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venerdì 3 maggio 2019

Rivelazione shock: "Scagionate Rosa e Olindo, non sono loro gli assassini"

Rivelazione shock: "Scagionate Rosa e Olindo, non sono loro gli assassini"







Si sta per riaprire uno dei casi di cronaca che fecero inorridire l'Italia intera.

Torna a far sentire la sua voce il superteste che scagiona Olindo Romano e Rosa Bazzi. Vacilla in tal modo l'intero impianto accusatorio nei confronti della coppia accusata di aver ucciso Raffaella Castagna, il figlio Youssef e la suocera Paola Galli (l'altra vittima fu Valeria Cherubini) e di aver ferito quasi mortalmente un altro vicino di casa (Mario Frigerio, marito della Cherubini, salvo per una malformazione congenita alla carotide e superteste dell'accusa)

Cinque anni fa, scrive Il Giornale, lo stesso Azouz Marzouk, padre e marito di due delle vittime, davanti alla corte d'Assise di Como, aveva espresso dei dubbi sulla reale colpevolezza dei coniugi, che sono stati condannati all'ergastolo in Cassazione. Marzouk si era confidato con due guardie carcerarie.

Azouz, oggi sarebbe pienamente convinto della loro innocenza - tanto da aver rifiutato il risarcimento come parte civile - alla vigilia della sentenza di primo grado fu interrogato su quel rapporto della polizia penitenziaria al tribunale di Comoma non si sbilanciò. Un uomo, aveva raccontato, era andato da sua madre in Tunisia sostenendo che gli assassini fossero altri.

Oggi il nuovo legale di Azouz Luca D'Auria dice di aver trovato il misterioso uomo:


Sono stato di recente a Tunisi e ho incontrato in un bar l'uomo che andò dalla madre di Azouz nel 2008 - rivela l'avvocato a «Cronaca Vera» oggi in edicola - mi ha ribadito ciò che narrò allora alla donna e cioè che all'epoca in Brianza c'erano precise voci che ritenevano colpevoli un gruppo di professionisti, non di origine araba, in quanto, mi ha spiegato, "gli arabi non uccidono i bambini.

Il processo fu caratterizzato dalle confessioni, poi ritrattate, dei coniugi, mentre i rilievi del Ris rivelarono una serie di contraddizioni come nel caso della macchia di sangue definita minuscola e ritrovata due settimane dopo la mattanza sull’auto di Olindo Romano e la deposizione del superteste, che prima identificò davanti ai pm in una persona sconosciuta di carnagione olivastra il killer della moglie salvo poi cambiare idea e puntare su Olindo.


La ricostruzione del delitto ha alcuni punti mai chiariti. Valeria Cherubini venne trovata in casa sua con la gola squarciata anche se i soccorritori hanno confermato che la donna era ancora viva al momento del loro arrivo dato che chiedeva aiuto, contrastando la versione per la quale avesse la lingua tagliata. D’Auria è convinto dell’innocenza dei Romano ed ha depositato il ricorso per la revisione del processo alla Corte di giustizia europea di Strasburgo:

Presto tornerò per verbalizzare le sue dichiarazioni nell’ottica di una richiesta di revisione del processo. Azouz è convinto di due cose, che gli assassini non siano i Romano e che non si tratti di una vendetta trasversale nei suoi riguardi per vicende inerenti lo spaccio. Io ritengo, invece, che nessuna pista sia preclusa

Rivelazione shock: "Scagionate Rosa e Olindo, non sono loro gli assassini"
Rivelazione shock: "Scagionate Rosa e Olindo, non sono loro gli assassini"
Olindo e Rosa: otto anni dopo, il grande mistero dei mostri perfetti

Torna alla ribalta il caso della strage di Erba dopo le dichiarazioni di Azouz Marzouk sull'innocenza di Rosa e Olindo, e soprattutto dopo i vari servizi che il programma "Le Iene" ha dedicato al caso. Nel 2013 spuntò un superteste che scagionava Olindo Romano e Rosa Bazzi, facendo vacillare in tal modo l'intero impianto accusatorio nei confronti della coppia accusata di aver ucciso Raffaella Castagna, il figlio Youssef e la suocera Paola Galli (l'altra vittima fu Valeria Cherubini) e di aver ferito quasi mortalmente un altro vicino di casa (Mario Frigerio, marito della Cherubini, salvo per una malformazione congenita alla carotide e superteste dell'accusa). Nel 2008, scriveva Il Giornale, lo stesso Azouz Marzouk, padre e marito di due delle vittime, davanti alla corte d'Assise di Como, aveva espresso dei dubbi sulla reale colpevolezza dei coniugi, che sono stati condannati all'ergastolo in Cassazione. Marzouk si era confidato con due guardie carcerarie.

