lunedì 18 febbraio 2019

Perché Bankitalia non può vendere l’oro per ridurre il debito

Riserve oro Banca d'Italia | Debito pubblico | Perché Bankitalia non può vendere l’oro per ridurre il debito

Riserve oro Banca d'Italia | Debito pubblico | Perché Bankitalia non può vendere l’oro per ridurre il debito
L'ITALIA SECONDO LA GERMANIA HA DUE ALTERNATIVE: O VENDERE IL SUO ORO O PRIVATIZZARE TUTTE LE IMPRESE E LE BANCHE. IN UNA PAROLA: RIDURRE IN MUTANDE IL PAESE!

Perché sarebbe un gesto disperato, un pessimo segnale, secondo il direttore generale di Banca d'Italia. Ecco a cosa servono le riserve auree e chi possiede il debito pubblico italiano
Nei primi mesi del 2018 il debito pubblico italiano corre ad un ritmo vertiginoso: in media 4.469 euro in più ogni secondo, contro una media annuale che nel 2017 era attorno a 1.160. Oggi si attesta intorno ai 2.300 miliardi di euro. Il debito rappresenta una palla al piede per la nostra economia, considerando che gli interessi che lo Stato paga drenano ogni anno decine di miliardi. Malgrado i richiami continui da parte di Bankitalia, dell'Ufficio parlamentare di bilancio, di Confindustria e della Ue, le ricette messe in campo dai partiti si sono rivelate improbabili, quasi come il resto delle promesse elettorali. La situazione italiana suscita preoccupazione, insomma, soprattutto da parte dei grandi investitori internazionali: l'instabilità politica post voto potrebbe esporci al rischio-attacco della speculazione in Borsa.

Le riserve auree della Banca d'Italia: cosa sono e a cosa servono

La domanda è: vendere l'oro di Bankitalia per ridurre il debito pubblico potrebbe essere una soluzione percorribile? La nostra banca nazionale conserva 2.452 tonnellate di oro in lingotti e monete: al 31 dicembre 2015 il controvalore dell'oro di Bankitalia era pari a circa 77 miliardi di euro. Si tratta della cosiddetta riserva aurea. L'oro di Bankitalia si trova per la maggior parte nei caveau della Banca in via Nazionale a Roma e in parte in alcune altre banche centrali, soprattutto negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Le riserve auree hanno la funzione di rafforzare la fiducia nella stabilità del sistema finanziario italiano e della moneta unica, soprattutto durante i periodi di crisi. La riserva di oro assicura che, in ogni caso, la nostra Banca centrale nazionale ha "in pancia" i soldi necessari per svolgere le proprie funzioni, anche in periodi di forte turbolenza sui mercati. Bankitalia è il quarto detentore di riserve auree al mondo, dopo la Federal Reserve (Usa), la Bundesbank (Germania) e il Fondo monetario internazionale.
 

Uno stock di lingotti in oro, in un'immagine d'archivio. ARCHIVIO - ANSA-I51

Perché vendere l'oro "non è una soluzione percorribile ed efficace"

Tornando alla domanda iniziale, vendere parte delle nostre riserve auree aiuterebbe a ridurre il debito? "No, non è una strada praticabile e nemmeno efficace. Innanzitutto per ragioni pratiche - ha detto Salvatore Rossi, Direttore generale di Bankitalia, nel corso di "24Mattino" su Radio24 -. Parliamo di 90 miliardi di euro quando il nostro debito pubblico è intorno a 2.300 miliardi. E', al momento, giuridicamente impossibile. C'è un accordo internazionale tra le banche centrali, che prevede che le vendite siano razionate, dunque ne potremmo vendere per poche centinaia di milioni alla volta. Nei fatti non si risolverebbe il problema del debito pubblico e daremmo un pessimo segnale al mondo. La vendita di oro da parte di un Paese darebbe il segnale di un gesto disperato". Rossi ha assicurato che al momento non ci sono segnali di dissaffezione sui titoli del debito pubblico italiano da parte degli investitori: "Ovviamente la situazione è sempre precaria, nel senso che il rischio di un cambiamento di opinione è sempre possibile".

Chi possiede il debito pubblico italiano?

