martedì 26 marzo 2019

Asus, che cosa ha scoperto Kaspersky Lab in Russia, Germania, Francia, Stati Uniti e Italia



La malvagia operazione ha preso di mira computer con un Mac Address (un numero di telaio, a voler utilizzare un paragone automobilistico) le cui prime cifre (quelle che nella sequenza numerica identificano l’azienda costruttrice) corrispondono al produttore con il marchio Asus. 

Che giornata può mai essere quella di oggi se non c’è la nostra fregatura quotidiana, se non scopriamo di essere bersaglio di una qualsivoglia insidia tecnologica, se nessuno ci dice di diffidare dei tanti dispositivi elettronici che utilizziamo normalmente?

L’allarme, per fortuna, stavolta è circoscritto agli sfortunati acquirenti di uno di quel milione di esemplari di personal computer che – prodotti da un gigante dell’informatica di Taiwan – risultano avere un …problemino.

Parliamo di “backdoor”, ovvero – e qui anche la sola traduzione letterale ci aiuta – una porta sul retro o un ingresso di servizio (naturalmente virtuale) che permette l’accesso ad un computer all’insaputa del legittimo utilizzatore. Il software installato su un determinato pc, tablet o telefonino viene congegnato per garantire – a chi ne conosce l’itinerario segreto – di arrivare all’interno di cartelle e file come se si disponesse della più elevata autorizzazione a leggere, visualizzare, copiare, modificare, cancellare quel che è memorizzato, oltre a spiare quel che il vero utente ha fatto o sta facendo. Chi conosce la sequenza di comandi da impartire (una specie di misterioso “Apriti Sesamo” dei nostri giorni) riesce a dribblare controlli e meccanismi di sicurezza posti a tutela – è ovvio – dei percorsi ordinari di accesso alle risorse del dispositivo.

I ricercatori del Kaspersky Lab hanno scoperto che i malintenzionati hanno appunto confezionato una backdoor per manipolare le dinamiche di aggiornamento di Windows e la hanno predisposta escludendo di colpire una platea indiscriminata, ma puntando dritto ad un target ben individuato.

La malvagia operazione ha preso di mira computer con un MAC Address (un numero di telaio, a voler utilizzare un paragone automobilistico) le cui prime cifre (quelle che nella sequenza numerica identificano l’azienda costruttrice) corrispondono al produttore con il marchio ASUS.

Il computer – al momento in cui il Live Update segnalava la necessità di un aggiornamento del sistema operativo – veniva così dirottato su un sito che, invece di installare le corrette integrazioni e modifiche, provvedeva ad inoculare istruzioni venefiche.


ASUS è stata allertata già un mese fa, ma nel frattempo le vittime di questa “backdoor” sono state rilevate da Kaspersky in Russia, Germania, Francia, Stati Uniti e – dulcis in fundo – Italia.

Indagini e approfondimenti in corso dovrebbero portare ad una dettagliata ricostruzione dell’accaduto, ma – almeno al momento – non ci sono sospetti fondati in nessuna direzione.

E’ legittimo pensare che (visto l’attacco “monomarca”) possa trattarsi di un frammento di guerra da parte di un concorrente, ma non è sbagliato indirizzare il proprio naso altrove, immaginando invece che quella tipologia di apparato sia stato oggetto di qualche fornitura …“delicata”.

La backdoor e il malware che l’ha veicolata potrebbero essere stati creati con un obiettivo preciso, lontano dalla furia devastatrice che spesso caratterizza le incursioni degli hacker. Se quel modello di computer è stato acquistato da una società o da un ente per l’utilizzo da parte dei propri dirigenti, l’azione è presto giustificata dalla ferrea determinazione di rubare informazioni trattate da chi assume decisioni industriali, commerciali e politiche di possibile interesse e che – conosciute anzitempo – possono garantire un vantaggio non da poco.

Chi sulla scrivania ha un pc etichettato da quel brand e comprato negli ultimi dieci mesi probabilmente è nel mirino. Oppure ha soltanto un computer gemello dei tizi che sono l’effettivo bersaglio.

@Umberto_Rapetto

Diritto d’autore, cosa prevede la direttiva approvata dal Parlamento europeo

Riforma del copyright, oggi il Parlamento europeo ha dato il via libera alla direttiva sul diritto d’autore in rete. Nell’Aula di Strasburgo ci sono stati 348 voti a favore e 274 contrari; 36 gli astenuti
Disco verde alla nuova direttiva europea sul diritto d’autore che riforma un settore assai cambiato negli ultimi anni. Si temevano colpi di scena per il provvedimento — che punta a garantire misure di remunerazione della proprietà intellettuale sul web — su cui Bruxelles ha lavorato per tre anni. Invece l’Aula di Strasburgo ha dato il via libera con 348 voti a favore e 274 contrari; gli astenuti sono stati 36. Ora sarà sufficiente l’assenso del Consiglio europeo, in caso contrario sarebbe stato rimandato tutto alla prossima legislatura e al Parlamento che nascerà dopo le elezioni europee del 26 maggio e che inizierà a riunirsi da luglio.

L’ITER DEL PROVVEDIMENTO

Il testo votato oggi è frutto dell’intesa raggiunta il 13 febbraio scorso tra Parlamento Ue, Consiglio Ue e Commissione Ue ed è stato approvato a fine mese dalla Commissione giuridica. Come si diceva, però, il provvedimento è stato formulato dalla Commissione europea nel 2016: poi una serie di emendamenti e un  braccio di ferro fra le lobby che rappresentano gli interessi delle diverse parti in causa, in particolare i giganti del Web – come Google, Facebook e Youtube – da un lato e le associazioni di editori, di discografici e in generale di chi produce contenuti dall’altro.

GLI OBIETTIVI DELLA DIRETTIVA COPYRIGHT E L’ARGINE AI COLOSSI DEL WEB

La proposta di direttiva formulata dalla Commissione (0593/2016) è intervenuta ad aggiornare una regolamentazione sul copyright ferma al 2001 quando, per esempio, Youtube neppure esisteva. L’obiettivo è dunque quello di adeguare le norme che tutelano il diritto d’autore in un mercato dominato da colossi internazionali che fatturano grazie al’uso gratuito di contenuti prodotti da altri: basti pensare che oggi le grandi piattaforme, tutte americane, intascano oltre l’80% dei ricavi derivanti dalla pubblicità che appare al fianco di notizie e contenuti altrui. Per questo l’Ue chiede ai colossi del web di responsabilizzarsi. Come? Stipulando licenze con i proprietari dei diritti oppure rimuovendo i contenuti protetti da copyright.

