terranuova.it - Mentre si attende che il 5G colonizzi il paese ed estenda a tappeto l'esposizione della popolazione all'elettrosmog, si fa sempre più attuale l'appello con cui, profeticamente già nel 2017, 170 scienziati indipendenti avevano chiesto alle istituzioni dell’Unione Europea di bloccare lo sviluppo della tecnologia 5G in attesa che si accertassero i rischi per la salute umana. Dal 2019, se non accadranno fatti tali da far invertire la marcia al governo, la popolazione intera sarà esposta alle radiazioni elettromagnetiche sempre più capillari del 5G, che avrà antenne e micro-antenne ovunque, a prescindere dal principio di precauzione.
Si fa sempre più attuale e urgente, dunque, l'appello lanciato già nel 2017 da 170 scienziati indipendenti, i cui primi firmatari sono stati Rainer Nyberg, EdD, proferrore emerito della Åbo Akademi in Finlandia, e Lennart Hardell, docente al Dipartimento di Oncologia della Facoltà di medicina di Orebro in Svezia. Poi sono seguite le firme di altre decine e decine di scienziati. L'appello continua achiedere alle istituzioni dell’Unione Europea di bloccare lo sviluppo della tecnologia 5G in attesa che si accertino i rischi per la salute per i cittadini europei. E lo fa con il pieno sostegno dell'associazione AMICA, l'Associazione per le Malattie da Intossicazione Cronica e/o Ambientale che da anni si batte su questo fronte.
«Serviranno molte nuove antenne con un’implementazione su larga scala che in pratica si tradurrà in un’installazione di antenne ogni 10-12 case nelle aree urbane, aumentando così in modo massiccio l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici - dicono gli scienziati - Con "l’uso sempre più intensivo delle tecnologie senza fili" nessuno potrà evitare di essere esposto perché, a fronte dell’aumento di trasmettitori della tecnologia 5G (all’interno di abitazioni, negozi e negli ospedali) ci saranno, secondo le stime, "da 10 a 20 miliardi di connessioni" (frigoriferi, lavatrici, telecamere di sorveglianza, autovetture e autobus autoguidati, ecc.) che faranno parte del cosiddettoInternet delle Cose. Tutto questo potrà causare un aumento esponenziale della esposizione totale a lungo termine di tutti i cittadini europei ai campi elettromagnetici da radiofrequenza».
freeskies - non so voi ma credo che la battaglia pro o contro il 5G sarà decisiva. Soprattutto per verificare chi sta dalla parte dell'umanità e chi no.Il 5G èseduttivo, moderno ed anzi futuristico, affabile e coinvolgente, in una sola parola: satanico ed anticristico. La sua imposizione sulla popolazione inerme, e purtroppo assai poco consapevole, potrebbe apparire come un lavoretto facile, non bisogna però mai sottovalutare l'umanità. Mai. Siamo vicini allo scontro finale, il recinto materiale si sta chiudendo. Finché però anche una piccola porzione di umanità resterà vigile e consapevole, la guerra non potrà dirsi perduta. Agiamo e vedremo.
SE L'ITALIA E LA FRANCIA NON RIDONO, LA GERMANIA DEI LAVORATORI ARRANCA
Che le condizioni lavorative per chi è impiegato nella consegna dei pacchi non fossero buone lo si sapeva, ora lo certificano anche i dati della Bundesagentur für Arbeit. Ne parla la Süddeutsche Zeitung facendo riferimento ad un'interrogazione del parlamentare Pascal Meiser della Linke.
Nei servizi di consegna solo il 30 percento dei dipendenti ha svolto un tirocinio; il settanta per cento sono aiutanti senza formazione, per la maggior parte a tempo parziale o con un mini-job.
Oltre la metà degli aiutanti resta sotto la soglia della bassa retribuzione, ossia riceve in media meno di 10,50 € all'ora.
In realtà, la situazione probabilmente è anche peggiore. Perché la statistica non copre gli autisti indipendenti o addirittura i finti autonomi.
Guidano per ore, consegnando i pacchi fino sui tetti - e non di rado devono tornareperché non hanno trovato nessuno: secondo i dati della Bundesagentur für Arbeit più di 490.000 persone in Germania lavorano nei servizi postali e in quelli per la consegna. Ma soprattutto, per far arrivare in tempo i regali le società di consegna pacchi prima di Natale assumono migliaia di dipendenti. Il boom del commercio online ha creato molti posti di lavoro nella logistica, ma spesso le condizioni sono miserabili.
