“Dal 5G danni permanenti anche dopo brevi esposizioni!” Ricerca svizzera conferma il pericolo, minimizzato dall’Istituto Superiore di Sanità.
5G da paura, colmato il vuoto sulle preliminari valutazioni del possibile rischio sanitario: adesso non si può parlare di radiofrequenze inedite e inesplorate, perché dalla scienza più aggiornata arriva la conferma, temuta dal fronte precauzionista che, in nome del principio di precauzione, continua ad invocare una moratoria: oltre che non sicuro, il 5G può pure causare danni permanenti alla pelle umana anche dopo esposizioni di breve periodo.
Nero su bianco, l’allarme è sul numero di Dicembre 2018 (volume 115) dell’accreditata rivista medica Health Physics della Health Physics Society (dagli anni ’50 fa ricerca su radiazioni, uomo e possibili applicazioni sanitarie). Il titolo dello studio è “Derivazione sistematica dei limiti di sicurezza per l’esposizione a radiofrequenza 5G variabile in base al tempo basata su modelli analitici e dosi termiche”. L’analisi è stata condotta dagli svizzeri Esra Neufeld (Foundation for Research on Information Technologies in Society di Zurigo) e Niels Kuster (Swiss Federal Institute of Technology sempre a Zurigo). Da Settembre era su PubMed (motore di ricerca gratuito di letteratura scientifica biomedica), ma solo dopo la pubblicazione in peer-reviewed sulla rivista statunitense se ne comprende rilevanza e portata, incalzante il 5G.
Systematic Derivation of Safety Limits for Time-Varying 5G Radiofrequency Exposure Based on Analytical Models and Thermal Dose: https://journals.lww.com/health-physi...
Extreme broadband wireless devices operating above 10 GHz may transmit data in bursts of a few milliseconds to seconds. Even though the time- and area-averaged power density values remain within the acceptable safety limits for continuous exposure, these bursts may lead to short temperature spikes in the skin of exposed people. In this paper, a novel analytical approach to pulsed heating is developed and applied to assess the peak-to-average temperature ratio as a function of the pulse fraction α (relative to the averaging time [INCREMENT]T; it corresponds to the inverse of the peak-to-average ratio). This has been analyzed for two different perfusion-related thermal time constants (τ 1 = 100 s and 500 s) corresponding to plane-wave and localized exposures. To allow for peak temperatures that considerably exceed the 1 K increase, the CEM43 tissue damage model, with an experimental-data-based damage threshold for human skin of 600 min, is used to allow large temperature oscillations that remain below the level at which tissue damage occurs. To stay consistent with the current safety guidelines, safety factors of 10 for occupational exposure and 50 for the general public were applied. The model assumptions and limitations (e.g., employed thermal and tissue damage models, homogeneous skin, consideration of localized exposure by a modified time constant) are discussed in detail. The results demonstrate that the maximum averaging time, based on the assumption of a thermal time constant of 100 s, is 240 s if the maximum local temperature increase for continuous-wave exposure is limited to 1 K and α ≥ 0.1. For a very low peak-to-average ratio of 100 (α ≥ 0.01), it decreases to only 30 s. The results also show that the peak-to-average ratio of 1,000 tolerated by the International Council on Non-Ionizing Radiation Protection guidelines may lead to permanent tissue damage after even short exposures, highlighting the importance of revisiting existing exposure guidelines. Help us caption & translate this video! https://amara.org/v/mh6H/
Morti bianche: 300 neonati ogni anno, in Italia, muoiono “in culla”. Uno su mille.
Si chiama Sids, sindrome da morte infantile improvvisa (Sudden Infant Death Syndrome).
Il sistema sanitario, accusa il naturopata Marcello Pamio, sottovaluta il problema: «Poco importa se tutti i bambini morti in culla hanno sempre fatto le vaccinazioni qualche giorno o qualche settimana prima».
Casi archiviati come coincidenze, fatalità.
Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, la Sids «colpisce i bambini tra un mese e un anno di età», cioè nel periodo in cui vengono fatti i primi inoculi.
A riferire di questa “strage silenziosa” è un giornale come “Il Gazzettino”: il 25 maggio 2016, il quotidiano di Venezia titola: “Vaccini, bimba a due mesi muore nel sonno a Torino dopo esavalente”. Sempre per l’Istituto Superiore di Sanità, «dopo le malformazioni congenite, la Sids è la causa principale di morte post-neonatale negli Stati Uniti».
