mercoledì 20 febbraio 2019

L’FDA chiede agli anziani di non iniettarsi sangue di bambini per rallentare l’invecchiamento

NOTIZIA FRESCA CONTRO IL BUSINESS DEI "MANGIATORI DI BAMBINI"
La FDA ha avvertito gli anziani di smetterla di iniettarsi plasma proveniente da soggetti giovani per rallentare il processo di invecchiamento, dicendo che “non esistono ancora prove di benefici clinici” secondo Bloomberg.
In un avviso rilasciato martedì, l’agenzia ha suggerito che gli anziani vengono truffati con plasma a $ 8.000 al litro per curare problemi legati all’età, tra cui demenza, morbo di Parkinson, morbo di Alzheimer e malattie cardiache.
“Non v’è alcun beneficio clinico dimostrato nell’infusione di plasma da donatori giovani per curare, mitigare, trattare o prevenire queste condizioni, e ci sono rischi associati con l’uso di qualsiasi prodotto di plasma”, si legge in una dichiarazione del commissario della FDA Scott Gottlieb e Peter Marks , che guida il centro biologico dell’agenzia.
L’idea di infondere sangue giovane per combattere l’invecchiamento ha attirato imprenditori come il miliardario Peter Thiel. L’interesse di Thiel è nato grazie ad una società chiamata Ambrosia, che ha sedi in cinque stati negli Stati Uniti e vende un litro di plasma di donatori di età compresa tra i 16 e i 25 anni per $ 8.000, secondo il suo sito web.
Gottlieb e Marks hanno detto che nessuno dei trattamenti al plasma ha superato i test rigorosi richiesti dall’agenzia. Ambrosia afferma che “esperimenti su topi hanno fornito l’ispirazione per i trattamenti con plasma giovane”. L’approvazione della FDA richiede in genere prove umane prima che le aziende possano indicare l’efficacia specifica di un prodotto.
“Gli usi riportati di questi prodotti non devono essere considerati sicuri o efficaci”, hanno dichiarato Gottlieb e Marks. “Sconsigliamo vivamente ai consumatori di portare avanti questa terapia al di fuori delle sperimentazioni cliniche sotto l’appropriato consiglio di revisione istituzionale e la supervisione normativa”.
Le infusioni di plasma sono un farmaco approvato per problematiche come la non coagulazione del sangue, tuttavia l’Agenzia fa notare ci sono dei rischi, tra cui sovraccarico circolatorio, reazioni allergiche, danno polmonare e la trasmissione di malattie infettive.
“Siamo preoccupati che alcuni pazienti vengano sfruttati da attori senza scrupoli che reclamizzano trattamenti al plasma come cure e rimedi”, affermano Gottlieb e Marks. “Tali trattamenti non hanno dimostrato benefici clinici per gli usi per i quali queste cliniche li stanno pubblicizzando e sono potenzialmente dannosi”.
Ambrosia è stata lanciata dal laureato dell’Università di Stanford, Jesse Karmazin, che fa pagare $ 8.000 per un litro di sangue giovane e $ 12.000 per due litri. Karmazin, che non è un medico autorizzato, ha detto ai giornalisti lo scorso anno che aveva sperato di aprire la sua prima clinica a New York entro la fine del 2018 – tuttavia dopo l’annuncio della FDA di Martedì, non stanno più trattando i pazienti in base al loro sito web .
A partire dallo scorso autunno, la società aveva eseguito la procedura su circa 150 persone di età compresa tra 35 e 92 anni. Il processo ha dato ai pazienti un litro e mezzo di plasma da un donatore di età compresa tra 16 e 25 anni ed è stato condotto con David Wright, un medico che ha il proprio centro di terapia in California.
I partecipanti alla sperimentazione hanno pagato il conto per i loro trattamenti – mentre i risultati dei loro studi clinici non sono stati resi pubblici.
“Il processo è stato uno studio in fase di sperimentazione. Abbiamo visto alcune cose interessanti, e abbiamo intenzione di pubblicare i dati. E vogliamo cominciare ad aprire cliniche in cui verrà reso disponibile il trattamento”, ha detto il COO della società … diversi mesi prima di lasciarla.
Sembra che coloro che vogliono avere sangue fresco dovranno cercare altrove.

TUTTI I POLITICI DEL PLUTARCA SOROS

GLI AGENTI DI SOROS: Ecco i nomi dei 14 deputati con passaporto italiano che tramano contro il Paese agli ordini del criminale finanziario George Soros, oltre naturalmente all'intero partito +Europa - o più correttamente Meno Italia - direttamente finanziato dal magnate.



Manco a dirlo, 13 di loro sono affiliati elettivamente al partito Nemico Pubblico #1 più un "cane sciolto" eletta nella Lista Tsipras:


- Brando Maria Benifei (PD)


- Sergio Cofferati (PD)


- Cécile Kyenge (PD)


- Alessia Mosca (PD)


- Andrea Cozzolino (PD)


- Elena Gentile (PD)


- Roberto Gualtieri (PD)


- Isabella Del Monte (PD)


- Luigi Morgano (PD)


- Pier Antonio Panzeri (PD)


- Gianni Pittella (PD)


- Elena Schlein (PD)


- Daniele Viotti (PD)


- Barbara Spinelli (Lista Tsipras)


A quanto pare, Soros non avrebbe cercato di reclutare agenti nelle formazioni M5S, Fratelli d'Italia e Forza Italia perché ritenute "non affidabili" dai vertici della Open Society.
Significativamente, la sua posizione di mnemico del Paese (l'Open Soc. è il principale finanziatore dell'immigrazione illegale) non gli ha impedito, nel recente passato, di essere ricevuto con tutti gli onori dall'attuale Presidente illegittimo della Repubblica.





TRA GLI EURODEPUTATI DI SINISTRA APPOGGIATI DALLA “OPEN SOCIETY” L’EX SEGRETARIO CGIL COFFERATI, KYENGE E IL DEM PRESIDENTE LGBT. MA ANCHE L’EX TERRORISTA IRA, IL PASTORE LUTERANO PRO GAY E L’AVVOCATO MUSULMANO INGLESE


di Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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Ci sono nomi e cognomi di 226 eurodeputati schedati per anzianità parlamentare, curriculum politico essenziale, settori di competenza in ambito UE, aree geopolitiche di operatività, interessi di attivismo sociale, numeri di telefono, e-mail e account Twitter. Un lavoro di schedatura degno di un’intelligence internazionale quello svolto dall’agenzia Kumquat Consult di Bruxelles per conto della Open Society European Policy Institute del magnate ungherese George Soros, plutocrate e sempre più oscuro plutarca (neologismo: chi comanda col denaro), sostenitore di quel Nuovo Ordine Mondiale ideato dagli Illuminati di Baviera su ispirazione di Mayer Amschel Rothschild. Un lavoro che deve essere stato abbastanza semplice da svolgere per questa società belga di strategia e comunicazione “progressista” visto che ha tra i clienti lo stesso Parlamento Europeo… «226 eurodeputati sono provati o probabili alleati dell’Open Society» scrivono gli analisti identificando in un dossier di ben 177 pagine i soggetti ritenuti affidabili: tra loro 14 parlamentari UE italiani, 13 del PD (nel gruppo politico europeo S&D, Socialisti e Democratici), in cui spiccano i nomi dell’ex segretario Cgil Sergio Cofferati, dell’ex ministro Italo-congolese Cécile Kyenge ed a cui si aggiunge quello della giornalista Barbara Spinelli (indipendente della lista Tsipras), pugnace antiberlusconiana dalle colonne de La Repubblica e già presente alle riunioni del Bilderberg.