I CONTENUTI DELLA DIRETTIVA

Per fare ciò sono stati scritti due articoli, l’11 e il 13, che introducono una “link tax” e un “upload filter”, ovvero una tassa sui link e un filtro sul caricamento dei contenuti. Nella versione modificata e che sarà votata oggi in Aula sono però diventati rispettivamente articolo 15 e 17.

L’ARTICOLO 15 (EX ARTICOLO 11)

L’articolo 15 stabilisce che gli Stati Ue facciano in modo che “gli autori delle opere incluse in una pubblicazione di carattere giornalistico ricevano una quota adeguata dei proventi percepiti dagli editori per l’utilizzo delle loro pubblicazioni di carattere giornalistico da parte dei prestatori di servizi della società dell’informazione“. Quindi, per esempio, un giornalista deve essere remunerato dal suo editore che a sua volta viene remunerato dall’aggregatore digitale che utilizza l’articolo. Il tutto verrebbe messo nero su bianco in accordi bilaterali fra editori e aziende digitali.

L’ARTICOLO 17 (EX ARTICOLO 13)

L’articolo 17 prevede invece che “un prestatore di servizi di condivisione di contenuti online deve ottenere un’autorizzazione dai titolari dei diritti”: in sostanza una piattaforma può caricare un contenuto protetto da copyright previa licenza e se non lo fa è responsabile della violazione. Previste alcune eccezioni: “Aver compiuto i massimi sforzi per ottenere un’autorizzazione” o “aver agito tempestivamente” per disabilitare l’accesso ad utenti indisciplinati. L’articolo in questione esclude o limita le responsabilità per le società che hanno un fatturato inferiore ai 10 milioni o che sono attive da meno di tre anni.

FAVOREVOLI E CONTRARI

La proposta di direttiva in questi anni è stata fortemente avversata e difesa da due gruppi contrapposti: da un lato ci sono i colossi di Internet – che difendono il proprio business e che sono contrari ai limiti imposti al ruolo di intermediatori, così come ai costi e alle licenze – e gli attivisti per la libertà del Web, cui si devono aggiungere alcune parti politiche minoritarie dell’Europarlamento dunque escludendo Popolari, Socialdemocratici e Liberali. Questi ultimi temono meccanismi di censura o comunque limitazioni alla diffusione di contenuti. Anche Wikipedia – che pure è esclusa dalle norme della direttiva – ha deciso di aderire alla protesta oscurando le sue pagine alla vigilia del voto.
Dall’altro lato ci sono i sostenitori del provvedimento, rappresentati principalmente dalle associazioni del mondo dell’editoria, della discografia, del cinema e dell’arte in generale (ad esempio in Italia la Siae, la Fieg e la Fimi) che vedono di buon grado l’aumento del proprio potere negoziale in vista di accordi con i giganti del Web, accusati di monetizzare il lavoro altrui, e che sono favorevoli a una riforma del settore per un’equa remunerazione degli autori di contenuti che viaggiano gratuitamente in Internet.

PROPONIMENTO DEL GIORNO


Ascolterò devotamente la santa messa in suffragio delle anime del Purgatorio e, se non posso, reciterò cinque Pater, Ave e Requiem.


LITURGIA DEL GIORNO



LITURGIA DEL GIORNO
- Rito Romano -
  
  



 PRIMA LETTURA 

Dn 3,25.34-43
Dal libro del profeta Daniele

In quei giorni, Azarìa si alzò e fece questa preghiera in mezzo al fuoco e aprendo la bocca disse:
«Non ci abbandonare fino in fondo,
per amore del tuo nome,
non infrangere la tua alleanza;
non ritirare da noi la tua misericordia,
per amore di Abramo, tuo amico,
di Isacco, tuo servo, di Israele, tuo santo,
ai quali hai parlato, promettendo di moltiplicare
la loro stirpe come le stelle del cielo,
come la sabbia sulla spiaggia del mare.
Ora invece, Signore,
noi siamo diventati più piccoli
di qualunque altra nazione,
oggi siamo umiliati per tutta la terra
a causa dei nostri peccati.
Ora non abbiamo più né principe
né profeta né capo né olocàusto
né sacrificio né oblazione né incenso
né luogo per presentarti le primizie
e trovare misericordia.
Potessimo essere accolti con il cuore contrito
e con lo spirito umiliato,
come olocàusti di montoni e di tori,
come migliaia di grassi agnelli.
Tale sia oggi il nostro sacrificio davanti a te e ti sia gradito,
perché non c’è delusione per coloro che confidano in te.
Ora ti seguiamo con tutto il cuore,
ti temiamo e cerchiamo il tuo volto,
non coprirci di vergogna.
Fa’ con noi secondo la tua clemenza,
secondo la tua grande misericordia.
Salvaci con i tuoi prodigi,
da’ gloria al tuo nome, Signore».


  SALMO  

Sal 24
Ricòrdati, Signore, della tua misericordia.

Fammi conoscere, Signore, le tue vie,
insegnami i tuoi sentieri.
Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi,
perché sei tu il Dio della mia salvezza.

Ricòrdati, Signore, della tua misericordia
e del tuo amore, che è da sempre.
Ricòrdati di me nella tua misericordia,
per la tua bontà, Signore.

Buono e retto è il Signore,
indica ai peccatori la via giusta;
guida i poveri secondo giustizia,
insegna ai poveri la sua via.


 VANGELO 

Mt 18,21-35
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.
Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

lunedì 25 marzo 2019

Processo Ruby: tre morti strane nell’arco di tre mesi e quelle accuse di satanismo che Imane non potrà più portare avanti…

TRE MORTI SOSPETTE, MA UNA PIU' DI TUTTE: QUELLA DELLA GIOVANE MODELLA MAROCCHINA IMANE FADIL CHE OSO' PARLARE DI SATANISMO AD ARCORE. ORMAI IL SATANISMO DOVREBBE PREOCCUPARE PIU' CHI LO PRATICA CHE CHI LO DENUNCIA. LA PROSSIMA VITTIMA POTREBBE ESSERGLI FATALE.... 


