mercoledì 27 febbraio 2019

MADURO: IL GHEDDAFI LATINO FA PAURA COL PETROCOIN



BASTA QUESTA IMMAGINE A FAR CAPIRE COME SIANO SALTATI I NERVI A USA E ISRAELE, I PADRONI DI GUAIDO'


TEMPESTA PERFETTA AI CARAIBI COL PAPA A PANAMA:
I CONTRO-OPINIONISTI «COMPLOTTO USA COME IN SIRIA»
PER LA CRIPTOVALUTA MONETARIA SUL PETROLIO.
BOMBARDIERI RUSSI PRONTI A DIFENDERE L’ALLEATO
L’ONU PREMIA IL VENEZUELA: “PAESE AD ALTO SVILUPPO”


___di Fabio Giuseppe Carlo Carisio ___

«Se uno dei vostri diventa povero e privo di mezzi, tu lo sosterrai, come sosterrai lo straniero e l’ospite, affinché possa vivere presso di te. Non prendere da lui interesse, né usura; ma temi il tuo Dio e il tuo prossimo viva presso di te. Non gli presterai il tuo denaro a interesse, né gli darai i tuoi viveri per ricavarne un’usura». (SACRA BIBBIA – Levitico 25,35-37)

Se questo passo della Bibbia fosse applicato da tutti i paesi del mondo oggi George Soros sarebbe un vecchietto che va a giocare a carte nel caffè sotto casa, la strozzina Bce e la terribile Federal Reserve americana due organizzazioni filantropiche, il Fondo Monetario Internazionale un dispensatore di aiuti umanitari ai bisognosi della terra, e Nicolas Maduro, il Gheddafi sudamericano che gli Usa hanno disconosiuto a favore del leader dell’opposizione, potrebbe essere uno degli statisti più acclamati al mondo. A sostenere quest’ultima ipotesi non è un delirio fantapolitico ma l’Indicatore di Sviluppo Umano, lo Human Development Index dell’Onu che, come vedremo, smentisce le teorie apocalittiche degli statunitensi e dei loro manipolati rivoltosi golpisti di Caracas, e attesta il Venezuela al 8° posto in Sud America e al 78° del mondo, davanti a Brasile, Cina, Thailandia, Ucraina e Tunisia, sebbene sotto il terribile dittatore! Ma quando nel medioevo la Chiesa Cattolica Cristiana condannò severamente l’usura i mercanti ebrei si attaccarono con le avide unghie solo alla locuzione “se uno dei vostri” sentendosi autorizzati ad esigere interessi usurai (per la Bibbia qualsiasi prestito lo è), divenendo pian piano padroni finanziari del mondo e strozzinando i non-sionisti prima, con la stessa logica con cui i jihadisti musulmani ammazzano gli infedeli, e chiunque poi. Non solo. L’Illuminato di Baviera che fu il capostipite della dinastia di banchieri Rothschild sfruttò le massonerie internazionali per costruire il progetto del Nuovo Ordine Mondialein modo da influenzare la politica eliminando gli ostacoli principali al loro piano plutocratico, le monarchie aristocratiche ereditarie, attraverso la scusa delle rivoluzioni sociali. Ma siccome il diavolo, si sa, fa la pentola ma non il coperchio la reazione del popolo bue partorì mostri peggiori a quelli immaginati con la nascita del comunismo, capace di fare 90milioni di morti mai abbastanza pianti sulla faccia della terra (vedi link articolo L’Olocausto dei massoni comunisti a fondo pagina): un numero in continuo aumento a causa delle pene capitali sommarie tuttoggi perpetrate nei paesi dove ancora vige.



DALL’URUGUAY AL VENEZUELA: UNA RAFFICA DI GOLPE MILITARI

Il presidente venezuelano Nicolas Maduro a dicembre a Mosca dal presidente russo Vladimir Putin

A ciò non fece eccezione l’America Latina ove purtroppo si ricordano le gesta di quel disertore italiano e guerrigliero mercenario mazziniano che combattè in Uruguay in uno dei tanti golpe militari sudamericani contro un presidente conservatore, democratico e cristiano legittimamente eletto (Manuel Oribe): ovvero Giuseppe Garibaldi, massone iniziato nel 1944 prima alla loggia irregolare Asilo de Vertud di Montevideo e poi a quella regolare Les amis de la Patriedella Gran Loggia di Francia, fondatore della milizia Legione Italiana. Da allora il Sud America, ritenuto dagli yankees a stelle e strisce il giardino della propria casa, è stato vituperato e martoriato da innumerevoli golpe per motivi di geopolitica militare o di sfruttamento delle ricchezze naturali: il Venezuela, con la più grande riserva petrolifera internazionale che da sola rappresenta la metà di quella globale, è il bersaglio prediletto da più di 16 anni, da quel lontano 2002 in cui gli Usa con un colpo di stato in piena regola arrestarono il presidente Hugo Chavez, il socialista bolivariano democraticamente eletto, e misero al suo posto l’affarista Pedro Carmona, durato pochi giorni per l’insurrezione del popolo che rivolle il leader destituito. Ora Caracas è diventato l’obiettivo più urgente anche in virtù dell’ultima geniale trovata dell’erede chavista Maduro per difendersi dalle asfissianti sanzioni americane: il Petro o Petrocoin, la prima criptovaluta di Stato del mondo. Una moneta virtuale collegata al nuovo Bolivar Soberano garantita però dallo Stato al 50 % proprio grazie alle immense riserve petrolifere. Un progetto simile a quello del greenback del presidente americano Abramo Lincoln per affrancare gli Usa dalle banche e a quello di Muhammar Gheddafi per creare una valuta africana unitaria, garantita dalle sue imponenti riserve auree libiche, alternativa Cfa: il Franco delle Colonie Francesi d’Africa, inventato da Parigi nel 1945 ed al centro delle attuali polemiche sullo sfruttamento economico di 14 paesi paesi grazie alla gestione di questa moneta da parte della Banca Nazionale di Francia. Sappiamo benissimo che fine hanno fatto Lincoln, ucciso proprio da un massone (vedi link articolo a fondo pagina Massoneria e grandi crimini a fondo pagina), e Gheddafi che, secondo un dettagliato articolo dell’inviato di guerra Gian Micalessin, fu preso di mira dai bombardamenti occidentali ed eliminato proprio per l’idea di quella nuova moneta.



LA TEMPESTA PERFETTA IN VENEZUELA IN ONORE DEL SANTO PADRE

Juan Guaido, il presidente dell’Assemblea Nazionale di Caracas e leader dell’opposizione si è autoproclamato presidente ad interim ottenendo il riconoscimento degli Usa e di altri stati EPA/Cristian Hernandez

«E’ bene che la gente non sappia come funziona il nostro sistema monetario perché, se lo sapesse, farebbe una rivoluzione entro domani mattina». Questa celebre frase non è di un politico sovranista dell’Unione Europea in riferimento alla Bce ma dell’ex presidente degli Usa, Henry Ford, perfettamente consapevole che il sistema economico americano, e di conseguenza mondiale attraverso le correlazioni tra Fed e Fmi, è sempre stato una giostra di banche che a loro piacimento decidono chi può indebitarsi e chi no: usando parametri flessibili per gli amici, rigorosi per gli sconosciuti ed esiziali per i nemici. Ma quando un paese ostile è troppo ricco di risorse naturali scatta la guerra se è in un’area geopolitca scottante come Medioriente o Asia, come contro Gheddafi nel 2011, oppure una cospirazione più lenta, ma spesso più efficace, attraverso il finanziamento di un leader delle opposizioni che sostenga le accuse di mancato rispetto dei diritti democratici e la contestuale applicazione di sanzioni internazionali che si traducano in gravi crisi economiche fomentando così l’ovvio malcontento popolare a sostegno del politico compiacente. «Quando gli Stati Uniti volevano rovesciare un governo, lo facevano fare segretamente alla Central Intelligence Agency (CIA), particolarmente quando questi governi erano stati democraticamente eletti, come Iran (1953), Guatemala (1954), Cile (1973), Nicaragua (1980), Haiti (2006), Honduras(2009), Ucraina (2013) e Siria (2011) – scrive l’opinionista internazionale britannico Davide William Pear – Nel corso degli ultimi decenni, gli Stati Uniti sono diventati più sfrontati nei loro progetti di regime change. Quel che di solito si faceva in segreto, attualmente viene praticato senza complessi sotto gli occhi di tutti. Il progetto di regime change in Venezuela del 2017 è oramai diventato di pubblico dominio». «Che l’annuncio del ritiro delle truppe americane dal teatro siriano fosse semplicemente dovuto a un cambio nella strategia comunque imperialista della presidenza degli Stati Uniti (rispetto a quella precedentemente impostata dal deep state), piuttosto che a una supposta volontà “antisistema” di Donald Trump, lo si era chiaramente anticipato su questo blog – scrive nella sua rubrica Il Ghibellino su Il Giornale il giornalista italiano Cristiano Puglisi – Il caos esploso ieri in Venezuela, con l’autoproclamazione del presidente dell’Assemblea Nazionale e leader dell’opposizione Juan Guaidò a presidente della Repubblica in luogo del capo di Stato eletto Nicolas Maduro, appoggiata dagli Stati Uniti, dimostra ora che le previsioni erano corrette. Ovviamente, come c’era da attendersi, è partito il coro dei media occidentali, pronti a chiedere la testa del “tiranno Maduro”. Sembra di rivivere quanto avvenuto, tra il 2012 e pochi mesi fa, con il presidente siriano Bashar Al Assad». Ora che abbiamo già chiarito chi, dove, perché, cosa e come soffermiamoci sull’ultimo dei “topos” indispensabile per analizzare la situazione: quando. Ciò che sta accadendo oggi in Venezuela in quella che potrebbe sembrare una tempesta perfetta nel Mar dei Caraibi pare organizzato apposta in concomitanza della Giornata Mondiale della Gioventù che vede il Santo Padre a Panama. Papa Francesco, si sa, non è solo buonista ma è proprio buono davvero: si commuove e piange per i migranti come per i morti venezuelani di questi giorni (tra i quali ci sono i militari insorti per tentare il golpe contro Maduro), ma la sua anima candida gli impedisce di ponderare che dietro questi drammi esistano dei complotti internazionali politico-finanziari-mediatici. Ed ovviamente alcuni suoi collaboratori infidi fanno di tutto per nasconderglieli. «Gli Stati Uniti hanno perfezionato le loro tecniche di regime-change, camuffandole in promozione della democrazia, che finanzia la sovversione attraverso l’Agenzia per lo Sviluppo internazionale (USAID), il Servizio di Informazioni degli Stati Uniti (USIS) e il National Endowment for Democracy (NED)finanziato dal Congresso, l’International Republican Institute (IRI) e altre organizzazioni non governative selezionate» aggiunge ancora Pear scordandosi di citare l’Unicef: secondo i documenti pubblicati da Edawrd Snowden, l’ex agente di Cia e Nsa che svelò le intercettazioni dei presidenti europei da parte dei servizi segreti americani, il Fondo Onu per l’infanzia era tra gli obiettivi di sorveglianza dell’intelligence britannica (Gchq – Government Communications Headquarters) e americana (Nsa – National Security America).