Infatti la maggior parte degli oltre duecento componenti dell’emiciclo di Bruxelles considerati vicini a Soros – quasi un terzo dei 751 eletti – è espressione di schieramenti di centrosinistra. Nessuno di destra o del movimento populista. Molti di loro sono ex ministri, docenti, giornalisti, avvocati, attivisti di varie associazioni: ma c’è anche un’ex direttore di Polizia premiato dall’Interpol così come un’ex terrorista britannica dell’Ira. Ognuno di essi è impegnato in battaglie politiche, mediatiche e sociali che spaziano dal mondialismo al no-global, dall’antinucleare alla sicurezza internazionale fino ad arrivare ai temi più cari all’Open Society: migrazioni, integrazione multietnica, difesa dei diritti Lgbt ed apologia della teoria No-Gender. Ecco una sintesi del fascicolo con i personaggi più significativi.


LA SINISTRA EUROPEA VICINA A SOROS

George Soros ricevuto a Bruxelles dal presidente del Parlamento Europeo Masrtin Schultz il 10 aprile 2012

Nella Open Society’s list, com’era ovvio immaginarsi, figurano perlopiù esponenti del centrosinistra europeo: oltre allo S&D ci sono moltissimi eurodeputati del GUE/NGL – Gruppo Confederale della Sinistra Unitaria Europea – Sinistra Verde Nordica, dell’ALDE – Gruppo dell’Alleanza dei Liberali e Democratici per l’Europa, e degli ambientalisti del Green/EFA (o Verdi Ale – Gruppo dei Verdi – Alleanza Libera Europea) ma anche numerosi dei gruppi conservatori EPP Gruppo del Partito Popolare Europeo ed ECR – Gruppo dei Conservatori e dei Riformisti europei. Nessun parlamentare schedato come amico di Soros nei gruppi ENF – Gruppo Europa delle Nazioni e delle Libertà (quello costituito dall’italiana Lega di Matteo Salvini e il Rassemblement National francese di Marine Le Pen) o EFDD – Gruppo Europa delle Nazioni e delle Libertà (asse tra Nigel Farage e Movimento 5 Stelle), del quale risultano però curiosamente segnalati vicini ad OS quattro advisers, ovvero semplici consulenti parlamentari non eletti deputati, tra cui altri due italiani. Un mondo variegato di parlamentari che rispecchiano personalità selezionate in tutta Europa per importanza politica, come l’ex presidente del Parlamento Europeo, il tedesco Martin Schultz, già leader del suo partito socialdemocratico Spd che ricevette proprio Soros a Bruxelles nel 2012 con tutti gli onori; ma soprattutto una vasta rappresentanza di deputati attivisti, in ambiti a volte assai differenti tra loro: dal leader di un movimento cristiano a quello di uno musulmano, dal pastore luterano all’ex militante dell’Ira irlandese, dal presidente Rotary ai responsabili nazionali di Amnesty International e Greenpeace. Per la maggior parte già parlamentari nei rispettivi paesi, sono esponenti delle principali categorie di influenza sociale del cosiddetto mainstream: 22 ex ministri, 19 giornalisti e altrettanti avvocati, 10 sindacalisti ma sopratutto ben 46 insegnanti (universitari o di scuole superiori), infine anche un giudice francese, tre procuratori della Corte Suprema (due greci e una maltese) e altrettanti diplomatici.

PD MINACCIA QUERELA AL PRESIDENTE RAI

Il giornalista Marcello Foa, presidente della Rai minacciato di querela dai Dem per un’intervista ad un quotidiano israeliano

Il dossier, reso pubblico un anno fa da DC Leaks e riecheggiato in Italia grazie al blog di Marcello Foa su Il Giornale, ritorna d’attualità dopo un’intervista rilasciata dallo stesso Foa, oggi presidente della Rai, al quotidiano israeliano Haaretz. Gli europarlamentari del Pd, infatti, non avrebbero gradito l’accusa di essere finanziati del famigerato Soros ed hanno subito minacciato querela. Foa si limita a ribadire l’evidenza: «Quanto alla vicinanza di alcuni esponenti politici italiani alla Open Society di Soros, non sono io a dirlo ma la stessa Open Society in un suo rapporto interno che, chi vuole, può leggere qui (a fondo pagina il link al documento). Non ho fatto che ribadire una notizia che avevo affrontato il 4 novembre 2017 sul blog che all’epoca tenevo su Il Giornale». Ma è perentoria la presa di posizione degli eurodeputati dem, a firma Patrizia Toia, come riporta Il Giornale: «Il presidente della Rai Marcello Foa, ricicla una vecchia balla su presunti rapporti tra gli eurodeputati Pd e George Soros, aggravandola con una diffamazione nei nostri confronti. Abbiamo deciso tutti insieme di portarlo davanti ad un tribunale della Repubblica. Foa dovrà rispondere in sede penale con relativo risarcimento danni». David Sassoli, vicepresidente del Parlamento europeo, ha invece affermato: «Non avrei mai immaginato di dover querelare e chiedere i danni al presidente della Rai. Il presidente dell’azienda di servizio pubblico italiana dovrà dimostrare quello che ha sostenuto, privo di ogni fondamento, in Tribunale davanti a un giudice».

I CRITERI DELLO STUDIO PER OPEN SOCIETY

«Questa mappatura fornisce all’Open European Policy Institute e alla rete Open Society informazioni sui membri dell’8 ° Parlamento Europeo che potrebbero sostenere i valori della “società aperta” durante la legislatura 2014-2019 – scrivono gli analisti di Kumquat Consult nell’introduzione al dossier – Comprende 11 comitati e 26 delegazioni, nonché i più alti organi decisionali del Parlamento europeo: 226 eurodeputati che sono provati o probabili alleati dell’Open Society. La presenza di un deputato europeo in questa mappatura indica che è probabile che sostenga l’operato dell’Open Society. Oltre alla discussione di singoli argomenti, l’Open Society dovrebbe cercare di costruire una relazione duratura e degna di fiducia nei rapporti con questi legislatori europei». Il lavoro è davvero certosino e analizza i referenti ritenuti affidabili per Soros di ogni singola Commissione europea ed ogni area geografica d’azione.

GLI ITALIANI DEL PD E GLI EUROPEI PRO LGBT

L’eurodeputato Daniele Viotti, co-presidente dell’intergruppo europarlmentare Lgbt

Nel lungo dossier di 177 pagine compaiono i nomi di altri europarlamentari italiani del PD, oltre ai già citati Cofferati e Kienge, ovvero Brando Maria Benifei, Alessia Mosca, Andrea Cozzolino, Elena Gentile, Roberto Gualtieri, Isabella De Monte, Luigi Morgano, Pier Antonio Panzeri, Gianni Pittella, Elena Schlein, Daniele Viotti. Per ognuno c’è la scheda politica, le informazioni di contatto e soprattutto le aree di operatività. Degni di attenzione il curriculum di Panzeri, ex segretario generale della Camera del Lavoro di Milano, e quello di Viotti, attivista e fondatore di organizzazioni per i diritti omosessuali e copresidente nell’intergruppo Lgbt del Parlamento Europeo, nei mesi scorsi era finito al centro di polemiche per aver portato in Italia una campagna di prevenzione dell’Aids promossa dal gruppo europeo S&D nella quale vengono ritratti due ragazzi con un profilattico sulla testa che simula un’aureola, accompagnando il tutto dallo slogan: “Mettitelo in testa”. E’ balzato alle cronache anche per essere stato il primo europarlamentare ad unirsi civilmente con il suo compagno. La tematica Lgbt è molto sentita e ricorre negli interessi sociali di numerosi altri europarlamentari della Open Sociey’s list tra cui la finlandese Sirpi Pietikainen, ex ministro dell’Ambiente, e la svedese Cecilia Wikstrom, pastore luterano, paladina dei diritti delle minoranze con differenti orientamenti sessuali (la Chiesa Protestante Luterana nel gennaio 2017 ha approvato i matrimoni omosessuali, vedi link a fondo pagina). Ma accanto a costoro ecco anche Gérard Deprez, tra i leader del partito Sociale Cristiano belga, e l’avvocato Afzal Khan, già Sindaco di Manchester ed assistente dei musulmani inglesi nel Muslim Council Britain.