Secondo il National Vital Statistics Report del 2004, «l’incidenza della Sids è di circa 1,7 per mille nati vivi. Dati simili sembrano essere registrati anche in Europa. In Italia, la stima fornita dal centro di riferimento della Regione Lombardia, è di 1 su 1000 nati vivi».
Quindi in Italia vi sarebbe un morto ogni mille bambini nati, sintetizza Pamio sul blog “Riflessioni”, in cui segnala il bugiardino del vaccino trivalente “Tripedia” per difterite-tetano-pertosse. Secondo Sanofi-Pasteur, «la percentuale di morti in culla, secondo alcuni studi osservazionali, negli Stati Uniti (periodo dal 1985 al 1991) è pari a 1,5 bambini ogni 1000 nati, mentre in Germania è di circa 0,4». Sempre dal bugiardino del trivalente Tripedia: «In uno studio caso-controllato tedesco e in uno studio di sicurezza negli Stati Uniti, su 14.971 neonati che hanno ricevuto il vaccino Tripedia ne sono morti 13».
Quindi, sottolinea Pamio, 13 morti su circa 15.000 neonati significa una percentuale pari a 0,86 morti per ogni 1000 nati. «In Italia sono nati nel 2016 circa 470.000 bambini.
Se la percentuale di mortalità del Tripedia è di circa 0,86/1000 nati, tenuto conto che da noi sono nati 470.000 l‘anno scorso, il vaccino se ne è portati via circa 400. Morti per cosa? Da Sids, ovviamente, ma non solo. Almeno 300 ne muoiono per Sids ogni anno, ma se teniamo conto che non è l’unica causa di morte, si fa presto ad ottenere le cifre riportate».
Ancora il bugiardino del Tripedia segnala che «gli eventi avversi riportati durante l’uso post-approvazione del vaccino Tripedia includono: porpora trombocitopenica idiopatica, Sids, reazione anafilattica, autismo, convulsione, encefalopatia, ipotonia, neuropatia, sonnolenza e apnea».
Lo dicono gli stessi produttori dei vaccino, commenta Pamio: «Lo mettono nero su bianco nel bugiardino», mentre da noi «i grandi medici e la grande scienza ufficiale negano con tutte le forze e con ogni mezzo la correlazione tra vaccini-autismo e la correlazione tra vaccini-Sids.
Beata ignoranza e soprattutto malafede, e intanto i bambini continuano a morire».
Pamio definisce “olocausto” la morte in massa dei neonati, e sollecita un’azione legale, da parte della magistratura, per accertare eventuali responsabilità delle autorità italiane, per esempio «il ministro della salute, il direttore dell’Istituto Superiore di Sanità e il direttore dell’Aifa, nonché il presidente della Repubblica che ha firmato e avvallato la conversione del decreto in legge», quello sui 10 vaccini obbligatori voluto dalla “ministra” Beatrice Lorenzin. Se l’Italia è un caso unico al mondo per il numero di vaccini resi obbligatori, conclude Pamio, ha viaggiato a lungo in direzione esattamente opposta (e con ottimi risultati) il Giappone, che ha cambiato il calendario d’inizio per la vaccinazione «spostandolo dai tre mesi a due anni». Risulato: «Subito il loro tasso di Sids è crollato. Come mai?».
E’ un fatto: al ritardo della vaccinazione “trivalente” Dpt (difterite-pertosse-tetano) posticipata all’età successiva ai 2 anni, ha corrisposto «un drastico calo di effetti collaterali». Nel periodo 1970-1974, quando la vaccinazione Dpt veniva effettuata dai 3 a 5 mesi di età, il Giappone erogò indennizzi per ben 57 casi gravi di bambini danneggiati da vaccino (danni permanenti) e 37 bambini morti. Durante il periodo 1975-1980, quando le iniezioni di Dpt venivano effettuate in ritardo, le gravi reazioni al vaccino sono state ridotte a un totale di tre morti. Il che significa una enorme riduzione – dall’85 al 90% – dei casi più gravi di danni, fino alla “morte bianca”. E ancora: «Nel 1988 il governo giapponese raccomandò la non-vaccinazione fino a due anni di età».
La Sids però è ricomparsa, anche in Giappone, «da quando il governo è tornato a raccomandare le vaccinazioni a tre mesi», come afferma la dottoressa Viera Scheibner sul “New England Journal of Medicine”.
terranuova.it - Mentre si attende che il 5G colonizzi il paese ed estenda a tappeto l'esposizione della popolazione all'elettrosmog, si fa sempre più attuale l'appello con cui, profeticamente già nel 2017, 170 scienziati indipendenti avevano chiesto alle istituzioni dell’Unione Europea di bloccare lo sviluppo della tecnologia 5G in attesa che si accertassero i rischi per la salute umana. Dal 2019, se non accadranno fatti tali da far invertire la marcia al governo, la popolazione intera sarà esposta alle radiazioni elettromagnetiche sempre più capillari del 5G, che avrà antenne e micro-antenne ovunque, a prescindere dal principio di precauzione.
