TEMPESTA PERFETTA AI CARAIBI COL PAPA A PANAMA:
I CONTRO-OPINIONISTI «COMPLOTTO USA COME IN SIRIA»
PER LA CRIPTOVALUTA MONETARIA SUL PETROLIO.
BOMBARDIERI RUSSI PRONTI A DIFENDERE L’ALLEATO
L’ONU PREMIA IL VENEZUELA: “PAESE AD ALTO SVILUPPO”
___di Fabio Giuseppe Carlo Carisio ___
«Se uno dei vostri diventa povero e privo di mezzi, tu lo sosterrai, come sosterrai lo straniero e l’ospite, affinché possa vivere presso di te. Non prendere da lui interesse, né usura; ma temi il tuo Dio e il tuo prossimo viva presso di te. Non gli presterai il tuo denaro a interesse, né gli darai i tuoi viveri per ricavarne un’usura». (SACRA BIBBIA – Levitico 25,35-37)
Se questo passo della Bibbia fosse applicato da tutti i paesi del mondo oggi George Soros sarebbe un vecchietto che va a giocare a carte nel caffè sotto casa, la strozzina Bce e la terribile Federal Reserve americana due organizzazioni filantropiche, il Fondo Monetario Internazionale un dispensatore di aiuti umanitari ai bisognosi della terra, e Nicolas Maduro, il Gheddafi sudamericano che gli Usa hanno disconosiuto a favore del leader dell’opposizione, potrebbe essere uno degli statisti più acclamati al mondo. A sostenere quest’ultima ipotesi non è un delirio fantapolitico ma l’Indicatore di Sviluppo Umano, lo Human Development Index dell’Onu che, come vedremo, smentisce le teorie apocalittiche degli statunitensi e dei loro manipolati rivoltosi golpisti di Caracas, e attesta il Venezuela al 8° posto in Sud America e al 78° del mondo, davanti a Brasile, Cina, Thailandia, Ucraina e Tunisia, sebbene sotto il terribile dittatore! Ma quando nel medioevo la Chiesa Cattolica Cristiana condannò severamente l’usura i mercanti ebrei si attaccarono con le avide unghie solo alla locuzione “se uno dei vostri” sentendosi autorizzati ad esigere interessi usurai (per la Bibbia qualsiasi prestito lo è), divenendo pian piano padroni finanziari del mondo e strozzinando i non-sionisti prima, con la stessa logica con cui i jihadisti musulmani ammazzano gli infedeli, e chiunque poi. Non solo. L’Illuminato di Baviera che fu il capostipite della dinastia di banchieri Rothschild sfruttò le massonerie internazionali per costruire il progetto del Nuovo Ordine Mondialein modo da influenzare la politica eliminando gli ostacoli principali al loro piano plutocratico, le monarchie aristocratiche ereditarie, attraverso la scusa delle rivoluzioni sociali. Ma siccome il diavolo, si sa, fa la pentola ma non il coperchio la reazione del popolo bue partorì mostri peggiori a quelli immaginati con la nascita del comunismo, capace di fare 90milioni di morti mai abbastanza pianti sulla faccia della terra (vedi link articolo L’Olocausto dei massoni comunisti a fondo pagina): un numero in continuo aumento a causa delle pene capitali sommarie tuttoggi perpetrate nei paesi dove ancora vige.