Imane Fadil, terza morte sul caso Ruby. Evocò il satanismo

È morta Imane Fadil, giovane modella e testimone-chiave nei processi Ruby, che vedono Berlusconi tra gli imputati. Trentatreenne, marocchina, era stata la prima a far aprire il caso nel 2011, e poche settimane fa aveva chiesto di costituirsi parte civile al processo Ruby ter. Ma il 29 gennaio è stata ricoverata in ospedale, dove è morta il 1° marzo dopo un mese di agonia. «Prima di morire – scrive Stefania Nicoletti, sul blog “Petali di Loto” – ha telefonato al fratello e all’avvocato, dicendo loro di essere stata avvelenata». Dall’esito dell’esame tossicologico è emersa la morte per avvelenamento (da metalli, probabilmente). Secondo Gianfranco Carpeoro, avvocato e saggista, quella delle “sostanze radioattive” rintracciate nel corpo della ragazza sarebbe una voce solo giornalistica: la stranezza, semmai – dice Carpeoro – sta nel fatto che Imane Fadil avrebbe agonizzato per un mese, senza diagnosi né cure, in un centro sanitario di assoluta eccellenza come l’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano, a Milano Sud. Quella di Imane Fadil, osserva Stefania Nicoletti, è la terza strana morte collegata al caso Ruby, dopo quelle di Egidio Verzini, ex legale di “Ruby Rubacuori”, e del giornalista Emilio Randacio, che si stava occupando del caso. Altro dettaglio: la ragazza stava per pubblicare, in un libro, la sua versione – decisamente horror – sulle famose “notti di Arcore”.

Impossibile, scrive Stefania Nicoletti, non richiamare alla memoria l’intervista che la Fadil aveva rilasciato l’anno scorso al “Fatto Quotidiano”. «Parlò di una sorta di “setta satanica” che praticava riti». Ovvero, fatti molto più gravi di qualche cena a sfondo sessuale. Facile screditarla, la ragazza, anche perché aveva detto di essere “una sensitiva” e di aver “sentito e visto presenze ed entità negative e malefiche”. «Quando uscì quell’articolo, molti commentarono che non era credibile, che queste cose non esistono, che lei era solo una in cerca di visibilità, eccetera. Ma chi dice questo – obietta Stefania Nicoletti – non sa che queste organizzazioni esoteriche ai piani alti del potere esistono eccome, e che parlarne pubblicamente non ti dà fama, anzi: ti espone a dei rischi notevoli». Infatti, continua Stefania Nicoletti, «leggendo quell’intervista pensai che la ragazza rischiava di essere fatta fuori: anche perché annunciò che stava scrivendo un libro su tutta la vicenda, dove avrebbe raccontato tutto questo e molto di più». Un libro che a quanto pare stava ormai finendo di scrivere, prima di morire avvelenata.

Raccontò la ragazza, nell’intervista pubblicata dal “Fatto” il 24 aprile 2018: «La cosa non si limita a un uomo potente che aveva delle ragazze: c’è molto di più in questa storia, cose molto più gravi». Un’accusa esplicita: satanismo. «Questo signore – disse Imane di Berlusconi – fa parte di una setta che invoca il demonio». Ammise: «Sì, lo so che sto dicendo una cosa forte, ma è così. E non lo so solo io, lo sanno tanti altri». Una sorta di setta, dunque, «fatta di sole donne». Tante: «Decine e decine di femmine complici». In quella saletta «dove si faceva il Bunga Bunga», racconta Imane, «c’era uno stanzino con degli abiti, tutti uguali, come delle tuniche, circa venti o trenta: a cosa servivano?». Poi, continua la ragazza, «c’era un’altra stanzetta sotterranea con una piscina, con a fianco un’altra saletta, totalmente buia, senza nessuna luce». Una piscina sotterranea e una stanza senza luci: perché? Aggiunge Imane: «Ho visto presenze strane, sinistre. Io sono sensitiva fin da bambina: da parte di mio padre discendo da una persona che è stata santificata». Insiste Imane, parlando con Luca Sommi del “Fatto”: «Le dico che in quella casa ci sono presenze inquietanti. Là dentro c’è il Male, io l’ho visto, c’è Lucifero».

Da parte sua, Carpeoro – che non crede all’esistenza del demonio, anche se non si nasconde la realtà del satanismo – ritiene che quelle dell’allora giovanissima Imane Fadil fossero essenzialmente suggestioni. Il che non migliora il giudizio su Berlusconi, che allora era primo ministro. Le notti brave di Arcore? «Non credo che abbia commesso reati – dice Carpeoro, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” – ma a me non piace un premier che si comporta in quel modo: come la prenderebbe, Berlusconi, se a partecipare a feste di quel tipo fossero le sue figlie?». Stefania Nicoletti, intanto, sottolinea la presenza delle altre due morti «inquietanti e anomale», legate al caso in questione. Verzini, ex avvocato di “Ruby”, il 4 dicembre 2018 aveva dichiarato pubblicamente che Berlusconi avrebbe versato 5 milioni di euro alla sua assistita. «Il giorno dopo è morto, tramite eutanasia, in una clinica svizzera». Randacio invece si stava occupando del caso, seguendo il processo, ed è morto improvvisamente il 13 febbraio per un “malore” (forse un infarto), «ma pare che i risultati dell’autopsia non siano mai stati comunicati». Insomma: Egidio Verzini, Emilio Randacio, Imane Fadil: «Tre morti strane nell’arco di tre mesi, e tutte legate al processo Ruby. Un po’ troppe per essere un caso».

MACRON, IL FIGLIOCCIO DEI ROTHSHILD INCARICATO DI DISTRUGGERE IL NAZIONALISMO FRANCESE, INVOCA IL NAZIONALISMO EUROPEO



Per essere onesti, non abbiamo letto interamente – abbiamo appena sorvolato – la tribuna pubblicata dal Presidente il 4 marzo 2019 e per una ragione molto semplice: questo furfante è pronto a dire tutto e il suo opposto a rimanere al potere. I politici hanno sempre mentito, è parte della carica, ma alcuni lo fanno con talento, o con coerenza. Non lui. Meglio prendere quello che verrà per stare in piedi ed attendere.


Con Macron, siamo ormai sulle montagne russe. Ha enunciato in generale il contrario di quello che fa (vedi le leggi che distruggono la protezione sociale), e fa il contrario di quello che dice.
La Francia perde ogni giorno un po ‘di più della sua sovranità, e vorrebbe farci credere che l’inserimento nella grande e bella entità europea ripristinerà alla Francia la grandezza che merita. Questo è ovviamente l’opposto di quanto accadrà, perché esattamente il contrario si sta verificando: la Francia ha ceduto la sua difesa (la sua ultima sovranità) agli Stati Uniti attraverso la NATO e la sua gestione economica alla Germania attraverso l’UE. Barra dei punti.