Oltre un terzo del debito pubblico italiano è in mano agli investitori stranieri, anche se la quota degli investitori esteri è un po' calata, negli ultimi due anni, passando dal 34% al 32%. E' quanto emerge da un'analisi del Centro studi di Unimpresa sul debito pubblico italiano secondo cui i titoli sottoscritti da fondi e assicurazioni sono calati di 28 miliardi (-19%) a 120 miliardi. Tra il 2015 e il 2017 è invece raddoppiata la fetta di titoli pubblici detenuta dalla Banca d'Italia che ha incrementato di quasi 200 miliardi di euro (+108%) gli acquisti di Bot e Btp nell'ambito del piano promosso dalla Banca centrale europea. Scende da 149 miliardi a 120 miliardi (-20%), complice anche il forte calo dei rendimenti, lo stock di obbligazioni pubbliche emesse dal Tesoro detenuto da famiglie e imprese. Si è alleggerito di quasi 32 miliardi, invece, il portafoglio di bond dello Stato italiano posseduto dalle banche.
"Enorme potere delle grandi banche": nuovo governo sotto pressione

"Questi numeri sono fondamentali per capire il grado di attenzione degli osservatori mondiali in vista della formazione del nuovo governo," ha osservato il vicepresidente di Unimpresa, Claudio Pucci. "Chiunque riuscirà a formare una maggioranza e a dar vita a un nuovo esecutivo dovrà fare i conti con i big mondiali della finanza, esattamente come è accaduto negli ultimi decenni. Nonostante gli sforzi della Bce, siamo sempre sotto pressione e il potere delle grandi banche d'affari internazionali, che hanno la maggioranza relativa di 'Italia spa', è enorme". Secondo lo studio dell'associazione, basato su dati della Banca d'Italia aggiornati ad ottobre scorso, negli ultimi due anni il debito pubblico è salito di 116,3 miliardi (+5,35%) dai 2.173,3 miliardi del 2015 ai 2.289,6 miliardi del 2017. Un periodo nel quale accanto a una crescita costante del "buco" nei conti dello Stato si è registrata qualche modifica nella composizione dei sottoscrittori di Bot, Btp e Cct.


Nel 2015, la Banca d'Italia deteneva 169,4 miliardi di titoli pubblici del nostro Paese, cifra corrispondente al 7,80% del totale del debito; la fetta di debito sottoscritta dall'istituto di Via Nazionale, nell'ambito del piano di acquisti avviato dalla Banca centrale europea, è salita a 353,7 miliardi a fine 2017 e la fetta raddoppiata al 15,45%; l'incremento è di 184,3 miliardi (+108,81%). Lo stock di debito sottoscritto dalle banche (categoria nella quale viene conteggiato pure il portafoglio dei fondi monetari) è sceso di 31,9 miliardi (-4,87%) da 655,9 miliardi a 624,04 miliardi e la quota dal 30,18% al 27,25%. Per quanto riguarda i fondi d'investimento e le assicurazioni, l'ammontare di Bot e Btp è leggermente diminuito di 2,6 miliardi (-0,58%) da 457,7 miliardi a 455,1 miliardi, con la percentuale complessiva calata lievemente dal 21,06% al 19,88%. Sensibile calo, invece, delle obbligazioni statali acquistate da famiglie e imprese: la diminuzione registrata negli ultimi due anni è pari a 28,8 miliardi (-19,34%) da 149,04 miliardi a 120,2 miliardi. Sostanzialmente stabile e rilevante, nella mappa dei sottoscrittori di debito, il peso degli investitori stranieri: il totale di Bot e Btp in mano alle grandi banche mondiali e alle istituzioni finanziarie internazionali è passato da 741,08 miliardi a 736,5 miliardi con una regressione di 4,5 miliardi (-0,62%) che porta dal 34,10% al 32,17% la quota complessiva.


ESCLUSIVO! TRUMP DICHIARA EMERGENZA NAZIONALE U.S.A... TUTTO QUELLO CHE NON TI DICONO E CHE DEVI SAPERE

LA RECESSIONE GLOBALE CHE NON CI DICONO.....




DI CHI E' L'ORO DELLA BANCA D'ITALIA?