Solo il 30 percento dei dipendenti del settore ha terminato un periodo di formazione come lavoratore qualificato per i corrieri, i servizi espressi o postali. Il settanta per cento sono aiutanti senza formazione, per la maggior parte a tempo parziale o con un mini-job. Sono i dati contenuti nella risposta della Arbeitsagentur ad una interrogazione del parlamentare della Linke al Bundestag Pascal Meiser. Secondo i dati un aiutante a tempo pieno guadagna in media 2.044 euro lordi al mese. Più della metà rimane al di sotto della soglia del basso salario, e in media viene pagato meno di € 10,50 l'ora.
"Trovo inaccettabile che molti dipendenti vengano liquidati con una bassa retribuzione per un lavoro così duro", afferma Meiser. Anche se i lavoratori qualificati lavorano a condizioni migliori: due terzi sono impiegati a tempo pieno e guadagnano in media 2.601 euro lordi al mese. Cioè il 19 per cento in meno rispetto alla media tedesca. In realtà, la situazione probabilmente è ancora peggiore. La statistica non copre gli autisti indipendenti o addirittura autonomi. "Nella fornitura di servizi di consegna inoltre c'è un numero crescente di subappaltatori esteri con salari ancora più bassi", ha affermato Meiser. Il sindacato Ver.di ha rilevato in Germania un numero crescente di guidatori dall'est Europa.
In effetti, la DPD fa consegnare quasi tutti i pacchi da dei subappaltatori. Da Hermes solo il cinque percento dei corrieri lavora direttamente per l'azienda. Solo Deutsche Post e UPS fanno consegnare la maggior parte dei pacchi dai propri dipendenti.
In tempi di piena occupazione, tuttavia, per i servizi di consegna pacchi è sempre più difficile trovare dei conducenti. In molte zone sono costretti ad aumentare i salari. Questo è uno dei motivi per cui DPD ed Hermes dal prossimo anno aumenteranno le spese di spedizione. Hermes vuole pagare i subappaltatori abbastanza da fare in modo che questi possano offrire almeno 9,50 euro l'ora a tutti i corrieri, vale a dire un po' più del salario minimo di 8,84 euro lordi l'ora.
I servizi di consegna pacchi tuttavia sottolineano che non è consentito dettare ai propri subappaltatori con esattezza la paga oraria da corrispondere ai vettori. Le società seguirebbero i casi sospetti, solo nei casi in cui ai dipendenti dei subappaltatori non venga pagato nemmeno il salario minimo. Il sindacatoVer.di sottolinea inoltre che molti conducenti stranieri sono a malapena a conoscenza dei loro diritti in Germania.
Il sindacato chiede che lo stato aumenti i controlli sul rispetto del salario minimo di legge e degli orari di lavoro da parte delle aziende del settore. Inoltre Ver.di suggerisce che siano i servizi di consegna stessi ad essere responsabili per il pagamento da parte dei loro subappaltatori dei contributi per la sicurezza sociale dei vettori - come avviene comunemente nel settore delle costruzioni e della carne.
Un medico italiano è pioniere di innovative ricerche che dimostrano come le cellule tumorali possono essere riprogrammate e riportate a cellule normali utilizzando gli stessi linguaggi della natura. Dopo più di 30 anni di studi frutto della collaborazione con 23 università italiane, molti altri ricercatori internazionali stanno confermando la sua intuizione.
Le cellule possono essere riprogrammate, l’importante è conoscere e saper usare il corretto linguaggio con cui le cellule dialogano tra di loro. Sono queste le conclusioni a cui è giunto 10 anni fa, dopo 20 anni di ricerche, il professor Pier Mario Biava, medico e ricercatore presso l’I.R.C.C.S. MultiMedica, Milano. Temi questi di grandissima attualità, si tratta di uno dei filoni di ricerca oggi più studiato e i lavori di numerosi laboratori in tutto il mondo non fanno altro che confermare quest’intuizione.
