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venerdì 1 febbraio 2019
Il Messico respinge il golpe in Venezuela e diventa il baluardo contro l’imperialismo USA
La notte prima che il capo dell’opposizione venezuelana Juan Guaidó si autoproclamasse presidente ad interim, il vicepresidente degli Stati Uniti Mike Pence lo chiamò promettendogli il sostegno del governo degli Stati Uniti nel tentativo di prendere il potere. Abbastanza sicuro, il 23 gennaio, davanti a una grande manifestazione dell’opposizione, Guaidó si dichiarava presidente ad interim del Paese sudamericano avviando un complotto in gestazione da settimane. Gli Stati Uniti ancora una volta giocano col fuoco nell’ultimo sforzo per impegnarsi nel cambio di regime in Venezuela. Tuttavia, non solo gli Stati Uniti sono coinvolti nella cospirazione per scacciare il governo democraticamente eletto di Nicolas Maduro. Poco dopo la dichiarazione di Guaidó, in ciò che suggeriva un certo coordinamento , una serie di Paesi emise immediatamente dichiarazioni che lo sostenevano pubblicamente. Uno dopo l’altro i governi di destra nella regione, tra cui Colombia, Cile e Brasile, affermavano il loro sostegno a Guaidó. L’ondata del sostegno nelle ore successive alla proclamazione di Guaidó suggeriva che la trama golpista avesse avuto un impulso. Poi, in un varco in ciò che sembrava essere un fronte unito, il portavoce del governo messicano di Andres Manuel Lopez Obrador dichiarava che non riconosceva Juan Guaidó e manteneva le relazioni diplomatiche col governo di Nicolas Maduro. Con la dichiarazione del Messico, la facciata spacciata al pubblico, che tale transizione era legittima e non era un colpo di Stato, crollava. Numerosi altri Paesi, tra cui Russia e Cina, andavano contro il tentativo incostituzionale di Guaidó di prendere il potere, sventando i piani di Washington di installare un regime amico in Venezuela.
AMLO, come è noto il presidente messicano, è stato oggetto di pesanti critiche da parte di guru, molti dei quali affermavano di non essere al passo degli alleati del Messico nella regione e che il suo governo sarebbe stato trattato come un paria di conseguenza. L’amministrazione di sinistra di Lopez Obrador è già un po’ isolata, col voto nella regione negli ultimi anni che ha portato all’elezione di governi di destra filo-USA. L’elezione di AMLO nel 2018 contraddiceva tale tendenza, ma il Messico è ancora solo uno dei pochi Paesi dell’America Latina con una politica estera indipendente che rimane disposta ad andare contro la volontà di Washington. Tuttavia, AMLO presiede la seconda economia dell’America Latina ed è tradizionalmente considerata come una dei pesi massimi diplomatici, rendendo difficile ignorare le posizioni del suo governo.
Una politica estera di principio
Lopez Obrador ha difeso la decisione di continuare a riconoscere Maduro come legittimo presidente del Venezuela, indicando la costituzione messicana, che invita il Paese a perseguire una posizione non interventista negli affari esteri. Secondo Christy Thornton, assistente alla Johns Hopkins University, la cui ricerca riguarda storia e sociologia di Messico ed America Latina, la posizione di AMLO rappresenta “una posizione di principio nella politica estera” e “un importante baluardo”. Piuttosto che rappresentare un distacco dalla politica estera messicana, come sostenevano certi commentatori, Thornton sosteneva che la posizione non interventista di Lopez Obrador segna il ritorno alla posizione tradizionale messicana negli affari esteri, che affonda le radici nella rivoluzione messicana degli inizi del XX secolo. Questa posizione non interventista divenne nota come Dottrina Estrada, da Genaro Estrada, segretario degli Esteri durante la presidenza di Pascual Ortiz Rubio, che fece del rispetto per la sovranità pilastro della politica estera messicana per decenni prima che una serie di governi neoliberali allineassero la loro politica estera a quella di Washington. Il governo di Lopez Obrador lavora per evitare di provocare lo scontro diretto col governo Trump, nonostante vari problemi latenti e differenze ideologiche tra i due leader. Tuttavia, nel caso del Venezuela, Lopez Obrador si rifiutava di seguire Washington. Thornton aveva detto a MintPress: “AMLO cerca di ritagliarsi uno spazio autonomo per la politica estera che segnali agli Stati Uniti, in particolare, che il Messico non li seguirà assiduamente, ma cercherà anche di affermare quale sia la legittimità democratica in America Latina”. Invece di isolare il Messico, la posizione di AMLO ne alza il profilo, visto che Maduro ne accettava la proposta di dialogo tra il suo governo e l’opposizione.
Più che un suggerimento del “Prima sono venuti per..”