DAL ROTARY A GREENPEACE, DALL’IRA AD AMNESTY

L’eurodeputata della Repubblica Ceca Martina Dkabajova è segnalata non solo perché già presidente della Camera di Commercio di Zin, ma anche in qualità di presidente Rotary della stessa località. Yannick Jadot si è guadagnato l’attenzione di Soros in qualità di direttore francese di Greenpeace, la tedesca Barbara Lochbihler, in quanto segretaria generale di Amnesty International in Germania, mentre l’irlandese Martina Ardenson, oggi deputata eletta in UK per il partito GUE, è schedata anche come attivista dell’organizzazione militare clandestina Ira (Irish Republican Army): arrestata due volte fu condannata per aver causato un esplosione e per altri progetti di attentati, venne scarcerata nel 1998 in virtù del cosiddetto Accordo del Venerdì Santo.


L’ex terrorista dell’Ira Martina Anderson, oggi eurodeputata, durante una manifestazione simbolica di solidarietà ai prigionieri palestinesi

Ma nella lista ci sono anche un ex direttore generale della Polizia spagnola, Augustin Diaz De Mera Garcia Consuegra, Ma ci sono anche un ex direttore generale della Polizia spagnola, Augustin Diaz De Mera Garcia Consuegra, Medaglia d’oro del segretariato generale dell’ICPO-Interpol, e l’altro iberico Claude Moraes, dirigente del Consiglio per l’integrazione e l’assistenza agli immigrati. Nell’elenco anche il musicista rumeno Damian Draghici come il suo connazionale Renate Weber, leader nella stessa Open Society in Romania. Tra i deputati greci ritenuti affidabili c’è un combattente della resistenza antinazista, il greco Emmanouil Gletos, divenuto famoso per aver sfidato il Terzo Reich abbattendo una svastica che era stata esposta dai tedeschi sull’Acropoli di Atene e finendo in esilio dopo la cattura e tortura; mentre tra quelli spagnoli spicca il nome del giovane scrittore ed influencer Pablo Iglesias.

DAL PRIMO MINISTRO BELGA AI DIPLOMATICI

L’ex primo ministro belga Guy Verhofstadt, capogruppo Alde nell’Europarlamento

Inevitabile che tra coloro che sono ritenuti affidabili per la Open Society, oltre all’ex presidente Schultz, vi siano otto vicepresidenti dei vari partiti di centrosinistra ed i rappresentanti della Conferenza dei Presidenti del Parlamento Europeo dei partiti S&D, Alde, Gue, Ecr ed Efa. Tra i nomi di spicco della OS’s list c’è quello l’ex primo ministro del Belgio, Guy Verhofstadt, capogruppo Alde, con altri due ex ministri suoi connazionali. Tra gi eurodeputati in carica ben 3 ex ministri della Croazia sono schedati nel dossier, altrettanti della Finlandia, 2 della Francia, della Lituania, del Portogallo e della Svezia; 1 della Danimarca, di Cipro, della Slovenia, della Spagna e un viceministro della Bulgaria. A costoro si aggiungono tre diplomatici internazionali: l’olandese Dennis De Jong, distaccato al Ministero degli Affari Esteri del Regno Unito, il lituano Petras Austrevicius, ambasciatore in Finlandia, e la svedese Anna Maria Coraz Bildt, incaricata di varie missioni al Dicastero degli Esteri in Italia.


L’incontro tra l’ex premier Paolo Gentiloni del Pd e il finanziere George Soros nel maggio 2017 a Palazzo Chigi

Ecco quindi una rete assai articolata di europarlamentari molto influenti nei rispettivi paesi per la loro storia politica o la loro attività sociale alla quale il finanziere George Soros cui potrebbe connettersi per influenzare ed orientare le decisioni del Parlamento Europeo e di conseguenza della Commissione Europea al fine di realizzare i suoi meticolosi piani di annichilimento delle differenze etniche, religiose, culturali e persino sessuali dell’umanità; per il trionfo di quel miraggio di società mondialista e nichilista senza valori identitari e senza anima spirituale già cara al Comunismo e profetizzata da Orwell ne La fattoria degli animali. Un’ideologia di liberismo assoluto, idolatra dello scientismo empirico, ossessivamente anticristiana, che vuole stravolgere la natura stessa dell’essere umano con applicazioni devianti come teoria no-gender, eutanasia di adulti e bambini, eugenetica ecc. Quel Soros, ricordò sempre Foa nel suo blog del 4 novembre 2017 «che lo scorso maggio fu ricevuto a Palazzo Chigi da un gaudente Paolo Gentiloni. Quel Soros che ha appena deciso di donare 18 miliardi del suo patrimonio a Open Society». Un finanziamento enorme alla sua fondazione da cui potrà attingere per sostenere gli europarlamentari compiacenti alle prossime Elezioni Europee per portare a compimento il suo progetto di “società aperta” più che altro alla plutocrazia, al vile, squallido regno del denaro, di cui vorrebbe divenire cinico, egemone plutarca.

Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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MAFIA, WALL STREET, MANI PULITE, SOROS E TRADITORI VARI. ANTONELLA RANDAZZO: COME HANNO POTUTO SVENDERE L’ITALIA