Dopo di che, il piccolo presidente può dire quello che vuole, i fatti ci sono. Vende la Francia a pezzi, tranquillamente, cercando di addormentare la gente con frasi bellissime. Sì, ma ora anche le sue piume da pavone sono tagliate. Ciascun francese combatte il palazzo presidenziale le cui mura trasudano la fine del regno. Anche se Macron termina il suo mandato, non tiene più le redini, né dentro né fuori. Ha provocato un caos sociale, che gestisce con una feroce repressione: quest’uomo è un dittatorello scarsamente camuffato da democratico. I francesi sapranno come ricordarlo.
Per quanto riguarda gli annunci “macroniennes”, che assomigliano fortemente un annuncio fasullo, un buon posto, con foto a mosca, il testo ipervenduto e prezzo imbattibile, il signore che sente il bisogno di protezione e di sovranità in tutto il mondo, i sostenitori dicono della ” Sicurezza europea “e una” preferenza europea “. Che ipocrisia! L’Europa economica non ha difese contro l’invasione della macchina da guerra americana – ecco perché gli americani diedero un famoso aiuto alla creazione dell’Europa con i loro uomini dopo il 1945 – e nessuna difesa contro la macchina da guerra globalista (vedi le invasioni di Soros che il trattato di Marrakech vuole istituzionalizzare). Le chiacchiere sul ” Rinascimento europeo ” valgono zero. Da questa entità porosa e schifosa, la Francia si ritirerà.
Questo tipo di salto di retorica falsamente nazionale, ma di alto globalismo a livello di Europa dei 27, esattamente quello che vuole il suo amico e consigliere, il massone sionista Attali, non salverà i glutei della socialdemocrazia che ha tradito i popoli ovunque, dall’Italia alla Francia, alla Grande Germania, dal momento che dobbiamo dire le cose come sono. Macron vuole combattere contro il ” ritiro nazionalista ” “, che rende possibile dare un calcio alla putrescente decadenza globalista. Nazionalismo, questo è per Macron il nemico! E per tirare fuori in sostanza il pretesto del colpo di stato del nazionalismo vuole la guerra, quindi la morte, la disoccupazione e la miseria, così anche la morte, la doppia morte, tanto da non poter fare peggio il piccolo francese. Tuttavia è il capitalismo finanziario, di cui Macron è uno dei più effettivi rappresentanti, quello che distrugge coscienziosamente le nazioni e le loro ricchezze, lo sappiamo tutti.


Gilet Gialli contro Macron

La soluzione del banchiere Macron è una ” Conferenza per l’Europa ” incaricata di ” proporre tutti i cambiamenti necessari … senza tabù, nemmeno la revisione dei trattati “. Ci crediamo! Tre pennellate su un trattato di cui gli europei non capiscono la trappola e il trucco è giocato, esattamente il metodo del “grande dibattito nazionale” che non è né dibattito né nazionale, mentre rappresenta solo un interminabile monologo di un personaggio decaduto. Non commenteremo nemmeno la preferenza europea quando sappiamo che la formazione del colosso Siemens-Alstom è stata riproposta dalla Commissione con lo stesso nome. Un esempio, tra l’altro, di quanto l’Europa sia un’esca. La competizione è esacerbata dai membri e la debolezza politica dell’insieme gli impedisce di resistere ai colpi di stato cinesi e americani.
Il culmine si raggiunge quando, il distruttore della protezione sociale in Francia, un modello internazionale che dovrebbe ispirare tutti i paesi, canta le lodi di uno ” scudo sociale ” europeo … mentre i paesi con una forte protezione sociale scivolano verso quelli che non ne hanno una o che ne hanno molta di meno. Le parole del presidente sono una cosa, il capitalismo transfrontaliero è un altra cosa. Naturalmente, non faremo commenti sul bavaglio che è la creazione di una ” Banca europea del clima ” per finanziare la ” transizione ecologica “. Quando vediamo chi è stato inserito in questo post, uno scioccante globalista che fa parte dell’oligarchia, diciamo che il verme è nel frutto e che la menzogna non ha paura di nulla.
Alla fine, Macron ha ripetuto il colpo di sceneggiata prendendo di mira i russi che sarebbero stati al timone dietro ogni elezione, compresa quella del 26 maggio. Il suo discorso di ” democrazie europee sotto protezione di agenzia ” incaricata di proteggere i membri contro ” il cyber attacchi ” e la ” manipolazione ” dovrebbe innescare una tempesta di risate: se le nazioni europee votano in modo sbagliato, bisogna capire che il nazionalismo necessariamente mette sotto pressione l’Europa, la colpa è dei Russi, come abbiamo visto chi sia il protagonista nella maggior parte delle manipolazioni delle informazioni . Il suggerimento finale fornisce indicazioni sulle stanze posteriori del CRIF (“Conseil Représentatif des Institutions Juives de France” ) :
“Dobbiamo bandire tutti i discorsi di odio e violenza da Internet, dalle regole europee”.
Tu Macron, sei piuttosto quello che fa la pratica dell’odio e della violenza, cocco: tu odi la Francia fino al punto di distruggerla e colpisci violentemente la sua gente che vuole difenderla!
L’uomo delle Lobbies e dei Mercati finanziari sta cercando di salvare il suo posto, è una bella guerra. Ma cosa rimane? Poche sterline di bugie che i francesi non vogliono inghiottire, nemmeno con manganelli, LBD e con il gas. Oh, non il gas di Ruth e le sue amiche, ma gas comunque. Il presidente che ha solo la democrazia in bocca fa irrorare gas sulla sua gente, e questo è sufficiente per squalificarlo per sempre. I suoi cinque anni sono morti con l’occhio perduto di una donna innocente. Chi parla di indipendenza europea sarebbe più credibile se fosse già indipendente dalle reti che lo detengono. Precisamente, questo è l’ordine di mobilitazione anti-nazionale della famiglia reale Klarsfeld, che abbiamo già fatto nel 2018. Esso contiene il midollo di discorsi fasulli e soluzioni tecno fantoccio dell’Eliseo. La Francia dice Basta!

Scuolabus: pure Nicolò, bambino che si era offerto come ostaggio, ignorato da gran parte dei media


NICOLO': IL CORAGGIO BATTE LA FURBIZIA DEI CELLULARI NASCOSTI. MA NESSUNO NE PARLA.....

Nemmeno lui finisce da Fabio Fazio con il cappello di carabiniere. E per lui quasi nessuno parla di eroismo, anche se – bontà loro – almeno Un giorno da Pecora su RadioRai e SkyTg24 hanno avuto la buona pace di intervistarlo. E qualche giornale ha riportato dei link, per carità non troppo in prima pagina, che poi le aspirazioni multi-culturali rischiano di crollare.