Con un vicino ostile al nord che si mostra disposto a perseguire il cambio di regime, il presidente messicano cerca anche di garantire che i principi del non intervento e del rispetto della sovranità siano mantenuti verso il suo governo. “C’è la lunga storia del Messico che interviene in ambito internazionale per segnalare non solo la propria posizione nella regione, ma anche ai propri collegi elettorali nazionali”, secondo Thornton. Rifiutando di abbandonare Maduro, AMLO ha anche chiarito al Messico e alla comunità internazionale che il suo governo non tollera interferenze negli affari interni del Messico. A una dimostrazione a sostegno di Maduro di fronte l’ambasciata nordamericana a Città del Messico, i relatori non solo respinsero gli sforzi di Washington per estromettere il presidente del Venezuela, ma anche elogiavano la posizione di AMLO. “Questo è solo un altro anello della catena di interventi e la storia degli Stati Uniti dimostra che quando i popoli non impediscono l’aggressione contro altri popoli, questo ha un effetto domino”, aveva detto a MintPress Jesus Escamilla, che parlava al raduno. Per Escamilla la difesa del Venezuela è anche la difesa del Messico. “Ciò che è in gioco qui è il diritto di un Paese a decidere il proprio destino, questo è ciò che vogliamo per il Messico, nient’altro”, aveva detto Escamilla.
Un colpo di stato bloccato ma non sconfitto
Nonostante le battute d’arresto, Stati Uniti di alleati di destra non abbandonavano l’intenzione di estromettere il governo Maduro in Venezuela. I funzionari statunitensi annunciavano un’altra serie di dure sanzioni, molte sull’industria petrolifera venezuelana, la principale fonte di reddito del Paese. È probabile che tali sanzioni puniscano ulteriormente l’economia già maltrattata del Venezuela, portando a ulteriori sofferenze per la popolazione. L’amministrazione Trump aveva anche presentato personaggi dal noto passato oscuro, come Elliot Abrams come inviato speciale in Venezuela. Abrams era l’uomo di punta di Washington in America Centrale quando gli Stati Uniti sostenevano regimi brutali, fornendo copertura diplomatica agli squadroni della morte che operavano col consenso degli Stati Uniti; si era persino dichiarato colpevole per aver mentito al Congresso sullo scandalo Iran-Contra. All’Organizzazione degli Stati americani (OAS), attualmente guidata da Luis Almagro, un accanito oppositore di Maduro, gli Stati Uniti non potevano ottenere voti sufficienti per convincere l’ente a riconoscere Guaidó presidente del Venezuela. Secondo Thornton, gli Stati Uniti “usano tali istituzioni multilaterali quando servono e li ignora quando bloccano l’azione degli Stati Uniti”. Invece, le pressioni internazionali sul governo di Maduro verranno dal gruppo di Lima, organismo ad hoc che non ha posizione legale nel diritto internazionale, creato dai governi di destra nella regione dopo ripetuti fallimenti nell’ottenere che l’OAS sostenesse formalmente il loro piano di cambio di regime. Il governo di Andres Manuel Lopez Obrador ha ereditato il posto nel gruppo di Lima dopo il cambio del potere a dicembre e portato la posizione non interventista anche lì, rifiutando di firmare le dichiarazioni anti-Maduro emesse dall’organismo. “La spaccatura che il Messico ha inflitto al gruppo di Lima… è una dimostrazione importante che ogni Paese ha la propria voce e il proprio voto in queste istituzioni multilaterali”, aveva detto Thornton a MintPress che sosteneva che il governo messicano rischia scommettendo su una risoluzione diplomatica della crisi venezuelana, ma che rafforzerà le istituzioni multilaterali nella regione in caso di successo: “Il Messico chiede che questo venga rallentato, perché sia negoziato diplomaticamente, è una mossa davvero importante ed è qualcosa che l’amministrazione AMLO coglie per dimostrare fiducia nella democrazia e nel sistema internazionale. C’è il pericolo che, man mano che la situazione si deteriori, la decisione del Messico di non essere d’accordo con gruppo di Lima e Stati Uniti nel non riconoscere Guaidó sia vista come emarginazione nella regione”.
Funzionari statunitensi, incluso lo stesso presidente Trump, insistevano sull’opzione militare rimanere sul tavolo. In effetti, il Consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton fu visto con note che suggerivano che gli Stati Uniti considerassero la possibilità d’inviare 5000 soldati dal confine della Colombia. L’intervento militare straniero rappresenterebbe una battuta d’arresto significativa nelle relazioni internazionali in America Latina; segnerà un ritorno a un’era oscura in cui golpe ed invasioni erano comuni; e costituirà un pericoloso precedente che minaccerà ogni governo della regione che rifiuta di inchinarsi a Washington, incluso il Messico. Come in Venezuela, tuttavia, tale interferenza sarà affrontata da una forte resistenza in Messico. Come Jesus Escamilla aveva detto a Mint Press: “In Messico c’è un popolo con memoria storica, nella sua storia ha subito vari interventi e il popolo del Messico ha sempre risposto correttamente, in modo patriottico, e non co sarà eccezione se gli Stati Uniti o qualsiasi altro Paese cercassero d’intervenire negli affari interni del Messico”.