C'ERA ANCHE LA FIRMA DI GEORGE SOROS SULLA CONDANNA A MORTE DEI GIUDICI FALCONE E BORSELLINO, EROI ITALIANI
Falcone e Borsellino? Eliminati per un motivo più che strategico. Braccando la mafia, erano risaliti – tramite la pista massonica – ai legami finanziari tra l’élite Usa e la manovalanza italiana della grande operazione che si stava preparando, e che avrebbe devastato la storia del nostro paese: la svendita dell’Italia all’élite finanziaria globalista, che si servì di collaborazionisti di primissimo piano. Obiettivo: mettere le mani sullo Stato, razziando risorse e togliendo servizi vitali ai cittadini. All’indomani della catastrofe di Genova, coi riflettori puntati sullo strano caso delle autostrade “regalate” ai Benetton (e ai loro potenti soci d’oltreoceano), è illuminante rileggere oggi la paziente ricostruzione realizzata già nel 2007 da Antonella Randazzo. Mentre i giudici di Mani Pulite davano agli italiani l’illusione di un cambiamento nel segno della trasparenza, mettendo fine alla corruzione della Prima Repubblica, la finanza anglosassone convocava a bordo del Britannia gli uomini-chiave della futura Italia, assoldati per sabotare il proprio paese. Sarebbero stati agevolati dalla super-speculazione di George Soros sulla lira, che tolse all’Italia il 30% del suo valore, favorendone la svendita a prezzi stracciati. Da allora, un copione invariabile: aziende pubbliche rilevate da imprenditori italiani finanziati dalle stesse banche anglosassoni che avevano progettato il “golpe”. Il grande complotto contro l’Italia che – per primo – proprio Giovanni Falcone aveva fiutato.
Era il 1992, all’improvviso un’intera classe politica dirigente crollava sotto i colpi delle indagini giudiziarie. Da oltre quarant’anni era stata al potere. Gli italiani avevano sospettato a lungo che il sistema politico si basasse sulla corruzione e sul clientelismo. Ma nulla aveva potuto scalfirlo. Né le denunce, né le proteste popolari (talvolta represse nel sangue), né i casi di connivenza con la mafia, che di tanto in tanto salivano alla cronaca. Ma ecco che, improvvisamente, il sistema crollava. Cos’era successo da fare in modo che gli italiani potessero avere, inaspettatamente, la soddisfazione di constatare che i loro sospetti sulla corruzione del sistema politico erano reali? Mentre l’attenzione degli italiani era puntata sullo scandalo delle tangenti, il governo italiano stava prendendo decisioni importantissime per il futuro del paese. Con l’uragano di Tangentopoli gli italiani credettero che potesse iniziare un periodo migliore per l’Italia. Ma in segreto, il governo stava attuando politiche che avrebbero peggiorato il futuro del paese. Numerose aziende saranno svendute, persino la Banca d’Italia sarà messa in vendita. La svendita venne chiamata “privatizzazione”.
Il 1992 fu un anno di allarme e di segretezza. L’allora ministro degli interni Vincenzo Scotti, il 16 marzo, lanciò un allarme a tutti i prefetti, temendo una serie di attacchi contro la democrazia italiana. Gli attacchi previsti da Scotti erano eventi come l’uccisione di politici o il rapimento del presidente della Repubblica. Gli attacchi ci furono, e andarono a buon fine, ma non si trattò degli eventi previsti dal ministro degli interni. L’attacco alla democraziafu assai più nascosto e destabilizzante. Nel maggio del 1992, Giovanni Falcone venne ucciso dalla mafia. Egli stava indagando sui flussi di denaro sporco, e la pista stava portando a risultati che potevano collegare la mafia ad importanti circuiti finanziari internazionali. Falcone aveva anche scoperto che alcuni personaggi prestigiosi di Palermo erano affiliati ad alcune logge massoniche di rito scozzese, a cui appartenevano anche diversi mafiosi, ad esempio Giovanni Lo Cascio. La pista delle logge correva parallela a quella dei circuiti finanziari, e avrebbe portato a risultati certi, se Falcone non fosse stato ucciso.
Su Falcone erano state diffuse calunnie che cercavano di capovolgere la realtà di un magistrato integro. La gente intuiva che le istituzioni non lo avevano protetto. Ciò emerse anche durante il suo funerale, quando gli agenti di polizia si posizionarono davanti alle bare, impedendo a chiunque di avvicinarsi. Qualcuno gridò: «Vergognatevi, dovete vergognarvi, dovete andare via, non vi avvicinate a queste bare, questi non sono vostri, questi sono i nostri morti, solo noi abbiamo il diritto di piangerli, voi avete solo il dovere di vergognarvi». Che la mafia stesse utilizzando metodi per colpire il paese intero, in modo da spaventarlo e fargli accettare passivamente il “nuovo corso” degli eventi, lo si vedrà anche dagli attentati del 1993. Gli attentati del 1993 ebbero caratteristiche assai simili agli attentati terroristici degli anni della “strategia della tensione”, e sicuramente avevano lo scopo di spaventare il paese, per indebolirlo. Il 4 maggio 1993, un’autobomba esplode in via Fauro a Roma, nel quartiereParioli. Il 27 maggio un’altra autobomba esplode in via dei Georgofili a Firenze, cinque persone perdono la vita. La notte tra il 27 e il 28 luglio, ancora un’autobomba esplode in via Palestro a Milano, uccidendo cinque persone.
I responsabili non furono mai identificati, e si disse che la mafia volesse “colpire le opere d’arte nazionali”, ma non era mai accaduto nulla di simile. I familiari delle vittime e il giudice Giuseppe Soresina saranno concordi nel ritenere che quegli attentati non erano stati compiuti soltanto dalla mafia, ma anche da altri personaggi dalle «menti più fini dei mafiosi» (da “reti-invisibili.net”). Falcone era un vero avversario della mafia. Le sue indagini passarono a Borsellino, che venne assassinato due mesi dopo. La loro morte ha decretato il trionfo di un sistema mafioso e criminale, che avrebbe messo le mani sull’economia italiana, e costretto il paese alla completa sottomissione politica e finanziaria. Mentre il ministro Scotti faceva una dichiarazione che suonava quasi come una minaccia («la mafia punterà su obiettivi sempre più eccellenti e la lotta si farà sempre più cruenta, la mafia vuole destabilizzare lo Stato e piegarlo ai propri voleri»), Borsellino lamentava regole e leggi che non permettevano una vera lotta contro la mafia. Egli osservava: «Non si può affrontare la potenza mafiosa quando le si fa un regalo come quello che le è stato fatto con i nuovi strumenti processuali adatti a un paese che non è l’Italia e certamente non la Sicilia. Il nuovo codice, nel suo aspetto dibattimentale, è uno strumento spuntato nelle mani di chi lo deve usare. Ogni volta, ad esempio, si deve ricominciare da capo e dimostrare che Cosa Nostra esiste» (“La Repubblica” , 27 maggio 1992).
I metodi statali di sabotaggio della lotta contro la mafia sono stati denunciati da numerosi esponenti della magistratura. Ad esempio, il 27 maggio 1992, il presidente del tribunale di Caltanissetta Placido Dall’Orto, che doveva occuparsi delle indagini sulla strage di Capaci, si trovò in gravi difficoltà: «Qui è molto peggio di Fort Apache, siamo allo sbando. In una situazione come la nostra la lotta alla mafia è solo una vuota parola, lo abbiamo detto tante volte al Csm» (“La Repubblica”, 28 maggio 1992). Anche il pubblico ministero di Palermo, Roberto Scarpinato, nel giugno del 1992 disse: «Su un piatto della bilancia c’è la vita, sull’altro piatto ci deve essere qualcosa che valga il rischio della vita, non vedo in questo pacchetto un impegno straordinario da parte dello Stato, ad esempio non vedo nulla di straordinario sulla caccia e la cattura dei grandi latitanti» (“La Repubblica”, 10 giugno 1992). Nello stesso anno, il senatore Maurizio Calvi raccontò che Falcone gli confessò di non fidarsi del comando dei carabinieri di Palermo, della questura di Palermo e nemmeno della prefettura di Palermo (“La Repubblica”, 23 giugno 1992).