LA RIVOLTA PILOTATA A CARACAS CON MILITARI INSORTI E MORTI

Alcuni militari che nell’agosto 2017 tentarono un golpe armato che provocò morti e feriti come quello dei giorni a Caracas iniziato con l’occupazione di una caserma e sventato dall’esercito governativo

«Ho trascorso 33 anni e quattro mesi in servizio militare attivo e durante quel periodo ho passato la maggior parte del mio tempo come uomo altolocato per il grande business, per Wall Street e per i banchieri. In breve, ero un racket, un gangster per il capitalismo – Questa frase è contentuta nel libro War is Racket scritto dal generale statunitense Smedley Butler che aggiunge – Ho aiutato a rendere il Messico e soprattutto Tampico sicuri per gli interessi petroliferi americani nel 1914. Ho aiutato a rendere Haiti e Cuba un posto decente per i ragazzi della National City Bank per raccogliere entrate. Ho aiutato a stuprare una mezza dozzina di repubbliche centroamericane per il beneficio di Wall Street». Riporto queste righe mentre in Venezuela si contano 26 morti negli scontri tra le forze di polizia e l’esercito governativo da una parte e dall’altra i militari insorti e i manifestanti dell’opposizione, scesi in piazza a migliaia. Come scrivono i colleghi in Venezuela si sta cercando di riproporre il medesimo criminale format già utilizzato con successo in Ucraina da Barack Obama con la rivolta di piazza Euromaidan, fomentata per presunte velleità europeiste e miso-russe, in realtà finalizzata non solo al controllo dei confini della rivale Mosca ma anche allo sfruttamento dei giacimenti di gas naturale e petrolio del Donbass (vedi articolo Donbass: strage per il gas a fondo pagina): non fu certo per caso che Hunt Biden, figlio dell’ex vicepresidente Usa, entrò nel Cda della società energetica nazionale ucraina Burisma. E proprio il già citato Micalessin intervistò dei militari georgiani che confermarono di essere stati tra i cecchini mercenari pagati per sparare sulla folla e giustificare con quasi cento morti l’indignazione mondiale.

I BOMBARDIERI RUSSI GIA’ PRONTI IN VENEZUELA

Gli aerei bombardieri russi Tu-160 inviati dall’alleato Vladimir Putin a dicembre in Venezuela

«Attualmente è più difficile controllare un milione di persone, che ucciderle» avrebbe apertamente dichiarato Zbigniew Brzezinski, già consigliere di quel presidente americano Jimmy Carter che, in qualità di osservatore internazionale, nel 2012 certificò la bontà del sistema elettorale chavista. Esattamente lo scenario costruito in Siria grazie al finanziamento dei ribelli (vedi articolo I cospiratori contro Assad a fondo pagina) e persino dei terroristi dell’Isis, i quali, una volta armati dagli Usa, decisero di conquistare l’intero medioriente in nome della Jihad costringendo la stessa Usaf (Us Air Force) a bombardarli causando 1.160 morti civili. Se in Venezuela non ci sono ancora state eco di guerra è soltanto per due motivi: Trump, per quanto soggiogato da consiglieri fraudolenti nel proseguire le strategie imperialiste americane, non è malvagio e sanguinario come il suo predecessore Obama, il più inverecondo Nobel per la Pace mai assegnato; inoltre, a metà dicembre, all’Aeroporto Internazionale di Maiquetia “Simon Bolivar” sono atterrati due bombardieri strategici Tu-160, un cargo An-124 e un velivolo a lungo raggio IL-62 della Russia, alleata di Maduro, che ha nel paese molteplici relazioni commerciali attraverso la società petrolifera a maggioranza statale Rosneft. Il Cremlino, oltre ad inviare gli aerei da guerra, ha già condannato la pantomima dell’autoproclamazione del nuovo presidente ad interim Guaidò ed il sostegno giunto da varie nazioni del mondo come «inquietanti» per bocca del ministro russo degli Esteri Sergey Lavrov, che ha promesso al governo venezuelano le «armi necessarie per difendersi». Il presidente russo Vladimir Putin, che pare attento alle sorti delle sovranità nazionali e dell’umanità intera, ha già fatto capire che Caracas non sarà una nuova Damasco con intorno mezzo milione di morti. A ciò si aggiunge il fatto che Maduro ha ottenuto dalla Cina prestiti per 40 miliardi di dollari che sta restituendo in natura, con l’invio di quantità crescenti di petrolio a prezzi bloccati e facendosi carico dei costi di trasporto. E’ pertanto ovvio che Pechino non correrebbe mai il rischio di un cambio di scenario politico, che se va bene potrebbe congelare la restituzione del finanziamento, se va male cancellarla. Ecco perché la strategia americana potrebbe avere successo solo in due modi: l’attentato omicida del presidente chavista, con inevitabile caos simile a quello della Libia, o la Terza Guerra Mondiale. E Trump sta tanto bene alla Casa Bianca quanto nel suo grattacielo di Manhattanper correre simili rischi…


L’ALTO SVILUPPO UMANO DEL VENEZUELA

Una parte della tabella dell’Indice di Sviluppo Umano (Hdi) dell’Onu 2018 dove il Venezuela risulta al 78° posto nel mondo – CLICCA SULL’IMMAGINE PER IL DOSSIER COMPLETO

Tralasciando le fumose e in gran parte fittizie contestazioni sull’esercizio autoritario del potere politico in Venezuela da parte di Maduro, rieletto presidente a maggio 2018 con il 67,84% delle preferenze, sebbene il voto sia stato disconosciuto dall’opposizione per la scarsa affluenza alle urne comunque intorno al 50 %, vediamo quali sono le cause della crisi economica che sta attanagliando il paese da qualche anno. Per farlo facciamo riferimento alle tabelle Onu sull’Indice di Sviluppo Umano. Lo Human Development Index è un indicatore di sviluppo macroeconomico realizzato nel 1990 dall’economista pakistano Mahbub ul Haq con il collega indiano Amartya Sen. Viene utilizzato dal 1993 dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per valutare la qualità della vita nei Paesi membri in sostituzione del precedente indicatore basato solo sul Pil (Prodotto interno lordo). L’Hdi è calcolato in millesimi e definito come la media geometrica di tre indici di base, legati rispettivamente alla speranza di vita, al livello di istruzione e al reddito. Prevede una tabella in cui le nazioni sono suddivise con quattro criteri di sviluppo umano: molto alto, alto, medio e basso. Ebbene sosprenderà tanti detrattori del bolivarismo chavista leggere che il Venezuela nel 2017 è attestato al 78° con un indice dello 0,761 che lo include tra i paesi con Alto Sviluppo Umano: appena prima del Brasile e sopra a Thailandia, Algeria, Cina, Equador, Ucraina, Peru, Colombia, Giordania, Tunisia, Giamaica, Maldive, Paraguay, Moldavia, Filippine, SudAfrica, Egitto, Indonesia e Vietnam. Un analista pignolo noterà certamente nella tabella che riportiamo un’enorme criticità: il paese ha perso ben 16 posizioni in cinque anni tra il 2012 e il 2017, ma il coefficiente è rimasto pressochè invariato rispetto al 2014 ed al 2015 confermando che le sanzioni americane imposte in quegli anni dal Governo Obama e i conseguenti declassamenti delle agenzie di rating hanno bloccato una crescita che altrimenti si stava rivelando esponenziale. Analizzando infatti la tabella dei coefficienti si può notare che il dato è balzato dal 0,759 del 2010 al 0,774 del 2012 per poi crescere fino al picco dello 0,778 del 2014, declinare allo 0,775 del 2015 e cadere bruscamente allo 0,766 del 2016 per perdere ancora 5 millesimi l’anno dopo. Ciò indica che il paese ha retto sostanzialmente alla crisi del petrolio del 2014 che ha fatto precipitare il costo del barile ma meno alle conseguenze dei declassamenti di rating e delle repressive sanzioni iniziate nel 2015.



LA RIVOLUZIONE BOLIVARIANA PER “DIOS Y FEDERACION”

La folla assiste al discorso del leader di opposizione Juan Guadio a Caracas

«La Rivoluzione bolivariana, oltre a portare una cospicua fetta della popolazione fuori dalla povertà, persegue da sempre un processo di riforme verso la creazione di un’inedita democrazia economica. Dal 1999 ad oggi sono nate decine di migliaia di cooperative e un’apposita legge del 2010 ha creato centinaia di comuni autogestite. È evidente il trasferimento di poteri in atto: dall’élite capitalistica al popolo». Lo sostiene Samuel Boscarello in un blog politico di sinistra citando anche dati precisi: «Fino ad oggi i profitti derivanti dall’industria petrolifera hanno permesso lo sviluppo dei vasti programmi di assistenza sociale da cui è derivato un drastico calo della povertà (dal 42% del 1999 al 27% del 2011 in termini relativi, mentre quella assoluta è scesa dal 17% al 7%)». Una circostanza confermata anche dall’economista Sissi Bellomo sull’Atlante Geopolitico 2015 nel sitoweb dell’enciclopedia Treccani: «La compagnia petrolifera di Stato, Petroleos de Venezuela (Pdvsa), dalla fine degli anni Novanta è stata usata come strumento per finanziare le politiche populiste del regime di Hugo Chavez prima e del suo successore Nicolas Maduro poi, senza alcun riguardo per i più banali criteri di redditività ed efficienza gestionale. Basti pensare che il Venezuela, costretto a importare benzina – e recentemente persino petrolio, per diluire il greggio extra pesado – praticamente regala il pieno di carburante ai suoi cittadini e attraverso l’alleanza Petrocaribe invia greggio a prezzi stracciati a Cuba e ad altri 16 paesi dell’area». Due pareri abbastanza tecnici che se da una parte evidenziano i noti motivi della crisi dall’altra dipingono una cultura socialista chavista che sembra porre al centro della sua politica l’essere umano e non il vil denaro o il profitto sulle risorse. Non va inoltre dimenticato che la Repubblica Bolivariana del Venezuela, dipinta da molti opinion-maker occidentali come dittatura comunistoide, è uno dei rarissimi paesi socialisti in cui la libertà religiosa è garantita dalla Costituzione. La gran maggioranza dei venezuelani sono di fede cristiana e in particolare cattolica (oltre il 90%): il motto popolare è proprio Dios y Federación a conferma. Quindi perché la crisi si sta facendo così sentire? Per colpa della tipologia di petrolio e delle sanzioni. Ma anche, secondo alcuni opinionisti, per la manipolazione di grossisti venezuelani sostenuti dagli americani che volutamente centellinano la distribuzione dei beni di prima necessità. Un’ipotesi tutt’altro che da sottovalutare in un paese dove la corruzione è una delle piaghe sociali ancora gravi.