Probabilmente, dei 4 bambini protagonisti del miracolo di San Donato, Nicolò è stato l’eroe per eccellenza. Sacrificatosi per i compagni, al fine di tranquillizzarli, il ragazzino si è offerto come ostaggio a Sy. Quando lo spiega agli intervistatori, il ragazzino mostra una proprietà di linguaggio inusitata, quasi da liceale, dimostrando un età maggiore di quella che ha. Sono impressioni per carità, ma emergono e vanno sottolineate.

Senza nulla togliere all’intraprendenza degli altri, se si straparla di cittadinanze quale premio di coraggio per i due bambini stranieri (anche se i media di massa continuano a parlare di ius soli), ci aspetteremmo che si conferisse quanto meno un’onorificenza dello Stato ai due ragazzini italiani (Riccardo e Nicolò) che hanno salvato sé stessi e i loro compagni da una morte certa.

Con qualche menzione speciale a Nicolò, non lo neghiamo: uomo vero alla tenera età di 12 anni. Grazie.




LA SCONFITTA DELL’ISIS APRE LE PORTE ALL’IRAN VERSO UN CORRIDOIO DI ACCESSO ALLA SIRIA PER VIA TERRESTRE


L’instabile gestione della politica estera degli Stati Uniti aiuta accidentalmente il loro acerrimo nemico

di Elijah J. Magnier
“Un dinosauro con il cervello di un uccello”. In questo modo l’ex presidente iraniano Hashemi Rafsanjani ha descritto gli Stati Uniti d’America, evocando la sua grande forza militare ma la mancanza di intelligence strategica in politica estera. In effetti, l’insolita riunione dei capi di stato maggiore della Siria, dell’Iraq e dell’Iran a Damasco questa settimana non sarebbe stata possibile senza l’ultima azione statunitense in Siria.
L’establishment statunitense ha fatto un favore ai tre paesi allineati con l’ “Asse della resistenza”, eliminando il gruppo “Stato islamico” (ISIS) nella sua ultima roccaforte a est dell’Eufrate. L’attacco USA a Baghuz (est della Siria), realizzato insieme ai suoi procuratori curdi, ha portato i tre comandanti militari a decidere di riaprire la strada terrestre tra la Siria e l’Iraq, spianando il percorso per un passaggio sicuro dal territorio iraniano attraverso l’Iraq e la Siria fino al Mediterraneo. Questo significa che la strada Teheran-Baghdad-Damasco-Beirut è ora chiara. Questa non è la prima volta che l’establishment statunitense ha reso un sostanziale supporto strategico all’Iran con la sua goffa pianificazione.
Foto n Alto-Uomini sospettati di essere miliziani dello Stato Islamico (IS) aspettano di essere perquisiti dai membri delle forze democratiche siriane guidate dai curdi (SDF) dopo aver lasciato l’ultima posizione del gruppo ISIS di Baghouz, nella provincia settentrionale di Deir Ezzor, in Siria, il 22 febbraio 2019.
Quando il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha deciso di ritirarsi dalla Siria, descrivendolo come una terra di “sabbia e morte”, ha preso sul serio il suo piano. Tuttavia, gli Stati Uniti non potevano andarsene senza prima eliminare la sacca dell’ISIS che si trovava nell’area sotto il controllo degli Stati Uniti nell’est della Siria, il che avrebbe significato lasciare in piedi quello che è stato l’unico pretesto per la sua occupazione dell’area. 
Ecco perché a Trump era stato consigliato di eliminare prima l’ISIS e poi ritirare le sue truppe. Alla fine ha ordinato alle sue forze di farlo dopo lunghi mesi di inattività, durante i quali gli Stati Uniti hanno offerto protezione al gruppo terroristico e hanno permesso a decine di migliaia di militanti dell’ISIS di muoversi liberamente per attaccare l’esercito siriano ei suoi alleati lungo l’asse Bukamal -Deir-ezzour .

Il significato della decisione di Trump di passare definitivamente ad attaccare l’ISIS non può essere sopravvalutato. Dal 2014 gli Stati Uniti erano impegnati in una guerra fasulla contro l’ISIS, fingendo di combattere questo gruppo brutale di takfiri, mentre in realtà gli permettevano di espandersi e uccidere soldati dell’esercito siriano che hanno duramente combattuto il gruppo. In tutto questo tempo gli Stati Uniti hanno usato l’ISIS come pretesto per la presenza militare USA in Siria. 
Gli Stati Uniti hanno bombardato l’ISIS, occupato Raqqah e distrutta la città; poi ha fatto un accordo per deportare molte migliaia di miliziani dell’ISIS. Ma l’attuale Battaglia di Baghuz segna la prima volta che gli Stati Uniti hanno davvero combattuto l’ISIS. A suo merito, Trump ora sta facendo quello che gli Stati Uniti non hanno fatto per cinque anni: in realtà soltanto ora ha combattuto contro l’ISIS. Questa campagna tirata e spettacolare consente adesso a Trump di prendersi il merito di sconfiggere ISIS,