José Luis Granados Ceja è uno scrittore e fotoreporter di Città del Messico. Ha scritto per teleSUR e Two Row Times e lavorato in radio come presentatore e produttore. Si è specializzato nell’analisi politica contemporanea e nel ruolo dei media nell’influenzare il pubblico. È particolarmente interessato a coprire il lavoro dei movimenti sociali e dei sindacati in America Latina.
Traduzione di Alessandro Lattanzio
La CIA finanziò la costruzione europea
Dal 1949 al 1959, in piena guerra fredda, gli statunitensi, tramite i loro servizi segreti e il Comitato per l’Europa unita, versarono l’equivalente di 50 milioni di dollari attuali a tutti i movimenti europeisti, tra cui quello inglese di Winston Churchill e del francese Henri Frenay. Scopo, contenere l’avanzata sovietica…
A 82 anni, Henri Frenay, pioniere della Resistenza interna, fondatore del movimento Combat, è ancora lucido, nonostante la sordità e una recente operazione allo stomaco e non più di tre mesi di vita. Nel 1988 mi parla dell’Europa nel suo appartamento a Boulogne-sur-Seine. Di questa Europa federale che sognò invano nel 1948-1954. Del debito che, in caso di successo, il vecchio continente avrebbe contratto con gli USA, quello del “Comitato”. E d’insistere una volta, due volte, dieci volte, finché mi domando: perché diavolo questo misterioso “Comitato” ritorna con tale frequenza nei nostri discorsi? Perché? Ma Frenay mi confidò, con infinite precauzioni di linguaggio, il suo ultimo segreto: l’aiuto finanziario occulto della CIA tramite l’American Committee for United Europe, il “Comitato”, all’Unione dei federalisti europei di cui fu il presidente. Per ricostruire tale inedita filiera, avrò bisogno di quindici anni. Un gioco che valeva la candela, poiché mi permette di aprire, ai lettori di Historia, la porta di uno degli aspetti più segreti della guerra fredda…
Tutto iniziò nell’autunno 1948. Già divisa in due, l’Europa viveva sotto la minaccia dell’invasione totale dell’armata rossa. Al “colpo di Praga” a febbraio seguì a giugno il blocco di Berlino. Un piccolo cenacolo di personalità nell’ombra gettò le basi dell’American Committee for United Europe, l’ACUE, la cui esistenza sarà ufficializzata il 5 gennaio 1949, alla casa della Fondazione Woodrow-Wilson di New York. Politici, giuristi, banchieri, sindicalisti si mescolarono in al suo consiglio di direzione. Alte figure governative come Robert Paterson, segretario alla Guerra; James Webb, direttore del bilancio; Paul Hoffman, capo dell’amministrazione del piano Marshall, o Lucius Clay, “proconsole” nella zona d’occupazione degli USA in Germania. Tranquilli questi statunitensi? No, poiché la vera ossatura dell’ACUE era costituita da uomini del servizio segreto. Prendete il suo presidente, William Donovan. Nato nel 1883 a Buffalo, questo avvocato irlando-americano dal fisico da bulldog, soprannominato “Wild Bill” dagli amici, conosceva bene l’Europa. Nel 1915 vi compì una missione umanitaria per conto della Fondazione Rockefeller. Due anni dopo, Donovan si ritrovò nel Vecchio Continente per farvi, questa volta, la magnifica Grande Guerra. Ritornato civile, “Wild Bill” divenne rappresentante del governo USA. I suoi passi da emissario ufficiale lo riportarono in Europa per degli incontri talvolta imprevisti. Nel gennaio 1923, mentre gustava un riposo ben meritato, sua moglie Ruth e lui subirono una intera serata di discorsi da un altro habitué della pensione Moritz di Berchtesgaden. Diciassette anni dopo, l’agitato, tale Adolf Hitler, era padrone della parte continentale dell’Europa, e fu “Wild Bill” che Franklin Roosevelt, inquieto, spedì a Londra per informarsi da Winston Churchill sul potenziale inglese di fronte all’avanzata nazista. Nel giugno 1942, Donovan, uomo di fiducia del presidente democratico per gli affari speciali, creò l’Office of Strategic Services (OSS), il servizio segreto degli USA nella Seconda Guerra mondiale di cui divenne il capo e che abbandonerà alla sua dissoluzione, nel settembre 1945, senza perdere i contatti con l’universo dello spionaggio: “Wild Bill” tessé legami privilegiati con la Central Intelligence Agency, la CIA, creata ufficialmente il 15 settembre 1947 con la legge sulla sicurezza nazionale firmata dal successore di Roosevelt, Harry Truman.
Prendete il vicepresidente dell’ACUE Walter Bedell Smith, ex-Capo di Stato Maggiore di Eisenhower durante la Seconda Guerra mondiale, poi ambasciatore degli USA a Mosca. Dall’ottobre 1950, colui che gli amici chiamavano “Scarabeo” assunse il comando della CIA. Il 1950 è proprio l’anno in cui universitari come Frederick Burkhardt e William Langer, storico di Harvard, lanciarono la sezione culturale dell’ACUE. Questi due collaboratori di Donovan avevano servito già nei ranghi dell’OSS. Langer diresse il servizio ricerche e analisi; eccellente conoscitore della politica francese, scrisse una opera tesa a giustificare, nel dopoguerra, il gioco degli USA con Vichy (Plon, 1948).