IL PETROLEO EXTRA PESADO E LE DISTRUTTIVE SANZIONI

Uno dei depositi di petrolio dell’azienda statale Pdvsa – Petroleos de Venezuela

«È la più grande riserva di petrolio al mondo ed è tuttora sfruttata solo in minima parte: la fascia dell’Orinoco, un’area di 54mila chilometri quadrati lungo il corso del fiume omonimo in Venezuela, potrebbe contenerne fino a 1300 miliardi di barili secondo le stime più ottimiste, una quantità quasi pari a quella di tutte le risorse di petrolio convenzionale del globo. Già, perché quello dell’Orinoco convenzionale non è, ma rientra nella categoria – più difficile e costosa da estrarre – dei greggi non convenzionali. Stessa categoria dello shale oil statunitense, dunque. Ma il petroleo extra pesado venezuelano non gli assomiglia affatto, mentre ha molto in comune con le sabbie bituminose del Canada: come le oil sands, il greggio dell’Orinoco è molto pesante, con una densità che lo colloca tra 4 e 16 gradi nella scala Api, dunque all’estremo opposto rispetto ai greggi leggeri o leggerissimi estratti dalle shale rocks negli Usa». Ecco il problema cruciale ben illustrato ancora dall’analista Bellomo: un petrolio “non convenzionale” si rivela prezioso quando il prezzo del greggio è alto, critico quando è basso per i costi di estrazione. « Ci sono buone ragioni per credere che il crollo del prezzo del petrolio sia stato una cospirazione USA-saudita, dal momento che le vittime economiche erano la Russia e il Venezuela – rileva sempre Pearazzardando una gigantesca cospirazione – Il petrolio è il 95% delle entrate del Venezuela dalle esportazioni e il 25% del suo PIL». A complicare la situazione politica economica giunsero le reiterate sanzioni varate nel dicembre del 2014 dagli Usa per presunte violazioni dei diritti umani, della libertà di stampa e della democrazia. «La legge votata dal Senato Usa nel dicembre del 2014 era in coincidenza con il fatto che il Venezuela aveva sconfitto le barricate dell’operativo golpista “La Salida” – scrive il sito di geopolitica Contropiano – Leopoldo López, di Voluntad Popular e della MUD, era stato giudicato e condannato a 14 anni di carcere per diversi reati che quell’anno avevano provocato 43 morti e 3.000 feriti». Le sanzioni colpirono una ventina di funzionari ma anche imprese venezuelane complicandone le operatività commerciali. A ciò si aggiunse, praticamente contestuale, il declassamanto delle agenzie di rating che trasformò così il paese da appetibile area di investimento e interessante partner di sviluppi commerciali in appestato finanziario. «L’agenzia di rating Moody’s ha declassato il debito sovrano del Venezuela di due gradini a “Caa3”, il livello più basso assegnato ai paesi non in default, al pari di quello dell’Ucraina, sconquassata dalla guerra con la Russia e lo smembramento della Crimea, e la Giamaica, che ha dichiarato default due volte dal 2010. Fitch aveva declassato i bond di Caracas a “CCC” il mese scorso, mentre a settembre S&P li aveva retrocessi a “CCC+”» scriveva nel gennaio 2015 il quotidiano InvestireOggi. Obama, un anno più tardi e successivamente una settimana prima di lasciare la Casa Bianca, riconfermò le sanzioni, sfidando le proteste della Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici (Celac) che sostenevano il Venezuela. Nell’agosto 2017 Trump ha vibrato la mazzata finale con le sanzioni economiche vietando alle istituzioni Usa di comprare e vendere nuovi bond emessi dal governo venezuelano e da Petroleos de Venezuela, la compagnia petrolifera di Stato. Ma il presidente Maduro ha reagito forte della solidarietà e del credito internazionale in svariate forme da parte di Cina, Russia e Turchia, con cui è in vigore un accordo per la costosa raffinazione del petrolio extra pesado che Ankara utilizza come merce di scambio per aggirare a sua volta le misure Usa contro l’Iran. In questo contesto il leader venezuelano, seguendo la Cina che ha iniziato a gestire il mercato del petrolio in yuan e non più in dollari, ha inventato una nuova originalissima forma di difesa: il Petrocoin, la prima valuta monetaria di Stato in formato digitale.


IL PETRO-COIN: LA GRANDE SCOMMESSA PER IL 2019

Il Petros o petrocoin, la prima criptovaluta di Stato al mondo emessa dal Venezuela

Messo in commercio nel febbraio 2018, ancorato alla nuova valuta anti-inflazione del “Bolivar Soberano” nel luglio scorso, l’annunciato Petro o Petrocoin è divenuto realtà il primo ottobre scorso in Venezuela tra interesse, curiosità e diffidenza. Sui siti specialistici prevalgono tre orientamenti: quello di boicotaggio politico che evidenzia le carenze strutturali determinate innanzitutto dalla catena di distribuzione che si appoggia a 6 agenzie di cambio della criptovaluta e non 16 come inizialmente dichiarato; quelle di cautela per il rischio che questa nuovissima valuta internazionale si riveli un flop; infine quello realista che si limita ad analizzare che esiste, che ha registrato volumi di scambio e dettaglia le variazioni delle garanzie a suo supporto articolate in petrolio (al 50 %) ma anche in oro, gas naturale e diamanti. Una moneta che di primo acchito si presenta quindi più garantita dell’euro! Il Petro è stato lanciato in anteprima a febbraio con una vendita di 100 milioni di coin, equivalenti a 6 miliardi di dollari. Può essere utilizzato per transazioni internazionali ma nelle ambizioni di Maduro si candida a divenire il primo strumento digitale nel mercato del petrolio segnando così una rivoluzione epocale in una delle materie prime più commerciate al mondo. «In un discorso a reti unificate – riportò Il Fatto Quotidiano – l’erede di Hugo Chàvez ha annunciato l’attivazione del blockchain venezuelano, la tecnologia decentralizzata e trasparente che – come avviene per ogni criptomoneta – permetterà di certificare le transazioni svolte in Petro. Inoltre, è stata inaugurata la piattaforma web petro.gob.ve, dove ogni venezuelano potrà acquistare Petros pagandoli in bolìvares sovrani o in altre criptovalute, come Bitcoin, Ripple o Ethereum, e accumularli su un apposito portafoglio digitale».

La quotazione in tempo reale della criptovaluta Petro e del Bolivar Soberano sul sito del Banco Central de Venezuela

Nello stesso giorno, il primo ottobre, è stata inaugurata a Caracas la sede della Sovrintendenza nazionale per i criptoattivi (Sunacrip), l’ente statale che vigilerà sulla nuova moneta, ed il Governo bolivariano ha già comunicato alle compagnie aeree internazionali che faranno scalo in Venezuela l’obbligo di pagare i rifornimenti di carburante in Petro. Il coin caraibico è stato quotato 36mila Bolivar Soberano per unità, pari a circa 60 dollari, ma ha già pagato le successive svalutazioni della valuta venezuelana tanto da valere oggi circa 23 dollari. Il presidente ha però nel cassetto un piano finanziario di sei anni per utilizzare la criptovaluta negli scambi con altre monete per scongiurare l’impatto paralizzante delle sanzioni guidate dagli Stati Uniti sull’economia venezuelana. «Nel 2019, abbiamo un programma per il petrolio da vendere in Petro e in questo modo continueremo a liberarci da una valuta che l’élite di Washington e degli Usa» ha dichiarato Maduro agli inizi di dicembre proprio al rientro del suo incontro con il presidente russo Vladimir Putin a Mosca. Gli ha fatto eco Manuel Quevedo, ministro del Petrolio del Venezuela e presidente della compagnia petrolifera statale PDVSA, anticipando il Petro sarà presentato all’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (OPEC) nel 2019, come «la principale valuta digitale sostenuta dal petrolio». Una scommessa che dovrà farsi strada tra diffidenze, invidie celate ed aperte ostilità dei paesi produttori come della finanza internazionale ma che potrebbe davvero essere rivoluzionaria e diventare apripista per iniziative analoghe di altri paesi di Sud America, Asia ed Africa in ristrettezze economiche a causa del debito pubblico ma ricchi di risorse naturali. «Il Petro – si legge sul sito web dedicato petro.gob.ve – è uno strumento che consoliderà la stabilità economica e l’indipendenza finanziaria del Venezuela, unitamente a un progetto ambizioso e globale per la creazione di un sistema finanziario internazionale più libero, equo ed equilibrato». Per l’alta finanza, le lobbies bancarie e i padroni del dollaro un motivo ben più allarmante delle presunte violazioni democratiche per volere l’eliminazione immediata di Maduro come accadde per Lincoln e Gheddafi. Per chi crede in un mondo meno schiavo del signoraggio bancario e più umano un sogno in cui credere.



Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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VENEZUELA, MIGLIAIA IN MARCIA PRO MADURO: CENSURA MEDIA



MENTRE L’UE, SENZA L’ITALIA, LEGITTIMA IL GOLPISTA
A CARACAS FOLLA BALLA IN PIAZZA COI LAVORATORI
DELL’AZIENDA PETROLIFERA BLOCCATA DAGLI USA.
MA LA STAMPA OCCIDENTALE PARLA SOLO DI GUAIDO’
CHE RIFIUTA IL DIALOGO COL GOVERNO BOLIVARISTA.
AEREO SPIA AMERICANO INTERCETTATO IN COLOMBIA

___di Fabio Giuseppe Carlo Carisio ___

E’ assolutamente vergognoso che sia un piccolo webmedia come Gospa News a dover rendere noto all’occidente che migliaia e migliaia di persone sono scese in piazza a Caracas ieri pomeriggio, giovedì 31 gennaio, per manifestare gioiosamente a favore del presidente democraticamente eletto Nicolas Maduro e in difesa dell’azienda petrolifera statale Pdvsa (Petroleas de Venezuela) a cui gli Usa hanno bloccato i conti in America (con a quelli della controllata statunitense Citgo). La Pdvsa è una straordinaria invenzione del socialismo bolivariano con cui Hugo Chavez ha statalizzato gli immensi giacimenti petroliferi dell’Orinoco strappandoli al cartello delle 7 sorelle anglo-americane. Ancor più inverecondo è il fatto che i media diano spazio alle denunce del politico golpista che dipinge l’immagine di un paese in guerra mentre una folla ieri ballava gioconda per le strade nell’oscuramento mediatico totale. Dal palco un dipendente Pdvsa di carisma potente, capace di evocare l’impeto travolgente dell’elettricista Lech Walesa di Solidarnosc, come tanti in maglietta e cappellino rosso aziendali, ha scaldato la gente al grido “Hasta la victoria siempre” rievocando Che Guevara, ma soprattutto Simon Bolivar, la Rivoluzione Bolivariana di Chavez e infine Nicolas Maduro, difensore della patria dai “ladrones americano”. In un clima di tipica allegra festa sudamericana, operai della società petrolifera coi caschetti rubenti, belle venezuelane sorridenti, nonne, mamme, ragazzini, hanno inneggiato al presidente Maduro, cantato, danzato, mostrato le mani a forma di cuore e anche pregato (il paese è al 90 % cristiano cattolico), ma soprattutto hanno ascoltato il ritornello scandito ripetutamente dall’oratore: “un paese non si vende, un paese si difende”: uno slogan che è tragico preludio a un’inevitabile guerra civile se l’occidente continuerà a gettare benzina sul fuoco delle proteste sostenendo un evidente tentativo di golpe fomentato dall’avidità di petrolio e dalla paura del Petrocoin, la prima criptovaluta di stato al mondo che vuole essere concorrenziale al dollaro sul mercato internazionale dell’oro nero.

