieri pomeriggio, giovedì 31 gennaio, per manifestare gioiosamente a favore del presidente democraticamente eletto Nicolas Maduro e in difesa dell’azienda petrolifera statale Pdvsa (Petroleas de Venezuela) a cui gli Usa hanno bloccato i conti in America (con a quelli della controllata statunitense Citgo). La Pdvsa è una straordinaria invenzione del socialismo bolivariano con cui Hugo Chavez ha statalizzato gli immensi giacimenti petroliferi dell’Orinoco strappandoli al cartello delle 7 sorelle anglo-americane. Ancor più inverecondo è il fatto che i media diano spazio alle denunce del politico golpista che dipinge l’immagine di un paese in guerra mentre una folla ieri ballava gioconda per le strade nell’oscuramento mediatico totale. Dal palco un dipendente Pdvsa di carisma potente, capace di evocare l’impeto travolgente dell’elettricista Lech Walesa di Solidarnosc, come tanti in maglietta e cappellino rosso aziendali, ha scaldato la gente al grido “Hasta la victoria siempre” rievocando Che Guevara, ma soprattutto Simon Bolivar, la Rivoluzione Bolivariana di Chavez e infine Nicolas Maduro, difensore della patria dai “ladrones americano”. In un clima di tipica allegra festa sudamericana, operai della società petrolifera coi caschetti rubenti, belle venezuelane sorridenti, nonne, mamme, ragazzini, hanno inneggiato al presidente Maduro, cantato, danzato, mostrato le mani a forma di cuore e anche pregato (il paese è al 90 % cristiano cattolico), ma soprattutto hanno ascoltato il ritornello scandito ripetutamente dall’oratore: “un paese non si vende, un paese si difende”: uno slogan che è tragico preludio a un’inevitabile guerra civile se l’occidente continuerà a gettare benzina sul fuoco delle proteste sostenendo un evidente tentativo di golpe fomentato dall’avidità di petrolio e dalla paura del Petrocoin, la prima criptovaluta di stato al mondo che vuole essere concorrenziale al dollaro sul mercato internazionale dell’oro nero.

L’intervento di un funzionario dell’azienda petrolifera Pdvsa durante la marcia

Dopo di lui ha preso la parola l’energica vicepresidente venezuelana Delcy Rodríguez in sportiva maglietta coi colori nazionali giallo-blu e banda rossa chavista. Ma i media internazionali erano tutti concentrati altrove. I giornalisti erano impegnata a scrivere dei 29 o 36 morti oggi divenuti improvvisamente 70 (non si sa ancora quanti e soprattutto se siano i militari insorti contro l’esercito o manifestanti), a ricamare sulla precedente piazzata dell’autoproclamato presidente ad interim Juan Guaidò, a narrare della perquisizione a casa sua in cerca della moglie attivista e blogger Fabiana Rosales da parte degli agenti Faes (Fuerza de Acción Especial de la Policía Nacional Bolivariana) e soprattutto della risoluzione dell’Unione Europea che (439 sì, 104 no e 88 astensioni) legittima il leader dell’opposizione. Fortunatamente, nel dispiacere del servile Presidente del Parlamento Ue Antonio Tajani, l’Italia si è chiamata fuori dalla vicenda e gli europarlamentari Lega, M5S e Pd si sono astenuti dal riconoscere Guaidò, colui che è stato additato da Maduro, dalla Russia, dalla Cina, dal Messico, dalla Bolivia e da Cuba, come un usurpatore golpista filostatunitense; profilo che emerge anche dalla sua storia politica all’ombra di Leopoldo Lopez, considerato agente Cia e collaborazionista del repubblicano George Bush (autore di un golpe armato contro Chavez nel 2002) così come del democratico Barack Obama (leggi articolo precedente Guaidò, l’Obama sbiancato agente Usa a Caracas, link a fondo pagina).La manifestazione giunge nella giornata in cui Maduro aveva espresso la disponibilità ad aprire un dialogo con Guaidò, leader dell’opposizione Mud (detentrice di 112 seggi in Parlamento) che ha rifiutato l’invito così come inspiegabilmente aveva rinunciato alla corsa alle presidenziali del maggio 2018, in cui fu riconfermato l’attuale presidente. Oggi però lo stesso Guaidò torna all’attacco in un’intervista al TG2 riportata come top news dall’Ansa: «Maduro ha perso il controllo del paese e la popolazione sta soffrendo. Ci sono 70 giovani assassinati in una settimana dal faes, le forze speciali di polizia, e 700 persone in carcere, 80 minorenni addirittura bambini». Notizie e numeri senza alcuna conferma ufficiale, accreditati parzialmente solo da organizzazioni per i diritti umani finanziate dagli Usa come spiegato dalla giornalista Eva Golinger (vedi link a fondo pagina). La dichiarazione giunge in risposta all’intervento del Sottosegretario agli Esteri, Manlio Di Stefano (M5s) che in un’intervista a Tv2000 aveva criticato il riconoscimento del presidente autoproclamato da parte dell’Unione Europea: «L’Italia non riconosce Guaidó perché siamo totalmente contrari al fatto che un Paese o un insieme di Paesi terzi possano determinare le politiche interne di un altro Paese. Si chiama principio di non ingerenza ed è riconosciuto dalle Nazioni Unite».