A Baghuz, le forze statunitensi (e gli alleati europei) hanno bombardato l’ISIS per spingerlo in una piccola città confinata. Sono riusciti ad aprire un passaggio sicuro per donne, bambini, anziani, feriti militanti dell’ISIS e molti di quelli disposti a arrendersi. Oltre 35.000 miliziani e famiglie dell’ ISIS e sono uscite da quel piccolo posto. 9.000 miliziani sono stati feriti o uccisi. Gli Stati Uniti e le loro forze paramilitari curde sono riuscite a bloccare i resti del gruppo terroristico in una piccola area a meno di 1 km quadrato e stanno per lanciare l’assalto finale nei prossimi giorni. È solo una questione di tempo prima che l’ISIS rinunci alla sua ultima roccaforte a est dell’Eufrate.
L’imminente rimozione della minaccia ISIS ha fornito l’occasione per un incontro insolito. Il capo di stato maggiore iraniano Mohammad Baqeri, il ministro della difesa siriano Ali Abdullah Ayyoub e il capo di stato maggiore iracheno, il generale Othman al-Ghanmi, si sono incontrati nella capitale siriana Damasco e hanno deciso di riaprire i confini tra Iraq e Siria.
Riunione degli Stati Maggiori di Siria, Iran, Iraq a Damasco
Trump e i suoi generali hanno riconosciuto il loro errore nel creare un passaggio sicuro per Iran e Iraq in Siria, rimuovendo l’ISIS da quella zona. La presenza di ISIS ha reso impossibile per i cittadini iraniani e iracheni e le merci in transito di viaggiare in sicurezza in Siria. Questa consapevolezza ha portato alla decisione degli Stati Uniti di lasciare dietro di sé diverse centinaia di membri statunitensi delle forze armate.
Grazie alla mossa degli Stati Uniti, l’Iran può ora inviare tutto il supporto necessario e riprendere il commercio con la Siria, in un momento in cui Israele ha bombardato l’aeroporto di Damasco per cercare di rallentare il rifornimento dell’esercito siriano con missili di precisione e altre attrezzature militari necessarie per ricostruire la forza di difesa dell’esercito. Con l’apertura di un nuovo passaggio di confine tra Iraq e Siria, l’occupazione statunitense dell’incrocio di al-Tanf diventa meno significativa. Se gli Stati Uniti cercano di fare pressione sull’Iraq per fermare il commercio con l’Iran o la Siria, Baghdad chiederà la partenza delle truppe di Trump dalla Mesopotamia.
La decisione di Trump significa anche che l’economia siriana sarà in grado di recuperare una certa forza una volta che la strada di terra riaprirà in Iraq. I tre comandanti militari hanno fatto una bella risata sulla politica e l’azione degli Stati Uniti in Siria. Hanno beneficiato dei continui errori strategici di Washington dalla sua occupazione in Iraq nel 2003 e della rimozione del più feroce nemico dell’Iran, Saddam Hussein.
L’ISIS rimane un pericolo per la sicurezza ma non una minaccia militare. I suoi resti possono ancora effettuare attacchi contro convogli o obiettivi soft anche dopo l’accordo congiunto dei tre paesi per pattugliare le frontiere e aiutare con la loro tecnologia, intelligence e soldati per proteggere il valico di confine al-Bu Kamal e unirsi agli sforzi per combattere ISIS. 
Gli Stati Uniti generalmente guardano al quadro generale, poiché i loro strateghi e pianificatori programmano di ridisegnare i confini, cambiare i regimi e creare stati falliti. Tuttavia, a volte ignorano i dettagli che possono trasformare una situazione a favore dei loro presunti nemici, in questo caso, l’Iran. Come ha detto una volta Rafsanjani, gli Stati Uniti sono “un dinosauro con il cervello di un uccello”.

Non solo Rafsanjani ha fatto osservazioni così caustiche. Ad una recente riunione del corpo della Guardia Rivoluzionaria iraniana – evento della brigata della Quds che celebra il successo del comandante generale generale Qassem Soleimani in Iraq e in Siria, il leader della rivoluzione Sayyed Ali Khamenei ha detto, con riferimento agli Stati Uniti (e all’Arabia Saudita): “grazie ad Allah, che ha reso i nostri nemici degli imbecilli “.
Fonte: ejmagnier.com

RAZZI A LUNGO RAGGIO COLPISCONO VICINO A TEL AVIV DOPO CHE ISRAELE HA ATTACCATO GAZA



Le autorità israeliane affermano che un razzo a lunga gittata lanciato dalla Striscia di Gaza ha colpito un’area vicino a Tel Aviv, nel centro di Israele, ferendo sette persone nel primo di tali incidenti dalla guerra del 2014 contro l’enclave palestinese.
L’attacco avvenuto nel mattino presto a Mishmeret, una città agricola a nord di Tel Aviv, è arrivato un giorno dopo che gli aerei israeliani avevano bombardato l’enclave assediata prima dell’anniversario delle proteste contro il recinto di Gaza nel fine settimana.
L’annuncio dell’attacco con razzo esploso su Tel Aviv è stato dato con grande risalto da tutti i media atlantisti e rigorosamente filo Israele, gli stessi che hanno dimenticato di dare notizia delle centinaia di bombe e missili lanciati soltanto nelle ultime settimane sulla striscia di Gaza dall’aviazione israeliana.

La notizia dell’attacco ha costretto il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a interrompere il suo viaggio a Washington subito dopo aver incontrato il presidente degli Stati Uniti Donald Trump più tardi, come ha riferito il suo ufficio.

Il Centro informazioni palestinese ha comunicato che due missili hanno colpito il cuore dei territori occupati da Israele nei primi giorni di lunedì. L’attacco avrebbe distrutto un edificio, lasciando sette coloni feriti.

Le sirene hanno suonato nel centro di Israele per la prima volta in due anni e gli abitanti hanno riportato un’esplosione, mettendo in evidenza il fallimento del sistema missilistico Iron Dome di Israele per intercettare il missile.

Il sistema di protezione, dal costo multi-miliardario, aveva subito un altro duro colpo durante l’ultimo scontro militare a novembre, quando Hamas ha lanciato più di 460 missili nelle terre occupate in meno di 24 ore, in risposta all’aggressione israeliana.

La capitale e le città periferiche di Israele sono state per l’ultima volta oggetto di un tale attacco durante la guerra del 2014 a Gaza. Una settimana e mezzo fa, a Gaza furono lanciati due razzi dalla Striscia di Gaza, ma i militari israeliani dissero che erano stati lanciati accidentalmente.

Timori di grave escalation
Netanyahu, che sta cercando un quinto mandato nel ballottaggio elettorale del mese prossimo, è stato a Washington per la conferenza annuale dell’AIPAC.

“Alla luce degli eventi sulla sicurezza, ho deciso di interrompere la mia visita negli Stati Uniti”, ha detto Netanyahu impegnandosi a “rispondere con la forza” all’attacco missilistico (come abitualmente fa Israele).

Il suo ufficio ha detto che Netanyahu è stato aggiornato sull’incendio causato dai razzi, e che ha chiesto una consultazione con i capi dell’esercito israeliano, Shin Bet e altri alti funzionari della sicurezza via telefono.

L’esercito israeliano ha poi accusato Hamas di aver sparato il razzo e ha annunciato che avrebbe inviato rinforzi nell’area di Gaza.

Il razzo, si dice, era stato sparato dalla zona di Rafah nella Striscia di Gaza meridionale. “Il lancio è stato effettuato da Hamas da una delle sue posizioni nell’area di Rafah”, ha detto il portavoce dell’esercito israeliano Ronen Manelis.

Attenzione contro l’aggressività di Israele

Il razzo palestinese avrebbe dovuto percorrere circa 120 chilometri da Rafah per atterrare nella capitale israeliana.

L’esercito israeliano ha detto che avrebbe inviato due brigate aggiuntive e avrebbe organizzato una serie limitata di riservisti, sollevando i timori di una grave escalation militare poco prima delle elezioni del 9 aprile.

Hamas a Gaza, alleato con la Jihad islamica ha dichiarato di “avvertire il nemico sionista dal commettere un’altra aggressione contro la Striscia di Gaza”.