Si fa sempre più attuale e urgente, dunque, l'appello lanciato già nel 2017 da 170 scienziati indipendenti, i cui primi firmatari sono stati Rainer Nyberg, EdD, proferrore emerito della Åbo Akademi in Finlandia, e Lennart Hardell, docente al Dipartimento di Oncologia della Facoltà di medicina di Orebro in Svezia. Poi sono seguite le firme di altre decine e decine di scienziati. L'appello continua achiedere alle istituzioni dell’Unione Europea di bloccare lo sviluppo della tecnologia 5G in attesa che si accertino i rischi per la salute per i cittadini europei. E lo fa con il pieno sostegno dell'associazione AMICA, l'Associazione per le Malattie da Intossicazione Cronica e/o Ambientale che da anni si batte su questo fronte.
«Serviranno molte nuove antenne con un’implementazione su larga scala che in pratica si tradurrà in un’installazione di antenne ogni 10-12 case nelle aree urbane, aumentando così in modo massiccio l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici - dicono gli scienziati - Con "l’uso sempre più intensivo delle tecnologie senza fili" nessuno potrà evitare di essere esposto perché, a fronte dell’aumento di trasmettitori della tecnologia 5G (all’interno di abitazioni, negozi e negli ospedali) ci saranno, secondo le stime, "da 10 a 20 miliardi di connessioni" (frigoriferi, lavatrici, telecamere di sorveglianza, autovetture e autobus autoguidati, ecc.) che faranno parte del cosiddettoInternet delle Cose. Tutto questo potrà causare un aumento esponenziale della esposizione totale a lungo termine di tutti i cittadini europei ai campi elettromagnetici da radiofrequenza».
freeskies - non so voi ma credo che la battaglia pro o contro il 5G sarà decisiva. Soprattutto per verificare chi sta dalla parte dell'umanità e chi no.Il 5G èseduttivo, moderno ed anzi futuristico, affabile e coinvolgente, in una sola parola: satanico ed anticristico. La sua imposizione sulla popolazione inerme, e purtroppo assai poco consapevole, potrebbe apparire come un lavoretto facile, non bisogna però mai sottovalutare l'umanità. Mai. Siamo vicini allo scontro finale, il recinto materiale si sta chiudendo. Finché però anche una piccola porzione di umanità resterà vigile e consapevole, la guerra non potrà dirsi perduta. Agiamo e vedremo.
SE L'ITALIA E LA FRANCIA NON RIDONO, LA GERMANIA DEI LAVORATORI ARRANCA
Che le condizioni lavorative per chi è impiegato nella consegna dei pacchi non fossero buone lo si sapeva, ora lo certificano anche i dati della Bundesagentur für Arbeit. Ne parla la Süddeutsche Zeitung facendo riferimento ad un'interrogazione del parlamentare Pascal Meiser della Linke.
Nei servizi di consegna solo il 30 percento dei dipendenti ha svolto un tirocinio; il settanta per cento sono aiutanti senza formazione, per la maggior parte a tempo parziale o con un mini-job.
Oltre la metà degli aiutanti resta sotto la soglia della bassa retribuzione, ossia riceve in media meno di 10,50 € all'ora.
In realtà, la situazione probabilmente è anche peggiore. Perché la statistica non copre gli autisti indipendenti o addirittura i finti autonomi.
Guidano per ore, consegnando i pacchi fino sui tetti - e non di rado devono tornareperché non hanno trovato nessuno: secondo i dati della Bundesagentur für Arbeit più di 490.000 persone in Germania lavorano nei servizi postali e in quelli per la consegna. Ma soprattutto, per far arrivare in tempo i regali le società di consegna pacchi prima di Natale assumono migliaia di dipendenti. Il boom del commercio online ha creato molti posti di lavoro nella logistica, ma spesso le condizioni sono miserabili.