MIGLIAIA DI LAVORATORI, FAMIGLIE E BAMBINI PRO MADURO

Invece di occuparsi dei Gilet Gialli che da 11 settimane protestano contro il presidente francese Emmanuel Macron, ritenuto espressione dell’elite mondialista e promotore di una politica economica austera, Strasburgo si intromette nella spinosa questione venezuelana con un’invasione di campo censurata persino dal diplomatico premier italiano Giuseppe Conte. Nel solco di questa protesta anti-Maduro alimentata da organizzazioni umanitarie venezuelane finanziate dagli Usa o dalla Open Society di George Soros (vedi articolo già citato) i media occidentali di regime mainstream si confermano specialisti nella disinformazione: basti pensare a Reuters che ieri ha fatto 7 lanci sul Venezuela tutti contro il governo bolivariano e non ha scritto una sola parola sulla marcia di Caracas a favore del presidente del Venezuela, oppure all’Economist, da sempre portavoce dei mondialisti, che si è beccato le ire e rampogne dei suoi stessi follower su Facebookper aver messo come immagine di copertina una foto che inneggia a Guaidò e l’Ansa che stamane gli ha dedicato il titolo di apertura.

La contestata copertina Facebook dell’Economist pro Guaidò

Ma tutti i media hanno ignorato la manifestazione pro Maduro: persino la versione inglese di Russia Today ha trascurato quella che l’edizione spagnola dello stesso network ha definito “Multitudinaria marcha en Caracas en apoyo de Maduro y en defensa de la petrolera estatal” dedicandole anche una interessantissima diretta su Fb seguita da oltre 3mila persone. Ecco quindi che solo Rt espanol (e brevemente SputnikNews Espana, media sempre di Mosca) danno un resoconto della manifestazione di piazza che ha portato un fiume di gente nelle vie di Caracas. Quante migliaia fossero non si sa. Come non è dato sapere quanti siano quelli che partecipano ai comizi di Guaidò. L’impressione è che i numeri siano simili ma la certezza non esiste perché i reporter filo-golpe sono tenuti sotto stretta sorveglianza dall’intelligence venezuelana del Sebin (Servicio Bolivariano de Inteligencia Nacional) mentre i giornalisti pro-Maduro come l’avvocatessa americana Eva Golinger trovano spazio solo su Russia Today e su nessun media occidentale: essendo il governo bolivariano socialista non trova spazio nemmeno sui giornali di centrodestra (Il Giornale, La Verità, Libero, Il Primato Nazionale) di norma impegnati nella contro-informazione anti-mainstreaming.

IL RESOCONTO DI RUSSIA TODAY SULLA MARCIA

Il vicepresidente venezuelano Delcy Rodríguez parla dal palco a Caracas giovedì 31 gennaio davanti a migliaia di persone

«Giovedi si è tenuta a Caracas, in Venezuela, una marcia a favore del presidente Nicolas Maduro. Sostenitori del governo sono scesi in piazza il giorno dopo la precedente mobilitazione a favore del deputato dell’opposizione e capo dell’Assemblea legislativa, Juan Guaidó, autoproclamatosi come “presidente responsabile” – scrive RT espanol – La manifestazione si è svolta nella capitale ed è stata convocata dai lavoratori del petrolio per dimostrare il loro sostegno per Maduro, che è stato eletto nel maggio 2018, e difendere la compagnia statale Petroleos de Venezuela (PDVSA). In marcia, il vicepresidente esecutivo, Delcy Rodríguez ha detto che gli Usa hanno orchestrato l’auto-proclamazione di Guaidó per cercare di cogliere le riserve di petrolio del Venezuela. “I leader imperialisti hanno gettato la maschera dicendosi “vamos” (andiamo) a prendere il petrolio del Venezuela’”, ha detto alla folla. L’alto funzionario politico ha confermato che la compagnia petrolifera statale produce per lo sviluppo del Venezuela. “Che lo capiscano molto chiaramente, in questo modo non arriveranno a nulla” ha aggiunto».