L’intuizione di Biava nasce dall’aver osservato come durante le prime fasi dello sviluppo di un embrione, quando sono presenti solo cellule staminali totipotenti, è impossibile indurre un tumore con agenti esterni, mentre entrando in una fase più avanzata di sviluppo questo diviene possibile. In quelle prime fasi doveva esserci qualche meccanismo di controllo e riparazione che proteggeva l’embrione. Successivamente Biava ha confrontato le cellule tumorali con le staminali, che costituiscono per la maggior parte l’embrione, scoprendo che hanno molte analogie e cheentrambe si moltiplicano in maniera indifferenziata ed incontrollata; ad un certo punto però per le cellule staminali che costruiscono i tessutiinterviene un segnale che le indirizza verso un ben preciso percorso di differenziazione. Si originano così tutte le diverse cellule che compongono il nostro organismo: da quelle cardiache a quelle epatiche, da quelle epiteliali a quelle neuronali, eccetera. Per le tumorali non c’è un programma e crescono caoticamente creando i danni che conosciamo.
I fattori di differenziazione decidono il futuro della cellula: sana o cancerosa
Biava si domandò se il segnale che induce la cellula staminale a differenziarsi fosse lo stesso che protegge l’embrione nelle sue prime fasi di sviluppo. I suoi studi lo portarono a confermare questa ipotesi e a pubblicare già più di 25 anni fa il primo articolo scientifico che descriveva i meccanismi con i quali si possono riprogrammare le cellule.
Sono proprio i fattori presenti nei 5 stadi di differenziazione delle cellule staminali che determinano il destino delle cellule sane e patologiche. La scoperta tutta italiana del Dott. Biava rivela come sono costituiti i programmi informativi che differenziano le cellule staminali e il ruolo specifico di ciascuno di essi nella riparazione dei danni che causano le malattie degenerative e nell’attivazione dei geni che bloccano l’invecchiamento cellulare. Tutto ciò consente un innovativo processo di riprogrammazione cellulare.
PENSIAMOCI BENE. STIAMO FORSE MEGLIO DEI GILET GIALLI CHE VOGLIONO CACCIARE UN PRESIDENTE EUROCRATE ELITARIO E SIONISTA CHE VANTA MENTORI COME I ROTHSCHILD E JACQUES ATTALI QUALE MACRON? EPPURE BASTEREBBE UNIRE I GILET FOSFORESCENTI DEI LAVORATORI SOTTOPAGATI E SCHIAVIZZATI DELLE CONSEGNE A DOMICILIO, I NO-TAV, I NO-TAP, I NO-VAX, LE ASSOCIAZIONI DEI PENSIONATI TRUFFATI, DEGLI ESODATI, DEI DISILLUSI DALLA POLITICA CHE NEMMENO VOTANO PIU', I COMITATI DI TRUFFATI DALLE BANCHE, LE ASSOCIAZIONI DI TARTASSATI DA EQUITALIA, LE ASSOCIAZIONI ANTI-MUOS, ANTI-NATO ECC...ECC...E SAREMMO UN ESERCITO. AVETE ANCORA PAURA DI DARE UN FUTURO DEGNO AI VOSTRI FIGLI? ALLORA NON STATE LEGGENDO IL POST CHE FA PER VOI. CONTINUATE PURE A FARVI NARCOTIZZARE DAL GOSSIP E DAL CALCIO, MA POI NON VI LAMENTATE!
Come aggiustiamo un paese che non vuole essere aggiustato? Come possiamo rimediare a una situazione che è palesemente degenerata fino a portarci sull’orlo di un baratro?
Forse non è possibile. O almeno non lo è finché continuiamo a voler tenere la testa sotto la sabbia.
Ho scritto: un paese che non vuole essere aggiustato.
Ed è vero.
Ciò, però, non deve indurre al pensiero che sia la classe politica (chi legifera) il problema, perché essa è l’effetto prodotto dal nostro continuo silenzio-assenso.
Noi abbiamo accettato: un certo numero di promesse, un certo numero di idee, abbiamo chiuso gli occhi di fronte a lapalissiane storture e “perdonato” una serie infinita di deviazioni dal concetto principale, quello di far crescere il nostro paese. In una parola: compromessi.
È fondamentale comprendere che la prima responsabilità di quello che accade è nostra, perché senza questa consapevolezza continueremo ad aspettare l’arrivo di un salvatore che ci traini fuori dal fango in cui stiamo agonizzando. E ciò non avverrà mai.
Allora, come ribaltiamo la situazione?