Che gli assassini di Capaci non fossero tutti italiani, molti lo sospettavano. Il ministro Martelli, durante una visita in Sudamerica, dichiarò: «Cerco legami tra l’assassinio di Falcone e la mafia americana o la mafia colombiana» (“La Repubblica”, 23 giugno 1992). Lo stesso presidente del Consiglio, Amato, durante una visita a Monaco, disse: «Falcone è stato ucciso a Palermo, ma probabilmente l’omicidio è stato deciso altrove». Probabilmente, le tecniche d’indagine di Falcone non piacevano ai personaggi con cui il governo italiano ebbe a che fare quell’anno. Quel considerare la lotta alla mafia soprattutto un dovere morale e culturale, quel coinvolgere le persone nel candore dell’onestà e dell’assenza di compromessi, gli erano valsi la persecuzione e i metodi di calunnia tipici dei servizi segreti inglesi e statunitensi. Tali metodi mirano ad isolare e a criminalizzare, cercando di fare apparire il contrario di ciò che è. Cercarono di far apparire Falcone un complice della mafia. Antonino Caponnetto dichiarò al giornale “La Repubblica”, il 25 giugno 1992: «Non si può negare che c’è stata una campagna (contro Falcone), cui hanno partecipato in parte i magistrati, che lo ha delegittimato. Non c’è nulla di più pericoloso per un magistrato che lotta contro la mafia che l’essere isolato».
L’omicidio di due simboli dello Stato così importanti come Falcone e Borsellino significava qualcosa di nuovo. Erano state toccate le corde dell’élite di potere internazionale, e questi omicidi brutali lo testimoniavano. Ciò è stato intuito anche da Charles Rose, procuratore distrettuale di New York, che notò la particolarità degli attentati: «Neppure i boss più feroci di Cosa Nostra hanno mai voluto colpire personalità dello Stato così visibili come era Giovanni, perché essi sanno benissimo quali rischi comporta attaccare frontalmente lo Stato. Quell’attentato terroristico è un gesto di paura… Credo che una mafia che si mette a sparare ai simboli come fanno i terroristi… è condannata a perdere il bene più prezioso per ogni organizzazione criminale di quel tipo, cioè la complicità attiva o passiva della popolazione entro la quale si muove» (“La Repubblica”, 27 maggio 1992). Infatti, quell’anno gli italiani capirono che c’era qualcosa di nuovo, e scesero in piazza contro la mafia. Si formarono due fronti: la gente comune contro la mafia, e le istituzioni, che si stavano sottomettendo all’élite che coordina le mafie internazionali. Quell’anno l’élite anglo-americana non voleva soltanto impedire la lotta efficace contro la mafia, ma voleva rendere l’Italia un paese completamente soggiogato ad un sistema mafioso e criminale, che avrebbe dominato attraverso il potere finanziario.
Come segnalò il presidente del Senato Giovanni Spadolini, c’era in atto un’operazione su larga scala per distruggere la democrazia italiana: «Il fine della criminalità mafiosa sembra essere identico a quello del terrorismo nella fase più acuta della stagione degli anni di piombo: travolgere lo Stato democratico nel nostro paese. L’obiettivo è sempre lo stesso:  delegittimare lo Stato, rompere il circuito di fiducia tra cittadini e poteredemocratico…se poi noi scorgiamo – e ne abbiamo il diritto – qualche collegamento internazionale intorno alla sfida mafia più terrorismo, allora ci domandiamo: ma forse si rinnovano gli scenari di dodici-undici anni fa? Le minacce dei centri di cospirazione affaristico-politica come la P2 sono permanenti nella vita democratica italiana. E c’è un filone piduista che sopravvive, non sappiamo con quanti altri. Mafia e P2 sono congiunte fin dalle origini, fin dalla vicenda Sindona» (“La Repubblica”, 11 agosto 1992). Anche Tina Anselmi aveva capito i legami fra mafia e finanza internazionale: «Bisogna stare attenti, molto attenti… Ho parlato del vecchio “piano di rinascita democratica” di Gelli e confermo che leggerlo oggi fa sobbalzare. E’ in piena attuazione… Chi ha grandi mezzi e tanti soldi fa sempre politica e la fa a livello nazionale ed internazionale».
«Ho parlato in questi giorni con un importante uomo politico italiano che vive nel mondo delle banche. Sa cosa mi ha detto? Che la mafia è stata più veloce degli industriali e che sta già investendo centinaia di miliardi, frutto dei guadagni fatti con la droga, nei paesi dell’est… Stanno già comprando giornali e televisioni private, industrie e alberghi… Quegli investimenti si trasformeranno anche in precise e specifiche azioni politiche che ci riguardano, ci riguardano tutti. Dopo le stragi di Palermo la polizia americana è venuta ad indagare in Sicilia anche per questo, sanno di questi investimenti colossali, fatti regolarmente attraverso le banche» (“L’Unità”, 12 agosto 1992). Anni dopo, l’ex ministro Scotti confesserà a Cirino Pomicino: «Tutto nacque da una comunicazione riservata fattami dal capo della polizia Parisi che, sulla base di un lavoro di intelligence svolto dal Sisde e supportato da informazioni confidenziali, parlava di riunioni internazionali nelle quali sarebbero state decise azioni destabilizzanti sia con attentati mafiosi sia con indagini giudiziarie nei confronti dei leader dei partiti di governo».
Una delle riunioni di cui parlava Scotti si svolse il 2 giugno del 1992, sul panfilo Britannia, in navigazione lungo le coste siciliane. Sul panfilo c’erano alcuni appartenenti all’élite di potere anglo-americana, come i reali britannici e i grandi banchieri delle banche a cui si rivolgerà il governo italiano durante la fase delle privatizzazioni (Merrill Lynch, Goldman Sachs e Salomon Brothers). In quella riunione si decise di acquistare le aziende italiane e la Banca d’Italia, e come far crollare il vecchio sistema politico per insediarne un altro, completamente manovrato dai nuovi padroni. A quella riunione parteciparono anche diversi italiani, come Mario Draghi, allora direttore delegato del ministero del Tesoro, il dirigente dell’Eni Beniamino Andreatta e il dirigente dell’Iri Riccardo Galli. Gli intrighi decisi sul Britannia avrebbero permesso agli anglo-americani di mettere le mani sul 48% delle aziende italiane, fra le quali c’erano la Buitoni, la Locatelli, la Negroni, la Ferrarelle, la Perugina e la Galbani. La stampa martellava su Mani Pulite, facendo intendere che da quell’evento sarebbero derivati grandi cambiamenti.
Nel giugno 1992 si insediò il governo di Giuliano Amato. Si trattava di un personaggio in armonia con gli speculatori che ambivano ad appropriarsi dell’Italia. Infatti Amato, per iniziare le privatizzazioni, si affrettò a consultare il centro del potere finanziario internazionale: le tre grandi banche di Wall Street, Merrill Lynch, Goldman Sachs e Salomon Brothers. Appena salito al potere, Amato trasformò gli enti statali in società per azioni, valendosi del decreto Legge 386/1991, in modo tale che l’élite finanziaria li potesse controllare, e in seguito rilevare. L’inizio fu concertato dal Fondo Monetario Internazionale, che come aveva fatto in altri paesi, voleva privatizzare selvaggiamente e svalutare  la nostra moneta, per agevolare il dominio economico-finanziario dell’élite. L’incarico di far crollare l’economia italiana venne dato a George Soros, un cittadino americano che tramite informazioni ricevute dai Rothschild, con la complicità di alcune autorità italiane, riuscì a far crollare la nostra moneta e le azioni di molte aziende italiane. Soros ebbe l’incarico, da parte dei banchieri anglo-americani, di attuare una serie di speculazioni, efficaci grazie alle informazioni che egli riceveva dall’élite finanziaria. Egli fece attacchi speculativi degli “hedge funds” per far crollare la lira. A causa di questi attacchi, il 5 novembre del 1993 la lira perse il 30% del suo valore, e anche negli anni successivi subì svalutazioni.
Le reti della Banca Rothschild, attraverso il direttore Richard Katz, misero le mani sull’Eni, che venne svenduta. Il gruppo Rothschild ebbe un ruolo preminente anche sulle altre privatizzazioni, compresa quella della Banca d’Italia. C’erano stretti legami fra il Quantum Fund di George Soros e i Rothschild. Ma anche numerosi altri membri dell’élite finanziaria anglo-americana, come Alfred Hartmann e Georges C. Karlweis, furono coinvolti nei processi di privatizzazione delle aziende e della Banca d’Italia. La Rothschild Italia Spa, filiale di Milano della Rothschild & Sons di Londra, venne creata nel 1989, sotto la direzione di Richard Katz. Quest’ultimo diventò direttore del Quantum Fund di Soros nel periodo delle speculazioni a danno della lira. Soros era stato incaricato dai Rothschild di attuare una serie di speculazioni contro la sterlina, il marco e la lira, per destabilizzare il Sistema Monetario Europeo. Sempre per conto degli stessi committenti, egli fece diverse speculazioni contro le monete di alcuni paesi asiatici, come l’Indonesia e la Malesia. Dopo la distruzione finanziaria dell’Europa e dell’Asia, Soros venne incaricato di creare una rete per la diffusione degli stupefacenti in Europa.