“I loro leader dovrebbero essere consapevoli che risponderemo con la forza contro la loro aggressione”, ha detto il portavoce di Hamas, in una dichiarazione, senza commentare chi potrebbe essere stato responsabile per il razzo.

Domenica, i carri armati israeliani hanno bombardato Gaza dopo che “i palloni incendiari” sono stati lanciati attraverso la recinzione per tutta la sera, hanno detto i militari. Il giorno prima, gli aerei israeliani hanno colpito pesantemente la Striscia di Gaza meridionale.

Le ultime tensioni si sono sviluppate a Gaza a partire dal 30 marzo scorso, quando sono iniziate le proteste della “Grande Marcia di Ritorno”, chiedendo il diritto al ritorno per le persone cacciate dalla loro patria dall’aggressione israeliana.

Bombardamenti israeliani su Gaza

Gli scontri a Gaza hanno raggiunto il loro picco il 14 maggio, alla vigilia del 70 ° anniversario del Nakba Day o del Giorno della Catastrofe, che ha coinciso quest’anno con il trasferimento di Washington della sua ambasciata da Tel Aviv alla Gerusalemme occupata al-Quds.

Più di 260 palestinesi sono stati finora uccisi e almeno 26.000 altri feriti negli scontri di Gaza, secondo il ministero della Salute di Gaza (questo però non fa notizia per i media filo atlantisti).

Gaza si trova sotto assedio israeliano dal giugno 2007, fatto che ha causato un declino degli standard di vita. Israele ha lanciato tre grandi guerre contro l’enclave dal 2008, uccidendo migliaia di abitanti di Gaza ogni volta e distruggendo le già povere infrastrutture del territorio impoverito.

Fonte: Press Tv

Gilet gialli, atto XIX: militari condannano il ricorso all’esercito

ANCHE L'ESERCITO FRANCESE MANIFESTA IMBARAZZO VERSO LA DECISIONE DI MACRON DI USARE L'ESERCITO CONTRO I MANIFESTANTI E PAVENTANO UN RISCHIO DI DITTATURA  

Manifestante di 73 anni gravemente ferita alla testa durante una carica della polizia a Nizza, alla quale Macron ha augurato “una pronta guarigione e forse una forma di saggezza”.


La rivista online indipendente Mediapart pubblica un’intervista a dei militari francesi prima dell’Atto XIX, per il quale Macron ha mobilitato l’esercito. I militari esprimono le loro preoccupazioni sui pericoli per lo stato di diritto, dato che i soldati non sono addestrati per fronteggiare manifestazioni di piazza, né sono propensi a considerare i cittadini francesi dei nemici da combattere. Come afferma uno di loro, solo nelle dittature si ammazzano i manifestanti.


Mercoledì Benjamin Griveaux , il portavoce del governo, ha annunciato la mobilitazione dei soldati dell’ “Operazione Sentinelle” per garantire la sicurezza nella prossima manifestazione dei gilet gialli in programma per Sabato 23 marzo.


Da parte sua, il Ministro della Difesa, Florence Parly, si è mostrato rassicurante nel dire ai parigini, venerdì 22 marzo, che la missione militare “intende proteggere gli edifici pubblici ed è fuori questione che l’esercito debba affrontare i dimostranti”. Una versione molto diversa da quella del generale Bruno Leray, comandante militare di Parigi, pubblicata lo stesso giorno su France Info. Il generale ha dichiarato che i soldati “hanno varie modalità di azione per far fronte alle diverse possibili minacce […]. Se le loro vite o quelle delle persone che stanno difendendo saranno minacciate, potranno arrivare ad aprire il fuoco’“.


Il Codice della difesa prevede che le forze armate possano essere “legalmente obbligate” a partecipare al mantenimento dell’ordine. I soldati dell’esercito, della marina o delle forze aeree vengono mobilitati per “missioni” a rinforzo della polizia, per “missioni di protezione” e “in ultima analisi, possono essere mobilitati per azioni di forza che richiedano misure di sicurezza eccezionali.”


“L’uso dei militari e l’annuncio da parte del governo della loro presenza questo sabato ha lo scopo di mostrare una maggiore fermezza, ma questo uso repressivo dell’esercito è molto pericoloso“, lamenta Michel Goya. L’ex colonnello ha comandato un reggimento di fanteria della marina prima di insegnare all’Ecole Pratique des Hautes Etudes. Oggi cura un blog, La voie de l’épée (La voce della spada), dedicato all’analisi e alla storia militare.


“Durante la guerra d’Algeria, l’esercito è stato usato perché si riteneva di di fronteggiare un nemico, un’organizzazione armata, il che poteva essere discutibile ma era accettato. Ma in Francia, nella Francia continentale, l’ultima volta che i soldati hanno partecipato a delle operazioni di polizia e di mantenimento dell’ordine, è stato nel 1947” precisa Michel Goya.


“Quando i soldati intervenivano nei movimenti sociali, all’inizio del secolo, contro i vignaioli del sud o contro i minatori del nord, è sempre stata una tragedia. Ecco perché dopo la prima guerra mondiale questi sono stati rimossi dalle forze dell’ordine ed è stata creata la gendarmeria mobile“, ricorda Goya.


Il generale si dichiara preoccupato per il cambio di prospettiva sull’uso dei militari. “A partire dal piano Vigipirate (Vigilanza e Protezione dei servizi contro il rischio di attentati terroristici stragistici), i militari sono stati presenti nei movimenti sociali senza venire coinvolti, perché non devono esserlo. La loro presenza era stata legittimata dalla lotta contro il terrorismo, che era un piano a lungo termine e del quale, ancora, si può discutere. Ma in nessun caso il loro nemico erano i cittadini che manifestavano per ragioni economiche e sociali.”


Il ricorso all’esercito equivale a “designare un nemico, come accade in guerra. In questo caso, i gilet gialli sono il nemico“. Il generale vede in questa strategia come un tentativo da parte del governo di “elevare i cittadini al rango di nemico, elevando il livello della risposta. Ebbene la risposta per noi non può essere commensurata. Se c’è aggressione, c’è l’uso di armi, armi letali. I ministri della Difesa e dell’Interno hanno un bel dire che i militari non saranno in prima linea, ma cosa accadrà se i manifestanti cercheranno di attaccare gli edifici che essi devono proteggere? O l’esercito ne esce umiliato per aver dovuto subire un’aggressione, o diventa un massacro, di cui lo Stato sarà responsabile“.


