La notte prima che il capo dell’opposizione venezuelana Juan Guaidó si autoproclamasse presidente ad interim, il vicepresidente degli Stati Uniti Mike Pence lo chiamò promettendogli il sostegno del governo degli Stati Uniti nel tentativo di prendere il potere. Abbastanza sicuro, il 23 gennaio, davanti a una grande manifestazione dell’opposizione, Guaidó si dichiarava presidente ad interim del Paese sudamericano avviando un complotto in gestazione da settimane. Gli Stati Uniti ancora una volta giocano col fuoco nell’ultimo sforzo per impegnarsi nel cambio di regime in Venezuela. Tuttavia, non solo gli Stati Uniti sono coinvolti nella cospirazione per scacciare il governo democraticamente eletto di Nicolas Maduro. Poco dopo la dichiarazione di Guaidó, in ciò che suggeriva un certo coordinamento , una serie di Paesi emise immediatamente dichiarazioni che lo sostenevano pubblicamente. Uno dopo l’altro i governi di destra nella regione, tra cui Colombia, Cile e Brasile, affermavano il loro sostegno a Guaidó. L’ondata del sostegno nelle ore successive alla proclamazione di Guaidó suggeriva che la trama golpista avesse avuto un impulso. Poi, in un varco in ciò che sembrava essere un fronte unito, il portavoce del governo messicano di Andres Manuel Lopez Obrador dichiarava che non riconosceva Juan Guaidó e manteneva le relazioni diplomatiche col governo di Nicolas Maduro. Con la dichiarazione del Messico, la facciata spacciata al pubblico, che tale transizione era legittima e non era un colpo di Stato, crollava. Numerosi altri Paesi, tra cui Russia e Cina, andavano contro il tentativo incostituzionale di Guaidó di prendere il potere, sventando i piani di Washington di installare un regime amico in Venezuela.
AMLO, come è noto il presidente messicano, è stato oggetto di pesanti critiche da parte di guru, molti dei quali affermavano di non essere al passo degli alleati del Messico nella regione e che il suo governo sarebbe stato trattato come un paria di conseguenza. L’amministrazione di sinistra di Lopez Obrador è già un po’ isolata, col voto nella regione negli ultimi anni che ha portato all’elezione di governi di destra filo-USA. L’elezione di AMLO nel 2018 contraddiceva tale tendenza, ma il Messico è ancora solo uno dei pochi Paesi dell’America Latina con una politica estera indipendente che rimane disposta ad andare contro la volontà di Washington. Tuttavia, AMLO presiede la seconda economia dell’America Latina ed è tradizionalmente considerata come una dei pesi massimi diplomatici, rendendo difficile ignorare le posizioni del suo governo.
Una politica estera di principio
Lopez Obrador ha difeso la decisione di continuare a riconoscere Maduro come legittimo presidente del Venezuela, indicando la costituzione messicana, che invita il Paese a perseguire una posizione non interventista negli affari esteri. Secondo Christy Thornton, assistente alla Johns Hopkins University, la cui ricerca riguarda storia e sociologia di Messico ed America Latina, la posizione di AMLO rappresenta “una posizione di principio nella politica estera” e “un importante baluardo”. Piuttosto che rappresentare un distacco dalla politica estera messicana, come sostenevano certi commentatori, Thornton sosteneva che la posizione non interventista di Lopez Obrador segna il ritorno alla posizione tradizionale messicana negli affari esteri, che affonda le radici nella rivoluzione messicana degli inizi del XX secolo. Questa posizione non interventista divenne nota come Dottrina Estrada, da Genaro Estrada, segretario degli Esteri durante la presidenza di Pascual Ortiz Rubio, che fece del rispetto per la sovranità pilastro della politica estera messicana per decenni prima che una serie di governi neoliberali allineassero la loro politica estera a quella di Washington. Il governo di Lopez Obrador lavora per evitare di provocare lo scontro diretto col governo Trump, nonostante vari problemi latenti e differenze ideologiche tra i due leader. Tuttavia, nel caso del Venezuela, Lopez Obrador si rifiutava di seguire Washington. Thornton aveva detto a MintPress: “AMLO cerca di ritagliarsi uno spazio autonomo per la politica estera che segnali agli Stati Uniti, in particolare, che il Messico non li seguirà assiduamente, ma cercherà anche di affermare quale sia la legittimità democratica in America Latina”. Invece di isolare il Messico, la posizione di AMLO ne alza il profilo, visto che Maduro ne accettava la proposta di dialogo tra il suo governo e l’opposizione.
Più che un suggerimento del “Prima sono venuti per..”