Prendete Allen Dulles. Nell’estate del 1948, “inventò” il Comitato con Duncan Sandys, il genero di Churchill, e George Franklin, diplomatico degli USA. Principale associato allo studio Sullivan&Cromwell, Dulles non impressionò, all’inizio, coi suoi occhiali raffinate, le eterne pipe e ii cappotti in tweed. Salvo che con questo cinquantenne, entrò in scena il direttore delle spie. Ritornando alla Seconda Guerra mondiale. Capo dell’OSS a Berna, Dulles annodò dei contatti, nel febbraio 1943, con la delegazione di “Combat” in Svizzera. Una volta assicurò i finanziamenti al movimento clandestino. “Pugnalata alle spalle del Generale de Gaulle”, insorse Jean Moulin a nome della Francia libera. “Salvataggio della Resistenza interna minacciata di strangolamento finanziario”, rispose Frenay. Pensando soprattutto ai suoi camerati privi di mezzi, ai maquisards in pericolo, non vide perché Combat dovesse privarsi dei soldi degli alleati, era conveniente e senza contropartite. Questo “affare svizzero” avvelenò ancor più i rapporti con Moulin.
Nel 1946, Dulles si dimise dai servizi segreti… per divenirne presto l’eminenza grigia, prendendo parte preponderante alla redazione del testo della legge presidenziale sulla sicurezza nazionale. Cofondatore a tal titolo della CIA (dalle iniziali, Agenzia, o meglio, Compagnia), Dulles pensava che in materia di azioni clandestine, private e pubbliche, si dovessero unire le forze. Fu lui che ispirò, col tramite degli amici del Brook Club di New York, il versamento di sussidi da grosse società USA alla DC minacciata di sorpasso dal PCI. Nel 1950, riprese ufficialmente servizio come braccio destro dello Scarabeo, prima, e come suo successore alla testa della CIA, dopo, dal febbraio 1953 al settembre 1961. Record di longevità, più impressionante del fratello John Foster Dulles, che restò ministro degli esteri dal 1953 alla morte per malattia nel maggio 1959.
Crogiolo meraviglioso l’ACUE, dove personalità dell’alta società e/o della CIA erano fianco a fianco coi dirigenti della potente centrale sindacale American Federation of Labor, AFL, con cui condividevano l’avversione per il Comunismo. Esempio: David Dubinsky, nato nel 1892 a Brest-Litovsk, in Russia, dirigeva il Syndicat international de la confection pour dames (ILGWU): 45000 aderenti al suo arrivo nel 1932, 200000 alla fine degli anni ’40! Nemico giurato dei nazisti, ieri (i sindacalisti vicini all’ACUE erano quasi tutti ebrei), ed ai comunisti, i “cocos”, che ora affrontava. Anche Jay Lovestone. Consigliere politico dell’AFL, questo Lituano sapeva di cosa parlava: prima della sua brutale espulsione e poi la lenta rottura col Marxismo, fu tra il 1925 e il 1929 il segretario generale del PC Americano! Altra recluta scelta dal Comitato, Arthur Goldberg, il capo giurista dell’AFL. Futuro segretario del Lavoro del presidente Kennedy. poi giudice della corte suprema, Goldberg, nato nel 1908, diresse l’ala sindacale dell’OSS. A tale titolo, ai suoi tempi fu il superiore di Irving Brown, rappresentante dell’AFL per l’Europa e gran dispensatore di dollari ai sindacalisti moderati del Vecchio Continente. Poggiando sui fondi segreti della CIA, che dal 1946 finanziava tutte le operazioni anticomuniste dell’AFL, non esitò a dare, per esempio, il suo sostegno a Force ouvrière, la centrale sindacale nata alla fine del 1947 dalla scissione della CGT (vedasi “Derrière Force ouvrière, Browne, l’ami américain” in Historia n°621, dicembre 1997). Puro e duro, la linea Brown contrastò con quella più sfumata della CIA. Alla Compagnia, si preferiva che i non-comunisti restassero nel girone della CGT, anche se controllata dal PCF…
Al di là degli uomini, c’era la strategia d’insieme. Di fronte all’Unione Sovietica, Washington sviluppò due concetti chiave: il containment (contenimento) e il piano Marshall. L’idea del contenimento era del diplomatico russofono George Kennan, che la sviluppò nel luglio 1947 coll’articolo per la rivista Foreign Affairs: “L’elemento maggiore della politica degli USA verso l’Unione Sovietica deve essere il contenimento a lungo termine, paziente ma fermo, delle tendenze espansioniste russe”. Il piano Marshall portava il marchio del suo inventore, il generale George Marshall, Capo di Stato Maggiore dell’US Army durante la guerra, e ora ministro degli Esteri del presidente Truman. In rapporto agli aiuti massicci all’Europa rovinata, gli USA dovevano, secondo lui, prendere due piccioni con una fava; uno, tagliare l’erba sotto i piedi dei partiti comunisti, aumentando il tenore di vita nei Paesi interessati; due, impedire alle proprie industrie di cadere in depressione aprendo nuovi mercati. Per il tandem Marshall-Kennan, il miglior strumento era la CIA (…) Naturalmente, un altro veterano dell’OSS, Frank Wisner Jr, fu incaricato di costituire un dipartimento autonomo specializzato nella guerra psicologica, intellettuale e ideologica, l’Office of Policy Coordination! Se questo bravo vecchio “Wiz” non faceva parte del Comitato, i suoi uomini gli diedero la logistica necessaria. Ma zitti! Era top secret…