Solo il 30 percento dei dipendenti del settore ha terminato un periodo di formazione come lavoratore qualificato per i corrieri, i servizi espressi o postali. Il settanta per cento sono aiutanti senza formazione, per la maggior parte a tempo parziale o con un mini-job. Sono i dati contenuti nella risposta della Arbeitsagentur ad una interrogazione del parlamentare della Linke al Bundestag Pascal Meiser. Secondo i dati un aiutante a tempo pieno guadagna in media 2.044 euro lordi al mese. Più della metà rimane al di sotto della soglia del basso salario, e in media viene pagato meno di € 10,50 l'ora.
"Trovo inaccettabile che molti dipendenti vengano liquidati con una bassa retribuzione per un lavoro così duro", afferma Meiser. Anche se i lavoratori qualificati lavorano a condizioni migliori: due terzi sono impiegati a tempo pieno e guadagnano in media 2.601 euro lordi al mese. Cioè il 19 per cento in meno rispetto alla media tedesca. In realtà, la situazione probabilmente è ancora peggiore. La statistica non copre gli autisti indipendenti o addirittura autonomi. "Nella fornitura di servizi di consegna inoltre c'è un numero crescente di subappaltatori esteri con salari ancora più bassi", ha affermato Meiser. Il sindacato Ver.di ha rilevato in Germania un numero crescente di guidatori dall'est Europa.
In effetti, la DPD fa consegnare quasi tutti i pacchi da dei subappaltatori. Da Hermes solo il cinque percento dei corrieri lavora direttamente per l'azienda. Solo Deutsche Post e UPS fanno consegnare la maggior parte dei pacchi dai propri dipendenti.
In tempi di piena occupazione, tuttavia, per i servizi di consegna pacchi è sempre più difficile trovare dei conducenti. In molte zone sono costretti ad aumentare i salari. Questo è uno dei motivi per cui DPD ed Hermes dal prossimo anno aumenteranno le spese di spedizione. Hermes vuole pagare i subappaltatori abbastanza da fare in modo che questi possano offrire almeno 9,50 euro l'ora a tutti i corrieri, vale a dire un po' più del salario minimo di 8,84 euro lordi l'ora.
I servizi di consegna pacchi tuttavia sottolineano che non è consentito dettare ai propri subappaltatori con esattezza la paga oraria da corrispondere ai vettori. Le società seguirebbero i casi sospetti, solo nei casi in cui ai dipendenti dei subappaltatori non venga pagato nemmeno il salario minimo. Il sindacatoVer.di sottolinea inoltre che molti conducenti stranieri sono a malapena a conoscenza dei loro diritti in Germania.
Il sindacato chiede che lo stato aumenti i controlli sul rispetto del salario minimo di legge e degli orari di lavoro da parte delle aziende del settore. Inoltre Ver.di suggerisce che siano i servizi di consegna stessi ad essere responsabili per il pagamento da parte dei loro subappaltatori dei contributi per la sicurezza sociale dei vettori - come avviene comunemente nel settore delle costruzioni e della carne.
Un medico italiano è pioniere di innovative ricerche che dimostrano come le cellule tumorali possono essere riprogrammate e riportate a cellule normali utilizzando gli stessi linguaggi della natura. Dopo più di 30 anni di studi frutto della collaborazione con 23 università italiane, molti altri ricercatori internazionali stanno confermando la sua intuizione.
Le cellule possono essere riprogrammate, l’importante è conoscere e saper usare il corretto linguaggio con cui le cellule dialogano tra di loro. Sono queste le conclusioni a cui è giunto 10 anni fa, dopo 20 anni di ricerche, il professor Pier Mario Biava, medico e ricercatore presso l’I.R.C.C.S. MultiMedica, Milano. Temi questi di grandissima attualità, si tratta di uno dei filoni di ricerca oggi più studiato e i lavori di numerosi laboratori in tutto il mondo non fanno altro che confermare quest’intuizione.
L’intuizione di Biava nasce dall’aver osservato come durante le prime fasi dello sviluppo di un embrione, quando sono presenti solo cellule staminali totipotenti, è impossibile indurre un tumore con agenti esterni, mentre entrando in una fase più avanzata di sviluppo questo diviene possibile. In quelle prime fasi doveva esserci qualche meccanismo di controllo e riparazione che proteggeva l’embrione. Successivamente Biava ha confrontato le cellule tumorali con le staminali, che costituiscono per la maggior parte l’embrione, scoprendo che hanno molte analogie e cheentrambe si moltiplicano in maniera indifferenziata ed incontrollata; ad un certo punto però per le cellule staminali che costruiscono i tessutiinterviene un segnale che le indirizza verso un ben preciso percorso di differenziazione. Si originano così tutte le diverse cellule che compongono il nostro organismo: da quelle cardiache a quelle epatiche, da quelle epiteliali a quelle neuronali, eccetera. Per le tumorali non c’è un programma e crescono caoticamente creando i danni che conosciamo.