Azouz, oggi sarebbe pienamente convinto della loro innocenza - tanto da aver rifiutato il risarcimento come parte civile - alla vigilia della sentenza di primo grado fu interrogato su quel rapporto della polizia penitenziaria al tribunale di Como ma non si sbilanciò. Un uomo, aveva raccontato, era andato da sua madre in Tunisia sostenendo che gli assassini fossero altri.

Oggi il nuovo legale di Azouz Luca D'Auria dice di aver trovato il misterioso uomo: Sono stato di recente a Tunisi e ho incontrato in un bar l'uomo che andò dalla madre di Azouz nel 2008 - rivela l'avvocato a «Cronaca Vera» - mi ha ribadito ciò che narrò allora alla donna e cioè che all'epoca in Brianza c'erano precise voci che ritenevano colpevoli un gruppo di professionisti, non di origine araba, in quanto, mi ha spiegato, "gli arabi non uccidono i bambini".

Il processo fu caratterizzato dalle confessioni, poi ritrattate, dei coniugi, mentre i rilievi del Ris rivelarono una serie di contraddizioni come nel caso della macchia di sangue definita minuscola e ritrovata due settimane dopo la mattanza sull’auto di Olindo Romano e la deposizione del superteste, che prima identificò davanti ai pm in una persona sconosciuta di carnagione olivastra il killer della moglie salvo poi cambiare idea e puntare su Olindo.

La ricostruzione del delitto ha alcuni punti mai chiariti. Valeria Cherubini venne trovata in casa sua con la gola squarciata anche se i soccorritori hanno confermato che la donna era ancora viva al momento del loro arrivo dato che chiedeva aiuto, contrastando la versione per la quale avesse la lingua tagliata. D’Auria è convinto dell’innocenza dei Romano ed ha depositato il ricorso per la revisione del processo alla Corte di giustizia europea di Strasburgo: Azouz è convinto di due cose, che gli assassini non siano i Romano e che non si tratti di una vendetta trasversale nei suoi riguardi per vicende inerenti lo spaccio. Io ritengo, invece, che nessuna pista sia preclusa.


ALTRE CONSIDERAZIONI SUL CASO. QUANTI SONO I "MOSTRI DA PRIMA PAGINA" IN ITALIA?