L’ACUE univa, senza complessi, una certa forma di messianismo americano con le preoccupazioni della difesa ben compresa dagli interessi degli USA. Messianica, questa volontà ben ancorata di mandare il Vecchio Continente a scuola dal Nuovo Mondo. Faro della libertà minacciata, gli USA trovarono per primi la via della federazione di Stati, successo così splendente che l’Europa non doveva far altro che imitare… Tale europeismo made in Washington comporta la sua parte di sincerità: “Mi chiamavano il padre dell’intelligence centralizzato, ma io preferivo che si ricordino di me per il mio contributo all’unificazione dell’Europa”, sospirava così Donovan nell’ottobre 1952. Anche per i suoi calcoli. Poiché nel dicembre 1956, tre mesi prima la morte, lo stesso Donovan presentò l’Europa unita come “baluardo contro le minacce aggressive del mondo comunista”. In altre parole, un asso nella manica della strategia USA concepita da Marshall, Kennan e i loro successori: costruire l’Europa per riempire un vuoto continentale che avvantaggiava Stalin, dunque, al fine di proteggere gli USA. Aggiungiamo una terza dimensione. Nello spirito degli uomini della Compagnia, nulla è più nobile che un’azione clandestina al servizio della libertà. Gli ufficiali della CIA lo sapevano: gli USA sono nati per buona parte grazie al sostegno degli agenti di Luigi XVI, Beaumarchais in testa, agli insorti nordamericani. Così l’operazione American Committee, la più importante, e di lunga durata, dell’Agenzia in Europa durante la guerra fredda, si trovò giustificata dalla Storia. Per calorosa che sia, l’amicizia franco-americana non farebbe tuttavia sciogliere i legami speciali tra Gran Bretagna e USA, una volta che, Comitato e Compagnia volsero lo sguardo verso Londra. Ahime! Churchill, fu battuto alle elezioni del 1945, tolse le sue grinfie dall’opposizione. Il nuovo segretario di Stato inglese agli affari esteri, Ernest Bevin, proclamò il 2 gennaio 1948 ai Comuni: “Le nazioni libere d’Europa devono ora riunirsi”. Fu ostacolato dai suoi colleghi laburisti, inorriditi dalla prospettiva di una vera integrazione continentale. Non che Bevin temesse di affrontare i comunisti: due giorni dopo il suo discorso di gennaio, creò un organismo clandestino di guerra ideologica, l’Information Research Department. L’IRD stesso, giudicando la fattoria degli animali e 1984 più efficaci che mille opuscoli di propaganda, contribuì a diffondere dappertutto le opere di George Orwell. Ma la carta Europa unita, non ancora! Questa carta, Churchill la gioca per profonda convinzione o per avversione verso i rivali di sinistra? Il fatto è che il 19 settembre 1946 a Zurigo, il vecchio leone chiese l’asse anglo-franco-tedesco, elemento maggiore secondo lui di una “specie di Stati Uniti d’Europa”. Nel maggio 1948, Duncan Sandys, tagliò su misura dell’uomo di stato l’immagine di padrino del Congresso europeista dell’Aja. Nell’ottobre 1948, Churchill creò l’United European Movement, il Movimento europeo, di cui diviene presidente onorario assieme ai democristiani Alcide De Gasperi e Konrad Adenauer, e a due socialisti, il francese Léon Blum e il belga Paul-Henri Spaak. Purtroppo per gli “amici americani”, questa tendenza “unionista” non propose, tranne Spaak, che obiettivi limitati. Ricostruzione economica e politica su base democratica, d’accordo, ma senza trasferimento, anche parziale, della sovranità.
Il Comitato e la tendenze “federalista”, da cui Henri Frenay emerse come figura simbolica, volevano andare ancor più lontano. Nel periodo più buio della Seconda Guerra mondiale, Frenay, patriota mondialista, concepì l’idea di Vecchio Continente unito su base sovranazionale. Nel novembre 1942, rivelò quarant’anni dopo a Robert Belot, nel notevole lavoro su Frenay che gli valse la carica di ricercatore all’Università, che il capo di “Combat” scrisse al Generale de Gaulle che bisognava superare l’idea di Stato-nazione, riconciliarsi con la Germania nel dopoguerra e costruire una Europa federale. Coerente con se stesso, Frenay si gettò dal 1946 in questa crociata europeista a fianco di Alexandre Marc. Nato Lipianskij a Odessa nel 1904, questo teorico del federalismo incontrà Frenay a Lione nel 1941, poi nel dopoguerra. Nato dall’europeismo di destra ispirato dalle tesi monarchiche di Maurras o dal cattolicesimo sociale, i due amici si sforzarono di spostare a sinistra il federalismo francese, allora forte di “decine di migliaia di aderenti”, così come mi assicurò il vecchio capo di “Combat” nel 1988.
