Le forze governative siriane sono entrate nella città di Manbij, sul confine turco. Il comando siriano annunciava a Damasco che l’operazione derivava dall’impegno di “imporre la sovranità a ogni centimetro dei territori siriani e in risposta all’appello dei locali della città di Manbij”. L’annuncio ribadiva il duplice obiettivo di Damasco di “distruggere il terrorismo ed espellere gli invasori e gli occupanti dal suolo siriano”. Le truppe governative issavano la bandiera araba siriana a Manbij. Con una mossa molto significativa, il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov prontamente salutava gli sviluppi. “Senza dubbio, questo è un passo positivo verso la stabilizzazione della situazione”, dichiarava il portavoce, aggiungendo che l’espansione della zona controllata delle truppe del governo siriano “è una tendenza positiva”. È ovvio che Mosca mediava tra la leadership curda siriana e Damasco. Ci furono indicazioni che le delegazioni curde siriane avevano visitato Mosca così come la base militare russa di Humaymim in Siria. Un capo curdo di Manbij aveva detto a Reuters: “Vogliamo che la Russia svolga un ruolo importante per raggiungere la stabilità”. In effetti, Mosca non ha bisogno di suggerimenti da nessuno su questo. La portavoce del Ministero degli Esteri russo Marija Zakharova dichiarava, “La questione di fondamentale importanza è chi assumerà il controllo delle regioni che gli statunitensi lasceranno. Dovrebbe essere il governo siriano… Crediamo che il governo siriano sia attrezzato per mantenere la stabilità attraverso il dialogo e l’interazione con tutte le forze patriottiche nazionali. Questo dialogo nell’interesse di tutti i siriani può aiutare a completare la cacciata dei terroristi e precluderne la ricomparsa in Siria. È importante non interferire cogli sforzi della società siriana sulla pista politica”. Il fatto è che, mentre la Russia accoglie con favore la decisione di Trump di ritirare le truppe nordamericane dalla Siria e ritiene che sia “importante in quanto può promuovere una soluzione globale della situazione” Mosca rimane estremamente diffidente nei confronti di ciò che comporta. Finora, a una settimana dall’annuncio di Trump, Washington non aveva contattato Mosca per spiegare la decisione. Il Ministro degli Esteri Sergej Lavrov indicava questo mentre parlava ai media a Mosca: “Per quanto sappia… Washington vuole che i suoi partner della coalizione si assumano le responsabilità. Anche i militari francesi, inglesi e tedeschi vi sono schierati illegalmente. Naturalmente, ci sono anche le forze aeree della coalizione su cui vogliono imporre un ulteriore onere. Speriamo di ricevere spiegazioni specifiche… partendo dal presupposto che l’obiettivo finale di tutte le operazioni antiterrorismo in Siria è ripristinare sovranità ed integrità territoriale della Siria”.
L’ignoto noto sarà il termine di ogni accordo faustiano tra Washington e Ankara sul futuro dei territori siriani sotto il controllo nordamericano. Una delegazione militare statunitense è prevista ad Ankara. Mosca e Damasco (e curdi siriani) non escluderebbero la possibilità che i comandanti del Pentagono lavorai coi “neo-ottomani” incoraggiando segretamente il revanscismo turco. Nel frattempo ci sono notizie che le forze turche si avvicinavano al fronte di Manbij in “piena prontezza… ad avviare le operazioni militari per liberare la città”, secondo Reuters. Basti dire che Damasco e Mosca anticipavano Ankara nella corsa per Manbij. In altre parole, creava il fatto compiuto sul terreno che Ankara deve accettare od usare la forza militare per cambiarlo. Quest’ultimo corso è gravido di enormi rischi, oltre a scuotere fortemente l’intesa politica turco-russa sulla Siria. È improbabile che la Turchia si spinga oltre. Tuttavia, a mio avviso, il presidente turco Recep Erdogan difficilmente riuscirà ad evitare il Cremlino. Una delegazione turca di alto livello composta dal ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu, dal ministro della Difesa Hulusi Akar, dal capo dei servizi segreti turco Hakan Fidan e dal portavoce presidenziale Ibrahim Kalin doveva recarsi a Mosca. Senza dubbio, Mosca spera di coinvolgere Ankara in modo costruttivo. È interessante notare che, tra gli sviluppi drammatici riguardanti Manbij, il rappresentante speciale del presidente russo per il Medio Oriente e i Paesi africani, il Viceministro degli Esteri Mikhail Bogdanov, rivelava che gli Stati garanti del processo di Astana (Russia, Turchia e Iran) avranno un summit in Russia la prossima settimana, a seconda del programma dei tre presidenti.