Annamaria Franzoni

La stessa Rosa Bazzi confessa che la sera della strage vide un uomo entrare nel palazzo con una strana valigia di plastica: “Quella sera vidi un uomo con una borsa di plastica entrare nella palazzina dell’orrore”....Pago la mia confessione ma non certo le mie colpe, perché non sono entrata in quella casa”. A confermare la sua tesi sarebbe l’assenza di prove nell’appartamento dei coniugi Romano. “Dissero che ero stata brava a ripulire tutto, ma ribaltarono la casa da cima in fondo”. E allora perché quella confessione? “Perché meglio due cretini in carcere, che sapere di assassini a piede libero” dice Rosa Bazzi. 
Ma al giornalista Monteleone Rosa Bazzi dichiara anche un'altra cosa importante, e cioè che lo psichiatra Picozzi le avrebbe estorto la confessione di colpevolezza suggerendole perfino come muoversi al fine di essere convincente. Tutti ricordiamo il video shock in cui Rosa "confessa" come ha ucciso le vittime. 
La storia della strage di Erba è uno di quei tanti casi in cui probabilmente persone innocenti scontano al posto dei veri colpevoli, e il ruolo dei periti nominati dalla magistratura si rivela sempre cruciale: parliamo degli psichiatri. In un altro caso orribile come il caso di Cogne, dove venne ritrovato un bimbo di pochi anni, Samuele, con la testa fracassata e per il quale è andata in galera a scontare 16 anni la madre del piccolo, due figure apparse in secondo piano, ma sicuramente più decisive di quanto è stato fatto credere all'opinione pubblica, sono quelle della psichiatra amica della Franzoni e del marito, e quella del collega psichiatra Francesco Bruno che consolidò il quadro accusatorio a carico della madre del piccolo trucidato. Sia nel caso di Erba, che nel caso di Cogne, le vittime designate sono due bimbi: Youssef di soli due anni, ritrovato in un lago di sangue insieme ai corpi della madre e degli altri componenti della famiglia, probabilmente intervenuti per difenderlo, e Samuele di soli 3 anni. 
Sono diversi i casi in cui testimoni di casi di cronaca rivelano di essere stati "suggestionati" da psichiatri e psicologi a confessare cose mai commesse. Allora la domanda è: perchè questi professionisti agiscono in questo modo, chi hanno interesse a coprire o cosa? Un fatto è certo: quando le vittime sono bimbi innocenti non bisognerebbe mai scuotere le spalle in modo indifferente. Il testimone che parlò con la madre di Marzouk in Tunisia parlò di "un gruppo di professionisti che uccidono bambini". Adesso, conoscendo i casi di cronaca che troppe volte in Italia hanno coinvolto sette sataniche e traffici di bimbi per il mercato degli organi o della pedofilia, questa dichiarazione meriterebbe di essere presa in seria considerazione. E' evidente che, sia nel caso di Erba che nel caso di Cogne, i bimbi dovevano essere rapiti, ma qualcosa deve essere andato storto perché l'epilogo è stata la morte delle vittime. Ora è chiaro che in entrambi i casi ci volevano degli innocenti a pagare per i veri colpevoli, i "mostri" da sbattere in prima pagina. Un gruppo di professionisti veramente ben organizzato, non c'è dubbio. 

CINZIA PALMACCI



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giovedì 14 febbraio 2019

A 35 anni dal caso Tortora, le associazioni denunciano: «Le vittime degli errori giudiziari senza risarcimento»


Risultati immagini per FOTO arresto Enzo Tortora

LA MAGISTRATURA DOVREBBE RIPENSARE L'INTERO IMPIANTO DELLE DEPOSIZIONI E UTILIZZO DELLE "INFORMAZIONI" DEI COSIDDETTI "PENTITI", CHE POI COSI' PENTITI NON SONO MAI. UN CRIMINALE RESTA UN CRIMINALE SOPRATTUTTO QUANDO, PER SALVARSI DA UNA LUNGA DETENZIONE, NON CI PENSA DUE VOLTE AD ACCUSARE UN INNOCENTE! SONO NECESSARIE PROVE CERTE E RISCONTRATE PRIMA DI ROVINARE LA VITA AD ALTRE PERSONE! I CASI TORTORA E GULOTTA NE SONO LA DESOLANTE TESTIMONIANZA.... 


Disse Ferdinando Imposimato (giudice istruttore dei più importanti casi di terrorismo, tra cui il rapimento di Aldo Moro) che l’errore giudiziario è un virus, capace di inocularsi in qualsiasi parte del processo e di rimanerci se il sistema non è in grado di espellerlo. Reazione che, talvolta, non avviene e che, dal più famoso caso di Enzo Tortora – del quale ricorre il trentacinquesimo anniversario dal suo ingiusto arresto – passando per il più eclatante, quello di Giuseppe Gulotta, ha prodotto, dal 1991 a oggi, circa ventiseimila e cinquecento errori giudiziari, compresa l’ingiusta detenzione, e per risarcire i quali lo Stato, dal 1992 al 2017, ha speso 768.361.091 milioni di euro, quasi 29 milioni di euro l’anno.