DALL’URUGUAY AL VENEZUELA: UNA RAFFICA DI GOLPE MILITARI
Il presidente venezuelano Nicolas Maduro a dicembre a Mosca dal presidente russo Vladimir Putin
A ciò non fece eccezione l’America Latina ove purtroppo si ricordano le gesta di quel disertore italiano e guerrigliero mercenario mazziniano che combattè in Uruguay in uno dei tanti golpe militari sudamericani contro un presidente conservatore, democratico e cristiano legittimamente eletto (Manuel Oribe): ovvero Giuseppe Garibaldi, massone iniziato nel 1944 prima alla loggia irregolare Asilo de Vertud di Montevideo e poi a quella regolare Les amis de la Patriedella Gran Loggia di Francia, fondatore della milizia Legione Italiana. Da allora il Sud America, ritenuto dagli yankees a stelle e strisce il giardino della propria casa, è stato vituperato e martoriato da innumerevoli golpe per motivi di geopolitica militare o di sfruttamento delle ricchezze naturali: il Venezuela, con la più grande riserva petrolifera internazionale che da sola rappresenta la metà di quella globale, è il bersaglio prediletto da più di 16 anni, da quel lontano 2002 in cui gli Usa con un colpo di stato in piena regola arrestarono il presidente Hugo Chavez, il socialista bolivariano democraticamente eletto, e misero al suo posto l’affarista Pedro Carmona, durato pochi giorni per l’insurrezione del popolo che rivolle il leader destituito. Ora Caracas è diventato l’obiettivo più urgente anche in virtù dell’ultima geniale trovata dell’erede chavista Maduro per difendersi dalle asfissianti sanzioni americane: il Petro o Petrocoin, la prima criptovaluta di Stato del mondo. Una moneta virtuale collegata al nuovo Bolivar Soberano garantita però dallo Stato al 50 % proprio grazie alle immense riserve petrolifere. Un progetto simile a quello del greenback del presidente americano Abramo Lincoln per affrancare gli Usa dalle banche e a quello di Muhammar Gheddafi per creare una valuta africana unitaria, garantita dalle sue imponenti riserve auree libiche, alternativa Cfa: il Franco delle Colonie Francesi d’Africa, inventato da Parigi nel 1945 ed al centro delle attuali polemiche sullo sfruttamento economico di 14 paesi paesi grazie alla gestione di questa moneta da parte della Banca Nazionale di Francia. Sappiamo benissimo che fine hanno fatto Lincoln, ucciso proprio da un massone (vedi link articolo a fondo pagina Massoneria e grandi crimini a fondo pagina), e Gheddafi che, secondo un dettagliato articolo dell’inviato di guerra Gian Micalessin, fu preso di mira dai bombardamenti occidentali ed eliminato proprio per l’idea di quella nuova moneta.
LA TEMPESTA PERFETTA IN VENEZUELA IN ONORE DEL SANTO PADRE
Juan Guaido, il presidente dell’Assemblea Nazionale di Caracas e leader dell’opposizione si è autoproclamato presidente ad interim ottenendo il riconoscimento degli Usa e di altri stati EPA/Cristian Hernandez
«E’ bene che la gente non sappia come funziona il nostro sistema monetario perché, se lo sapesse, farebbe una rivoluzione entro domani mattina». Questa celebre frase non è di un politico sovranista dell’Unione Europea in riferimento alla Bce ma dell’ex presidente degli Usa, Henry Ford, perfettamente consapevole che il sistema economico americano, e di conseguenza mondiale attraverso le correlazioni tra Fed e Fmi, è sempre stato una giostra di banche che a loro piacimento decidono chi può indebitarsi e chi no: usando parametri flessibili per gli amici, rigorosi per gli sconosciuti ed esiziali per i nemici. Ma quando un paese ostile è troppo ricco di risorse naturali scatta la guerra se è in un’area geopolitca scottante come Medioriente o Asia, come contro Gheddafi nel 2011, oppure una cospirazione più lenta, ma spesso più efficace, attraverso il finanziamento di un leader delle opposizioni che sostenga le accuse di mancato rispetto dei diritti democratici e la contestuale applicazione di sanzioni internazionali che si traducano in gravi crisi economiche fomentando così l’ovvio malcontento popolare a sostegno del politico compiacente. «Quando gli Stati Uniti volevano rovesciare un governo, lo facevano fare segretamente alla Central Intelligence Agency (CIA), particolarmente quando questi governi erano stati democraticamente eletti, come Iran (1953), Guatemala (1954), Cile (1973), Nicaragua (1980), Haiti (2006), Honduras(2009), Ucraina (2013) e Siria (2011) – scrive l’opinionista internazionale britannico Davide William Pear – Nel corso degli ultimi decenni, gli Stati Uniti sono diventati più sfrontati nei loro progetti di regime change. Quel che di solito si faceva in segreto, attualmente viene praticato senza complessi sotto gli occhi di tutti. Il progetto di regime change in Venezuela del 2017 è oramai