L’intervento di un funzionario dell’azienda petrolifera Pdvsa durante la marcia

Dopo di lui ha preso la parola l’energica vicepresidente venezuelana Delcy Rodríguez in sportiva maglietta coi colori nazionali giallo-blu e banda rossa chavista. Ma i media internazionali erano tutti concentrati altrove. I giornalisti erano impegnata a scrivere dei 29 o 36 morti oggi divenuti improvvisamente 70 (non si sa ancora quanti e soprattutto se siano i militari insorti contro l’esercito o manifestanti), a ricamare sulla precedente piazzata dell’autoproclamato presidente ad interim Juan Guaidò, a narrare della perquisizione a casa sua in cerca della moglie attivista e blogger Fabiana Rosales da parte degli agenti Faes (Fuerza de Acción Especial de la Policía Nacional Bolivariana) e soprattutto della risoluzione dell’Unione Europea che (439 sì, 104 no e 88 astensioni) legittima il leader dell’opposizione. Fortunatamente, nel dispiacere del servile Presidente del Parlamento Ue Antonio Tajani, l’Italia si è chiamata fuori dalla vicenda e gli europarlamentari Lega, M5S e Pd si sono astenuti dal riconoscere Guaidò, colui che è stato additato da Maduro, dalla Russia, dalla Cina, dal Messico, dalla Bolivia e da Cuba, come un usurpatore golpista filostatunitense; profilo che emerge anche dalla sua storia politica all’ombra di Leopoldo Lopez, considerato agente Cia e collaborazionista del repubblicano George Bush (autore di un golpe armato contro Chavez nel 2002) così come del democratico Barack Obama (leggi articolo precedente Guaidò, l’Obama sbiancato agente Usa a Caracas, link a fondo pagina).La manifestazione giunge nella giornata in cui Maduro aveva espresso la disponibilità ad aprire un dialogo con Guaidò, leader dell’opposizione Mud (detentrice di 112 seggi in Parlamento) che ha rifiutato l’invito così come inspiegabilmente aveva rinunciato alla corsa alle presidenziali del maggio 2018, in cui fu riconfermato l’attuale presidente. Oggi però lo stesso Guaidò torna all’attacco in un’intervista al TG2 riportata come top news dall’Ansa: «Maduro ha perso il controllo del paese e la popolazione sta soffrendo. Ci sono 70 giovani assassinati in una settimana dal faes, le forze speciali di polizia, e 700 persone in carcere, 80 minorenni addirittura bambini». Notizie e numeri senza alcuna conferma ufficiale, accreditati parzialmente solo da organizzazioni per i diritti umani finanziate dagli Usa come spiegato dalla giornalista Eva Golinger (vedi link a fondo pagina). La dichiarazione giunge in risposta all’intervento del Sottosegretario agli Esteri, Manlio Di Stefano (M5s) che in un’intervista a Tv2000 aveva criticato il riconoscimento del presidente autoproclamato da parte dell’Unione Europea: «L’Italia non riconosce Guaidó perché siamo totalmente contrari al fatto che un Paese o un insieme di Paesi terzi possano determinare le politiche interne di un altro Paese. Si chiama principio di non ingerenza ed è riconosciuto dalle Nazioni Unite».

MIGLIAIA DI LAVORATORI, FAMIGLIE E BAMBINI PRO MADURO

Invece di occuparsi dei Gilet Gialli che da 11 settimane protestano contro il presidente francese Emmanuel Macron, ritenuto espressione dell’elite mondialista e promotore di una politica economica austera, Strasburgo si intromette nella spinosa questione venezuelana con un’invasione di campo censurata persino dal diplomatico premier italiano Giuseppe Conte. Nel solco di questa protesta anti-Maduro alimentata da organizzazioni umanitarie venezuelane finanziate dagli Usa o dalla Open Society di George Soros (vedi articolo già citato) i media occidentali di regime mainstream si confermano specialisti nella disinformazione: basti pensare a Reuters che ieri ha fatto 7 lanci sul Venezuela tutti contro il governo bolivariano e non ha scritto una sola parola sulla marcia di Caracas a favore del presidente del Venezuela, oppure all’Economist, da sempre portavoce dei mondialisti, che si è beccato le ire e rampogne dei suoi stessi follower su Facebookper aver messo come immagine di copertina una foto che inneggia a Guaidò e l’Ansa che stamane gli ha dedicato il titolo di apertura.

La contestata copertina Facebook dell’Economist pro Guaidò

Ma tutti i media hanno ignorato la manifestazione pro Maduro: persino la versione inglese di Russia Today ha trascurato quella che l’edizione spagnola dello stesso network ha definito “Multitudinaria marcha en Caracas en apoyo de Maduro y en defensa de la petrolera estatal” dedicandole anche una interessantissima diretta su Fb seguita da oltre 3mila persone. Ecco quindi che solo Rt espanol (e brevemente SputnikNews Espana, media sempre di Mosca) danno un resoconto della manifestazione di piazza che ha portato un fiume di gente nelle vie di Caracas. Quante migliaia fossero non si sa. Come non è dato sapere quanti siano quelli che partecipano ai comizi di Guaidò. L’impressione è che i numeri siano simili ma la certezza non esiste perché i reporter filo-golpe sono tenuti sotto stretta sorveglianza dall’intelligence venezuelana del Sebin (Servicio Bolivariano de Inteligencia Nacional) mentre i giornalisti pro-Maduro come l’avvocatessa americana Eva Golinger trovano spazio solo su Russia Today e su nessun media occidentale: essendo il governo bolivariano socialista non trova spazio nemmeno sui giornali di centrodestra (Il Giornale, La Verità, Libero, Il Primato Nazionale) di norma impegnati nella contro-informazione anti-mainstreaming.

IL RESOCONTO DI RUSSIA TODAY SULLA MARCIA

Il vicepresidente venezuelano Delcy Rodríguez parla dal palco a Caracas giovedì 31 gennaio davanti a migliaia di persone

«Giovedi si è tenuta a Caracas, in Venezuela, una marcia a favore del presidente Nicolas Maduro. Sostenitori del governo sono scesi in piazza il giorno dopo la precedente mobilitazione a favore del deputato dell’opposizione e capo dell’Assemblea legislativa, Juan Guaidó, autoproclamatosi come “presidente responsabile” – scrive RT espanol – La manifestazione si è svolta nella capitale ed è stata convocata dai lavoratori del petrolio per dimostrare il loro sostegno per Maduro, che è stato eletto nel maggio 2018, e difendere la compagnia statale Petroleos de Venezuela (PDVSA). In marcia, il vicepresidente esecutivo, Delcy Rodríguez ha detto che gli Usa hanno orchestrato l’auto-proclamazione di Guaidó per cercare di cogliere le riserve di petrolio del Venezuela. “I leader imperialisti hanno gettato la maschera dicendosi “vamos” (andiamo) a prendere il petrolio del Venezuela’”, ha detto alla folla. L’alto funzionario politico ha confermato che la compagnia petrolifera statale produce per lo sviluppo del Venezuela. “Che lo capiscano molto chiaramente, in questo modo non arriveranno a nulla” ha aggiunto».

LA GUERRA PER IL PETROLIO E LE TENSIONI MILITARI

Il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca John Bolton con il bloc-notes contenete l’appunto sull’intervento armato in Venezuela

Russia Today riferisce che è stato lo stesso John Bolton, consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, ha dichiarare la necessità del greggio venezuelano per le raffinerie americane, le quali, a causa del blocco a Pdvsa e conseguente stop delle importazioni di petrolio, dovranno cercare altrove una fornitura assai imponente, che rappresenta una perdita di circa 8milioni di dollari per il Venezuela, pari al 70 % del bilancio nazionale. Ecco perchè Maduro ha chiesto alla Banca di Inghiltterra di inviare tonnellate di oro agli Emirati Arabi Uniti da scambiare con valute correnti per far fronte alle scadenze dei debiti internazionali del paese. Richiesta che ha incontrato la contestazione di Guaidò il quale ha scritto al governo britannico ed all’istituto di credito per bloccare la transazione, sebbene impedirla, secondo gli esperti, sia un atto del tutto illegittimo per le leggi internazionali non essendoci alcuna sanzione Onu contro il Venezuela. La rinuncia al petrolio venezuelano è un’operazione finanziariamente kamikaze per gli Usa che lo acquistano crudo e quindi a buon prezzo. «Nel contesto della presentazione del piano economico dell’opposizione, l’economista José Toro Hardy ha detto che c’è bisogno di 25.000 a 30.000 milioni di dollari per il recupero di Petroleos de Venezuela S.A. (PDVSA). “Queste risorse lo Stato non le ha, ma esistono e possono portare per gli investimenti esteri”, ha dichiarato» rendendo così manifesto il progetto americano per una privatizzazione della compagnia petrolifera. Nelle proteste di piazza, già guidate dall’arrestato Leopoldo Lopez nel 2015 e riprese a singhiozzo negli anni passati con aspri scontri tra manifestanti e polizia e numerosi morti e feriti, secondo il network RT il governo guidato da Maduro ha un vantaggio relativo: «Da un lato, il Chavismo è abituato a manifestarsi e a mobilitarsi costantemente. Ma anche perché l’esecutivo ha il sostegno di un attore fondamentale nella politica venezuelana: le forze armate nazionali bolivariane FANB». Proprio per questo il presidente del venezuela nei giorni scorsi ha visitato numerose basi militari facendosi fotografare tra i soldati e ha organizzato una massiccia marcia coi soldati a Fuerte Tiuna contro “l’aggressione imperialista”. E proprio per questo uno dei tentativi finora falliti dell’opposizione è stato quello di cercare di frammentare l’esercito. Lo stesso Guaidó e Washington, attraverso il Segretario di Stato, Micke Pompeo, hanno lanciato un appello alla FANB per smettere di sostenere il presidente costituzionale.

L’AEREO SPIA AMERICANO SOPRA LA COLOMBIA

L’aereo spia Usa O-5C rilevato sopra la Colombia al confine col Venezuela

Che l’appunto apparso su un bloc notes di John Bolton a favore di telecamere sulle “5000 truppe in Colombia” fosse uno specchietto per le allodole lo hanno capito tutti: nessuno stratega rivelerebbe prima i suoi piani d’intervento bellico. Che siano comunque sul tavolo degli Usa tutte le opzioni, ivi inclusa quella militare, è una certezza nots a tutti ed in particolare alla Russia, alleata del Venezuela: per questo Il Cremlino dopo l’incontro tra Vladimir Putin e Nicolas Maduro di dicembre, ha inviato all’Aeroporto Internazionale di Maiquetia “Simon Bolivar” due bombardieri strategici Tu-160, un cargo An-124 e un velivolo a lungo raggio IL-62 per cominciare a mostrare i muscoli. Ieri sui social è invece circolato un video, sulla cui attendibilità non si può scommettere, concernente un presunto arrivo di milizie internazionali in un aeroporto del Brasile, alleato Usa e tra i primi a riconoscere il presidente autoproclamato Guaidò. Mentre è stata riportata con dovizia di dettagli la notizia di un aereo spia dell’Usaf (Us Air Force) sullo spazio aereo colombiano ai confini col Venezuela. «Un aereo spia americano è stato avvistato in una missione segreta in Colombia, alimentando il sospetto che potrebbe intercettare le comunicazioni nel vicino Venezuela, preso di mira per il cambio di regime e il tentativo di colpo di stato da parte di Washington – scrive Russia Today inglese – Un velivolo da ricognizione EO-5C dell’esercito americano è stato avvistato dai gruppi di rilevamento del volo giovedì». Identificato col numero N177RA, l’aereo spia EO-5C si basa su un DHC-7 canadese, un aereo turboelica a quattro motori, adatto a trasportare circa 50 passeggeri o un carico di merci. Gli aerei di questo tipo, sovente utilizzati dall’esercito americano in Sudamerica per ricognizioni anti-insurrezione e anti-droga, sembrano privi di distinzioni militari tanto da poter essere scambiati per velivoli di linea regionale: «Si è detto che questo aereo sia caricato con varie apparecchiature spia e che possa rilevare e intercettare le trasmissioni sull’intero spettro radio, oltre a scattare immagini ad alta risoluzione, sia a infrarossi che a luce visibile» aggiunge il network televisivo russo. Un velivolo simile fu avvistato sopra la Libia nel 2014, dopo il cambio di regime della Nato del 2011, ed un altro di modello precedente O-5A si schiantò in Colombia nel 1999 vicino al confine con l’Ecuador durante un pattugliamento.



Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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MONDIALISTA ROTHSCHILD ALLA CORTE DI SALVINI


L’EX BERLUSCONIANO DELLA BANCA D’ORO BARCLAYS
DA SOTTOSEGRETARIO LEGHISTA AGLI ESTERI
DIFENDE I GUERRAFONDAI USA CONTRO MADURO
E I MISSILI ISRAELIANI CONTRO GLI SCIITI IN SIRIA


___di Fabio Giuseppe Carlo Carisio ___


Alla fine la talpa mondialista alla corte di Matteo Salvini ha gettato la maschera. Lo ha fatto sulla scottante questione Venezuela che sta spaccando la politica internazionale ma non il “Deep State” degli Usa, dove i sempre critici Democratici sembrano approvare la linea estremamente dura della Casa Bianca ispirata dal guerrafondaio John Bolton: forse perché più che essere una condotta scelta dal presidente repubblicano Donald Trump è una strategia suggerita, quasi imposta, da quel governo ombra internazionale che trascende ogni colorazione partitica e rappresenta il punto di convergenza di alta finanza bancaria, intelligence militare e politica mondialista del Nuovo Ordine Mondiale già denunciato dall’alto ufficiale della marina canadese William Guy Carr nel 1956 nel suo libro Pawns in game. «Caro Nicolas Maduro lascia subito. Nessuna solidarietà da Roma. Non ti riconosciamo come presidente. Elezioni subito» è il Tweet con cui il Sottosegretario agli Esteri Guglielmo Picchi, deputato leghista dal 2016 ma per 23 anni di Forza Italia, dirigente in aspettativa della Barclays di Londra, la banca aurea dei Rothschild, gela gli entusiasmi del presidente venezuelano legittimamente eletto, dopo le astensioni degli europarlamentari di Lega, M5S e parte del Pd alla risoluzione svedese di riconoscimento del presidente autoproclamato ad interim Juan Guaidò, sostenuto dagli americani e capo dell’Asamblea Nacional, il parlamento di Caracas, e di auspicio ad immediate elezioni presidenziali. Un atto con cui l’Italia, unico dei 28 paesi non allineato con il Parlamento Europeo, aveva formalmente preso le distanze dalla crisi anche attraverso le dichiarazioni del pentastellato Sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano in un intervista a Tg2000: «L’Italia non lo riconosce (Guaidò – ndr). Siamo totalmente contrari al fatto che un Paese o un insieme di Paesi terzi possano determinare le politiche interne di un’altra nazione. Si chiama principio di non ingerenza ed è riconosciuto dalle Nazioni Unite». Ma non secondo il ministro della Farnesina Enzo Moavero Milanesi, già esponente del partito dei banchieri Scelta Civica di Mario Monti, il quale aveva invece di fatto smentito il voto degli europarlamentari italiani in un’audizione al Senato: «L’Italia si riconosce pienamente nella dichiarazione dell’Ue di sabato 26, una posizione che ribadisce l’obiettivo di arrivare ad elezioni libere, democratiche e trasparenti. Ci riconosciamo anche in un termine di giorni entro il quale devono essere convocate le elezioni. La situazione in Venezuela è fluida, tesa, in cui la priorità deve essere quella di evitare che possano aumentare le violenze e prevenire che si possa arrivare ad uno scontro. C’è chi teme la possibilità di una guerra civile». C ‘è invece chi, come Bolton, fa di tutto per attuarla… E nel mezzo c’è il Dicastero degli Esteri italiano spaccato in due! Purtroppo i deputati cinquestelle hanno finito per accontentare l’ala leghista anti Maduro ed è stata quindi approvata dalla Camera, il 12 febbraio scorso con 266 voti a favore, 205 contrari e nove astenuti (i deputati di Leu), una risoluzione di maggioranza per sollecitare immediate elezioni non riconoscendo quelle di Maduro ma, per fortuna, senza nemmeno riconoscere l’autoproclamato presidente Guaidò. Perché questo brusco cambio di rotta???

UN BERLUSCONIANO IL CONSULENTE DI POLITICA ESTERA DI SALVINI



Il sottotenente aviere armiere di complemento dell’Aeronautica Militare alla Sarvam di Viterbo dal 1996 al 1997 (foto da profilo Facebook)

A sostegno del ministro Moavero di chiara estrazione montiana e mondialista era intervenuto sabato 2 febbraio il sottosegretario Picchi in quota Lega che può vantarsi di essere anche il consulente di politica estera del vicepremier e leader del Carroccio Matteo Salvini. Questo spiega perché il segretario leghista, acclaratamente sostenitore ed estimatore di Vladimir Putin, è già scivolato su insidiose bucce di banana come il suo commento sugli “Hezbollah terroristi” durante la visita in Israele, da dove partono gli F-16 dell’Idf (Israel Defence Force) per bombardare preventivamente la Siria in barba ad ogni trattato internazionale e colpire preventivamente le postazioni delle milizie libanesi sciite filoiraniane e i Pasdaran della Forza Quds, determinanti nella vittoria dell’esercito repubblicano di Bashar Al Assad contro i jihadisti dell’Isis. Questo spiega perché, nei primi giorni successivi all’autoproclamazione di Guaidò a Caracas, Salvini assunse posizioni nettamente critiche su Maduro salvo poi attenuarle fino a concedere ai suoi europarlamentari di prendere saggiamente le distanze dalla controversa questione venezuelana. Allo stesso sottosegretario Picchi va peraltro il merito diplomatico di aver organizzato l’incontro con Donald Trump nel 2016 a Washington del leader della Lega. Per comprendere gli orientamenti di politica estera del deputato, personaggio sovente in ombra sui media ma sempre sotto i riflettori nei summit internazionali come si confà ad ogni occulto regista low-profile, basta leggere la sua carriera. Classe 1973, universitario in Economia a Firenze con successivo master in Business alla Bocconi, poco più che ventenne, si è subito gettato a capofitto in politica nella fondazione di Forza Italia diventando consigliere circoscrizionale (1995-1999) nella sua città natale Firenze, dopo essere stato per un anno anche sottotenente di complemento dell’Aeronautica Militare alla Sarvam di Viterbo.





DEPUTATO DOPO LA DIRIGENZA NELLA BANCA DELL’ORO A LONDRA

Il dirigente in aspettativa della Barclays Capital di Londra, Guglielmo Picchi, eletto deputato nella Circoscrizione Estera con Forza Italia nel 2006

È stato eletto per la prima volta Deputato alla Camera nel 2006, nel collegio europeo della Circoscrizione Estero, e riconfermato nel 2008 e nel 2013. Un risultato eccezionale dato che è uno dei pochi berlusconiani entrati in Parlamento grazie ai voti degli italiani all’estero e che evidenzia fin da subito le sue aderenze internazionali. Per capire come abbia raggiunto questo obiettivo bisogna dare un’occhiata al suo curriculum da talento emergente della finanza internazionale come emerge dal suo profilo Linkedin. Nel 1997, a soli 24 anni, lavora già nel gruppo KPMG, il network di società indipendenti, affiliate a KPMG International Cooperative, società di diritto svizzero specializzata nella fornitura di servizi fiscali, legali e amministrativi di revisione contabile e consulenza manageriale. L’ex bocconiano si rivela sicuramente bravo poiché nel 2001 è già inquadrato come Senior. Ma sono anni bui per la Kpmg coinvolta nello scandalo Xerox dopo gli accertamenti della Sec, l’ autorità di controllo della Borsa americana, che aveva indagato sul crollo del capitario azionario della multinazionale delle fotocopiatrici conseguente ad una revisione della contabilità in merito ai ricavi iscritti negli ultimi cinque anni. Dopo quella vicenda Kpmg perse la consulenza Xerox e finì nell’occhio del ciclone per i default di banche internazionali come The Guardian accusa gli amministratori: «Hanno permesso a una serie di società di mutui subprime statunitensi di alimentare la crisi finanziaria per cui il mondo sta ancora vacillando» scrisse il prestigioso quotidiano britannico in riferimento al crack Lehman Brothers. Il bocconiano Picchi però era già uscito da Kpmg per approdare alla Ernst & Young Investments ed alla torinese Ipi spa del Gruppo Fiat, nelle quali rimase per pochi mesi nel 2001, prima di fare il salto di qualità entrando nella storica e blasonata Barclays Capital nel 2002. Si tratta di uno dei gruppi bancari più potenti del mondo che gli esperti di finanza ritengono controllato dalla dinastia Rothschild. Fu proprio la N M Rothschild & Sons Limited, con sede nella City di Londra, a conferire un ruolo di rilevanza mondiale alla Barclays: le cedette il suo posto nella London Bullion Association, il gotha della finanza mondiale che per quasi due secoli, dal 1871 al 2004, si era riunito nel quartier generale dei Rothschild nella via londinese St Swithin’s Lane, per decidere il prezzo dell’oro (e dell’argento) e da cui è nata la London Bullion Market Association (LBMA) e successivamente la società di “clearing (compensazione)” London Precious Metal Clearing Limited (LPMCL), costituita ora dalle dieci banche più importanti del pianeta. Ebbene Picchi è stato dirigente della divisione investimenti della Barclays dal 2002 al 2006, prima di mettersi in aspettativa proprio in virtù della sua elezione a deputato negli azzurri di Silvio Berlusconi nella Circoscrizione Estera in Europa, trasferendo così il costo dei contributi previdenziali connessi al suo certamente ottimo stipendio manageriale dalle casse dell’istituto di credito londinese a quelli dell’Inps italiana, come prevede la legge sulle aspettative aziendali.

LE MANIPOLAZIONI DEGLI INTERESSI BANCARI DELLA BARCLAYS

I coniugi Marcus Agius, già chairman Barclays a Londra, e Katherine Rothschild, coerede del patrimonio della dinastia dei banchieri