In seguito, i Rothschild, fedeli al loro modo di fare, cercarono di far cadere la responsabilità del crollo economico italiano su qualcun altro. Attraverso una serie di articoli pubblicati sul “Financial Times”, accusarono la Germania, sostenendo che la Bundesbank aveva attuato operazioni di aggiotaggio contro la lira. L’accusa non reggeva, perché i vantaggi del crollo della lira e della svendita delle imprese italiane andarono agli anglo-americani. La privatizzazione è stata un saccheggio, che ancora continua. Spiega Paolo Raimondi, del Movimento Solidarietà: «Abbiamo avuto anni di privatizzazione, saccheggio dell’economia produttiva e l’esplosione della bolla della finanza derivata. Questa stessa strategia di destabilizzazione riparte oggi, quando l’Europa continentale viene nuovamente attratta, anche se non come promotrice e con prospettive ancora da definire, nel grande progetto di infrastrutture di base del Ponte di Sviluppo Eurasiatico» (da “Solidarietà”, febbraio 1996).
Qualche anno dopo la magistratura italiana procederà contro Soros, ma senza alcun successo. Nell’ottobre del 1995, il presidente del Movimento Internazionale per i Diritti Civili-Solidarietà, Paolo Raimondi, presentò un esposto alla magistratura per aprire un’inchiesta sulle attività speculative di Soros & Co, che avevano colpito la lira. L’attacco speculativo aveva permesso a Soros di impossessarsi di 15.000 miliardi di lire. Per contrastare l’attacco, l’allora governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, bruciò inutilmente 48 miliardi di dollari. Su Soros indagarono le procure della Repubblica di Roma e di Napoli, che fecero luce anche sulle attività della Banca d’Italia nel periodo del crollo della lira. Soros venne accusato di aggiotaggio e insider trading, avendo utilizzato informazioni riservate che gli permettevano di speculare con sicurezza e di anticipare movimenti su titoli, cambi e valori delle monete.
Spiegano il presidente e il segretario generale del Movimento Internazionale per i Diritti Civili – Solidarietà, durante l’esposto contro Soros: «È stata annotata nel 1991 l’esistenza di un contatto molto stretto e particolare del signor Soros con Gerald Carrigan, presidente della Federal Reserve Bank di New York, che fa parte dell’apparato della banca centrale americana, luogo di massima circolazione di informazioni economiche riservate, il quale, stranamente, una volta dimessosi da questo posto, venne poi immediatamente assunto a tempo pieno dalla finanziaria Goldman Sachs & co. come presidente dei consiglieri internazionali. La Goldman Sachs è uno dei centri della grande speculazione sui derivati e sulle monete a livello mondiale. La Goldman Sachs è anche coinvolta in modo diretto nella politica delle privatizzazioni in Italia. In Italia inoltre, il signor Soros conta sulla strettissima collaborazione del signor Isidoro Albertini, ex presidente degli agenti di cambio della Borsa di Milano e attuale presidente della Albertini e co. Sim di Milano, una delle ditte guida nel settore speculativo dei derivati. Albertini è membro del consiglio di amministrazione del Quantum Fund di Soros».
«L’attacco speculativo contro la lira del settembre 1992 era stato preceduto e preparato dal famoso incontro del 2 giugno 1992 sullo yacht Britannia della regina Elisabetta II d’Inghilterra, dove i massimi rappresentanti della finanza internazionale, soprattutto britannica, impegnati nella grande speculazione dei derivati, come la S. G. Warburg, la Barings e simili, si incontrarono con la controparte italiana guidata da Mario Draghi, direttore generale del ministero del Tesoro, e dal futuro ministro Beniamino Andreatta, per pianificare la privatizzazione dell’industria di Stato italiana. A seguito dell’attacco speculativo contro la lira e della sua immediata svalutazione del 30%, codesta privatizzazione sarebbe stata fatta a prezzi stracciati, a beneficio della grande finanza internazionale e a discapito degli interessi dello stato italiano e dell’economia nazionale e dell’occupazione. Stranamente, gli stessi partecipanti all’incontro del Britannia avevano già ottenuto l’autorizzazione da parte di uomini di governo come Mario Draghi, di studiare e programmare le privatizzazioni stesse. Qui ci si riferisce per esempio alla Warburg, alla Morgan Stanley, solo per fare due tra gli esempi più noti. L’agenzia stampa “Eir” (Executive Intelligence Review) ha denunciato pubblicamente questa sordida operazione alla fine del 1992 provocando una serie di interpellanze parlamentari e di discussioni politiche che hanno avuto il merito di mettere in discussione l’intero procedimento, alquanto singolare, di privatizzazione» (dall’esposto della magistratura contro George Soros presentato dal Movimento Solidarietà al procuratore della Repubblica di Milano il 27 ottobre 1995).
I complici italiani furono il ministro del Tesoro Piero Barucci, l’allora direttore di Bankitalia Lamberto Dini e l’allora governatore di Bankitalia Carlo Azeglio Ciampi. Altre responsabilità vanno all’allora capo del governo Giuliano Amato e al direttore generale del Tesoro Mario Draghi. Alcune autorità italiane (come Dini) fecero il doppio gioco: denunciavano i pericoli ma in segreto appoggiavano gli speculatori. Amato aveva costretto i sindacati ad accettare un accordo salariale non conveniente ai lavoratori, per la «necessità di rimanere nel Sistema Monetario Europeo», pur sapendo che l’Italia ne sarebbe uscita a causa delle imminenti speculazioni. Gli attacchi all’economia italiana andarono avanti per tutti gli anni Novanta, fino a quando il sistema economico-finanziario italiano non cadde sotto il completo controllo dell’élite. Nel gennaio del 1996, nel rapporto semestrale sulla politica informativa e della sicurezza, il presidente del Consiglio Lamberto Dini disse: «I mercati valutari e le Borse delle principali piazze mondiali continuano a registrare correnti speculative ai danni della nostra moneta, originate, specie in passaggi delicati della vita politico-istituzionale, dalla diffusione incontrollata di notizie infondate riguardanti la compagine governativa e da anticipazioni di dati oggetto delle periodiche comunicazioni sui prezzi al consumo… è possibile attendersi la reiterazione di manovre speculative fraudolente, considerato il persistere di una fase congiunturale interna e le scadenze dell’unificazione monetaria» (Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Democratica, Rivista N. 4, gennaio-aprile 1996).
Il giorno dopo, il governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, riferiva che l’Italia non poteva far nulla contro le correnti speculative sui mercati dei cambi, perché «se le banche di emissione tentano di far cambiare direzione o di fermare il vento (delle operazioni finanziarie) non ce la fanno per la dimensione delle masse in movimento sui mercati rispetto alla loro capacità di fuoco». Le nostre autorità denunciavano il potere dell’élite internazionale, ma gettavano la spugna, ritenendo inevitabili quegli eventi. Era in gioco il futuro economico-finanziario del paese, ma nessuna autorità italiana pensava di poter fare qualcosa contro gli attacchi destabilizzanti dell’élite anglo-americana. Il Movimento Solidarietà fu l’unico a denunciare quello che stava effettivamente accadendo, additando i veri responsabili del crollo dell’economia italiana. Il 28 giugno 1993, il Movimento Solidarietà svolse una conferenza a Milano, in cui rese nota a tutti la riunione sul Britannia e quello che ne era derivato (“Solidarietà”, ottobre 1993). Il 6 novembre 1993, l’allora presidente del Consiglio, Carlo Azeglio Ciampi, scrisse una lettera al procuratore capo della Repubblica di Roma, Vittorio Mele, per avviare «le procedure relative al delitto previsto all’art. 501 del codice penale (“Rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio”), considerato nell’ipotesi delle aggravanti in esso contenute».
Anche a Ciampi era evidente il reato di aggiotaggio da parte di Soros, che aveva operato contro la lira e i titoli quotati in Borsa delle nostre aziende. Anche negli anni successivi avvennero altre privatizzazioni, senza regole precise e a prezzi di favore. Che stesse cambiando qualcosa, gli italiani lo capivano dal cambio di nome delle aziende, la Sip era diventata Telecom Italia e le Ferrovie dello Stato erano diventate Trenitalia. Il decreto legislativo 79/99 avrebbe permesso la privatizzazione delle aziende energetiche. Nel settore del gas e dell’elettricità apparvero numerose aziende private, oggi circa 300. Dal 24 febbraio del 1998, anche le Poste Italiane diventarono una Spa. In seguito alla privatizzazione delle Poste, i costi postali sono aumentati a dismisura e i lavoratori postali vengono assunti con contratti precari. Oltre 400 uffici postali sono stati chiusi, e quelli rimasti aperti appaiono come luoghi di vendita più che di servizio. Le nostre autorità giustificavano la svendita delle privatizzazioni dicendo che si doveva «risanare il bilancio pubblico», ma non specificavano che si trattava di pagare altro denaro alle banche, in cambio di banconote che valevano come la carta straccia. A guadagnare sarebbero state soltanto le banche e i pochi imprenditori già ricchi (Benetton, Tronchetti Provera, Pirelli, Colaninno, Gnutti e pochi altri).