Orientato a sinistra, l’Union européenne des fédéralistes, l’UEF, fu creata alla fine del 1946. Tenne il suo congresso a Roma nel settembre 1948. Frenay ne divenne il presidente dell’Ufficio esecutivo, affiancato dall’ex-comunista italiano Altiero Spinelli, prigioniero di Mussolini tra il 1927 e il 1937 e poi assegnato al confino, e dall’austriaco Eugen Kogon, vittima, del nazismo (…) Questi tre dirigenti attenuarono il profondo malessere nato dalla partecipazione di molti membri dell’UEF al congresso dell’Aja, dove Churchill e suo genero Sandys li “impanarono” nella loro farina “unionista”. Bisognava scegliere tra il vecchio leone e i pionieri della Resistenza interna francese dall’internazionalismo così radicale? Perplessità al “Comitato”, dunque alla CIA. Per Churchill, la sua statura di statista, di alleato nella guerra, la sua preferenza per le “grandi taglie”, gli USA; contro, il suo rifiuto netto del modello federalista così caro agli europeisti statunitensi e, certo, le sue violente discussioni con l’assai atlantista Spaak. Nel marzo 1949, Churchill incontrò Donovan a Washington. A giugno gli scrisse per sollecitare il versamento dei fondi d’urgenza (assai ricco, il vecchio Primo ministro inglese non intendeva pagare di tasca propria). Qualche giorno dopo, Sandys appoggiò la domanda del suocero: soldi, e presto, o il Movimento europeo di Churchill scompariva. Il “Comitato” e la CIA, la principale erogatrice di fondi, sbloccarono una prima tranche di 2 milioni dei nostri attuali euro. Ciò permise di “preparare” le prime riunioni del Consiglio dell’Europa di Strasburgo, che associò una assemblea consultiva senza poteri reali a un comitato dei ministri che approvava all’unanimità. Per sostenere i loro partner del Vecchio Continente, ACUE e CIA crearono propri circuiti finanziari. I dollari dello zio Sam, pari a 5 milioni di euro nel 1949/1951, e così negli anni successivi, provenivano essenzialmente dai fondi speciali concessi alla CIA dal dipartimento di Stato USA. Furono ripartiti, all’inizio tra i capi del Movimento europeo: Churchill, suo genero, il segretario generale Joseph Retinge, e il tesoriere Edward Beddington-Behrens. Nell’ottobre 1951, il ritorno di Churchill a Downing Street, residenza dei primi ministri inglesi, non fermò tale flusso: tra il 1949 e il 1953, la CIA versò agli unionisti l’equivalente di più di 15 milioni d’euro, incaricandoli di distribuirne una parte anche ai rivali della Federazione, la tendenza di destra del federalismo francese, che poi in seguito riversò la propria quota all’UEF. (…)
Per Frenay, era chiaro: l’Europa federale costituiva ormai il solo scudo efficace contro l’espansionismo comunista. Ma come andare avanti quando la frusta della guerra fredda mancava così crudelmente? L’UEF non era ricca. Il suo presidente ancor meno, la cui onestà era nota a tutti, dopo il suo passaggio al ministero dei Prigionieri, Deportati e Rifugiati, Frenay, vecchio ufficiale di carriera senza fortuna personale, abbandonò l’esercito sulla base della legge Diethelm sul disimpegno dei quadri. Come ai tempi dell'”affare svizzero”, la salvezza finanziaria arrivò dall’alleato statunitense? Si, assicurarono nell’estate del 1950 gli uomini dell’ACUE a un rappresentante francese dell’UEF in visita a New York. Conforme alla posizione ufficiale del governo statunitense in favore dell’integrazione europea, il loro aiuto non venne sottomesso ad alcuna contropartita politica o altro, conditio sine qua non agli occhi di Henri Frenay. E di fatto, a partire da novembre 1950, l’ACUE finanziò segretamente con circa 600000 euro una delle iniziative maggiori di Frenay e dei federalisti di sinistra: la creazione a Strasburgo, in parallelo all’ufficiale Consiglio d’Europa, di un Congresso dei popoli europei, chiamato Comitato europeo di vigilanza. Vi si associarono dei socialisti (Edouard Depreux), religiosi (padre Chaillet, fondatore di Témoignage chrétien), sindacalisti, dei militanti della cooperazione, rappresentanti del patronato e anche… gaullisti come Michel Debré o Jacques Chaban-Delmas. Mal concepita mediaticamente, l’affare fallì poco. Ragione in più per accentuare il sostegno finanziario, opera del segretario generale dell’ACUE Thomas Braden. Noto per le sue opinioni liberali, questo amico del pittore Jackson Pollock non esitò quando Donovan, suo vecchio patrono all’OSS, gli domandò di lasciare la direzione del museo d’Arte moderna di New York.