diventato di pubblico dominio». «Che l’annuncio del ritiro delle truppe americane dal teatro siriano fosse semplicemente dovuto a un cambio nella strategia comunque imperialista della presidenza degli Stati Uniti (rispetto a quella precedentemente impostata dal deep state), piuttosto che a una supposta volontà “antisistema” di Donald Trump, lo si era chiaramente anticipato su questo blog – scrive nella sua rubrica Il Ghibellino su Il Giornale il giornalista italiano Cristiano Puglisi – Il caos esploso ieri in Venezuela, con l’autoproclamazione del presidente dell’Assemblea Nazionale e leader dell’opposizione Juan Guaidò a presidente della Repubblica in luogo del capo di Stato eletto Nicolas Maduro, appoggiata dagli Stati Uniti, dimostra ora che le previsioni erano corrette. Ovviamente, come c’era da attendersi, è partito il coro dei media occidentali, pronti a chiedere la testa del “tiranno Maduro”. Sembra di rivivere quanto avvenuto, tra il 2012 e pochi mesi fa, con il presidente siriano Bashar Al Assad». Ora che abbiamo già chiarito chi, dove, perché, cosa e come soffermiamoci sull’ultimo dei “topos” indispensabile per analizzare la situazione: quando. Ciò che sta accadendo oggi in Venezuela in quella che potrebbe sembrare una tempesta perfetta nel Mar dei Caraibi pare organizzato apposta in concomitanza della Giornata Mondiale della Gioventù che vede il Santo Padre a Panama. Papa Francesco, si sa, non è solo buonista ma è proprio buono davvero: si commuove e piange per i migranti come per i morti venezuelani di questi giorni (tra i quali ci sono i militari insorti per tentare il golpe contro Maduro), ma la sua anima candida gli impedisce di ponderare che dietro questi drammi esistano dei complotti internazionali politico-finanziari-mediatici. Ed ovviamente alcuni suoi collaboratori infidi fanno di tutto per nasconderglieli. «Gli Stati Uniti hanno perfezionato le loro tecniche di regime-change, camuffandole in promozione della democrazia, che finanzia la sovversione attraverso l’Agenzia per lo Sviluppo internazionale (USAID), il Servizio di Informazioni degli Stati Uniti (USIS) e il National Endowment for Democracy (NED)finanziato dal Congresso, l’International Republican Institute (IRI) e altre organizzazioni non governative selezionate» aggiunge ancora Pear scordandosi di citare l’Unicef: secondo i documenti pubblicati da Edawrd Snowden, l’ex agente di Cia e Nsa che svelò le intercettazioni dei presidenti europei da parte dei servizi segreti americani, il Fondo Onu per l’infanzia era tra gli obiettivi di sorveglianza dell’intelligence britannica (Gchq – Government Communications Headquarters) e americana (Nsa – National Security America).
LA RIVOLTA PILOTATA A CARACAS CON MILITARI INSORTI E MORTI
Alcuni militari che nell’agosto 2017 tentarono un golpe armato che provocò morti e feriti come quello dei giorni a Caracas iniziato con l’occupazione di una caserma e sventato dall’esercito governativo
«Ho trascorso 33 anni e quattro mesi in servizio militare attivo e durante quel periodo ho passato la maggior parte del mio tempo come uomo altolocato per il grande business, per Wall Street e per i banchieri. In breve, ero un racket, un gangster per il capitalismo – Questa frase è contentuta nel libro War is Racket scritto dal generale statunitense Smedley Butler che aggiunge – Ho aiutato a rendere il Messico e soprattutto Tampico sicuri per gli interessi petroliferi americani nel 1914. Ho aiutato a rendere Haiti e Cuba un posto decente per i ragazzi della National City Bank per raccogliere entrate. Ho aiutato a stuprare una mezza dozzina di repubbliche centroamericane per il beneficio di Wall Street». Riporto queste righe mentre in Venezuela si contano 26 morti negli scontri tra le forze di polizia e l’esercito governativo da una parte e dall’altra i militari insorti e i manifestanti dell’opposizione, scesi in piazza a migliaia. Come scrivono i colleghi in Venezuela si sta cercando di riproporre il medesimo criminale format già utilizzato con successo in Ucraina da Barack Obama con la rivolta di piazza Euromaidan, fomentata per presunte velleità europeiste e miso-russe, in realtà finalizzata non solo al controllo dei confini della rivale Mosca ma anche allo sfruttamento dei giacimenti di gas naturale e petrolio del Donbass (vedi articolo Donbass: strage per il gas a fondo pagina): non fu certo per caso che Hunt Biden, figlio dell’ex vicepresidente Usa, entrò nel Cda della società energetica nazionale ucraina Burisma. E proprio il già citato Micalessin intervistò dei militari georgiani che confermarono di essere stati tra i cecchini mercenari pagati per sparare sulla folla e giustificare con quasi cento morti l’indignazione mondiale.