Beppe Grillo, quando ancora faceva il comico satirico, disse una cosa che non abbiamo compreso: la politica è al servizio dello Stato e dei cittadini, non il contrario. Tenuto in debito conto questo concetto risulta semplice dedurre che non si può prendere per buone le parole della classe politica (tutta) quando afferma che “bisogna fare sforzi per risollevare il paese”, perché questi sforzi sono chiesti ai cittadini dello stato escludendo quelli che dovrebbero rispondere per primi a questa chiamata (la classe politica, appunto).
L’esempio di un’azienda risulta chiarificatore: un'azienda è un organo che a seguito di prestazioni (qualsiasi esse siano) riceve dei compensi. Su questi compensi gravano una serie di imposte e detrazioni fisse (stipendi dei lavoratori dell’azienda e altro) e una volta esaurite tutte le spese ciò che rimane è l’utile dell’azienda. Il guadagno. Se però l’azienda, nella figura dei suoi dirigenti e dei lavoratori, opera male e perde compensi, ne consegue che si deve cercare la responsabilità e quindi si deve individuare colui (o coloro) responsabile del cattivo andamento dell’azienda stessa. Normalmente questo comporta un licenziamento per i dirigenti e i lavoratori indicati come cause della perdita.
Ora che abbiamo fatto questo piccolo e banale esempio, pensiamo all’Italia come a una azienda e arriviamo al sospirato nocciolo della questione: se l’Italia va male perché è amministrata da anni in modo inefficace e improduttivo, perché a farne le spese devono essere i cittadini che non legiferano? Perché dovremmo essere noi a pagare per un cattivo funzionamento dello Stato quando non abbiamo voce in capitolo sulle leggi che vengono promulgate?
Appunto. E infatti qui si torna a bomba all’inizio: l’unica arma a nostra disposizione, finora, è stata la votazione. Le elezioni. Straordinario! Ma è vero che è l’unica arma? Ed è vero che l’abbiamo usata bene?
Fino a oggi per poter cambiare le cose (guida politica) abbiamo avuto le elezioni come sistema per far sentire la nostra voce. In realtà ciò che non ci è mai stato chiaro, nemmeno ora, è che l’èlite seduta in Parlamento è stata sempre quella e, soprattutto, che sembra esserci un virus che contagia i nuovi arrivati; prima di andare a sedersi sugli scranni sembrano battaglieri alfieri dei cittadini e dopo si trasformano in avvoltoi. Certo, si può obiettare che non si può applicare questa frase a tutti gli eletti, ma dal momento che la maggior parte si comporta in questo modo è lecito desumere che:
a) parecchi prima erano dei falsi onesti;
b) alcuni sono rimasti onesti ma vengono relegati a comparse o tartassati personalmente per “non nuocere al Sistema”.
Purtroppo, le prove a sostegno di un Parlamento viziato da meri interessi personali sono così tante che anche gli onesti parlamentari finiscono nel tritacarne del “sono tutti uguali” e non si può giudicare male il pensiero del cittadino se egli è portato a una simile considerazione.
Bene. È necessario, quindi, un cambiamento radicale. Possiamo esercitarlo con il voto? La risposta è no e il motivo è paradossale.
Nello sconfortante panorama politico le alternative di voto non sono molte. Quando siamo alle urne noi tendiamo a fare considerazioni di questo tipo (userò i colori per distinguere):
a) i bianchi sono stati al potere tanto tempo e non hanno cambiato nulla;
b) i rossi sono stati poco al potere, ma non hanno cambiato quasi niente;
c) i verdi non ci sono mai stati (al potere) e se si dimostrassero inadeguati farebbero più danno, quindi voterò o i bianchi o i rossi;
d) non voto nessuno;
e) (estremo) non vado a votare.
Questi sono i cinque “casi-tipo” dell’elettore medio. E come risulta chiaro, non se ne esce, perché l’unica cosa abbastanza ragionevole sarebbe di permettere ai verdi di poter dar prova della loro capacità di governare. Anche perché, qualora non fossero in grado, le opposizioni li farebbero a pezzi facendo cadere il governo e riportando il paese a nuove elezioni.
In ognuno di questi scenari il potere dei cittadini è legato a un voto, a una scheda e alle urne. Troppo poco per un paese completamente in mano alla corruzione in ogni ufficio, in ogni angolo e interstizio del mondo politico/parlamentare.