Nel luglio 1951, Frenay viaggiò negli USA sotto gli auspici del Congresso per la libertà della cultura, un’organizzazione che ritroveremo presto. Occasione per incontrare i dirigenti del “Comitato” e della Fondazione Ford (ma non quelli della CIA con cui non avrà mai rapporti diretti) per informarli dei bisogni materiali dei federalisti. Messaggio ricevuto “5 su 5” dagli statunitensi… In quel momento Braden non comparve più tra i dirigenti ufficiali dell’ACUE. In virtù del principio dei vasi comunicanti, l’agente segreto esteta, infatti, raggiunse Dulles alla CIA. I due condivisero l’idea che di fronte ai comunisti non erano i conservatori da convincere, ma la sinistra antistaliniana europea, di cui Frenay costituiva uno dei maggiori rappresentanti. Braden andò lontano: “Come l’avversario organizzato nel Kominform, strutturiamo un piano mondiale per grandi settori di attività: intellettuali, giovani, sindacalisti riformisti, sinistra moderata..-” disse. D’accordo, rispose Dulles. Nacque così la Divisione delle organizzazioni internazionaliste della CIA. Diretta da Braden, tale direzione centralizzò, tra l’altro, l’aiuto della Compagnia via l’ACUE ai federalisti europei. Nel 1952, l’American Committee for United Europe finanziò così l’effimero Comitato d’iniziativa per l’assemblea costituente europea, di cui Spaak era presidente e Frenay segretario generale. Confusi con la “Federazione”, il loro rivale di destra che fungeva da intermediario per il versamento dei fondi CIA-ACUE tramite il movimento churchilliano, gli amici di Frenay collassarono. Per rispondere d’urgenza, Braden, virtuoso del finanziamento occulto tramite fondazioni private fasulle, questa volta attuò la procedura dei versamenti diretti ai federalisti di sinistra tramite dei terminali para-governativi statunitensi. A Parigi, perno delle operazioni della CIA in Europa assieme Francoforte, si operò coll’aiuto dell’Office of Special Representative, concepito in origine come interfaccia con la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca), o dell’US Information Service (USIS). In seguito, un ufficio dell’ACUE propriamente detto venne aperto.
Come Jean Monnet, presidente della Ceca, Frenay accarezzò nel 1952 l’idea di un esercito europeo, passo decisivo verso l’Europa politica, secondo lui. L’ACUE approvò caldamente. Previsto dal trattato di Londra del marzo 1952, questa Comunità europea di difesa avrebbe compreso, punto spinoso, dei contingenti tedeschi. Restava da ratificare il trattato dai parlamenti nazionali. Frenay s’impegnò con entusiasmo nella nuova lotta. Per scontrarsi, ancora una volta con de Gaulle, che rifiutò la CED a nome della sovranità nazionale e, già, del programma ultrasegreto della forza atomica francese, così che coi comunisti, ostili per principio a tutto ciò che era contrario a Mosca. Altri elementi raccolti da Robert Belot, la biografia del capo di Combat doveva uscire per le edizioni Seuil, Frenay domandò all’ACUE di finanziare l’edizione di un opuscolo che rifiutava le… tesi gaulliste sulla CED. Stalin morì nel marzo 1953. L’anno dopo, Cord Meyer Jr, amico della famiglia Kennedy, sostituì Braden alla testa della divisione delle organizzazioni internazionali della CIA. Ma il 1954 vide lo scacco cocente degli europeisti: l’affossamento definitivo della CED. Scoraggiato, Frenay abbandonò allora la presidenza dell’Unione europea dei federalisti. Dall’ottobre 1955, gli “amici americani” affidarono le loro speranze su un nuovo venuto, il Comitato d’azione per gli Stati Uniti d’Europa di Jean Monnet. Legato a Donovan e soprattutto all’ambasciatore USA a Parigi, David Bruce, amico di Franck Wisner, Monnet era un fine conoscitore del mondo anglosassone per accettare direttamente i dollari della CIA. Tenuto conto della sua prudenza da sioux, l’aiuto statunitense alla sua corrente europeista seguì altre vie. Nel 1956, Monnet si vide così proposto l’equivalente di 150000 euro dalla Fondazione Ford. Una offerta che declinò, preferendo che i soldi venissero versati al professore Henri Rieben, economista e universitario svizzero europeista che fu incaricato della missione dagli Alti Studi di Losanna. Rieben utilizzò tali fondi con totale trasparenza finanziaria per creare un Centro di ricerche europeo.