I BOMBARDIERI RUSSI GIA’ PRONTI IN VENEZUELA
Gli aerei bombardieri russi Tu-160 inviati dall’alleato Vladimir Putin a dicembre in Venezuela
«Attualmente è più difficile controllare un milione di persone, che ucciderle» avrebbe apertamente dichiarato Zbigniew Brzezinski, già consigliere di quel presidente americano Jimmy Carter che, in qualità di osservatore internazionale, nel 2012 certificò la bontà del sistema elettorale chavista. Esattamente lo scenario costruito in Siria grazie al finanziamento dei ribelli (vedi articolo I cospiratori contro Assad a fondo pagina) e persino dei terroristi dell’Isis, i quali, una volta armati dagli Usa, decisero di conquistare l’intero medioriente in nome della Jihad costringendo la stessa Usaf (Us Air Force) a bombardarli causando 1.160 morti civili. Se in Venezuela non ci sono ancora state eco di guerra è soltanto per due motivi: Trump, per quanto soggiogato da consiglieri fraudolenti nel proseguire le strategie imperialiste americane, non è malvagio e sanguinario come il suo predecessore Obama, il più inverecondo Nobel per la Pace mai assegnato; inoltre, a metà dicembre, all’Aeroporto Internazionale di Maiquetia “Simon Bolivar” sono atterrati due bombardieri strategici Tu-160, un cargo An-124 e un velivolo a lungo raggio IL-62 della Russia, alleata di Maduro, che ha nel paese molteplici relazioni commerciali attraverso la società petrolifera a maggioranza statale Rosneft. Il Cremlino, oltre ad inviare gli aerei da guerra, ha già condannato la pantomima dell’autoproclamazione del nuovo presidente ad interim Guaidò ed il sostegno giunto da varie nazioni del mondo come «inquietanti» per bocca del ministro russo degli Esteri Sergey Lavrov, che ha promesso al governo venezuelano le «armi necessarie per difendersi». Il presidente russo Vladimir Putin, che pare attento alle sorti delle sovranità nazionali e dell’umanità intera, ha già fatto capire che Caracas non sarà una nuova Damasco con intorno mezzo milione di morti. A ciò si aggiunge il fatto che Maduro ha ottenuto dalla Cina prestiti per 40 miliardi di dollari che sta restituendo in natura, con l’invio di quantità crescenti di petrolio a prezzi bloccati e facendosi carico dei costi di trasporto. E’ pertanto ovvio che Pechino non correrebbe mai il rischio di un cambio di scenario politico, che se va bene potrebbe congelare la restituzione del finanziamento, se va male cancellarla. Ecco perché la strategia americana potrebbe avere successo solo in due modi: l’attentato omicida del presidente chavista, con inevitabile caos simile a quello della Libia, o la Terza Guerra Mondiale. E Trump sta tanto bene alla Casa Bianca quanto nel suo grattacielo di Manhattanper correre simili rischi…
Una parte della tabella dell’Indice di Sviluppo Umano (Hdi) dell’Onu 2018 dove il Venezuela risulta al 78° posto nel mondo – CLICCA SULL’IMMAGINE PER IL DOSSIER COMPLETO
Tralasciando le fumose e in gran parte fittizie contestazioni sull’esercizio autoritario del potere politico in Venezuela da parte di Maduro, rieletto presidente a maggio 2018 con il 67,84% delle preferenze, sebbene il voto sia stato disconosciuto dall’opposizione per la scarsa affluenza alle urne comunque intorno al 50 %, vediamo quali sono le cause della crisi economica che sta attanagliando il paese da qualche anno. Per farlo facciamo riferimento alle tabelle Onu sull’Indice di Sviluppo Umano. Lo Human Development Index è un indicatore di sviluppo macroeconomico realizzato nel 1990 dall’economista pakistano Mahbub ul Haq con il collega indiano Amartya Sen. Viene utilizzato dal 1993 dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per valutare la qualità della vita nei Paesi membri in sostituzione del precedente indicatore basato solo sul Pil (Prodotto interno lordo). L’Hdi è calcolato in millesimi e definito come la media geometrica di tre indici di base, legati rispettivamente alla speranza di vita, al livello di istruzione e al reddito. Prevede una tabella in cui le nazioni sono suddivise con quattro criteri di sviluppo umano: molto alto, alto, medio e basso. Ebbene sosprenderà