I fattori di differenziazione decidono il futuro della cellula: sana o cancerosa
Biava si domandò se il segnale che induce la cellula staminale a differenziarsi fosse lo stesso che protegge l’embrione nelle sue prime fasi di sviluppo. I suoi studi lo portarono a confermare questa ipotesi e a pubblicare già più di 25 anni fa il primo articolo scientifico che descriveva i meccanismi con i quali si possono riprogrammare le cellule.
Sono proprio i fattori presenti nei 5 stadi di differenziazione delle cellule staminali che determinano il destino delle cellule sane e patologiche. La scoperta tutta italiana del Dott. Biava rivela come sono costituiti i programmi informativi che differenziano le cellule staminali e il ruolo specifico di ciascuno di essi nella riparazione dei danni che causano le malattie degenerative e nell’attivazione dei geni che bloccano l’invecchiamento cellulare. Tutto ciò consente un innovativo processo di riprogrammazione cellulare.
PENSIAMOCI BENE. STIAMO FORSE MEGLIO DEI GILET GIALLI CHE VOGLIONO CACCIARE UN PRESIDENTE EUROCRATE ELITARIO E SIONISTA CHE VANTA MENTORI COME I ROTHSCHILD E JACQUES ATTALI QUALE MACRON? EPPURE BASTEREBBE UNIRE I GILET FOSFORESCENTI DEI LAVORATORI SOTTOPAGATI E SCHIAVIZZATI DELLE CONSEGNE A DOMICILIO, I NO-TAV, I NO-TAP, I NO-VAX, LE ASSOCIAZIONI DEI PENSIONATI TRUFFATI, DEGLI ESODATI, DEI DISILLUSI DALLA POLITICA CHE NEMMENO VOTANO PIU', I COMITATI DI TRUFFATI DALLE BANCHE, LE ASSOCIAZIONI DI TARTASSATI DA EQUITALIA, LE ASSOCIAZIONI ANTI-MUOS, ANTI-NATO ECC...ECC...E SAREMMO UN ESERCITO. AVETE ANCORA PAURA DI DARE UN FUTURO DEGNO AI VOSTRI FIGLI? ALLORA NON STATE LEGGENDO IL POST CHE FA PER VOI. CONTINUATE PURE A FARVI NARCOTIZZARE DAL GOSSIP E DAL CALCIO, MA POI NON VI LAMENTATE!
Come aggiustiamo un paese che non vuole essere aggiustato? Come possiamo rimediare a una situazione che è palesemente degenerata fino a portarci sull’orlo di un baratro?
Forse non è possibile. O almeno non lo è finché continuiamo a voler tenere la testa sotto la sabbia.
Ho scritto: un paese che non vuole essere aggiustato.
Ed è vero.
Ciò, però, non deve indurre al pensiero che sia la classe politica (chi legifera) il problema, perché essa è l’effetto prodotto dal nostro continuo silenzio-assenso.
Noi abbiamo accettato: un certo numero di promesse, un certo numero di idee, abbiamo chiuso gli occhi di fronte a lapalissiane storture e “perdonato” una serie infinita di deviazioni dal concetto principale, quello di far crescere il nostro paese. In una parola: compromessi.
È fondamentale comprendere che la prima responsabilità di quello che accade è nostra, perché senza questa consapevolezza continueremo ad aspettare l’arrivo di un salvatore che ci traini fuori dal fango in cui stiamo agonizzando. E ciò non avverrà mai.
Allora, come ribaltiamo la situazione?
Beppe Grillo, quando ancora faceva il comico satirico, disse una cosa che non abbiamo compreso: la politica è al servizio dello Stato e dei cittadini, non il contrario. Tenuto in debito conto questo concetto risulta semplice dedurre che non si può prendere per buone le parole della classe politica (tutta) quando afferma che “bisogna fare sforzi per risollevare il paese”, perché questi sforzi sono chiesti ai cittadini dello stato escludendo quelli che dovrebbero rispondere per primi a questa chiamata (la classe politica, appunto).
L’esempio di un’azienda risulta chiarificatore: un'azienda è un organo che a seguito di prestazioni (qualsiasi esse siano) riceve dei compensi. Su questi compensi gravano una serie di imposte e detrazioni fisse (stipendi dei lavoratori dell’azienda e altro) e una volta esaurite tutte le spese ciò che rimane è l’utile dell’azienda. Il guadagno. Se però l’azienda, nella figura dei suoi dirigenti e dei lavoratori, opera male e perde compensi, ne consegue che si deve cercare la responsabilità e quindi si deve individuare colui (o coloro) responsabile del cattivo andamento dell’azienda stessa. Normalmente questo comporta un licenziamento per i dirigenti e i lavoratori indicati come cause della perdita.