Si diceva che le privatizzazioni avrebbero migliorato la gestione delle aziende, ma in realtà, in tutti i casi, si sono verificati disastri di vario genere, e il rimedio è stato pagato dai cittadini italiani. Le nostre aziende sono state svendute ad imprenditori che quasi sempre agivano per conto dell’élite finanziaria, da cui ricevevano le somme per l’acquisto. La privatizzazione della Telecom avvenne nell’ottobre del 1997. Fu venduta a 11,82 miliardi di euro, ma alla fine si incassarono soltanto 7,5 miliardi. La società fu rilevata da un gruppo di imprenditori e banche, e al ministero del Tesoro rimase una quota del 3,5%. Il piano per il controllo di Telecom aveva la regia nascosta della Merril Lynch, del gruppo bancario americano Donaldson Lufkin & Jenrette e della Chase Manhattan Bank. Alla fine del 1998, il titolo aveva perso il 20% (4,33 euro). Le banche dell’élite, la Chase Manhattan e la Lehman Brothers, si fecero avanti per attuare un’Opa. Attraverso Colaninno, che ricevette finanziamenti dalla Chase Manhattan, l’Olivetti diventò proprietaria di Telecom. L’Olivetti era controllata dalla Bell, una società con sede a Lussemburgo, a sua volta controllata dalla Hopa di Emilio Gnutti e Roberto Colaninno. Il titolo, che durante l’Opa era stato fatto salire a 20 euro, nel giro un anno si dimezzò. Dopo pochi anni finirà sotto i tre euro.
Nel 2001 la Telecom si trovava in gravi difficoltà, le azioni continuavano a scendere. La Bell di Gnutti e la Unipol di Consorte decisero di vendere a Tronchetti Provera buona parte loro quota azionaria in Olivetti. Il presidente di Pirelli, finanziato dalla Jp Morgan, ottenne il controllo su Telecom, attraverso la finanziaria Olimpia, creata con la famiglia Benetton (sostenuta da Banca Intesa e Unicredit). Dopo dieci anni dalla privatizzazione della Telecom, il bilancio è disastroso sotto tutti i punti di vista: oltre 20.000 persone sono state licenziate, i titoli azionari hanno fatto perdere molto denaro ai risparmiatori, i costi per gli utenti sono aumentati e la società è in perdita. La privatizzazione, oltre che un saccheggio, veniva ad essere anche un modo per truffare i piccoli azionisti. La Telecom, come molte altre società, ha posto la sua sede in paesi esteri, per non pagare le tasse allo Stato italiano. Oltre a perdere le aziende, gli italiani sono stati privati anche degli introiti fiscali di quelle aziende. La Bell, società che controllava la Telecom Italia, aveva sede in Lussemburgo, e aveva all’interno società con sede alle isole Cayman, che, com’è noto, sono un paradiso fiscale.
Gli speculatori finanziari basano la loro attività sull’esistenza di questi paradisi fiscali, dove non è possibile ottenere informazioni nemmeno alle autorità giudiziarie. I paradisi fiscali hanno permesso agli speculatori di distruggere le economie di interi paesi, eppure i media non parlano mai di questo gravissimo problema. Mettere un’azienda importante come quella telefonica in mani private significa anche non tutelare la privacy dei cittadini, che infatti è stata più volte calpestata, com’è emerso negli ultimi anni. Anche per le altre privatizzazioni – Autostrade, Poste Italiane, Trenitalia – si sono verificate le medesime devastazioni: licenziamenti, truffe a danno dei risparmiatori, degrado del servizio, spreco di denaro pubblico, cattiva amministrazione e problemi di vario genere. La famiglia Benetton è diventata azionista di maggioranza delle Autostrade. Il contratto di privatizzazione delle Autostrade dava vantaggi soltanto agli acquirenti, facendo rimanere l’onere della manutenzione sulle spalle dei contribuenti. I Benetton hanno incassato un bel po’ di denaro grazie alla fusione di Autostrade con il gruppo spagnolo Abertis. La fusione è avvenuta con la complicità del governo Prodi, che in seguito ad un vertice con Zapatero, ha deciso di autorizzarla. Antonio Di Pietro, ministro delle infrastrutture, si era opposto, ma ha alla fine si è piegato alle proteste dell’Unione Europea e alla politica del presidente del Consiglio.
Nonostante i disastri delle privatizzazioni, le nostre autorità governative non hanno alcuna intenzione di rinazionalizzare le imprese allo sfacelo, anzi, sono disposte ad utilizzare denaro pubblico per riparare ai danni causati dai privati. La società Trenitalia è stata portata sull’orlo del fallimento. In pochi anni il servizio è diventato sempre più scadente, i treni sono sempre più sporchi, il costo dei biglietti continua a salire e risultano numerosi disservizi. A causa dei tagli al personale (ad esempio, non c’è più il secondo conducente), si sono verificati diversi incidenti (anche mortali). Nel 2006, l’amministratore delegato di Trenitalia, Mauro Moretti, si è presentato ad una audizione alla commissione lavori pubblici del Senato, per battere cassa, confessando un buco di un miliardo e settecento milioni di euro, che avrebbe potuto portare la società al fallimento. Nell’ottobre del 2006, il ministro dei trasporti, Alessandro Bianchi, approvò il piano di ricapitalizzazione proposto da Trenitalia. Altro denaro pubblico ad un’azienda privatizzata ridotta allo sfacelo.
Dietro tutto questo c’era l’élite economico finanziaria (Morgan, Schiff, Harriman, Kahn, Warburg, Rockfeller, Rothschild) che ha agito preparando un progetto di devastazione dell’economia italiana, e lo ha attuato valendosi di politici, di finanzieri e di imprenditori. Nascondersi è facile in un sistema in cui le banche o le società possono assumere il  controllo di altre società o banche. Questo significa che è sempre difficile capire veramente chi controlla le società privatizzate. E’ simile al gioco delle scatole cinesi, come spiega Giuseppe Turani: «Colaninno & soci controllano al 51% la Hopa, che controlla il 56,6% della Bell, che controlla il 13,9% della Olivetti, che controlla il 70% della Tecnost, che controlla il 52% della Telecom» (“La Repubblica”, 5 settembre 1999). Numerose aziende di imprenditori italiani sono state distrutte dal sistema dei mercati finanziari, ad esempio la Cirio e la Parmalat. Queste aziende hanno truffato i risparmiatori vendendo obbligazioni societarie (bond) con un alto margine di rischio. La Parmalat emise bond per un valore di 7 miliardi di euro, e allo stesso tempo attuò operazioni finanziarie speculative e si indebitò. Per non far scendere il valore delle azioni (e per venderne altre) truccava i bilanci.
Le banche nazionali e internazionali sostenevano la situazione perché per loro vantaggiosa, e l’agenzia di rating “Standard & Poor’s” si è decisa a declassare la Parmalat soltanto quando la truffa era ormai nota a tutti. I risparmiatori truffati hanno avviato una procedura giudiziaria contro Calisto Tanzi, Fausto Tonna, Coloniale Spa (società della famiglia Tanzi), Citigroup Inc. (società finanziaria americana), Buconero Llc (società che faceva capo a Citigroup), Zini & Associates (una compagnia finanziaria americana), Deloitte Touche Tohmatsu (organizzazione che forniva consulenza e servizi professionali), Deloitte & Touche Spa (società di revisione contabile), Grant Thornton International (società di consulenza finanziaria) e Grant Thornton Spa (società incaricata della revisione contabile del sottogruppo Parmalat Spa). La Cirio era gestita dalla Cragnotti & Partners. I “Partners” non erano altro che una serie di banche nazionali e internazionali. La Cirio emise bond per circa 1.125 milioni di euro. Molte di queste obbligazioni venivano utilizzate dalle banche per spillare denaro ai piccoli risparmiatori. Tutto questo avveniva in perfetta armonia col sistema finanziario, che non offre garanzie di onestà e di trasparenza.
Grazie alle privatizzazioni, un gruppo ristretto di ricchi italiani ha acquisito somme enormi, e ha permesso all’élite economico-finanziaria anglo-americana di esercitare un pesante controllo, sui cittadini, sulla politica e sul paese intero. Agli italiani venne dato il contentino di Mani Pulite, che si risolse con numerose assoluzioni e qualche condanna a pochi anni di carcere. A causa delle privatizzazioni e del controllo da parte della Banca Centrale Europea, il paese è più povero e deve pagare somme molto alte per il debito. Ogni anno viene varata la finanziaria, allo scopo di pagare le banche e di partecipare al finanziamento delle loro guerre. Mentre la povertà aumenta, come la disoccupazione, il lavoro precario, il degrado e il potere della mafia. Il nostro paese è oggi controllato da un gruppo di persone, che impongono, attraverso istituti propagandati come “autorevoli” (Fondo Monetario Internazionale e Banca Centrale Europea), di tagliare la spesa pubblica, di privatizzare quello che ancora rimane e di attuare politiche non convenienti alla popolazione italiana. I nostri governi operano nell’interesse di questa élite, e non in quello del paese.
Fonte Libre