Quindi, abbiamo usato l’arma delle elezioni come potevamo e al meglio delle nostre (limitate) capacità di giudizio, supponendo che presto o tardi la legalità avrebbe vinto. Un’utopia.
L’altra arma che abbiamo in mano per tentare di portare coloro che governano a più miti consigli è colpire dove risulta più difficile fermarci. La produzione e il lavoro.
Ciò che noi chiamiamo “tasse” è un ingarbugliato sistema che raccoglie, in modo forzoso, del denaro dalle tasche di ogni cittadino (e di ogni azienda) e lo devolve alle casse dello Stato. Quel che viene fatto con queste tasse è un agglomerato spaventoso di cose, tra le quali ci sono anche gli stipendi dei “nostri amici parlamentari”.
È chiaro che bloccare la produzione significa, prima di tutto, danneggiare delle aziende, soprattutto quelle grandi. È un ostacolo che non è possibile aggirare e temere di essere “cattivi” agendo in questo modo è esattamente quello che vogliono farci credere.
È dalla produzione (in tutte le sue sfaccettature) che passa la gran parte delle risorse monetarie che finiscono nelle casse statali con le tasse e bloccando questo flusso si manda in stallo il Sistema, immaginandolo come un immenso groviglio di ingranaggi.
Per comprendere come può funzionare immaginate che per 72 ore le produzioni industriali, i servizi, le microimprese, si fermino. Immaginate che altrettanto facciano i fruitori (a pagamento) di tutta una serie di servizi (pubblici e privati). Cioè, qualche milione di lavoratori che rimangono a casa senza preavviso. Dai manager, ai tecnici specializzati, agli operai e ai commessi. E che gli avventori non si rechino ai soliti acquisti quotidiani per lo stesso tempo, 72 ore. Tutto fermo.
Quando si dice che il tempo è denaro… Provate a pensare al danno che si verrebbe a creare, in termini economici, per un simile stallo di soli tre (3) giorni.
Produzione ferma, economia ferma. Uno sciopero ad ampio raggio su tutto il territorio nazionale.
La perdita sarebbe spaventosa e probabilmente risulta di difficile previsione.
E qui sorge una domanda: come reagirebbe un governo di fronte a una nazione ferma? Una nazione che si rifiuta di obbedire semplicemente ponendo a terra i suoi strumenti di lavoro e lasciando nel portafoglio anche i soldi della spesa? Come potrebbe un governo rispondere a una simile situazione?
Difficile prevederlo.
Probabilmente le prime reazioni politiche sarebbero quelle di sciacallaggio informativo. Cavalcare l’onda del dissenso popolare per accusare il governo attualmente in carica di non essere adeguato, di non aver previsto l’accaduto, di non aver risposto “alla pancia dei cittadini”; in buona sostanza, quello che accade ogni volta che una parte dell’elettorato manifesta qualcosa.
Questo tipo di sciacallaggio, tra l’altro e incredibilmente, si alza anche dagli alleati del governo in carica. E anche questo è un particolare che ci è sfuggito a più riprese: non importa quando e non importa come, ma è importante sempre tentare di salvarsi il culo accusando altri.
In un Sistema Politico come quello italiano, dove la meritocrazia è andata a ramengo molto prima del crollo della fantomatica Prima Repubblica, mettere in scacco il portafoglio “delle poltrone” è di sicuro il miglior modo per creare un terremoto. Grazie a internet, più che mai utile per questo tipo di azioni, si verrebbe a creare un effetto domino informativo che scatenerebbe il panico assoluto anche sui mercati finanziari, che vedrebbero le Borse saltare per aria mandando Milano (il centro della Borsa italiana) col culo per terra.
Domanda: e dopo?
Ecco, più di “come facciamo per realizzare una sventola del genere” dovremmo chiederci cosa fare dopo, quando la sventola è arrivata.
Ci sarebbe bisogno di un Leader? O di un Portavoce? Sicuramente non sarebbe male averne uno capace di colloquiare, ma potrebbe non essere indispensabile. Non subito.
In Italia gente onesta ce n’è, anche nel panorama politico, e qualcuno in grado di prendere le redini di un palazzo allo sfascio lo abbiamo e si farebbe avanti. Sarebbe quello giusto? Non possiamo saperlo, ma sicuramente in una situazione del genere non potrebbe fare più danni di quelli già presenti.