Con un vicino ostile al nord che si mostra disposto a perseguire il cambio di regime, il presidente messicano cerca anche di garantire che i principi del non intervento e del rispetto della sovranità siano mantenuti verso il suo governo. “C’è la lunga storia del Messico che interviene in ambito internazionale per segnalare non solo la propria posizione nella regione, ma anche ai propri collegi elettorali nazionali”, secondo Thornton. Rifiutando di abbandonare Maduro, AMLO ha anche chiarito al Messico e alla comunità internazionale che il suo governo non tollera interferenze negli affari interni del Messico. A una dimostrazione a sostegno di Maduro di fronte l’ambasciata nordamericana a Città del Messico, i relatori non solo respinsero gli sforzi di Washington per estromettere il presidente del Venezuela, ma anche elogiavano la posizione di AMLO. “Questo è solo un altro anello della catena di interventi e la storia degli Stati Uniti dimostra che quando i popoli non impediscono l’aggressione contro altri popoli, questo ha un effetto domino”, aveva detto a MintPress Jesus Escamilla, che parlava al raduno. Per Escamilla la difesa del Venezuela è anche la difesa del Messico. “Ciò che è in gioco qui è il diritto di un Paese a decidere il proprio destino, questo è ciò che vogliamo per il Messico, nient’altro”, aveva detto Escamilla.
Un colpo di stato bloccato ma non sconfitto
Nonostante le battute d’arresto, Stati Uniti di alleati di destra non abbandonavano l’intenzione di estromettere il governo Maduro in Venezuela. I funzionari statunitensi annunciavano un’altra serie di dure sanzioni, molte sull’industria petrolifera venezuelana, la principale fonte di reddito del Paese. È probabile che tali sanzioni puniscano ulteriormente l’economia già maltrattata del Venezuela, portando a ulteriori sofferenze per la popolazione. L’amministrazione Trump aveva anche presentato personaggi dal noto passato oscuro, come Elliot Abrams come inviato speciale in Venezuela. Abrams era l’uomo di punta di Washington in America Centrale quando gli Stati Uniti sostenevano regimi brutali, fornendo copertura diplomatica agli squadroni della morte che operavano col consenso degli Stati Uniti; si era persino dichiarato colpevole per aver mentito al Congresso sullo scandalo Iran-Contra. All’Organizzazione degli Stati americani (OAS), attualmente guidata da Luis Almagro, un accanito oppositore di Maduro, gli Stati Uniti non potevano ottenere voti sufficienti per convincere l’ente a riconoscere Guaidó presidente del Venezuela. Secondo Thornton, gli Stati Uniti “usano tali istituzioni multilaterali quando servono e li ignora quando bloccano l’azione degli Stati Uniti”. Invece, le pressioni internazionali sul governo di Maduro verranno dal gruppo di Lima, organismo ad hoc che non ha posizione legale nel diritto internazionale, creato dai governi di destra nella regione dopo ripetuti fallimenti nell’ottenere che l’OAS sostenesse formalmente il loro piano di cambio di regime. Il governo di Andres Manuel Lopez Obrador ha ereditato il posto nel gruppo di Lima dopo il cambio del potere a dicembre e portato la posizione non interventista anche lì, rifiutando di firmare le dichiarazioni anti-Maduro emesse dall’organismo. “La spaccatura che il Messico ha inflitto al gruppo di Lima… è una dimostrazione importante che ogni Paese ha la propria voce e il proprio voto in queste istituzioni multilaterali”, aveva detto Thornton a MintPress che sosteneva che il governo messicano rischia scommettendo su una risoluzione diplomatica della crisi venezuelana, ma che rafforzerà le istituzioni multilaterali nella regione in caso di successo: “Il Messico chiede che questo venga rallentato, perché sia negoziato diplomaticamente, è una mossa davvero importante ed è qualcosa che l’amministrazione AMLO coglie per dimostrare fiducia nella democrazia e nel sistema internazionale. C’è il pericolo che, man mano che la situazione si deteriori, la decisione del Messico di non essere d’accordo con gruppo di Lima e Stati Uniti nel non riconoscere Guaidó sia vista come emarginazione nella regione”.
Funzionari statunitensi, incluso lo stesso presidente Trump, insistevano sull’opzione militare rimanere sul tavolo. In effetti, il Consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton fu visto con note che suggerivano che gli Stati Uniti considerassero la possibilità d’inviare 5000 soldati dal confine della Colombia. L’intervento militare straniero rappresenterebbe una battuta d’arresto significativa nelle relazioni internazionali in America Latina; segnerà un ritorno a un’era oscura in cui golpe ed invasioni erano comuni; e costituirà un pericoloso precedente che minaccerà ogni governo della regione che rifiuta di inchinarsi a Washington, incluso il Messico. Come in Venezuela, tuttavia, tale interferenza sarà affrontata da una forte resistenza in Messico. Come Jesus Escamilla aveva detto a Mint Press: “In Messico c’è un popolo con memoria storica, nella sua storia ha subito vari interventi e il popolo del Messico ha sempre risposto correttamente, in modo patriottico, e non co sarà eccezione se gli Stati Uniti o qualsiasi altro Paese cercassero d’intervenire negli affari interni del Messico”.
José Luis Granados Ceja è uno scrittore e fotoreporter di Città del Messico. Ha scritto per teleSUR e Two Row Times e lavorato in radio come presentatore e produttore. Si è specializzato nell’analisi politica contemporanea e nel ruolo dei media nell’influenzare il pubblico. È particolarmente interessato a coprire il lavoro dei movimenti sociali e dei sindacati in America Latina.
Traduzione di Alessandro Lattanzio
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