tanti detrattori del bolivarismo chavista leggere che il Venezuela nel 2017 è attestato al 78° con un indice dello 0,761 che lo include tra i paesi con Alto Sviluppo Umano: appena prima del Brasile e sopra a Thailandia, Algeria, Cina, Equador, Ucraina, Peru, Colombia, Giordania, Tunisia, Giamaica, Maldive, Paraguay, Moldavia, Filippine, SudAfrica, Egitto, Indonesia e Vietnam. Un analista pignolo noterà certamente nella tabella che riportiamo un’enorme criticità: il paese ha perso ben 16 posizioni in cinque anni tra il 2012 e il 2017, ma il coefficiente è rimasto pressochè invariato rispetto al 2014 ed al 2015 confermando che le sanzioni americane imposte in quegli anni dal Governo Obama e i conseguenti declassamenti delle agenzie di rating hanno bloccato una crescita che altrimenti si stava rivelando esponenziale. Analizzando infatti la tabella dei coefficienti si può notare che il dato è balzato dal 0,759 del 2010 al 0,774 del 2012 per poi crescere fino al picco dello 0,778 del 2014, declinare allo 0,775 del 2015 e cadere bruscamente allo 0,766 del 2016 per perdere ancora 5 millesimi l’anno dopo. Ciò indica che il paese ha retto sostanzialmente alla crisi del petrolio del 2014 che ha fatto precipitare il costo del barile ma meno alle conseguenze dei declassamenti di rating e delle repressive sanzioni iniziate nel 2015.
LA RIVOLUZIONE BOLIVARIANA PER “DIOS Y FEDERACION”
La folla assiste al discorso del leader di opposizione Juan Guadio a Caracas
«La Rivoluzione bolivariana, oltre a portare una cospicua fetta della popolazione fuori dalla povertà, persegue da sempre un processo di riforme verso la creazione di un’inedita democrazia economica. Dal 1999 ad oggi sono nate decine di migliaia di cooperative e un’apposita legge del 2010 ha creato centinaia di comuni autogestite. È evidente il trasferimento di poteri in atto: dall’élite capitalistica al popolo». Lo sostiene Samuel Boscarello in un blog politico di sinistra citando anche dati precisi: «Fino ad oggi i profitti derivanti dall’industria petrolifera hanno permesso lo sviluppo dei vasti programmi di assistenza sociale da cui è derivato un drastico calo della povertà (dal 42% del 1999 al 27% del 2011 in termini relativi, mentre quella assoluta è scesa dal 17% al 7%)». Una circostanza confermata anche dall’economista Sissi Bellomo sull’Atlante Geopolitico 2015 nel sitoweb dell’enciclopedia Treccani: «La compagnia petrolifera di Stato, Petroleos de Venezuela (Pdvsa), dalla fine degli anni Novanta è stata usata come strumento per finanziare le politiche populiste del regime di Hugo Chavez prima e del suo successore Nicolas Maduro poi, senza alcun riguardo per i più banali criteri di redditività ed efficienza gestionale. Basti pensare che il Venezuela, costretto a importare benzina – e recentemente persino petrolio, per diluire il greggio extra pesado – praticamente regala il pieno di carburante ai suoi cittadini e attraverso l’alleanza Petrocaribe invia greggio a prezzi stracciati a Cuba e ad altri 16 paesi dell’area». Due pareri abbastanza tecnici che se da una parte evidenziano i noti motivi della crisi dall’altra dipingono una cultura socialista chavista che sembra porre al centro della sua politica l’essere umano e non il vil denaro o il profitto sulle risorse. Non va inoltre dimenticato che la Repubblica Bolivariana del Venezuela, dipinta da molti opinion-maker occidentali come dittatura comunistoide, è uno dei rarissimi paesi socialisti in cui la libertà religiosa è garantita dalla Costituzione. La gran maggioranza dei venezuelani sono di fede cristiana e in particolare cattolica (oltre il 90%): il motto popolare è proprio Dios y Federación a conferma. Quindi perché la crisi si sta facendo così sentire? Per colpa della tipologia di petrolio e delle sanzioni. Ma anche, secondo alcuni opinionisti, per la manipolazione di grossisti venezuelani sostenuti dagli americani che volutamente centellinano la distribuzione dei beni di prima necessità. Un’ipotesi tutt’altro che da sottovalutare in un paese dove la corruzione è una delle piaghe sociali ancora gravi.