LA GUERRA PER IL PETROLIO E LE TENSIONI MILITARI

Il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca John Bolton con il bloc-notes contenete l’appunto sull’intervento armato in Venezuela

Russia Today riferisce che è stato lo stesso John Bolton, consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, ha dichiarare la necessità del greggio venezuelano per le raffinerie americane, le quali, a causa del blocco a Pdvsa e conseguente stop delle importazioni di petrolio, dovranno cercare altrove una fornitura assai imponente, che rappresenta una perdita di circa 8milioni di dollari per il Venezuela, pari al 70 % del bilancio nazionale. Ecco perchè Maduro ha chiesto alla Banca di Inghiltterra di inviare tonnellate di oro agli Emirati Arabi Uniti da scambiare con valute correnti per far fronte alle scadenze dei debiti internazionali del paese. Richiesta che ha incontrato la contestazione di Guaidò il quale ha scritto al governo britannico ed all’istituto di credito per bloccare la transazione, sebbene impedirla, secondo gli esperti, sia un atto del tutto illegittimo per le leggi internazionali non essendoci alcuna sanzione Onu contro il Venezuela. La rinuncia al petrolio venezuelano è un’operazione finanziariamente kamikaze per gli Usa che lo acquistano crudo e quindi a buon prezzo. «Nel contesto della presentazione del piano economico dell’opposizione, l’economista José Toro Hardy ha detto che c’è bisogno di 25.000 a 30.000 milioni di dollari per il recupero di Petroleos de Venezuela S.A. (PDVSA). “Queste risorse lo Stato non le ha, ma esistono e possono portare per gli investimenti esteri”, ha dichiarato» rendendo così manifesto il progetto americano per una privatizzazione della compagnia petrolifera. Nelle proteste di piazza, già guidate dall’arrestato Leopoldo Lopez nel 2015 e riprese a singhiozzo negli anni passati con aspri scontri tra manifestanti e polizia e numerosi morti e feriti, secondo il network RT il governo guidato da Maduro ha un vantaggio relativo: «Da un lato, il Chavismo è abituato a manifestarsi e a mobilitarsi costantemente. Ma anche perché l’esecutivo ha il sostegno di un attore fondamentale nella politica venezuelana: le forze armate nazionali bolivariane FANB». Proprio per questo il presidente del venezuela nei giorni scorsi ha visitato numerose basi militari facendosi fotografare tra i soldati e ha organizzato una massiccia marcia coi soldati a Fuerte Tiuna contro “l’aggressione imperialista”. E proprio per questo uno dei tentativi finora falliti dell’opposizione è stato quello di cercare di frammentare l’esercito. Lo stesso Guaidó e Washington, attraverso il Segretario di Stato, Micke Pompeo, hanno lanciato un appello alla FANB per smettere di sostenere il presidente costituzionale.

L’AEREO SPIA AMERICANO SOPRA LA COLOMBIA

L’aereo spia Usa O-5C rilevato sopra la Colombia al confine col Venezuela

Che l’appunto apparso su un bloc notes di John Bolton a favore di telecamere sulle “5000 truppe in Colombia” fosse uno specchietto per le allodole lo hanno capito tutti: nessuno stratega rivelerebbe prima i suoi piani d’intervento bellico. Che siano comunque sul tavolo degli Usa tutte le opzioni, ivi inclusa quella militare, è una certezza nots a tutti ed in particolare alla Russia, alleata del Venezuela: per questo Il Cremlino dopo l’incontro tra Vladimir Putin e Nicolas Maduro di dicembre, ha inviato all’Aeroporto Internazionale di Maiquetia “Simon Bolivar” due bombardieri strategici Tu-160, un cargo An-124 e un velivolo a lungo raggio IL-62 per cominciare a mostrare i muscoli. Ieri sui social è invece circolato un video, sulla cui attendibilità non si può scommettere, concernente un presunto arrivo di milizie internazionali in un aeroporto del Brasile, alleato Usa e tra i primi a riconoscere il presidente autoproclamato Guaidò. Mentre è stata riportata con dovizia di dettagli la notizia di un aereo spia dell’Usaf (Us Air Force) sullo spazio aereo colombiano ai confini col Venezuela. «Un aereo spia americano è stato avvistato in una missione segreta in Colombia, alimentando il sospetto che potrebbe intercettare le comunicazioni nel vicino Venezuela, preso di mira per il cambio di regime e il tentativo di colpo di stato da parte di Washington – scrive Russia Today inglese – Un velivolo da ricognizione EO-5C dell’esercito americano è stato avvistato dai gruppi di rilevamento del volo giovedì». Identificato col numero N177RA, l’aereo spia EO-5C si basa su un DHC-7 canadese, un aereo turboelica a quattro motori, adatto a trasportare circa 50 passeggeri o un carico di merci. Gli aerei di questo tipo, sovente utilizzati dall’esercito americano in Sudamerica per ricognizioni anti-insurrezione e anti-droga, sembrano privi di distinzioni militari tanto da poter essere scambiati per velivoli di linea regionale: «Si è detto che questo aereo sia caricato con varie apparecchiature spia e che possa rilevare e intercettare le trasmissioni sull’intero spettro radio, oltre a scattare immagini ad alta risoluzione, sia a infrarossi che a luce visibile» aggiunge il network televisivo russo. Un velivolo simile fu avvistato sopra la Libia nel 2014, dopo il cambio di regime della Nato del 2011, ed un altro di modello precedente O-5A si schiantò in Colombia nel 1999 vicino al confine con l’Ecuador durante un pattugliamento.



Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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