In ogni caso, “questo governo ha superato il limite. Perché dopo una manifestazione sono possibili due scenari: o l’ordine pubblico sarà stato mantenuto senza troppi danni, e quindi il ricorso all’esercito sarà considerato efficace e utile. Oppure sarà una tragedia, e saranno necessarie altre mobilitazioni“. Michel Goya si rammarica che il governo abbia ceduto a “una vecchia richiesta dei sindacati di polizia. Siamo in un contesto interno, sociale. La risposta che viene data è aberrante. Il governo sta dichiarando guerra ai gilet gialli“.


Il giornalista Jean-Dominique Merchet, specializzato in questioni della difesa, commenta così in un articolo su L’Opinion: “La compartimentazione giuridica tra sicurezza interna e difesa esterna, fondata sulla distinzione tra delinquente e nemico, è una delle basi della democrazia sull’uso della forza. La lotta contro il terrorismo aveva già minato questo principio. Mobilitando le forze armate di Sentinelle per mettere in sicurezza “siti ad alto rischio” dai manifestanti, il potere esecutivo, visibilmente disorientato dall’Atto 18, assume un nuovo considerevole rischio.”


Secondo il generale Vincent Desportes, “per quanto questo ricorso alle forze armate sia giuridicamente fondato, applicarlo oggi alle manifestazioni rappresenta un grande rischio politico. L’esercito è l’ultima risorsa. L’esercito non è assolutamente adatto per far fronte a una situazione di questo tipo. Durante le operazioni a Sarajevo o in Costa d’Avorio, ad esempio, le truppe venivano addestrate nel cosiddetto “controllo della folla”, operazioni simili al mantenimento dell’ordine nei movimenti di protesta”.

Il generale specifica che queste operazioni non solo risalgono all’inizio degli anni 2000, ma che sono state realizzate in territorio straniero e soprattutto che “l’esercito ha rinunciato ad essere addestrato al mantenimento dell’ordine, perché è molto riluttante nei confronti di tali missioni. Dopo tutto, i soldati non sono più addestrati degli agenti di polizia utilizzati a rinforzo nelle manifestazioni dei gilet gialli e che, per mancanza di esperienza, commettono errori“.


“Non si uccidono i manifestanti, se non nelle dittature”


Il generale, professore di Scienze Politiche, non è noto per avere posizioni di sinistra. Preferisce parlare di “rivoltosi” piuttosto che di manifestanti. Tuttavia, ricorda che i militari non hanno uno scudo per proteggersi e soprattutto che non sono dotati di flashball o manganelli, ma di mitragliatrici. Hanno “il diritto di usare le armi per autodifesa, ma anche per difendere beni o persone che siano messi in pericolo. Il problema è che un soldato non è proporzionale nelle sue risposte. O si usano le mani, o i Famas, i fucili mitragliatori. Non ci si può difendere a pugni contro il lancio di pietre, quindi c’è un grande rischio che venga versato del sangue.”


Jean *, un ex colonnello, ha prestato servizio nell’esercito. Non usa mezzi termini sulla decisione del governo: “È una grande cazzata. L’esercito ha solo armi da guerra per combattere il nemico. Dobbiamo ricordare questi fondamenti a questa banda di dilettanti che rischiano di provocare l’irreparabile? È un passo indietro. Ricordate i minatori morti nel 1891, a Fourmies. Il governo vuole un altro massacro?”


“Come può il governatore di Parigi affermare che i militari reagiranno in caso di minacce? Pensa di rassicurare i militari, ma è tutto il contrario. La nostra missione non è sparare ai cittadini, dobbiamo ricordare questo fatto del tutto evidente“. A 85 anni, questo soldato è rimasto traumatizzato da ciò che ha vissuto in Algeria. “Sono stato mandato tra le forze dell’ordine contro i manifestanti che stavano difendendo i loro diritti. Avevo donne e bambini di fronte a me. È il momento peggiore da me vissuto in tutta la mia carriera. Come contenere le dimostrazioni quando hai un fucile? Non si ammazzano i manifestanti, tranne che nelle dittature.”


La sera dell’annuncio del governo, Michel Goya si è intrattenuto a parlare con i soldati dell’Operazione Sentinelle. “Non erano neppure informati. Hanno saputo della mobilitazione dell’esercito attraverso la stampa. Non hanno ricevuto alcuna istruzione fino ad oggi. Non conoscono né quali sono i siti da proteggere né le strategie da adottare in caso di sfondamento. Questo governo improvvisa, si agita, si mette in mostra. Ma questo dilettantismo comporta rischi significativi per militari e manifestanti. Tanto più che un tale annuncio getta necessariamente della benzina sul fuoco e provoca le violenze.”



Il sottufficiale Laurent *, 35 anni, ha partecipato alle Operazioni Sentinelle. “Ho saputo della mobilitazione dell’esercito per le manifestazioni dei gilet gialli quando mi avete chiamato“, dice. Prima di partire per la Guyana, questo soldato stava andando ad addestrarsi nel sud della Francia. “Dovevamo addestrarci a intervenire nella giungla. Ecco perché entriamo nell’esercito, non per sparare ai francesi. Non siamo ingenui, sappiamo bene che veniamo usati all’estero per servire interessi economici legati al petrolio, al gas. Ma sparare ai cittadini francesi perché Macron non cambia la politica economica, questo non è ammissibile.”


Laurent ha partecipato all’Operazione Sentinelle ed è sollevato dal fatto di non dover più “camminare per ore nelle strade con il Famas o l’ HK416. È un’arma molto pesante, è faticoso. Guadagniamo circa 1.800 euro, dopo sedici anni di servizio. Tra di noi ci potrebbero essere dei gilet gialli. In ogni caso, li capisco. Quando vedo le manifestazioni, mi ricorda i tempi della monarchia, quando la gente era affamata e il re rispondeva con la repressione. Andare a colpire i cittadini francesi perché sono nella merda come me, è un limite che non posso superare “.


Il militare ricorda che ogni soldato ha il diritto di rifiutare un ordine se è contrario alla legge e ai trattati in vigore firmati dalla Francia. Si domanda cosa potrebbero fare i suoi colleghi, sabato, contro i manifestanti. “Non spareranno, ma se va male, cosa faranno? Colpiranno col calcio del fucile? Un annuncio del genere rischia di creare più violenza. Che alcuni gilet gialli, disperati, siano violenti, è una cosa. Quando non hai nulla da perdere, diventi violento. Soprattutto perché si trovano ad affrontare un governo che rimane sordo alle loro richieste e che oggi manda l’esercito. C’è una forma di autoritarismo in questa politica liberale. Potrebbe degenerare ancora di più. ”