IL PETROLEO EXTRA PESADO E LE DISTRUTTIVE SANZIONI
Uno dei depositi di petrolio dell’azienda statale Pdvsa – Petroleos de Venezuela
«È la più grande riserva di petrolio al mondo ed è tuttora sfruttata solo in minima parte: la fascia dell’Orinoco, un’area di 54mila chilometri quadrati lungo il corso del fiume omonimo in Venezuela, potrebbe contenerne fino a 1300 miliardi di barili secondo le stime più ottimiste, una quantità quasi pari a quella di tutte le risorse di petrolio convenzionale del globo. Già, perché quello dell’Orinoco convenzionale non è, ma rientra nella categoria – più difficile e costosa da estrarre – dei greggi non convenzionali. Stessa categoria dello shale oil statunitense, dunque. Ma il petroleo extra pesado venezuelano non gli assomiglia affatto, mentre ha molto in comune con le sabbie bituminose del Canada: come le oil sands, il greggio dell’Orinoco è molto pesante, con una densità che lo colloca tra 4 e 16 gradi nella scala Api, dunque all’estremo opposto rispetto ai greggi leggeri o leggerissimi estratti dalle shale rocks negli Usa». Ecco il problema cruciale ben illustrato ancora dall’analista Bellomo: un petrolio “non convenzionale” si rivela prezioso quando il prezzo del greggio è alto, critico quando è basso per i costi di estrazione. « Ci sono buone ragioni per credere che il crollo del prezzo del petrolio sia stato una cospirazione USA-saudita, dal momento che le vittime economiche erano la Russia e il Venezuela – rileva sempre Pearazzardando una gigantesca cospirazione – Il petrolio è il 95% delle entrate del Venezuela dalle esportazioni e il 25% del suo PIL». A complicare la situazione politica economica giunsero le reiterate sanzioni varate nel dicembre del 2014 dagli Usa per presunte violazioni dei diritti umani, della libertà di stampa e della democrazia. «La legge votata dal Senato Usa nel dicembre del 2014 era in coincidenza con il fatto che il Venezuela aveva sconfitto le barricate dell’operativo golpista “La Salida” – scrive il sito di geopolitica Contropiano – Leopoldo López, di Voluntad Popular e della MUD, era stato giudicato e condannato a 14 anni di carcere per diversi reati che quell’anno avevano provocato 43 morti e 3.000 feriti». Le sanzioni colpirono una ventina di funzionari ma anche imprese venezuelane complicandone le operatività commerciali. A ciò si aggiunse, praticamente contestuale, il declassamanto delle agenzie di rating che trasformò così il paese da appetibile area di investimento e interessante partner di sviluppi commerciali in appestato finanziario. «L’agenzia di rating Moody’s ha declassato il debito sovrano del Venezuela di due gradini a “Caa3”, il livello più basso assegnato ai paesi non in default, al pari di quello dell’Ucraina, sconquassata dalla guerra con la Russia e lo smembramento della Crimea, e la Giamaica, che ha dichiarato default due volte dal 2010. Fitch aveva declassato i bond di Caracas a “CCC” il mese scorso, mentre a settembre S&P li aveva retrocessi a “CCC+”» scriveva nel gennaio 2015 il quotidiano InvestireOggi. Obama, un anno più tardi e successivamente una settimana prima di lasciare la Casa Bianca, riconfermò le sanzioni, sfidando le proteste della Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici (Celac) che sostenevano il Venezuela. Nell’agosto 2017 Trump ha vibrato la mazzata finale con le sanzioni economiche vietando alle istituzioni Usa di comprare e vendere nuovi bond emessi dal governo venezuelano e da Petroleos de Venezuela, la compagnia petrolifera di Stato. Ma il presidente Maduro ha reagito forte della solidarietà e del credito internazionale in svariate forme da parte di Cina, Russia e Turchia, con cui è in vigore un accordo per la costosa raffinazione del petrolio extra pesado che Ankara utilizza come merce di scambio per aggirare a sua volta le misure Usa contro l’Iran. In questo contesto il leader venezuelano, seguendo la Cina che ha iniziato a gestire il mercato del petrolio in yuan e non più in dollari, ha inventato una nuova originalissima forma di difesa: il Petrocoin, la prima valuta monetaria di Stato in formato digitale.