Per comprendere ancora quale sia l’importanza di Barclays nel panorama finanziario mondiale basti dire che il suo ex presidente Marcus Agius è marito di Katherine, figlia ed erede di Edmund Leopold de Rothschild (scomparso nel 2009), nipote di Lionel Nathan, e comproprietaria tra patrimoni vari e partecipazioni bancarie, di quel paradiso terrestre chiamato Exbury Garden, un parco naturalistico di 81 ettari nell’Hampshire, vicino a Beaulieu, dotato persino di una piccola rete ferrovia con convogli in dimensioni ridotte per una gita intorno allo stagno di Summer Lane Garden. Lo stesso Agius fu indotto a lasciare la chairman perché implicato nell’inchiesta sulle manipolazioni del tasso d’interesse londinese Libor che influenza l’Euribor: da cui dipendono i mutui immobiliari e tuti i finanziamenti a tasso variabile in genere. Divago un attimo soltanto per far capire a chi è poco esperto di economia l’importanza e la sfrontatezza della Barclays sullo scenario economico internazionale. «Sei delle maggiori banche al mondo pagheranno 5,6 miliardi di dollari per risolvere la disputa con le autorità americane sulla manipolazione dei tassi di cambio. Quattro – Citicorp, JPMorgan, Barclays, Royal Bank of Scotland – delle cinque banche si dichiarano anche colpevoli di aver cospirato per manipolare il prezzo del dollaro e dell’euro. La quinta banca, Ubs si dichiarerà colpevole per quanto riguarda le accuse relative a manipolazioni del Libor (avrebbe violato i termini di un accordo precedente e pagherà una multa aggiuntiva). Secondo l’accusa, il ‘Cartello’ avrebbe usato una chat room esclusiva e un linguaggio in codice per manipolare i cambi – scrive Repubblica in un articolo online del 20 maggio 2015 – Per Citi la multa è di 925 milioni, per Jpm è da 550 milioni, per Barclays è da 650 milioni e per Rbs da 395 milioni. Sempre in connessione alle indagini, la Federal reserve ha imposto multe da oltre 1,8 miliardi di dollari a sei banche: per Ubs, Barclays, Citigroup e Jpm sono pari a 342 milioni di dollari, per Rbs sono pari a 274 milioni e per Bank of America sono da 205 milioni. In aggiunta, Barclays ha raggiunto un accordo con il Dipartimento dei servizi finanziari dello Stato di New York, la commodity futures trading commission e la Financial conduct authority britannica per un’addizionale multa combinata da 1,3 miliardi. Se si tengono in considerazione, spiega il dipartimento di giustizia, i patteggimenti già annunciati con varie agenzie americane e non, inclusi l’Office of the comptroller of the currency e la Swiss financial market supervisory authority, le intese annunciate oggi portano il totale delle multe e penalità pagate dalle 5 banche a quasi 9 miliardi di dollari». A riconferma della correlazione tra Barclays e Rothschild ecco la notizia del novembre scorso: dal 2 maggio 2019 il chairman della Barclays, John McFarlane lascerà il posto al manager veterano dell’impero finanziario più importante del mondo Nigel Higgins, da 36 anni in Rothschild, attualmente vice chairman della holding parigina. Alla luce di tutto ciò l’elezione di un dirigente di un istituto dell’alta finanza mondialista nella Circoscrizione Estera Europea per Forza Italia avvenuta nel 2006 non desta alcuno stupore. Lo suscita la sua candidatura nel partito “populista/sovranista” della Lega nel collegio Toscana 1 e la sua nomina a Sottosegretario agli Esteri. Anche in ragione di un ruolo politico internazionale esercitato tra molte ombre.


IL RUOLO DELL’OCSE NELLE MIGRAZIONI EUROPEE

Al di là dei trattati dell’Unione Europea nella gestione dell’emergenza migratoria da parte di Frontex, l’agenzia europea della guardia frontiera e costiera più inutile che esista, al di là dei protocolli altisonanti Triton, voluto dal premier Matteo Renzi per sbarcare tutti gli immigrati in Italia e quindi ridistribuirli solo nelle intenzioni, o Themis, garantendo porti di approdo in tutte le nazioni mediterranee (ivi inclusa Malta, Spagna e Francia), c’è un altro organismo che avrebbe dovuto occuparsi di questo allarme sociale del Vecchio Continente in generale e dell’Italia in particolare: l’Ocse. «L’Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo sviluppo (OCSE) è stata istituita con la Convenzione firmata il 14 dicembre 1960, e ha sostituito l’OECE, creata nel 1948 per gestire il “Piano Marshall” per la ricostruzione post-bellica dell’economia europea – si legge nel sito ufficiale – Obiettivo dell’organizzazione è promuovere politiche in grado di migliorare il benessere economico e sociale di persone di tutto il mondo. L’OCSE costituisce un forum in cui i governi possono lavorare insieme per condividere esperienze e cercare soluzioni a questioni comuni, di tipo economico, sociale e ambientale. Il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali partecipa ai lavori dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) o Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD). La Direzione Generale dell’Immigrazione e delle Politiche di Integrazione partecipa ai lavori del Working Party on Migration, un gruppo di lavoro formato dai delegati dei Paesi aderenti all’OECD che svolge una funzione di orientamento alla pianificazione delle attività di rilevazione, analisi e valutazione delle politiche migratorie. Tra i compiti del gruppo di lavoro si segnala la raccolta e l’interpretazione delle informazioni statistiche contenute nella pubblicazione International Migration Outlook, che si propone quale riferimento internazionale per la comprensione dei fenomeni migratori, nonché strumento per una pianificazione delle priorità di intervento dell’azione pubblica».



PICCHI, UNA POLITICA ESTERA ALL’OCSE INCONSISTENTE

Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il sottosegretario agli Esteri Guglielmo Picchi

L’attuale Sottosegretario agli Esteri Guglielmo Picchi, insediatosi il primo giugno 2018 col Governo gialloverde del premier Giuseppe Conte, fin dal suo primo mandato parlamentare ottenne incarichi prestigiosi e strategici, probabilmente anche per merito delle sue conoscenze nella City di Londra dove lavorava prima di diventare deputato a Montecitorio. Come evidenzia il suo curriculum dal 2006 è membro della Commissione Affari Esteri e Comunitari, della quale è divenuto nel 2015 segretario; nello stesso anno è stato nominato presidente del Comitato permanente sugli italiani nel mondo e la promozione del sistema paese. Dal 2008 fa parte della Delegazione parlamentare all’Assemblea dell’OCSEdove dal 2016 è vice-presidente del Comitato generale sugli affari politici e di sicurezza». L’ex forzista oggi leghista nella XVII Legislatura (2013-2018) è stato presidente del Comitato per la Politica estera dell’UE e nell’OSCE è stato eletto anche vicepresidente e responsabile dell’Italia della commissione ad hoc sul fenomeno migratorio e membro della commissione per il controterrorismo. Ebbene il “peso politico” dell’esperto diplomatico internazionale sulla questione migranti in Europa indurrebbe a calare un velo pietoso. Ciò in cui sembra maestro il neosottosegretario è la strategia del camaleonte che cambia colore di pelle in relazione alla ribalta ove si mostra. Se da una parte si è rivelato determinato nel sostenere la posizione della Lega contro le immigrazioni indiscriminate dall’altra è socio fondatore del Centro Studi Machiavelli, un think tank di geopolitica smaccatamente filosionista e filoamericano che sul Global Compact Onu tenne posizioni molto diplomatiche come evidenziò Repubblica: «Il Centro studi “conservatore” Machiavelli, seguito da vicino in particolare dal sottosegretario agli Esteri Guglielmo Picchi, si era espresso a favore del Global Compact sui rifugiati. Il rapporto era stato presentato alla Camera alla presenza del senatore leghista Manuel Vescovi. Lo studio sostenuto dai parlamentari del Carroccio, intitolato “I global compact su migrazioni e rifugiati, sono compatibili con le politiche del governo italiano?” (autore Carlo Sacino), si era concluso con un parere positivo. “La conclusione della nostra analisi è che il Governo italiano dovrebbe firmare il global compact sui rifugiati in quanto in linea con le proprie preferenze. Ma unirsi a Usa, Australia, Austria e Ungheria nel rifiuto dell’orientamento espresso dal global compact sulle migrazioni”». Una posizione ragionevole ma anche abbastanza “morbida” sul Global Compact, di certo lontana da quella della base degli elettori leghisti, che infatti non trovò seguito per il diniego della firma del Governo gialloverde.



IL CENTRO STUDI MACHIAVELLICO FILOSIONISTA

Il sottosegretario Guglielmo Picchi ad Israele nel novembre scorso con Reuven Azar, il consigliere delle politiche estere di Benjamin Netanyahu

Non sono solo gli interventi di Fiamma Nirenstein sull’antisemitismo a palesare l’orientamento filo-sionista del think tank che, grazie a Picchi, presenta tutti i suoi nuovi report in Parlamento. “La sfida con l’Iran vista da Israele” è l’undicesimo dossier pubblicato dal Centro Studi Politici e Strategici Machiavelli in cui «l’escalation militare tra Israele e Iran si fa sempre più vicina perché Gerusalemme si sente minacciata dall’aggressività di Teheran» secondo la tesi sostenuta dall’analista Rebecca Mieli in occasione di una conferenza stampa alla Camera dei Deputati. Per l’autrice quest’aggressività iraniana si manifesterebbe nella retorica bellicosa di Teheran, nel suo programma missilistico e nucleare non seriamente minato dal JCPOA (l’accordo internazionale da cui recentemente si sono ritirati gli Stati Uniti), e dalla crescente presenza militare in Siria e a supporto di Hezbollah in Libano. «Rebecca Mieli ha sottolineato come ciò abbia portato a uno stringersi del legame tra Israele e vari Paesi arabi ostili all’Iran, come l’Arabia Saudita. Ma potrebbe essere Mosca a favorire un accordo negoziale – aggiunge una sintesi del report sul sito del Centro Studi – Come ha notato il Prof. Matteo Bressan della LUMSA, esiste una divergenza strategica tra Russia e Iran in Siria. Ciò è dimostrato dal ricorso fatto ai sistemi anti-aereo S-300, posti da Mosca in Siria, ma mai utilizzati per proteggere iraniani e Hezbollah dalle incursioni israeliane». Un’affermazione che si regge effettivamente sul mistero che avvolge le tattiche di contraerea siriana ma pare alquanto azzardata se espressa come certezza dato che i ripetuti raid dell’Idf (Israel Defence Force) contro la Siria, come spesso riferito da Gospa News in mezzo all’oscuramento dei media occidentali (dei link a fondo pagina Netanyahu emula Hitler nella guerra religiosa alla Siria), hanno distrutto solo qualche deposito di armi e ucciso fortunatamente non più di una ventina di persone in un intero anno nel quale, però, sono state scagliati più di 2mila missili: probabilmente se non ci sono state reiterate stragi è proprio grazie alle batterie contraeree S-200 prima e S-300 ammodernate poi e quale batteria di s-400 a Khmeimim (dopo l’incidente del velivolo russo di ricognizione abbattuto il 17 settembre 2018 con 15 soldati uccisi) che hanno consentito ai siriani di intercettare il 95 % dei razzi lanciati dagli F-16 israeliani sempre più vicino a Damasco da dicembre. Ma siccome i missili che intercettano altri missili di norma esplodono disintegrandosi entrambi senza lasciare molte tracce (peraltro su territorio siriano) e dubito che il professor Bressan sia confessore del capo di stato maggiore dell’esercito di Assad viste le smaccate posizioni filo-islaeriane siamo costretti a tenerci i dubbi sull’utilizzo o meno degli S-300. Dossier e posizioni sono comunque del Centro Studi Machiavelli e non di Picchi, of course, lui il 21 gennaio, alle 7,27 del mattino, dopo il raid dell’Idf sulla capitale che uccise 11 persone e suscitò la comprensibile reazione furiosa dell’Iran, ha fatto peggio ed ha sparato un twitt in inglese da perfetto filosionista più che da sottosegretario italiano: «Teheran dovrebbe smettere di minacciare Israele che ha lo stesso diritto di esistere dell’Iran. La mia solidarietà al grande popolo di Gerusalemme». Nessuna solidarietà, invece, per i morti ammazzati siriani dai missili della guerra santa anti-sciita di Benjamin Netanyahu…




LA POSIZIONE ATLANTISTA E FILOAMERICANA DI PICCHI


Il consigliere della Casa Bianca Rudolph Giuliani e il sottosegretario Guglielmo Picchi in un summit a New York nei giorni caldi di gennaio della crisi in Venezuela