Ora che abbiamo fatto questo piccolo e banale esempio, pensiamo all’Italia come a una azienda e arriviamo al sospirato nocciolo della questione: se l’Italia va male perché è amministrata da anni in modo inefficace e improduttivo, perché a farne le spese devono essere i cittadini che non legiferano? Perché dovremmo essere noi a pagare per un cattivo funzionamento dello Stato quando non abbiamo voce in capitolo sulle leggi che vengono promulgate?
Appunto. E infatti qui si torna a bomba all’inizio: l’unica arma a nostra disposizione, finora, è stata la votazione. Le elezioni. Straordinario! Ma è vero che è l’unica arma? Ed è vero che l’abbiamo usata bene?
Fino a oggi per poter cambiare le cose (guida politica) abbiamo avuto le elezioni come sistema per far sentire la nostra voce. In realtà ciò che non ci è mai stato chiaro, nemmeno ora, è che l’èlite seduta in Parlamento è stata sempre quella e, soprattutto, che sembra esserci un virus che contagia i nuovi arrivati; prima di andare a sedersi sugli scranni sembrano battaglieri alfieri dei cittadini e dopo si trasformano in avvoltoi. Certo, si può obiettare che non si può applicare questa frase a tutti gli eletti, ma dal momento che la maggior parte si comporta in questo modo è lecito desumere che:
a) parecchi prima erano dei falsi onesti;
b) alcuni sono rimasti onesti ma vengono relegati a comparse o tartassati personalmente per “non nuocere al Sistema”.
Purtroppo, le prove a sostegno di un Parlamento viziato da meri interessi personali sono così tante che anche gli onesti parlamentari finiscono nel tritacarne del “sono tutti uguali” e non si può giudicare male il pensiero del cittadino se egli è portato a una simile considerazione.
Bene. È necessario, quindi, un cambiamento radicale. Possiamo esercitarlo con il voto? La risposta è no e il motivo è paradossale.
Nello sconfortante panorama politico le alternative di voto non sono molte. Quando siamo alle urne noi tendiamo a fare considerazioni di questo tipo (userò i colori per distinguere):
a) i bianchi sono stati al potere tanto tempo e non hanno cambiato nulla;
b) i rossi sono stati poco al potere, ma non hanno cambiato quasi niente;
c) i verdi non ci sono mai stati (al potere) e se si dimostrassero inadeguati farebbero più danno, quindi voterò o i bianchi o i rossi;
d) non voto nessuno;
e) (estremo) non vado a votare.
Questi sono i cinque “casi-tipo” dell’elettore medio. E come risulta chiaro, non se ne esce, perché l’unica cosa abbastanza ragionevole sarebbe di permettere ai verdi di poter dar prova della loro capacità di governare. Anche perché, qualora non fossero in grado, le opposizioni li farebbero a pezzi facendo cadere il governo e riportando il paese a nuove elezioni.
In ognuno di questi scenari il potere dei cittadini è legato a un voto, a una scheda e alle urne. Troppo poco per un paese completamente in mano alla corruzione in ogni ufficio, in ogni angolo e interstizio del mondo politico/parlamentare.
Quindi, abbiamo usato l’arma delle elezioni come potevamo e al meglio delle nostre (limitate) capacità di giudizio, supponendo che presto o tardi la legalità avrebbe vinto. Un’utopia.
L’altra arma che abbiamo in mano per tentare di portare coloro che governano a più miti consigli è colpire dove risulta più difficile fermarci. La produzione e il lavoro.
Ciò che noi chiamiamo “tasse” è un ingarbugliato sistema che raccoglie, in modo forzoso, del denaro dalle tasche di ogni cittadino (e di ogni azienda) e lo devolve alle casse dello Stato. Quel che viene fatto con queste tasse è un agglomerato spaventoso di cose, tra le quali ci sono anche gli stipendi dei “nostri amici parlamentari”.
È chiaro che bloccare la produzione significa, prima di tutto, danneggiare delle aziende, soprattutto quelle grandi. È un ostacolo che non è possibile aggirare e temere di essere “cattivi” agendo in questo modo è esattamente quello che vogliono farci credere.