Così Soros sponsorizza l’immigrazione

SAPETE CHI SI PONE VERAMENTE CONTRO GLI INTERESSI NAZIONALI? L'OPEN SOCIETY FOUNDATION DI SOROS CHE FINANZIA ANCHE "MAGISTRATURA DEMOCRATICA", PARTE INTEGRANTE DELL'ASS.NE NAZIONALE MAGISTRATI, QUELLI DEL PROCESSO A SALVINI PER INTENDERCI  

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L’agenda globalista di Soros si basa (anche) sull’immigrazione di massa e si pone in netto contrasto con gli interessi nazionali. E ciò è innegabile. Un’ideologia ben supportata da un fiume di denaro e da una fittissima rete di associazioni e organizzazioni.
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«Le notizie circolate sulla stampa relative ai presunti finanziamenti di George Soros tesi a favorire l’afflusso di migranti in Europa sono false. La Open Society Foundations di Soros sostiene organizzazioni che operano per alleviare l’impatto della migrazione sia sulle popolazioni ospitanti che sui migranti». E’ quanto afferma in una nota dell’ufficio di Soros. «L’operato delle Ong che salvano i migranti alla deriva nel Mediterraneo – prosegue la nota – è una tragica necessità derivante dall’assenza perdurante di una politica migratoria comune a livello dell’UE che affronti tutte le dimensioni del fenomeno. George Soros è attualmente in Italia per una serie di incontri su una vasta gamma di temi, tra i quali figurano la società civile, l’Unione europea e l’attuale situazione economica».
Il tentativo di George Soros è quello di smentire un coinvolgimento delle ong finanziate dalla «Open Society Foundations» da lui presieduta nell’afflusso di migranti che arrivano in Europa, e in particolare in Italia, attraverso la rotta libica Ma è davvero così? Non esattamente.

Il progetto Open Migration finanziato da Soros

L’Open Society Foundations è uno dei maggiori finanziatori, insieme alla Oak Foundation, del portale «Open Migration», creato dalla Coalizione Italiana Libertà e Diritti Civili (CILD), una «rete di organizzazioni che lavorano per l’avanzamento dei diritti umani e delle libertà civili in Italia». Sul sito di tale organizzazione, oltre alla roboante retorica pro-immigrazione, si leggono in queste ore feroci attacchi contro il procuratore Carmelo Zuccaro: «Nella triste vicenda di questi giorni che ha visto protagonisti un giudice, un politico e i media c’è materia per un capitolo aggiornato di cosa sia il populismo penale e di quali danni sociali e umani produca. «In questa storia – si legge – vi sono tutti gli ingredienti di una storia penal-populistica paradigmatica, simile a quella sui rumeni che delinquono».
Peccato che proprio ieri il Csm abbia garantito «ogni sostegno possibile» a Zuccaro, «affinché le indagini condotte dalla Procura di Catania, così come quelle svolte da altri uffici inquirenti sulle medesime ipotesi investigative, possano svolgersi con la massima efficacia e celerità». D’altro canto è sufficiente dare uno sguardo al sito di Open Migration per incappare in un mare di propaganda ideologica e pro-immigrazionista che non tiene conto della realtà dei fatti e della drammaticità di un’accoglienza diventata insostenibile.

La galassia delle ONG

Direttamente o indirettamente, George Soros e la Open Society Foundations promuovono l’immigrazione verso l’Italia. Prendiamo il caso di Moas, esaminato lo scorso 22 aprile da Giuseppe de Lorenzo su Il Giornale: La Migrant Offshore Aid Station (Moas), è un’associazione con sede a Malta e che vanta nel suo arsenale due imbarcazioni (Phoenix e Topaz responder) diversi gommoni Rhib e alcuni droni. L’Ong ha ricevuto 500mila euro da Avaaz.org, comunità riconducibile a Moveon.org, organizzazione finanziata dalla fitta rete del magnate.
Ma è tutta la galassia delle ONG, che operano nel Mediterraneo, come osservava qualche settimana fa Gian Micalessin (oltre allo stesso Moas, anche Jugend Rettet, Stichting Bootvluchting, Médecins sans frontières, Save the children, Proactiva Open Arms, Sea-Watch.org, Sea-Eye, Life boat) ad annoverare tra i propri sponsor l’Open Society Foundations o altre associazioni vicine allo speculatore.

Il piano Merkel fu redatto da un suo collaboratore

Soros ha esercitato la sua influenza sulle scelte europee in materia d’immigrazione. Il piano Merkel sui rifugiati del 2015, infatti, fu redatto dall’ European Stability Initiative, organizzazione che fa capo a Gerald Knaus e supportata finanziariamente dall’Open Society. Knaus è inoltre membro dell’European Council on Foreign Relations (ECFR), ente anch’esso sponsorizzato da George Soros. Tale piano sull’immigrazione, poi ritirato dalla stessa Merkel, prevedeva l’accoglimento di 500 mila siriani l’anno per un periodo determinato di tempo. Nel settembre 2015, su Project Syndicate, Soros scriveva il suo sconcertante manifesto pro-immigrazione: «L’UE dovrebbe dare 15 mila euro a ogni richiedente asilo ogni anno per i primi due anni, contribuendo alle spese di alloggio, sanità e istruzione al fine di rendere più “appetibili” i rifugiati agli occhi degli stati membri» – affermava il magnate.

Le attività «filantropiche» negli Usa

L’Open Society Foundations ha finanziato due importanti enti statunitensi che promuovono e sostengono l’immigrazione di massa: il Migration Policy Institute e il Platform for International Cooperation on Undocumented Migrants. Quest’ultima è la «piattaforma per la cooperazione internazionale per i migranti privi di documenti, una rete di individui e organizzazioni che lavorano per garantire la giustizia sociale e i diritti umani per i migranti privi di documenti». In pratica un ente che supporta gli immigrati irregolari e spinge i governi ad accoglierli
Inoltre, nel 2014 il New York Times rivelò che la decisione di Obama di modificare la legge sull’immigrazione per facilitare il riconoscimento degli immigrati irregolari fu favorita dall’azione di lobbying e dagli oltre 300 milioni di dollari investiti dalle fondazioni progressiste tra le quali, per l’appunto, la Open Society. L’agenda globalista di Soros si basa (anche) sull’immigrazione di massa e si pone in netto contrasto con gli interessi nazionali. E ciò è innegabile. Un’ideologia ben supportata da un fiume di denaro e da una fittissima rete di associazioni e organizzazioni.