«Noi preferiamo che Putin giochi dalla nostra parte del campo e non mandarlo nella parte avversa, perché sarebbe più pericoloso far saldare l’alleanza tra Russia, Iran e Turchia, allargandola fino alla Cina. Invece è meglio avere Mosca dalla nostra stessa parte, con Israele e gli Stati Uniti». Fu una delle dichiarazioni d’esordio del sottosegretario Picchi all’Adnkronos in cui ribadì che nel contratto di governo Lega-M5S «c’è scritto che la Russia è un importante partner strategico e commerciale dell’Italia, ma questo non vuol dire che non siamo con la Nato e la Ue, ma riteniamo sia giusto chiedersi se le sanzioni hanno funzionato. Il ruolo dell’Italia può essere quello di un governo che mette insieme russi e americani e lo fa su temi operativi, possiamo cambiare gli equilibri e questo può essere considerato pericoloso, perché certe rendite di posizione che ci sono state finora possono cambiare» Parole molto diplomatiche parzialmente smentite da altre in un un suo articolo per Analisi Difesa: «Riportare al centro della politica estera e di difesa l’interesse nazionale dell’Italia non implica affatto un disimpegno verso l’Alleanza Atlantica, ma al contrario prelude ad un suo rafforzamento. Prima di essere un patto militare, la NATO è appunto un’alleanza politica che nei suoi testi fondativi richiama i comuni valori dell’Occidente, quei valori di cui la sovranità nazionale è parte integrante». La posizione di Picchi sul Patto Atlantico era stata ben rimarcata in un’intervista a Il Foglio prima della nascita del governo col M5S: «Da quando c’è Salviniparliamo molto con gli americani. Siamo atlantisti da sempre, mica come i Cinquestelle che hanno firmato atti parlamentari in senso opposto. Il primo ambasciatore visto da Salvini è stato lo statunitense Eisenberg, quello russo ancora non l’ha nemmeno incontrato. A noi non sta bene che due paesi della Nato abbiano deciso di bombardare la Siria: senza mandato Onu. Anche Angela Merkel non mi sembra felicissima. Non partecipa e non dà le basi. Però nessuno mette in dubbio il suo atlantismo. Sfido chiunque a trovare un solo atto ufficiale della Lega in cui si mette in dubbio l’Alleanza atlantica. Salvini è stato il primo segretario della Lega ad aver mai messo piede al Congresso degli Stati Uniti». Una posizione filoamericana confermata non solo organizzando l’incontro di Salvini con Trump nel 2016 (grazie al quale probabilmente si meritò il sottosegretariato) ma anche nel summit del 18 gennaio 2018 con l’avvocato repubblicano Rudolph Giuliani, ex Sindaco di New York, ed oggi consigliere per la cyberinformatica della Casa Bianca. Un endorsement verso gli Usa che è però cresciuto sempre più man mano che Washington e Tel Aviv hanno preso le distanze da Mosca sulla Siria, sulla crisi del Mar d’Azov in Crimea con l’Ucraina e infine sul Venezuela: dove è diventato smaccato al limite dell’imbarazzo il tifo di Picchi su Twitter per John Bolton, il consigliere militare di Trump pizzicato dalle telecamere con l’appunto, minaccioso quanto depistante, sull’invio delle truppe in Colombia. «Un altro ufficiale militare venezuelano riconosce il legittimo presidente di VZ. Gli Stati Uniti invitano tutti i membri militari a seguire il comando del Generale Yánez e a proteggere i pacifici manifestanti che sostengono la democrazia» è il messaggio ritwittato da Picchi di Bolton che aveva già avvertito Nicolas Maduro: «Gli auguro un quieto pensionamento su una bella spiaggia, ma potrebbe trovarsi a frequentare la spiaggia a Guantànamo». Mentre a Caracas il presidente legittimo sfoggia l’ennesima geniale intuizione politica di indire rapide elezioni non per le Presidenziali, come voluto da opposizione Usa, Ue e altre nazioni, bensì per il rinnovo anticipato dell’Asamblea Nacional, finalizzato a riprendere il controllo del Parlamento, è doveroso porsi qualche domande su uno dei volti italiani della politica estera.

Il sottosegretario leghista Picchi ricorda il golpe Usa a Caracas del 2002 con l’arresto del presidente eletto Hugo Chavez, le proteste con incitazione alla violenza ordite nelle città venezuelane nel 2015 dal leader dell’opposizione filoamericana Leopoldo Lopez, mentore di Guaidò? E’ a conoscenza del blitz compiuto nei giorni scorsi (13-1-2019) reparti speciali Usa in Afghanistan per liberare 40 comandanti dell’Isis da una prigione Talebana e portarli via in elicottero chissà dove? A Guantanamo anche loro? Oppure in Venezuela per aiutare i servizi segreti americani a far scoppiare la guerra civile? Da un esponente di governo della Lega ci si aspetterebbe maggiore sobrietà diplomatica verso altri paesi dello scacchiere internazionale come la Russia al fine di interrogarsi sui motivi per i quali il presidente Vladimir Putin ha un atteggiamento di supporto al presidente democraticamente eletto del Venezuela, così come lo ebbe per quello della Siria in contrasto con Barack Obama. Da un sottosegretario del Carroccio ci si aspetterebbe un atteggiamento più sovranista verso un paese sudamericano messo sul lastrico non dal socialismo bolivariano che lo ha portato ad un “alto sviluppo umano (dati Hdi Onu 2011-2017) bensì dalle sanzioni di Washington e dalle manipolazioni di rating. Da un dirigente in aspettativa di una banca aurea mondialista controllata dai Rothschild ci si attende invece proprio questo! E magari anche qualche collegamento con Cia, Gchq e Mossad. Non desterebbe stupore qualche simile relazione con l’intelligence internazionale. Anzi. Potrebbe aiutarci a capire chi suggerì di portare proprio a Firenze nel 2005 l’allora agente segreto statunitense Michael Ledeen ad un convegno sui Neocon organizzato e pagato da Matteo Renzi, il pupillo sinistro di Berlusconi. Ma il sottosegretario Picchi ha la possibilità di smentire tutte queste analisi, ipotesi e suggestioni dimostrando nei fatti di essere molto più leghista che mondialista. La risoluzione del parlamento italiano anti-Maduro per ora conferma invece i nostri sospetti.



Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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MARTIRI CRISTIANI: INDIANO DECAPITATO. SALESIANO FUCILATO



PADRE DI FAMIGLIA RAPITO E GUSTIZIATO
DAI MAOISTI INDU PER LA SUA CONVERSIONE.
AGGUATO JIHADISTA A COLPI DI KALASHNIKOV
PER IL MISSIONARIO SPAGNOLO IN TOGO.
CONDANNA A MORTE PER DUE MONACI IN EGITTO

___di Fabio Giuseppe Carlo Carisio ___

Rapito da fanatici maoisti indù sotto gli occhi del bimbo di 6 anni, portato in un luogo nascosto, lapidato e orrendamente decapitato un padre di famiglia indiano colpevole soltanto di avere ricevuto il battesimo da cristiano evangelico due mesi prima. Assalito da un commando jihadista in un agguato premeditato ad un posto di frontiera e crivellato a colpi di kalashnikov un missionario africano solo per essersi recato ad un’assemblea salesiana in Togo. A soli quattro giorni di distanza questo mese di febbraio si è impregnato del sangue di altri martiri cristiani in Asia ed Africa che si aggiunge a quello delle oltre 4mila vittime devote a Gesù Cristo del 2018. Mentre il brutale assassinio di padre Antonio Cesar Fernandez, 72enne, chierico spagnolo della Congregazione internazionale di San Giovanni Bosco in Burkina Faso, avvenuta il 15 febbraio è balzato subito all’attenzione dei media internazionali grazie alla capillare rete d’informazione cattolica in tutto il mondo ed in particolare all’agenzia vaticana Fides, quello del quarantenne Anant Ram Gand scoperto l’11 febbraio scorso è stato reso noto solo da poche ore dalla rete Persecution Relief che si occupa della difesa dei cristiani discriminati in 


India. Il cristiano evangelico indiano Anant Ram Gand lapidato e poi decapitato

Entrambi sono comunque caduti sotto i colpi di fondamentalisti religiosi che sembrano aver pianificato gli omicidi come vere e proprie esecuzioni. A queste già drammatiche notizie si aggiunge anche quella amara che giunge dall’Egitto della condanna a morte di due monaci copti ortodossi ritenuti colpevoli dell’assassinio fraticida dell’abate vescovo del Monastero di San Macario, Anba Epiphanios, ucciso per futili motivi di rivalità personali il 29 luglio 2018, e beneamato anche in quanro devoto discepolo del grande anacoreta Matta el Meskin, ovvero Matteo il Povero, per molti anni eremita del deserto di Scete.



IL PADRE DI FAMIGLIA EVANGELICO DECAPITATO IN INDIA

Il dolore dei figli di Anant Ram Gand, rimasti orfani del padre in un villaggio povero dell’India, per i quali Persecutions Relief chiede almeno un aiuto di Stato

«Si era convertito al cristianesimo nove mesi fa ed era stato battezzato da soli due mesi: la sua conversione ha suscitato l’ira degli abitanti del villaggio, per lo più fanatici indù. Hanno armato il Naxal, guerrigliero maoista indiano, che ha commesso fisicamente l’omicidio». Sono le dichiarazioni rilasciate ad AsiaNews dal pastore Shibu Thomas, fondatore della rete di Persecution Relief, che ha diffuso poche ore fa la notizia dopo l’autorizzazione della famiglia della vittima Anant Ram Gand di 40 anni. L’omicidio è avvenuto l’11 febbraio nel villaggio di Raigarh Tehsil, nel distretto di Nabarangapur. Quel giorno sua moglie Sukbati (38) è andata nel vicino villaggio insieme alle sue quattro figlie (di età 13, 11, 3 e 2), mentre il marito, in compagnia del figlio di 6 anni Purno, era rimasto a casa. E’ stato proprio il piccolo ad essere testimone del brutale rapimento raccontando poi ogni dettaglio. Il bambino ha riferito di essersi svegliato al rumore di tre uomini che prima hanno bussato alla porta e poi gridato contro suo padre. Purno ha poi assistito al momento in cui lo hanno preso, gli hanno legato le mani dietro la schiena e lo hanno trascinato via. Gli aguzzini non si sono fermati nemmeno davanti al pianto del piccolo che li inseguiva: spingendolo via con ferocia, i tre uomini gli hanno intimato di non seguirli. A quel punto il bambino ha raggiunto la casa di suo zio nelle vicinanze dando così l’allarme. Poche ore dopo il corpo di Anant è stato trovato in mezzo a una strada con la testa decapitata e fracassata con una pietra.

LE FOLLI PERSECUZIONI AI CONVERTITI

Padre Shibu Thomas, pastore evangelico pentecostale indiano presidente dell’associazione Persecutions Relief che denuncia i crimini contro i cristiani

Secondo Persecution Relief, che ha parlato con la famiglia del neoconvertito, gli estremisti indù del villaggio non avevano accettato la sua adesione al cristianesimo e per questo hanno spinto i Naxal, guerriglieri maoisti indiani, ad assassinarlo. Negli ultimi mesi tutta la famiglia, che si era convertita ed aveva aderito alla Indian Evangelical Team (Ied), aveva ricevuto minacce dagli altri abitanti dellla comunità e per questo aveva dovuto cambiare casa, trasferendosi a un chilometro di distanza: «Lo discriminavano e non gli consentivano di raccogliere l’acqua del pozzo pubblico – spiega Thomas – Gli indù hanno fatto credere ai Naxal che il cristiano avesse rivelato i loro segreti alla polizia, invece Anant Ram non era nemico di nessuno». Padre Shibu, predicatore evangelico con una lunga esperienza religiosa negli Usa quale senior pastor nella Chiesa Pentecostale di Chicago e nella Sharon Fellowship di Dallas, dove si è diplomato in Teologia, descrive senza mezzi termini le vessazioni continue: «Essere cristiani oggi in India – dice – significa essere perseguitato ogni giorno: se preghi in famiglia sei battuto, se preghi in una chiesa domestica sei battuto, nelle strade sei battuto. L’articolo 25 della Costituzione, che protegge la libertà di credo e la diffusione della fede, non è applicabile per i cristiani in India. I cristiani dei villaggi vivono nella paura. Vogliamo essere protetti! Come presidente del gruppo Persecution Relief, chiedo al Primo ministro e al Capo dello stato di disporre un’indagine: il governo dovrebbe garantire almeno un risarcimento alla famiglia e ai cinque bambini piccoli. Dovrebbero parlare chiaramente contro la persecuzione dei cristiani e per proteggere la libertà di culto. Basta!».