È dalla produzione (in tutte le sue sfaccettature) che passa la gran parte delle risorse monetarie che finiscono nelle casse statali con le tasse e bloccando questo flusso si manda in stallo il Sistema, immaginandolo come un immenso groviglio di ingranaggi.
Per comprendere come può funzionare immaginate che per 72 ore le produzioni industriali, i servizi, le microimprese, si fermino. Immaginate che altrettanto facciano i fruitori (a pagamento) di tutta una serie di servizi (pubblici e privati). Cioè, qualche milione di lavoratori che rimangono a casa senza preavviso. Dai manager, ai tecnici specializzati, agli operai e ai commessi. E che gli avventori non si rechino ai soliti acquisti quotidiani per lo stesso tempo, 72 ore. Tutto fermo.
Quando si dice che il tempo è denaro… Provate a pensare al danno che si verrebbe a creare, in termini economici, per un simile stallo di soli tre (3) giorni.
Produzione ferma, economia ferma. Uno sciopero ad ampio raggio su tutto il territorio nazionale.
La perdita sarebbe spaventosa e probabilmente risulta di difficile previsione.
E qui sorge una domanda: come reagirebbe un governo di fronte a una nazione ferma? Una nazione che si rifiuta di obbedire semplicemente ponendo a terra i suoi strumenti di lavoro e lasciando nel portafoglio anche i soldi della spesa? Come potrebbe un governo rispondere a una simile situazione?
Difficile prevederlo.
Probabilmente le prime reazioni politiche sarebbero quelle di sciacallaggio informativo. Cavalcare l’onda del dissenso popolare per accusare il governo attualmente in carica di non essere adeguato, di non aver previsto l’accaduto, di non aver risposto “alla pancia dei cittadini”; in buona sostanza, quello che accade ogni volta che una parte dell’elettorato manifesta qualcosa.
Questo tipo di sciacallaggio, tra l’altro e incredibilmente, si alza anche dagli alleati del governo in carica. E anche questo è un particolare che ci è sfuggito a più riprese: non importa quando e non importa come, ma è importante sempre tentare di salvarsi il culo accusando altri.
In un Sistema Politico come quello italiano, dove la meritocrazia è andata a ramengo molto prima del crollo della fantomatica Prima Repubblica, mettere in scacco il portafoglio “delle poltrone” è di sicuro il miglior modo per creare un terremoto. Grazie a internet, più che mai utile per questo tipo di azioni, si verrebbe a creare un effetto domino informativo che scatenerebbe il panico assoluto anche sui mercati finanziari, che vedrebbero le Borse saltare per aria mandando Milano (il centro della Borsa italiana) col culo per terra.
Domanda: e dopo?
Ecco, più di “come facciamo per realizzare una sventola del genere” dovremmo chiederci cosa fare dopo, quando la sventola è arrivata.
Ci sarebbe bisogno di un Leader? O di un Portavoce? Sicuramente non sarebbe male averne uno capace di colloquiare, ma potrebbe non essere indispensabile. Non subito.
In Italia gente onesta ce n’è, anche nel panorama politico, e qualcuno in grado di prendere le redini di un palazzo allo sfascio lo abbiamo e si farebbe avanti. Sarebbe quello giusto? Non possiamo saperlo, ma sicuramente in una situazione del genere non potrebbe fare più danni di quelli già presenti.
Il punto sul Leader è molto spinoso. Come ho detto, abbiamo dei politici onesti nel marasma di gentaglia che siede in Parlamento, ma ce ne sono anche fuori. A mio avviso sarebbe auspicabile una voce fuori dal coro, esterna alle dinamiche parlamentari e inizialmente di difficile “avvicinamento” da parte delle lobby politiche ultra-corrotte.
Bene. Ora vi ho chiarito sommariamente il “cosa” e anche una parte del “dopo”. Quello che rimane da capire, posto che tutto questo discorso possa avere un senso per qualcuno oltre che per me, è “come” arrivare a realizzarlo.
Se ne scrivo e ne parlo è perché, a mio modesto avviso, ci sono i presupposti sociali per avviare una simile “macchina da guerra”. Ma i presupposti legati al disagio sociale che si vive in Italia non sono sufficienti, perché il grande punto interrogativo è strettamente legato alla volontà del popolo (tutto il popolo) di essere, per la prima volta dal secondo dopoguerra, veramente protagonista di una rivoluzione. E qui entriamo nel campo delicato delle visioni che ognuno ha del futuro e di ciò che pensa che il futuro debba riservargli.