I burattini europei, lo scontro su Bankitalia e l'asse di Natanyahu


In questa puntata di sette+ l'attacco a Conte e al governo italiano alla sessione plenaria del parlamento europeo, lo scontro con i vertici di Bankitalia e l'asse tra Netanyahu e i regimi arabi per la guerra all'iran

DEDICATO ALL'ITALIA, ALLA FRANCIA DEI GILET GIALLI, AL VENEZUELA, ALL'AFRICA, ALLA SIRIA, ALLA PALESTINA, A CHI SI ARRABATTA PER ARRIVARE ALLA FINE DEL MESE E AI FURBI AI VERTICI DELLA "PIRAMIDE".....



VASCO ROSSI: GLI SPARI SOPRA



Italia e rischio recessione: conti correnti degli italiani a rischio?

L’entrata dell’Italia in una fase di recessione ha inevitabilmente rievocato i fantasmi della crisi economica che ha fatto seguito allo scoppio della bolla dei mutui Subprime. Tra di essi anche quello relativo ai conti correnti, che secondo alcuni osservatori potrebbero essere in pericolo ove il calo dell’economia dovesse mettere a rischio anche la tenuta del sistema bancario.


Bail In, uno spettro si aggira per l’Europa


Come è noto il nostro Paese si è dotato nel corso del 2016 del Bail In, strumento che prevede la risoluzione delle crisi bancarie facendo leva sulle risorse di azionisti, obbligazionisti e correntisti degli istituti interessati. La sola eccezione nel nuovo quadro è rappresentato dai correntisti che abbiano depositato sul proprio conto cifre inferiori ai 100mila euro, per i quali sussiste la garanzia del Fondo di Garanzia dei Depositi.
Cosa vuol dire questo? Che nel caso di crisi di un istituto bancario si può ovviare andando a prelevare le risorse necessarie da coloro che hanno depositato i propri soldi nello stesso, mentre prima era previsto il cosiddetto Bail Out, ovvero l’intervento diretto da parte dello Stato nel piano di salvataggio delle banche mediante i soldi di tutti i contribuenti.
La norma è stata introdotta al fine di recepire il BRRD (Banking Recovery and Resolution Directive), la nuova normativa europea che regola i salvataggi bancari.


Bail In anche sotto i 100mila euro?


Ad aggravare i timori scaturiti dall’approvazione del Bail In sono poi arrivate le voci che vorrebbero una sua estensione anche a chi abbia sul proprio conto corrente meno di 100mila euro. Rumors alimentati dal vertice di Tallinn del 2017, quando i ministri delle finanze europei hanno affrontato la tematica relativa alla possibile crisi di panico che potrebbe colpire il sistema bancario in caso di fallimento o grave turbolenza patrimoniale di una banca.
Tra i possibili rimedi è stato evocato anche il Bail In per coloro che abbiano depositi inferiori ai 100mila euro, senza però che decisioni in tal senso siano state prese. Allo stato attuale, quindi, si può affermare che non esistano rischi per questi conti correnti, a differenza di quanto può accadere per i depositi sopra i 100mila euro.
Resta però da verificare cosa intenda fare il governo italiano di fronte a casi di questo genere, proprio alla luce di quanto accaduto nel caso della recente crisi che ha interessato Carige, conclusa con il varo di un decreto legge che prevede appunto la garanzia statale nel caso essa dovesse deflagrare.


Giovani, alcol e salute psicologica

Quando mi è stato chiesto di scrivere un articolo sui giovani e l’alcol, mi è venuto subito alla mente il classico resoconto scientifico con tipologie di consumo, predisposizioni genetiche e psicologiche, dati statistici, patologie, danni psico fisici derivanti dal consumo, ecc… ecc…
Ma in seguito mi sono chiesto: “ma può realmente destare interesse, soprattutto nelle fasce più giovani della popolazione, leggere scritti che trattano di alcolismo, di patologie alcol-correlate, di danni epatici, dell’emarginazione sociale, delle percentuali di bevitori cronici e di tutta quella serie di dati e caratteristiche che sempre più spesso i mezzi di comunicazione di ogni tipo ripropongono dopo ogni ‘strage del sabato sera’ o dopo ogni “rissa all’uscita di pub o discoteche ”?
Le mie esperienze, sia in ambito personale che professionale, mi portano a credere che gran parte dei giovani percepisce le problematiche sopra descritte lontane dalla propria realtà e di conseguenza siano poco interessati ad articoli e resoconti di quel genere.
Del resto, pur essendo gran parte di loro consumatori di alcolici, non hanno spesso niente in comune con la tipica figura dell’alcolista, non presentano nessun tipo di patologia alcol-correlata e non sono emarginati sociali, ma al contrario godono generalmente di buona salute e conducono vite normali, frequentando amici, scuole, università e luoghi di lavoro.
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Relazione tra giovani e alcol:

Ma allora come analizzare ed affrontare in modo meno usuale e “accademico” la relazione tra giovani e alcol, che sempre più spesso allarma genitori, operatori sanitari e sociali, forze di polizia e mondo politico, ma al contrario non sembra minimamente toccare i diretti interessati? Da buon psicologo proverò ad entrare nell’argomento non attraverso l’ingresso principale ma utilizzando gli accessi di servizio, che in questo caso, come in molti altri, possono prendere il nome di emozioni e sentimenti.
Il mondo emotivo dei giovani è sempre stato considerato un mare in tempesta, un universo sconfinato di colori, sapori, odori e irrazionalità. I ragazzi hanno il fondamentale ed innato bisogno di esperire le proprie emozioni, di sentirle crescere dentro di se, di esprimerle e viverle fino in fondo.
E’ infatti attraverso l’esperienza emotiva che si sviluppano le competenze necessarie a riconoscere, accettare e utilizzare i propri vissuti emotivi come fondamentale strumento di conoscenza di se stessi e del mondo che li circonda. I vissuti emotivi risultano quindi fondamentali per riuscire ad affrontare serenamente il percorso di vita e per superare le difficoltà che vi si possono incontrare.
Emozioni spiacevoli e dolore:

Purtroppo però la nostra società, essenzialmente per l’organizzazione mercantile-consumistica sulla quale è organizzata, tende sempre più spesso a canalizzare e controllare i vissuti emotivi e affettivi e a soddisfare sempre più in fretta i bisogni ad essi collegati, impedendo così di fatto il training necessario allo sviluppo di quelle competenze, emotive e affettive, indispensabili alla costruzione di una sana e soddisfacente esistenza e di proficue relazioni.
La possibilità di avere tutto a portata di mano e immediatamente usufruibile, riduce drasticamente, inoltre, la capacità dei nostri ragazzi di tollerare una vasta serie di vissuti emotivi considerati spiacevoli, primi fra tutti dolore, tristezza, ansia e noia. Del resto, non a caso, i problemi psicologici più comuni fra i giovani sono proprio ricollegabili a disturbi di tipo ansioso e depressivo.
Di conseguenza, dove i nostri giovani possono reperire i vissuti emotivi indispensabili alla sopravvivenza, che spesso il nostro stesso organismo richiede a gran voce anche attraverso le varie sintomatologie psicologiche? Ed ancora, come riuscire atollerare tutta quella serie di emozioni ritenute spiacevoli, dalle quali la nostra società tenta in tutti i modi di tenerci lontano?
Secondo il mio punto di vista i media, i beni di consumo e le varie sostanze, prima fra tutte l’alcol, rappresentano da decenni il serbatoio emotivo principale di tutte le società occidentali. Televisione, giornali e cinematografia ci mettono quotidianamente in contatto con il dolore, la violenza, la gioia e la disperazione degli altri, ma, per la enorme quantità di messaggi, per le metodologie comunicative che adottano e per le loro caratteristiche intrinseche, portano velocemente ad una assuefazione emotiva e non sono capaci di trasmettere emozioni intense e durature, in quanto sempre mediate e non direttamente vissute dai soggetti.
L’alcol per alleviare il senso di vuoto:

Ai beni di consumo, che ad oggi mi sembra più appropriato definire merci, viene sempre più spesso affidato il compito di rendere felici. Allo stesso tempo però sembrano essere sempre meno frequentemente oggetto di un qualsiasi investimento emotivo, questo forse perché troppo spesso facilmente ottenute, perché “scadono” in fretta, risultando sempre più velocemente vecchie e obsolete e perché non hanno più niente di unico e strettamente personale, essendo comunemente costruite in milioni di copie identiche fra loro.
Anche le merci sembrerebbero perciò essere portatrici di una felicità fittizia e alquanto “volatile”. Attraverso le varie sostanze i ragazzi riescono ad accedere ad un mondo emotivo che spesso non sono capaci di esplorare o affrontare autonomamente. Le sostanze rappresentano spesso come una porta di accesso che si apre su di un mondo emotivo semi sconosciuto. Dove la felicità può sembrare più autentica, in quanto apparentemente più personale e scollegata dal mondo esterno e da ciò che si può o non si può acquistare, dove tristezza e ansia appaiono più tollerabili perché accompagnate da una tranquillità di fondo, dove imbarazzo, vergogna e insicurezza spariscono concedendo la possibilità di relazionarsi e di aprirsi agli altri con tranquillità.
Le varie sostanze sembrano quindi essere capaci di dare ai giovani “scosse emotive” molte intense e, molto probabilmente, anche più solide e durature rispetto a quelle che possono ricevere dalla visione di un “reality” in tv o dall’acquisto del nuovo modello di smart phone. In questa ottica le sostanze sembrerebbero in qualche modo facilitare il contatto con il proprio mondo interno e rendere più accessibili e tollerabili i propri vissuti emotivi e affettivi.
Questa visione del fenomeno potrebbe quindi far supporre l’esistenza di un uso di sostanze a fini autoterapeutici (self-medication) (Kohut 1977), teso ad alleviare quel senso di vuoto e quello smarrimento comuni a molti giovani, o a contrastare la sintomatologia di veri e propri stati di disagio psicologico. In occidente è sicuramente l’alcol la sostanza che da secoli riveste il ruolo di serbatoio emotivo, questo per svariati motivi, fra i quali spiccano la profonda radicazione culturale, la sostanziale accettazione sociale, la facile reperibilità e il basso costo.
Effetti dell’alcol sulla salute:

Allo stesso tempo l’alcol è da considerarsi una fra le sostanze psicotrope più pericolose, molto più di quasi tutte le sostanze illegali. Il suo consumo porta infatti ad una rapida assuefazione e a dipendenza. Inoltre, i danni e i problemi che può provocare sono spesso non presi in giusta considerazione e notevolmente sottostimati, in quanto visibili solo a distanza di tempo (patologie e problemi fisici e psichici) o non apparentemente direttamente relazionabili al consumo della sostanza (incidenti, problemi relazionali, familiari, lavorativi e sociali).
Il fatto che fra i giovani del nostro paese si assista da svariati anni ad un sempre più marcato spostamento da uno stile di consumo alcolico di tipo “mediterraneo” (quantità moderate distribuite in tutto l’arco della giornata) verso uno stile di consumo di tipo “nordico” (binge drinking: assunzione di elevate quantità in un breve arco temporale), sembrerebbe evidenziare come l’alcol possa assolvere a determinati compiti e sia sempre più spesso assunto con fini specifici in momenti e luoghi particolari: “in discoteca bevo così sono più allegro, meno timido e impacciato nelle relazioni; allo stadio bevo così non ho più paura della polizia e degli ultras avversari; con gli amici bevo così non ci annoiamo; con la mia ragazza bevo così faccio meglio e più a lungo all’amore; ecc… ecc….”.
Relazione tra alcol e stati depressivi:

E’ quindi probabile che, prima che subentri la vera e propria dipendenza dalla sostanza, l’assunzione di alcol possa essere in qualche modo funzionale all’esistenza della persona, usata per stimolare particolari stati emotivi, solitamente piacevoli e socialmente accettati, e sedarne altri, magari più dolorosi e socialmente stigmatizzati. La relazione fra consumo di alcol e difficoltà emotive e stati depressivi è stata fra l’altro dimostrata da varie ricerche scientifiche (Kornreich et al. 2012; Caroti, Fonzi, Marconi e Bersani 2007; Poikolainen 2006; Huizink, Ferdinand, Van der Ende).
Una situazione del genere non è però solitamente sostenibile per lungo tempo. L’incapacità di accedere ed accettare il proprio mondo emotivo nella sua completezza, sommata alle conseguenze psicofisiche a medio e lungo termine collegate all’uso della sostanza, costituiscono spesso un cocktail micidiale per il benessere psico-fisico e sociale dei nostri giovani.
Vivere le emozioni, anche quelle brutte:

Seguendo questa ottica e tenendomi volutamente lontano da statistiche e patologie, e abbandonando, senza per questo escludere, i concetti di dipendenza e malattia attraverso i quali solitamente vengono affrontati i problemi di uso di sostanze, è forse possibile cogliere con maggiore chiarezza ed intensità tutta quella serie di “mancanze” che spingono i nostri giovani ad un uso pericoloso di bevande alcoliche e droghe.
Questo tipo di visione decentrata può forse anche aiutare ad affrontare il problema in una maniera, se non alternativa, almeno integrativa, rispetto alle metodologie classiche incentrate principalmente sulla sostanza. Una completa e solida educazione emozionale e socio affettiva, che consenta ai giovani di sviluppare le competenze necessarie a vivere ed accettare tutti i propri vissuti emotivi, considerandoli funzionali alla crescita ed indispensabili al mantenimento di un costante benessere psicologico, potrebbe rappresentare un valido strumento attraverso il quale minare le fondamenta di molti problemi comportamentali, fra i quali il consumo di alcol e sostanze è solamente uno fra i più evidenti.
Una tale educazione dovrebbe basarsi sulla convinzione che ogni emozione merita di essere vissuta e dovrebbe mirare a recuperare il reale valore ed il significato vitale di ogni stato emotivo, sia esso spiacevole, come tristezza o noia, che piacevole, come la felicità.
Recuperare il proprio mondo emotivo:

Ma fino a quando la nostra società non riuscirà, almeno parzialmente, a distaccarsi da tutta quella serie di “disvalori mercantili” sui quali ha eretto il proprio illusorio benessere e basa il suo sviluppo, non credo possa riuscire nell’impresa di recuperare il mondo emotivo dei suoi giovani ne tanto meno di affrontare gran parte delle problematiche sociali che la affliggono.
Del resto mi chiedo anche quanto possa essere funzionale ad un tale tipo di società un individuo che non ha più bisogno di acquistare merci e servizi per essere felice o per scacciare ad ogni costo ansia, tristezza o paura.
Al momento sembra quindi che ancora una volta i singoli siano costretti a riprendere in mano la propria vita, tentando di recuperare il proprio mondo emotivo e le capacità di vivere le proprie emozioni fino in fondo, provando a trasmettere tali capacità ai propri figli e più in generale alle persone che hanno vicino.
Tutto ciò sembra proprio confermare che, ad oggi, ogni tipo di cambiamento sia sempre più spesso necessariamente costretto a provenire dal basso, dai singoli individui e dai loro comportamenti, anche se questo potrebbe paradossalmente aumentare quella deriva individualista che caratterizza la nostra società e contribuisce anch’essa al suo impoverimento emotivo.



Pierluigi Salvi
presidente Associazione Logos, esperto in problemi e patologie alcol e tabacco correlate


BIBLIOGRAFIA

Caroti E., Fonzi L., Marconi D. e Bersani G (2007). Cannabis e depressione. Rivista di psichiatria, 42, 1, 8-16.

Huizink A.C., Ferdinand R.F., van der Ende J. e Verhulst F.C. (2006). Symptoms of anxiety and depression in childhood and use of MDMA: prospective population based study. BMJ, 332, 825-827.

Kohut H.(1977). The restoration of the self. International Universities Press, New York.

Kornreich C., Brevers D., Canivet D. et al. (2012). Impaired processing of emotion in music, faces and voices supports a generalized emotional decoding deficit in alcoholism. Addiction Jun 2012.

Poikolainen K. (2006). Ecstasy and the antecedents of illicit drug use. BMJ, 332, 803-804.