IL PASTORE PENTECOSTALE DECAPITATO NEL 2018

Il pastore cristiano evangelico pentecostale Abraham Tigga Topno

Il barbaro assassinio riporta alla mente quello del pastore cristiano evangelico pentecostale Abraham Tigga Topno, 46 anni, anch’egli rapito, sgozzato e poi decapitato in ultimo impietoso oltraggio al cadavere. lo scorso primo maggio in India, alla periferia di Ranchi, la capitale dello statodel Jharkhand, dai componenti di un gruppo armato maoista, il People’s Liberation Guerrilla Army, Plga. Come riferì la Nuova Bussola Quotidiana il reverendo Tigga era stato rapito mentre stava rientrando in macchina a casa, nel villaggio di Ubasaal, di ritorno dal mercato. A tendergli l’agguato furono oltre 25 militanti che, dopo averlo costretto a fermarsi, lo hanno fatto scendere a forza dall’auto, lo portarono fino a una diga non lontano da casa sua, lo picchiarono, gli tagliarono la gola e poi lo decapitarono. La sua auto incendiata fu rinvenuta a Tamar, circa 60 chilometri a sud della capitale, ed il cadavere del pastore fu trovato la mattina successiva. Accanto al corpo gli assassini avevano lasciato un biglietto con su scritto: “morte di una spia della polizia. Lunga vita al Plga. Egli era un informatore della polizia. Questo è il destino di chi si mette contro di noi”. I maoisti del Plga lo avevano già minacciato in passato, accusandolo senza il minimo fondamento di verità di essere una spia, ma né lui né i suoi famigliari avevano preso sul serio gli avvertimenti e non ne avevano informato la polizia. Il reverendo Tigga lascia una moglie e Christo, il bambino che la coppia senza figli aveva adottato. La guerriglia maoista è presente in 14 dei 18 distretti dello stato del Jharkhand. Sajan K George, presidente del Global Council of Indian Christians, in merito alla persecuzione degli induisti commentò: «Nella nostra laica India i cristiani sono tra l’incudine e il martello, soprattutto in Jharkhand dove è in vigore la legge anti-conversione».



L’AGGUATO ASSASSINO AL MISSIONARIO SALESIANO

Il salesiano spagnolo ucciso padre Antonio Cesar Fernandez

«Secondo quanto appreso dall’Agenzia Fides, padre Antonio César Fernández è rimasto vittima nel primo pomeriggio di ieri 15 febbraio di un attacco jihadista perpetrato a quaranta chilometri dal confine meridionale del Burkina Faso. Il salesiano è stato colpito da tre colpi d’arma da fuoco mentre si trovava in un auto insieme a due confratelli della comunità di Ouagadougou» E’ quanto riferito nei giorni scorsi dall’Agenzia Fides, Organo di informazione delle Pontificie Opere Missionarie dal 1927. I tre stavano rientrando da Lomé (Togo), dove avevano partecipato alla prima sessione del Capitolo provinciale dell’Ispettoria salesiana dell’Africa occidentale francofona (AFO).
«L’auto dove viaggiava padre Fernández e i suoi confratelli, che sono rimasti illesi, è rimasta coinvolta nell’agguato contro il posto di controllo doganale di Nouhao al confine con il Ghana e il Togo. Nell’assalto, perpetrato da un gruppo jihadisti, oltre al missionario spagnolo sono stati uccisi quattro doganieri del Burkina Faso». Nel paese si moltiplicano gli scontri tra le forze di sicurezza e alcuni gruppi di terroristi islamici che agiscono pure in Mali e in Niger ma quell’assalto è stato però è il primo che si registra nella parte centro-orientale del Paese.
 Secondo quanto riferito dal sito d’informazione internazionale InTerris «gli attentatori sono stati definiti come “un gruppo” e, dopo aver esploso raffiche con fucili automatici»: l’arma prediletta dei jihadisti rimane sempre l’Ak 47, ovvero il tristemente famoso kalashnikov. E’ probabile che l’attacco sia stato in realtà un vero agguato all’auto del missionario che era transitata in precedenza in quel varco di confine per recarsi al consesso salesiano.



UNA VITA COME APOSTOLO DI CRISTO IN AFRICA

Antonio Cesar Fernandez fu missionario in Burkina Faso, Togo e Costa d’Avorio. Foto: AFP/Salesianos de don Bosco

Padre Antonio César Fernández, aveva 72 anni e ne aveva serviti 55 come salesiano e 46 come sacerdote. Nato a Pozoblanco il 7 luglio 1946 è stato missionario in diversi Paesi africani dal 1982, anno dell’inizio della presenza salesiana in Togo, la sua prima destinazione di apostolato in nome di Gesù Cristo. Ha lavorato come istruttore dei novizi (1988 – 1998) e ha prestato servizio, tra le altre funzioni, come delegato dell’AFO nel Capitolo generale 25 (2002). Stava svolgendo il suo ministero in Burkina Faso. E’ stato ricordato dai suoi confratelli con una nota in cui si rimarca come il sacerdote «aveva offerto la sua vita per l’Africa e la sua offerta è stata accettata pienamente. Chiediamo a lui di pregare con noi per questa sua ispettoria. Che il Signore risorto accolga con tenerezza Fratel César con tutti coloro che hanno dato la loro vita alla missione salesiana, e che Maria Ausiliatrice, che tanto amava, lo accolga con l’affetto della Buona Madre del Cielo».



I MONACI FRATRICIDI CONDANNATI A MORTE

L’ex monaco Wael Saad Tawadros e il monaco Falta’os al Makari condannati per l’omicidio

Oltre a queste tragiche vicende di martirio un’altra drammatica notizia sconvolge di amarezza il mondo cristiano internazionale: la sentenza di condanna a morte di due monaci egiziani copti ritenuti gli assassini dell’abate vescovo del Monastero di San Macario, Anba Epiphanios, ucciso apparentemente per futili motivi di rivalità personali il 29 luglio 2018. Per quanto il verdetto di colpevolezza emesso sabato 23 febbraio dalla Corte penale di Damanhur fosse atteso in quanto gli indizi a carico degli incriminati sarebbero soverchi, la pena capitale è stata accolta come una “catastrofe” da Anba Agathon, vescovo copto ortodosso di Maghagha, che ha evidenziato all’agenzia Fides la necessità di un presentare al più presto il ricorso per un secondo appello di giudizio, ha definito “triste” quel giorno ed invitato a a pregare per i due condannati: il monaco Falta’os al Makari e l’ex monaco Wael Saad Tawadros. La sentenza attende ora il giudizio definitivo del Mufthi.



IL BRUTALE OMICIDIO ED IL PROCESSO

Anba Epiphanios, l’assassinato abate vescovo del Monastero di San Macario

«Alle prime ore di domenica 29 luglio 2018, il corpo del Vescovo Epiphanius era stato rinvenuto in una pozza di sangue, all’interno del monastero, lungo il tragitto che dalla sua cella conduceva alla chiesa, dove il Vescovo si stava recando per iniziare la giornata con l’ufficio delle preghiere mattutine, prima della Messa domenicale». Riferì allora proprio Fides oggi rimarcando che secondo quanto ricostruito durante le indagini, tra l’Abate assassinato e i due condannati erano sorti contrasti per questioni economiche e per diverse violazioni delle regole monastiche da parte dei due monaci (uno dei quali, Wael Saad Tawadros, dopo l’omicidio era stato spogliato dell’abito monastico al termine di un lungo processo canonico). Durante il dibattimento processuale, i due accusati hanno continuato a proclamarsi innocenti, e hanno anche ritrattato precedenti confessioni di colpevolezza che a loro dire sarebbero state estorte attraverso pressioni psicologiche da parte degli organi inquirenti: Tawadros aveva infatti confessato di aver colpito Anba Epiphanius tre volte in testa con una bastone di ferro mentre il monaco Falta’os controllava che nei paraggi non ci fosse nessuno. Nella sentenza di condanna si legge che i due condannati «non hanno avuto scrupoli nel commettere il loro crimine in un luogo sacro, e hanno mostrato di non tenere in alcun conto neanche l’età avanzata e la statura spirituale della vittima». Motivazioni sufficienti a pregiudicare ogni attentuante che scongiurasse la condanna alla pena capitale ora soggetta al giudizio della massima autorità islamica. «La Corte penale di Damanhur ha sottoposto la sentenza al Mufti d’Egitto, l’autorità religiosa islamica incaricata di emettere le fatwa (pareri giuridici basati sulla Sharia) su questioni rilevanti – spiega ancora Fides – In Egitto, una condanna a morte non può essere definitiva se non approvata dal Mufti. La data del giudizio definitivo è stata fissata dalla Corte per il prossimo 24 aprile». Durante il processo è comunque emerso che la reponsabilità primaria del crimine andava ascritta a Tawadaros, più volte richiamato per motivi finanziari e di disobbedienza, e già oggetto di un provvedimento di allontanamento che non rispettò, continuando a beneficiare dell’ospitalità dell’abbazia e a commettere violazioni interne (probabilmente appropriazioni indebite) fino al giorno del macabro assassinio. La stessa Chiesa Copta lo ha ridotto allo stato laicale per le pregresse violazioni disciplinari e non per l’efferato delitto.



DISCEPOLO DEL PASTORE DEL DESERTO “ERETICO”

Il compianto anacoreta ortodosso copto Matteo il Povero in egiziano Matta el Meskin

L’assassinato Anba Epiphanius, 64 anni, nativo di Tanta, laureato in medicina, era entrato nel Monastero di San Macario, nella regione del Wadi Natrun, nel 1984, era stato ordinato sacerdote nel 2002. Ricercatore e studioso, aveva lavorato alla traduzione dal greco all’arabo di diversi libri della Bibbia. I monaci del Monastero di San Macario lo avevano eletto a maggioranza come proprio abate il 3 febbraio 2013, dove aveva preso il posto che in passato era stato del suo grande maestro spirituale Matteo il Povero, in egiziano Matta el Meskin, al secolo Yūsuf Iskandar (Banha 1919- Il Cairo 2006), una delle ma una delle maggiori figure della storia contemporanea della Chiesa Copta Ortodossa contemporanea quale teologo, ecclesiologo, esegeta, scrittore spirituale tradotto in 17 lingue, ma soprattutto asceta. E come molti degli autentici devoti alla Parola di Dio fu fortemente osteggiato dalle gerarchie ecclesiastiche e soprattutto del Patriarca di Alessandria d’Egitto, Shenuda III. Proprio un anno dopo la morte di quest’ultimo e la nomina del patriarca Teodorico II, viene acclamato vescovo di San Macario, Anba Epiphanius, discepolo del monaco eremita Matteo. Ma solo cinque anni dopo è stato barbaramente ucciso da uno dei tanti Giuda che purtroppo vivono anche nelle comunità religiose.



Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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