Oggi, con la situazione attuale e i rapporti politici interni ed esterni (quelli con la UE e gli alleati di altri continenti), l’Italia non offre ai suoi cittadini nessuna garanzia di crescita economica, sociale, professionale. Non è il parere di uno scontento disilluso, ma un dato di fatto che abbiamo sotto gli occhi ogni giorno. Non esiste un solo campo in cui l’Italia possa dire di essere migliore di altri paesi, eppure avremmo le risorse, le menti, la preparazione per pretenderlo. Ciò che blocca e incatrama l’Italia in una posizione assurda di sottomissione e sottosviluppo è la gestione dello Stato, e la gestione è in mano agli organi politici che hanno, di fatto, dimostrato di essere inadeguati, non attendibili e indifendibili sotto ogni punto di vista e in ogni campo (almeno considerando gli ultimi trent’anni).
Non esiste nessun partito, prima e adesso, che non sia passato per accuse di corruzione, concussione, rapporti mafiosi e che non sia stato indagato, almeno una volta, nella figura di uno o più dei suoi rappresentanti.
Se volessimo dire che il Movimento5Stelle è fuori da questa lista nera, altrettanto non possiamo fare per la serietà che una parte dei loro rappresentanti ha chiaramente dimostrato di non avere, dal momento che anche il M5S ha avuto la sua parte di parlamentari passati ad altre forze politiche con quello che chiamiamo “walzer delle poltrone”. Una pratica assai poco edificante per chi si spacciava come “alternativa alla vecchia politica”.
Il “come”, allora, diventa quasi di seconda importanza. Eppure, è vitale riuscire a capirlo.
Tutto sommato è abbastanza semplice verificare se esiste anche un solo presupposto valido per ognuno di noi. Basta chiederci se siamo disposti a non avere nessun tipo di futuro. Perché di questo si tratta. La partita sul futuro che ci aspetta passa dalla nostra volontà di averne uno, di futuro. Non si deve pensare alla difficoltà che comporterebbe un “interregno” di scosse sociali dovute al blocco delle produzioni, ma a ciò che potremmo costruire durante quel periodo per avere un domani da giocarci con le nostre mani.
Ed eccoci di nuovo tornati all’inizio.
Ha senso sperare che giunga una fantomatica salvezza dall’attuale panorama politico? No.
Ha senso pensare che qualcosa possa cambiare quando è acclarato che non esiste prova tangibile che i governi presenti e passati abbiano fatto (o facciano) veri passi avanti per il bene reale del paese? No.
Ha senso tenere in considerazione le parole dei leader politici quando ogni giorno abbiamo conferma della loro inaffidabilità? No.
Ha senso pensare che i governanti tengano al bene del paese quando chiedono ai cittadini sacrifici che loro stessi non sono disposti a fare (e di fatto non fanno)? No.
Ha senso confidare su ideali fasulli spacciati come veri quando alla base della loro permanenza in Parlamento i politici hanno solamente il denaro e le agevolazioni che questo status comporta? No.
Se ne deduce che, dal momento che la politica serve a legiferare per il bene del paese, questa classe politica, nella sua interezza, ha completamente fallito e deve essere esautorata.
Non ci sono alternative. Esattamente come nel caso dell’azienda che va male, così l’Italia deve licenziare coloro che l’hanno male amministrata e che non hanno, mai e in nessun modo, veramente tentato di risollevarla.
Prove alla mano, senza paura e senza rimpianti. Hanno fallito e vanno rimpiazzati.
Da chi? In giro brave persone che hanno studiato e che sarebbero in grado di provare a gestire il paese ce ne sono. E, sì, dovrebbero essere cambiate un po’ di regole, per essere sicuri di non ricadere nei medesimi errori.
Lo so, state pensando che è utopia anche questa e forse non avete tutti i torti, ma personalmente credo che l’idea del blocco delle produzioni (e dei consumi) per 72 ore sarebbe una prova accettabile e forse non così difficile da attuare, grazie al tam tam di internet. Tanto per tastare il polso ai papaveri seduti nelle “stanze del potere”.
Ci hanno preso a calci nel culo finora, siamo sicuri che l’ultimo modello di Iphone e la movida del sabato sera non siano sacrificabili per tentare di avere un futuro?
Potremmo dimostrare che questo paese vuole essere cambiato e può cambiare.
Che non ci fa paura niente, nemmeno le mafie, nemmeno le minacce, nulla. Che vogliamo per noi, e per chi verrà dopo di noi, un futuro da costruire.
Le Rivoluzioni nascono così.
E le Rivoluzioni si possono vincere se siamo disposti a combattere. Sempre.