Il punto sul Leader è molto spinoso. Come ho detto, abbiamo dei politici onesti nel marasma di gentaglia che siede in Parlamento, ma ce ne sono anche fuori. A mio avviso sarebbe auspicabile una voce fuori dal coro, esterna alle dinamiche parlamentari e inizialmente di difficile “avvicinamento” da parte delle lobby politiche ultra-corrotte.
Bene. Ora vi ho chiarito sommariamente il “cosa” e anche una parte del “dopo”. Quello che rimane da capire, posto che tutto questo discorso possa avere un senso per qualcuno oltre che per me, è “come” arrivare a realizzarlo.
Se ne scrivo e ne parlo è perché, a mio modesto avviso, ci sono i presupposti sociali per avviare una simile “macchina da guerra”. Ma i presupposti legati al disagio sociale che si vive in Italia non sono sufficienti, perché il grande punto interrogativo è strettamente legato alla volontà del popolo (tutto il popolo) di essere, per la prima volta dal secondo dopoguerra, veramente protagonista di una rivoluzione. E qui entriamo nel campo delicato delle visioni che ognuno ha del futuro e di ciò che pensa che il futuro debba riservargli.
Oggi, con la situazione attuale e i rapporti politici interni ed esterni (quelli con la UE e gli alleati di altri continenti), l’Italia non offre ai suoi cittadini nessuna garanzia di crescita economica, sociale, professionale. Non è il parere di uno scontento disilluso, ma un dato di fatto che abbiamo sotto gli occhi ogni giorno. Non esiste un solo campo in cui l’Italia possa dire di essere migliore di altri paesi, eppure avremmo le risorse, le menti, la preparazione per pretenderlo. Ciò che blocca e incatrama l’Italia in una posizione assurda di sottomissione e sottosviluppo è la gestione dello Stato, e la gestione è in mano agli organi politici che hanno, di fatto, dimostrato di essere inadeguati, non attendibili e indifendibili sotto ogni punto di vista e in ogni campo (almeno considerando gli ultimi trent’anni).
Non esiste nessun partito, prima e adesso, che non sia passato per accuse di corruzione, concussione, rapporti mafiosi e che non sia stato indagato, almeno una volta, nella figura di uno o più dei suoi rappresentanti.
Se volessimo dire che il Movimento5Stelle è fuori da questa lista nera, altrettanto non possiamo fare per la serietà che una parte dei loro rappresentanti ha chiaramente dimostrato di non avere, dal momento che anche il M5S ha avuto la sua parte di parlamentari passati ad altre forze politiche con quello che chiamiamo “walzer delle poltrone”. Una pratica assai poco edificante per chi si spacciava come “alternativa alla vecchia politica”.
Il “come”, allora, diventa quasi di seconda importanza. Eppure, è vitale riuscire a capirlo.
Tutto sommato è abbastanza semplice verificare se esiste anche un solo presupposto valido per ognuno di noi. Basta chiederci se siamo disposti a non avere nessun tipo di futuro. Perché di questo si tratta. La partita sul futuro che ci aspetta passa dalla nostra volontà di averne uno, di futuro. Non si deve pensare alla difficoltà che comporterebbe un “interregno” di scosse sociali dovute al blocco delle produzioni, ma a ciò che potremmo costruire durante quel periodo per avere un domani da giocarci con le nostre mani.
Ed eccoci di nuovo tornati all’inizio.
Ha senso sperare che giunga una fantomatica salvezza dall’attuale panorama politico? No.
Ha senso pensare che qualcosa possa cambiare quando è acclarato che non esiste prova tangibile che i governi presenti e passati abbiano fatto (o facciano) veri passi avanti per il bene reale del paese? No.
Ha senso tenere in considerazione le parole dei leader politici quando ogni giorno abbiamo conferma della loro inaffidabilità? No.
Ha senso pensare che i governanti tengano al bene del paese quando chiedono ai cittadini sacrifici che loro stessi non sono disposti a fare (e di fatto non fanno)? No.
Ha senso confidare su ideali fasulli spacciati come veri quando alla base della loro permanenza in Parlamento i politici hanno solamente il denaro e le agevolazioni che questo status comporta? No.
Se ne deduce che, dal momento che la politica serve a legiferare per il bene del paese, questa classe politica, nella sua interezza, ha completamente fallito e deve essere esautorata.