Iran, finanza islamica una grande spinta al Paese

UNO DEI POCHI PAESI AL MONDO CHE NON HA ANCORA UNA BANCA ROTHSCHILD

La finanza islamica, detta Shariah compliance, è ancora poco conosciuta in Occidente; essa vieta il pagamento di interessi quale corrispettivo di un prestito, in pratica rifiuta il concetto dello sfruttamento dell’attività altrui a prescindere dall’andamento dell’investimento realizzato.
finanza-islamicaAttraverso i sukuk, un contratto simile alle obbligazioni in uso in Occidente, il soggetto che fornisce il denaro per un progetto (immobiliare, infrastrutturale o aziendale che sia) si assicura una fetta del profitto che ne deriva. In questo modo, la finanza islamica tende a concentrarsi sull’idea imprenditoriale e sulla possibilità che possa produrre ricchezza divenendo compartecipe dell’impresa, invece che badare solo a garantirsi la remunerazione a prescindere del capitale fornito; un’ottica che ribalta la prassi in uso in Occidente, che vede il denaro, e non il lavoro e l’impresa, al centro di tutto.
Per oltre trent’anni il sistema iraniano ha seguito la sostanza della finanza islamica, con un patrimonio di circa 450 Mld di dollari suddiviso fra 34 banche con attività per 518 Mld; un volume che lo pone al pari della Shariah compliance saudita e dinanzi a quella malese, e che rappresenta un terzo del totale delle attività del sistema bancario islamico, al momento stimato in 1.500 Mld di dollari.
Il primo passo sarà quello di adeguare i sukuk in fase di sviluppo da parte dell’Iran Securities and Exchange Organization, agli standard internazionali di finanza islamica, eliminando le lievi differenze rese necessarie dalla situazione di isolamento ed emergenza in cui l’imposizione delle sanzioni hanno tenuto il Paese.
Per conseguire l’obiettivo, l’Iran, oltre che adeguarsi ai criteri della finanza islamica internazionale, dovrà implementare un miglior sistema di controlli nelle sue banche, per troppo tempo costrette ad operare isolate dal resto del mondo. Tuttavia, secondo il concorde parere degli esperti, dalla Shariah compliance, una volta debitamente disciplinata, dovrebbe venire una valanga di sukuk a sostegno delle attività produttive che aspettano investimenti per decollare.
Secondo la Banca Centrale di Teheran, il settore finanziario iraniano ha circa 260 Mld di liquidità, pari al 65% del Pil. In condizioni normali ciò non è negativo di per sé; se però quella massa di denaro viene indirizzata su attività non produttive come la finanza, essa sottrae ricchezza all’economia reale, generando stagflazione.
La finanza islamica è lo strumento ideale per convogliare le risorse finanziarie ora impegnate nel mercato speculativo, nel finanziamento alla produzione di beni e servizi, facendo da enorme volano allo sviluppo dell’economia del Paese. A guardar bene, la Shariah compliance e i suoi principi sono il miglior antidoto alla deriva iperliberista che, puntando sulla massima redditività dei capitali a prescindere, e dunque sulla finanza, sta distruggendo le economie reali del mondo, facendo esplodere disoccupazione e diseguaglianze.

In 18 anni uccisi tremila bambini palestinesi

Secondo le ultime stime fatte dal Ministero dell’Informazione palestinese sarebbero oltre tremila i bambini palestinesi uccisi dai militari israeliani negli ultimi 18 anni; dal 2000, anno della seconda Intifada fino ai giorni nostri.
bambini-palestinesiNei territori occupati sono proprio i bambini a perire più di tutti la brutalità del conflitto centenario, da anni privati di una buona istruzione, del sogno di un futuro migliore e molte volte della stessa vita. Quasi a voler sfidare il tacito silenzio del potere, il Ministero ha pubblicato un dettagliato report.
Alle oltre tremila vittime vanno aggiunti oltre 13mila bambini feriti per mano delle autorità israeliane. Secondo l’agenzia Ma’an, sono almeno 80 i bambini uccisi nei territori occupati palestinesi negli ultimi due anni; il più piccolo di questi aveva solo 8 mesi. Dal report stilato dallautorità di Ramallah si evince che negli ultimi 18 anni, 12mila bambini palestinesi sono stati arrestati, torturati e spesso costretti ad ammettere colpe mai commesse.
Secondo Addamer, gruppo che lotta per i diritti dei detenuti, solo nell’ultimo anno 6.800 palestinesi, di cui 300 minori, sono stati arrestati da Israele. In contrasto con l’articolo 37 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, quasi tutti i bambini palestinesi arrestati subiscono violenze fisiche e psicologiche che vanno dalla privazione del sonno all’isolamento. Molti di loro sono inoltre soggetti a detenzione amministrativa senza accuse né processo.
Le accuse mosse verso i ragazzini sono per lo più di “disturbo della quiete pubblica”. Accuse che rasentano il ridicolo, ma che mostrano appieno il fatto che i bambini palestinesi sono, per gli israeliani, una minaccia alla stregua dei terroristi e come tali vengono trattati.