IL PETRO-COIN: LA GRANDE SCOMMESSA PER IL 2019
Il Petros o petrocoin, la prima criptovaluta di Stato al mondo emessa dal Venezuela
Messo in commercio nel febbraio 2018, ancorato alla nuova valuta anti-inflazione del “Bolivar Soberano” nel luglio scorso, l’annunciato Petro o Petrocoin è divenuto realtà il primo ottobre scorso in Venezuela tra interesse, curiosità e diffidenza. Sui siti specialistici prevalgono tre orientamenti: quello di boicotaggio politico che evidenzia le carenze strutturali determinate innanzitutto dalla catena di distribuzione che si appoggia a 6 agenzie di cambio della criptovaluta e non 16 come inizialmente dichiarato; quelle di cautela per il rischio che questa nuovissima valuta internazionale si riveli un flop; infine quello realista che si limita ad analizzare che esiste, che ha registrato volumi di scambio e dettaglia le variazioni delle garanzie a suo supporto articolate in petrolio (al 50 %) ma anche in oro, gas naturale e diamanti. Una moneta che di primo acchito si presenta quindi più garantita dell’euro! Il Petro è stato lanciato in anteprima a febbraio con una vendita di 100 milioni di coin, equivalenti a 6 miliardi di dollari. Può essere utilizzato per transazioni internazionali ma nelle ambizioni di Maduro si candida a divenire il primo strumento digitale nel mercato del petrolio segnando così una rivoluzione epocale in una delle materie prime più commerciate al mondo. «In un discorso a reti unificate – riportò Il Fatto Quotidiano – l’erede di Hugo Chàvez ha annunciato l’attivazione del blockchain venezuelano, la tecnologia decentralizzata e trasparente che – come avviene per ogni criptomoneta – permetterà di certificare le transazioni svolte in Petro. Inoltre, è stata inaugurata la piattaforma web petro.gob.ve, dove ogni venezuelano potrà acquistare Petros pagandoli in bolìvares sovrani o in altre criptovalute, come Bitcoin, Ripple o Ethereum, e accumularli su un apposito portafoglio digitale».
La quotazione in tempo reale della criptovaluta Petro e del Bolivar Soberano sul sito del Banco Central de Venezuela
Nello stesso giorno, il primo ottobre, è stata inaugurata a Caracas la sede della Sovrintendenza nazionale per i criptoattivi (Sunacrip), l’ente statale che vigilerà sulla nuova moneta, ed il Governo bolivariano ha già comunicato alle compagnie aeree internazionali che faranno scalo in Venezuela l’obbligo di pagare i rifornimenti di carburante in Petro. Il coin caraibico è stato quotato 36mila Bolivar Soberano per unità, pari a circa 60 dollari, ma ha già pagato le successive svalutazioni della valuta venezuelana tanto da valere oggi circa 23 dollari. Il presidente ha però nel cassetto un piano finanziario di sei anni per utilizzare la criptovaluta negli scambi con altre monete per scongiurare l’impatto paralizzante delle sanzioni guidate dagli Stati Uniti sull’economia venezuelana. «Nel 2019, abbiamo un programma per il petrolio da vendere in Petro e in questo modo continueremo a liberarci da una valuta che l’élite di Washington e degli Usa» ha dichiarato Maduro agli inizi di dicembre proprio al rientro del suo incontro con il presidente russo Vladimir Putin a Mosca. Gli ha fatto eco Manuel Quevedo, ministro del Petrolio del Venezuela e presidente della compagnia petrolifera statale PDVSA, anticipando il Petro sarà presentato all’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (OPEC) nel 2019, come «la principale valuta digitale sostenuta dal petrolio». Una scommessa che dovrà farsi strada tra diffidenze, invidie celate ed aperte ostilità dei paesi produttori come della finanza internazionale ma che potrebbe davvero essere rivoluzionaria e diventare apripista per iniziative analoghe di altri paesi di Sud America, Asia ed Africa in ristrettezze economiche a causa del debito pubblico ma ricchi di risorse naturali. «Il Petro – si legge sul sito web dedicato petro.gob.ve – è uno strumento che consoliderà la stabilità economica e l’indipendenza finanziaria del Venezuela, unitamente a un progetto ambizioso e globale per la creazione di un sistema finanziario internazionale più libero, equo ed equilibrato». Per l’alta finanza, le lobbies bancarie e i padroni del dollaro un motivo ben più allarmante delle presunte violazioni democratiche per volere l’eliminazione immediata di Maduro come accadde per Lincoln e Gheddafi. Per chi crede in un mondo meno schiavo del signoraggio bancario e più umano un sogno in cui credere.
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