Non ci sono alternative. Esattamente come nel caso dell’azienda che va male, così l’Italia deve licenziare coloro che l’hanno male amministrata e che non hanno, mai e in nessun modo, veramente tentato di risollevarla.
Prove alla mano, senza paura e senza rimpianti. Hanno fallito e vanno rimpiazzati.
Da chi? In giro brave persone che hanno studiato e che sarebbero in grado di provare a gestire il paese ce ne sono. E, sì, dovrebbero essere cambiate un po’ di regole, per essere sicuri di non ricadere nei medesimi errori.
Lo so, state pensando che è utopia anche questa e forse non avete tutti i torti, ma personalmente credo che l’idea del blocco delle produzioni (e dei consumi) per 72 ore sarebbe una prova accettabile e forse non così difficile da attuare, grazie al tam tam di internet. Tanto per tastare il polso ai papaveri seduti nelle “stanze del potere”.
Ci hanno preso a calci nel culo finora, siamo sicuri che l’ultimo modello di Iphone e la movida del sabato sera non siano sacrificabili per tentare di avere un futuro?
Potremmo dimostrare che questo paese vuole essere cambiato e può cambiare.
Che non ci fa paura niente, nemmeno le mafie, nemmeno le minacce, nulla. Che vogliamo per noi, e per chi verrà dopo di noi, un futuro da costruire.
Le Rivoluzioni nascono così.
E le Rivoluzioni si possono vincere se siamo disposti a combattere. Sempre.
Quello che sta avvenendo sotto i nostri occhi è forse uncambiamentoepocale che investe uno degli elementi fondamentali dell’identità italiana: ilcattolicesimo. Sbagliano le gerarchie clericali a pensare di poter orientare ciò che rimane del “popolo cattolico” verso le sponde di quell’umanitarismo progressista che rappresenta l’esito estremo del Concilio Vaticano II. In senso ancor più radicale,sbagliano a pensare che essi detengano ancora il “monopolio del Sacro”.
Che frequentino o non frequentino le funzioni religiose, gli italiani rimangono intrisi di cristianesimo nei suoi valori e anche nelle sue reazioni inconsce. Quello che ora sta venendo meno è la fedeltà al Papa e ai suoi diretti collaboratori.
“Gesù era un migrante” dicono certi preti dall’aria equivoca. La stragrande maggioranza dei cattolici italiani non crede a questa stravagante teologia e vota Salvini. “Non fate il presepe se non volete accogliere i migranti” … Così dicono riferendosi ai robusti clandestini che sbarcano con una dinamica para-militare sulle nostre coste.
Ma in realtà chi ha sempre fatto il presepe continuerà a farlo anche se è favorevole a rifare nell’intero canale di Sicilia quel benemerito blocco navale che il Ministro dell’interno Napolitano, con piglio napoleonico, impose ai tempi della crisi albanese.
In rete si stanno diffondendo i commenti che ricordano la sana e realistica dottrina sull’immigrazione di Tommaso d’Aquino, il principale dottore della Chiesa. I capisaldi di questa dottrina sono chiari e distinti: si accoglie nella misura in cui si può, senza turbare l’ordine sociale esistente; l’ospite con ogni premura e ogni cautela si adatta alle regole, agli usi e costumi di colui che generosamente ospita per tutto il tempo in cui perdura l’ospitalità.
Dalla distinzione posta da Cristo tra il politico e il religioso scaturisce la presa di posizione di Paolo che raccomandava ai cristiani di inserirsi nella società con un pieno rispetto delle regole e dell’autorità. La posizione espressa nella Lettera ai Romani è completamente diversa dalla caricatura del “cristianesimo sovversivo” che lo stesso Nietzsche aveva avvalorato.
Paolo esorta al rispetto delle leggi dell’Impero romano e ricorda anche l’importanza che una autorità civile eserciti la forza guidata dalla ragione per mantenere la pace: “Se fai il male allora temi, perché non invano [l’autorità civile, n.d.R] porta la spada”. Bisognerebbe ricordarlo ai preti come don Mazzi quando abbracciano i peggiori delinquenti e insinuano che sarebbe poco cristiano dare un bell’ergastolo a sanguinari assassini. In realtà è vero il contrario: non correggere “con spada” è anti-cristico, a meno che non si voglia correggere l’Apostolo delle Genti con il Chierico delle Televisioni.