Curiosamente, non vi era stata alcuna reazione da Washington agli sviluppi su Manbij. Le truppe nordamericane la pattugliavano col fronte tra Manbij e le città adiacenti occupate dai combattenti sostenuti dalla Turchia. Avendo ricevuto l’ordine da Washington di ritirarsi dalla Siria, i comandanti statunitensi locali nel nord-est della Siria saranno in imbarazzo. Ciononostante, sarà dura per i comandanti del Pentagono ingoiare i curdi siriani riconciliarsi all’improvviso con Damasco. Ciò foraggerà i detrattori di Trump negli Stati Uniti. In effetti, il cecchinaggio è già iniziato a Washington. D’altro canto, i curdi siriani, che fino a poco tempo prima erano i principali alleati degli Stati Uniti in Siria, dichiaravano apertamente di aver invitato le forze governative ad entrare a Manbij: “A causa delle minacce d’invasione dello Stato turco alla Siria settentrionale e di scacciarne il popolo come ad al-Bab, Jarablus e Ifrin, noi Unità di protezione del popolo, in seguito al ritiro delle nostre forze da Manbij, annunciamo che ci concentreremo sulla lotta allo SIIL su tutti i fronti a est dell’Eufrate”. La dichiarazione aggiunse che le forze del governo siriano sono “obbligate a proteggere il Paese, nazione e le frontiere” ed anche a proteggere Manbij dalle minacce turche. Lasciando la porta spalancata affinché le forze governative siriane finalmente riprendano il controllo del territorio lasciato libero dagli Stati Uniti. Assad offriva l’integrazione dei combattenti curdi nell’Esercito arabo siriano in reggimenti distinti. Le prospettive sono che l’offerta di Assad sarà presto accettata dai curdi. C’è sempre stata una tacita convivenza tra i combattenti curdi siriani e le forze governative che operano nelle regioni settentrionali al confine con la Turchia. Si ricorderà che Assad discretamente aiutò i combattenti curdi a febbraio quando l’esercito turco attaccò la regione di Ifrin nel nord-ovest a febbraio.
Chiaramente, non ha senso dire che i curdi sono stati “mollati”, come sostengono i critici di Trump negli Stati Uniti. La pura verità è che gli Stati Uniti illusero i curdi che la creazione di un altro Kurdistan nel territorio siriano, come in Iraq, potesse avere una possibilità. Ma, fondamentalmente, i curdi si riconcilieranno con Damasco. Anche l’accordo tra curdi e russi è apprezzabile, storicamente. Mosca ha costantemente ritenuto che i curdi debbano essere rappresentati ai negoziati in ogni processo di pace intra-siriano. La rapidità con cui i curdi iniziavano a riparare i legami con Damasco sottolinea solo che non si fidavano mai degli statunitensi mantenendo aperte le opzioni.