"Purple drank", il cocktail viola è la droga dei giovanissimi



Allarme scattato a Napoli. Le influenze della musica trap e il disagio dei ragazzi


Sciroppo per la tosse e una bibita, come la gazzosa. Semplice da preparare, costo basso, effetti immediati: alterazione dello stato psichico per provare euforia, o al contrario per rilassarsi.


È il purple drank, il cocktail violaceo che spopola tra i ragazzini e mette in guardia famiglie e medici.


I nuovi mix che portano a uno sballo light sono a base di codeina, un derivato dell'oppio utilizzato nei medicinali per la tosse. I ragazzi ne mescolano dosi ampie, sicuramente più del cucchiaio che serve a calmare la tosse, con bevande gassate. Il liquido che si crea ha un colore viola. I primi a battezzare il nuovo cocktail sono stati gli americani. Ma la moda è diffusa anche in centro Europa, per esempio in Svizzera: mentre in Italia lo sciroppo alla codeina si ottiene solo su ricetta, nel Paese elvetico non è necessaria prescrizione medica. Ma il medicinale per la tosse è un farmaco comune, per questo molti giovanissimi se lo ritrovano in casa senza bisogno di troppi sforzi.

Sciroppo e musica trap

Il purple drank è associato alla musica trap, che spesso cita nei testi l'uso di droghe leggere. In Italia il manifesto è la canzone Sciroppo di Sfera Ebbasta, il numero uno di questo genere che associa al rap le sonorità dell'elettronica. Il primo verso dice: "Sciroppo cade basso come l'MD", le pasticche più pesanti che alterano la psiche. E poi: "Droga, moda, rosa la mia soda", e ancora: "Sciroppo all'amarena, c'ho la gola secca, ehi". Riferimenti chiari per chi sa di cosa si sta parlando, forse incomprensibili per gli adulti. Tanto che Sfera Ebbasta ha cantato Sciroppo sul palco del concertone romano del primo maggio, in diretta con milioni di giovani collegati. Di recente, proprio per questi e altri riferimenti nei suoi brani, il trapper di Cinisello Balsamo è stato denunciato da due senatori di Forza Italia per istigazione all'uso di sostanze stupefacenti e la procura di Pescara ha deciso di aprire un'inchiesta. Il trapper per ora non ha commentato la notizia.
L'allarme dei medici


L'allarme è scattato negli scorsi giorni a Napoli. Confezioni di sciroppo trovate vuote fuori dalle discoteche e segnalazioni di genitori preoccupati. "Il pericolo" - spiega all'agenzia AdnKronos Vincenzo Santagada, presidente dell'Ordine dei farmacisti di Napoli - "è che per questi mix si usino medicinali di provenienza e composizione dubbia, magari anche associati ad altri farmaci, o all'alcol, con un effetto più potente di perdita dei riflessi o euforizzante. Si tratta di un fenomeno da non sottovalutare". E Federico Tonioni, psichiatra e psicoterapeuta responsabile dell'Area dipendenze del Policlinico Gemelli di Roma, avverte: "Il profilo cognitivo dei giovani che assumono droghe è cambiato: non è più teso alla ricerca del piacere, ma a manipolare i propri stati d'animo". Dietro il consumo di droghe leggere, secondo Tonioni, c'è una spiegazione che risiede nelle paure dei giovanissimi: "Gli adolescenti oggi temono le emozioni, che non si possono controllare. Gli stati emotivi alterati in modo programmato sono surrogati di ciò che fa loro più paura, come ad esempio l'innamoramento".