Volendo approfondire la dottrina sociale del cristianesimo, quella che scaturisce dalle vive fonti del Nuovo Testamento, ci si accorge che questa dottrina è molto diversa da quella sorta di “sharia ideologica” che possiede le menti dei preti più infatuati.
Ricordiamo innanzitutto il “Date a Cesare quel che è di Cesare”, la frase pronunciata da Cristo che è il fondamento profondo della laicità occidentale e che fonda l’autonomia del “politico”. Ai nazionalisti religiosi il Cristo ricordava la necessità di rispettare le regole del Cesare: fondava così teologicamente l’autonomia del politico – ed è anche inutile sottolineare che una delle prime preoccupazioni di ogni Cesare, che non sia un folle, sia quella di controllare il territorio e i confini, di stabilire con rigore chi entra come amico e chi non entra, persino quando possa essere solo potenzialmente nocivo.
L’espressione di Cristo “Date a Cesare quel che è di Cesare” taglia alla radice ogni fondamentalismo. I chierici che vorrebbero trasformare in decreto legge l’accoglienza universale del clandestino (identificato in maniera molto dubbia con l’ospite di cui si parla nei Vangeli) in realtà non si accorgono di bestemmiare Dio nella sua specificità cristiana giacchè tramutano un precetto religioso in una legge civile: in pratica si inventano una Sharia cristiana.
Inutile stupirsi: in fondo sono gli stessi che senza alcun pudore vanno dicendo che il Dio Cristiano (incarnato nella storia e pertanto raffigurabile) è lo stesso Allah degli Islamici (padrone inesorabile degli eventi che mai potrebbeessere invocato come “Padre”).
Dal cristianesimo scaturisce una profonda coscienza civile e sociale: lo testimoniano gli ospedali, i monti di pietà, gli orfanatrofi, le case per anziani disseminate per l’ecumene cristiano in duemila anni. D’altra parte trasformare questa sollecitudine sociale in ideologia sinistrorsa rappresenta una problematica caricatura.
È Cristo stesso che pone un veto a ogni tentativo di trasformare il cristianesimo in ideologa sociale: “Il mio regno non è di questo mondo” (frase perfettamente complementare al “Date a Cesare quel che è di Cesare”) e soprattutto “Non di solo pane vive l’uomo”. In realtà l’Islam, religione eminentemente giuridica e politica, potrebbe prestarsi molto di più a questo appiattimento secolarizzato della religione.
È la nostra tesi storica: i chierici del III Millennio tendono ad appiattire il cristianesimo a un astratto monoteismo sociale, una sorta di Sharia buonista, che fatalmente è destinata a inginocchiarsi ai piedi della Sharia vera, quella di ferro e sangue del monoteismo islamico.
Di contro a questa prospettiva noi italiani siamo chiamati, oggi, ad animare un cristianesimo civile europeo che non dimentichi le vette trascendenti della nostra religione e nello stesso tempo sia ben consapevole di quella che è stata la vera conseguenza storico-sociale dell’insegnamento del Cristo.
Pensiamo a un cristianesimo non svilito dal clericalismo, che esalti l’Arte sacra da Giotto in poi: il Verbo si è fatto carne, dunque può essere raffigurato plasticamente a differenza di quanto sostiene l’Islam (ed anche l’ebraismo). Il cristianesimo di San Francesco che celebrava la magnificenza del Creato e predicava la Crociata in terra santa. Ma anche il cristianesimo fiero di Dante, che contestava come estrema forma di simonia l’intromissione del Papa nella politica.
Senza dimenticare il cristianesimo sociale dei monaci che riscattavano gli europei rapiti dagli schiavisti nordafricani, dei francescani medievali che fondavano i monti di pietà (e che oggi sarebbero in prima fila contro l’austerità avida e avara dell’Unione Europea).
Il Cristianesimo europeo sopravviverà alla crisi dei garruli chierici con sciarpa arcobaleno: esso è qualcosa di troppo importante ed essenziale. Spengler vedeva nelle cattedrali gotiche il simbolo della energia faustiana dell’uomo europeo proiettato verso l’infinito e celebrava nelle icone della Madre di Dio con Bambino la “sollecitudine verso il futuro”, incarnato da quel tenero e regale Fanciullo dai tratti solari.
Oggi forse una metamorfosi significativa è in atto e gli uomini di buona volontà sono chiamati a dare il loro contributo affinché si compia.