L’ignoto noto sarà il termine di ogni accordo faustiano tra Washington e Ankara sul futuro dei territori siriani sotto il controllo nordamericano. Una delegazione militare statunitense è prevista ad Ankara. Mosca e Damasco (e curdi siriani) non escluderebbero la possibilità che i comandanti del Pentagono lavorai coi “neo-ottomani” incoraggiando segretamente il revanscismo turco. Nel frattempo ci sono notizie che le forze turche si avvicinavano al fronte di Manbij in “piena prontezza… ad avviare le operazioni militari per liberare la città”, secondo Reuters. Basti dire che Damasco e Mosca anticipavano Ankara nella corsa per Manbij. In altre parole, creava il fatto compiuto sul terreno che Ankara deve accettare od usare la forza militare per cambiarlo. Quest’ultimo corso è gravido di enormi rischi, oltre a scuotere fortemente l’intesa politica turco-russa sulla Siria. È improbabile che la Turchia si spinga oltre. Tuttavia, a mio avviso, il presidente turco Recep Erdogan difficilmente riuscirà ad evitare il Cremlino. Una delegazione turca di alto livello composta dal ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu, dal ministro della Difesa Hulusi Akar, dal capo dei servizi segreti turco Hakan Fidan e dal portavoce presidenziale Ibrahim Kalin doveva recarsi a Mosca. Senza dubbio, Mosca spera di coinvolgere Ankara in modo costruttivo. È interessante notare che, tra gli sviluppi drammatici riguardanti Manbij, il rappresentante speciale del presidente russo per il Medio Oriente e i Paesi africani, il Viceministro degli Esteri Mikhail Bogdanov, rivelava che gli Stati garanti del processo di Astana (Russia, Turchia e Iran) avranno un summit in Russia la prossima settimana, a seconda del programma dei tre presidenti.
Curiosamente, non vi era stata alcuna reazione da Washington agli sviluppi su Manbij. Le truppe nordamericane la pattugliavano col fronte tra Manbij e le città adiacenti occupate dai combattenti sostenuti dalla Turchia. Avendo ricevuto l’ordine da Washington di ritirarsi dalla Siria, i comandanti statunitensi locali nel nord-est della Siria saranno in imbarazzo. Ciononostante, sarà dura per i comandanti del Pentagono ingoiare i curdi siriani riconciliarsi all’improvviso con Damasco. Ciò foraggerà i detrattori di Trump negli Stati Uniti. In effetti, il cecchinaggio è già iniziato a Washington. D’altro canto, i curdi siriani, che fino a poco tempo prima erano i principali alleati degli Stati Uniti in Siria, dichiaravano apertamente di aver invitato le forze governative ad entrare a Manbij: “A causa delle minacce d’invasione dello Stato turco alla Siria settentrionale e di scacciarne il popolo come ad al-Bab, Jarablus e Ifrin, noi Unità di protezione del popolo, in seguito al ritiro delle nostre forze da Manbij, annunciamo che ci concentreremo sulla lotta allo SIIL su tutti i fronti a est dell’Eufrate”. La dichiarazione aggiunse che le forze del governo siriano sono “obbligate a proteggere il Paese, nazione e le frontiere” ed anche a proteggere Manbij dalle minacce turche. Lasciando la porta spalancata affinché le forze governative siriane finalmente riprendano il controllo del territorio lasciato libero dagli Stati Uniti. Assad offriva l’integrazione dei combattenti curdi nell’Esercito arabo siriano in reggimenti distinti. Le prospettive sono che l’offerta di Assad sarà presto accettata dai curdi. C’è sempre stata una tacita convivenza tra i combattenti curdi siriani e le forze governative che operano nelle regioni settentrionali al confine con la Turchia. Si ricorderà che Assad discretamente aiutò i combattenti curdi a febbraio quando l’esercito turco attaccò la regione di Ifrin nel nord-ovest a febbraio.
Chiaramente, non ha senso dire che i curdi sono stati “mollati”, come sostengono i critici di Trump negli Stati Uniti. La pura verità è che gli Stati Uniti illusero i curdi che la creazione di un altro Kurdistan nel territorio siriano, come in Iraq, potesse avere una possibilità. Ma, fondamentalmente, i curdi si riconcilieranno con Damasco. Anche l’accordo tra curdi e russi è apprezzabile, storicamente. Mosca ha costantemente ritenuto che i curdi debbano essere rappresentati ai negoziati in ogni processo di pace intra-siriano. La rapidità con cui i curdi iniziavano a riparare i legami con Damasco sottolinea solo che non si fidavano mai degli statunitensi mantenendo aperte le opzioni.
Traduzione di Alessandro Lattanzio