Nel 1958, il ritorno del Generale de Gaulle, radicalmente ostile alle tesi federaliste, annichilì le ultime speranze dell’UEF e dei suoi amici nordamericani. Dissoluzione dell’ACUE dal maggio 1960 e poi cessazione dei finanziamenti occulti dalla CIA seguirono. In dodici anni, la Compagnia versò agli europeisti l’equivalente di 50 milioni di euro senza essere mai presa con le mani nel sacco! Ma poté preservare per molto il grande segreto? Il primo allarme suonò nel 1962. Troppo precisa sui finanziamenti statunitensi, una tesi universitaria sui movimenti europeisti fu “affossata” d’urgenza in Regno Unito. Questo notevole lavoro era opera di un compagno di lotta di Frenay, Georges Rebattet, creatore nell’aprile 1943 del Servizio nazionale dei Maquis. Georges Rebattet, il successore nel 1952 di Joseph Retinger a segretario generale do un movimento europeo che finanziava in buona parte.
Seconda scossa a metà degli anni ’60. Il New York Times e la rivista Ramparts si concentrarono su una delle filiazioni del “trust” Braden-Meyer, il Congresso per la libertà della cultura dove si riunivano gli intellettuali antitotalitari europei di alto profilo: Denis de Rougemont, Manhès Sperber, Franz Borkenau, Ignazio Silone, Arthur Koestler, Malraux e Raymond Aron. Finanziato dalla CIA attraverso la Fondazione Fairfield, il Congresso pubblicç una delle sue riviste più prestigiose, “Preuves”. Giocando alla trasparenza, Braden gettò la copertura; “Sono fiero che la CIA sia immorale”, dichiarò nel 1967 al giornale inglese Saturday Evening Post, cui affidò rivelazioni sensazionali sul finanziamento occulto della CIA al Congresso per la libertà e sul ruolo di Irving Brown nei sindacati. Silenzio radio, al contrario, sul sostegno ai movimenti europeisti, segreto dei segreti…
Ultima eco dal giugno 1970, quando il conservatore inglese europeista Edward Heath arrivò a Downing Street. Su sua richiesta, l’Information Research Department lanciò una vasta campagna per pubblicizzare, in modo occulto, l’europeismo nei media e presso i politici inglesi. Nel 1973, il Regno Unito entrò nel Mercato Comune; il 5 giugno 1975, il 67,2% degli elettori inglesi ratificò la decisione con un referendum. Su questo rovesciamento della tendenza in favore dell’Europa, un uomo si gettò anima e corpo: nientemeno che il capo della stazione della CIA di Londra, Cord Meyer Jr.; il buon vecchio Cord sostituì vent’anni dopo il compare Braden alla testa della Divisione delle organizzazioni internazionali della Compagnia.
*Specialista di Storia contemporanea, Rémi Kauffer è autore di molti testi e ultimamente di “OAS, histoire d’une guerre franco-française” (Seuil).
Traduzione di Alessandro Lattanzio
I TERRORISTI PRESENTI A IDLIB TRAMANO ANCORA ATTACCHI FALSE FLAG CHIMICI
I terroristi di Hayat Tahrir al-Sham (ex Jabhat al-Nusra, il ramo siriano di al-Qaeda), che controllano la maggior parte della zona di disallentamento Idlib della Siria, non rinunciano a mettere in scena attacchi falsi con armi chimiche contro civili, russi. La portavoce degli esteri Maria Zakharova ha comunicato:
"Le tensioni attorno alla zona di de-escalation di Idlib non sono in declino", ha detto. "I militanti dell'alleato di al-Nusra Hay'at Tahrir al-Sham, stanno conducendo uno show, non solo coprono gli insediamenti vicini quotidianamente, ma stanno anche costruendo attivamente i loro contingenti vicino alla linea di contatto con le forze governative siriane".
La Zakharova ha espresso serie preoccupazioni per le notizie in arrivo secondo cui i terroristi "non hanno abbandonato gli sforzi per inscenare un attacco chimico contro i civili". Ha aggiunto che secondo i rapporti, un gruppo di membri dei Caschi Bianchi ha preparato degli ospedali a Idlib per filmare queste provocazioni in anticipo.
Le preoccupazioni di Mosca, Damasco e Teheran sui preparativi di attacchi chimici nella zona de-escalation di Idlib sono su base costante. Tuttavia, questa minaccia non può essere rimossa finché l'area rimane nelle mani dei terroristi.
Gli avrebbe dato un pugno in faccia? Alla GMG di Panama blasfemia contro la SS. Vergine!
CHE SPETTACOLO ABERRANTE E DESOLANTE! SOPRATTUTTO IL CLERO COMPIACIUTO!!! DOVE SIAMO ARRIVATI?!!!!
Blasfemia allo stato puro: la Vergine Santa una di noi…. che DUBITA della chiamata di Dio e l’Arcangelo che intona un rep per convincerla…. la pagheranno cara che siano MALEDETTI!!! giocate pure coi fanti, ma lasciate stare i santi, non sono io a maledire nessuno, ma la loro blasfemia a far “dire-male” di ciò che hanno fatto e di un vescovo di Roma compiacente…. e soddisfatto. Però disse che se qualcuno avesse osato parlar male di sua madre gli avrebbe dato un pugno in faccia… Non sarebbe ora di mettere in pratica il suo insegnamento?
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