Utilizzati, principalmente, per corrispondere gli indennizzi per le ingiuste detenzioni, che oggi, dopo la legge Carotti che li elevò da cento milioni di lire a un miliardo, hanno un tetto massimo di 516mila euro. «L’unico che lo ottenne fu Clelio Darida, ex guardasigilli e sindaco di Roma. Per tutti gli altri, è una somma simbolica che viene elargita come ristoro», racconta a Left, il presidente dell’associazione Art643, Gabriele Magno. Che precisa: «Il vero problema è l’abuso della questione della custodia cautelare preventiva, ossia per il solo fumus del reato, i presunti colpevoli vanno in carcere o ai domiciliari: per loro non è previsto il risarcimento (che, invece, spetta a chi ha subìto condanna definitiva e solo dopo la revisione del processo, grazie a nuove prove, viene assolto) bensì un indennizzo». Sempre più spesso poco riconosciuto: «un po’ perché, così facendo, si cerca di tutelare l’infallibilità del magistrato e un po’ per una questione di principio», continua Magno. Per esempio, «i magistrati che hanno assolto Enzo Tortora – prosegue Magno – sono stati ampiamente criticati perché assolvendolo hanno creato i presupposti perché vincesse il referendum dei radicali sulla responsabilità civile dei giudici».
Quello del tetto massimo dell’indennizzo e quello relativo agli errori del magistrato sono due limiti che l’associazione Art643 ritiene da superare. «La nostra casistica – riferisce il suo presidente – ci ha portato a constatare che chi è stata vittima di un’ingiusta detenzione, nei due anni successivi all’assoluzione – il tempo previsto per proporre istanza di riparazione – si preoccupa di recuperare i propri rapporti umani, deteriorati e persi». E, raramente, di pensare all’indennizzo. Ma, spiega Magno, «dietro il termine dei due anni dall’assoluzione, si cela (furbescamente) la prescrizione dell’errore del magistrato. E la cosa scandalosa è che, in Italia, non abbiamo una casistica: la legge c’è ma non è stata mai applicata per evitare precedenti. Senza precedenti, il problema non esiste».
Non solo. «Dal governo Monti in poi, c’è stato un grosso restringimento per il riconoscimento per l’ingiusta detenzione: i requisiti per ottenerlo sono giudicati in maniera molto più severa tanto che, in un anno, dei circa mille e settecento che finiscono in carcere ingiustamente, è accolto solo il 40 per cento delle domande», aggiunge Valentino Maimone, cofondatore, insieme a Benedetto Lattanzi, di Errorigiudiziari.com, il primo archivio on line su errori giudiziari e ingiusta detenzione. Che continua: «Le cause che stanno alla base degli errori giudiziari sono tante e molto diverse tra loro. Per citarne alcune, la superficialità delle indagini durante la fase investigativa che genera tante falle; poi, una certa propensione dei magistrati a innamorarsi delle tesi degli investigatori; inoltre, la scarsa affidabilità dei testimoni oculari, come dimostrano ormai diversi studi scientifici, della quale, invece, si tiene poco conto; e, infine, le false confessioni indotte dalla pressione psicologica esercitata dagli investigatori durante le indagini».
E, così, le persone, distrutte in un solo giorno, subiscono una “condanna a morte” (anche) mediatica: dal mostro sbattuto in prima pagina all’assoluzione relegata a un trafiletto, quando, addirittura, non riportata. Chissà che con l’approdo della riforma del sistema carcerario in Commissione giustizia alla Camera – il cui iter è rimasto inconcluso nella scorsa legislatura – i nuovi deputati, oltre a prestare attenzione alle (indiscutibili) garanzie della vita detentiva e al lavoro dei reclusi, tengano nella giusta considerazione anche la riabilitazione dell’immagine di quei tanti certi innocenti.

22 anni in cella da innocente: Giuseppe Gulotta chiede 66 milioni allo Stato




Accusato dell’omicidio di due carabinieri, fatto confessare a suon di botte e condannato all’ergastolo viene scagionato al processo di revisione.


Per la prima volta, nella storia italiana, viene citata l’Arma dei carabinieri per responsabilità penale nella richiesta di un risarcimento di oltre 66 milioni di euro per il danno esistenziale da errore giudiziario subito da Giuseppe Gulotta, vittima di uno degli errori giudiziari più gravi della storia della Repubblica. L’atto è stato depositato al Tribunale di Firenze dagli avvocati Baldassarre Lauria e Pardo Cellini, che lo hanno assistito sin dal processo di revisione. Vengono citati, tra gli altri, la presidenza del Consiglio, il ministero dell’Interno, il ministero della Difesa e il ministero dell’Economia. Ad aprile del 2016, ricordiamo, la vittima da errore giudiziario, è riuscito ad ottenere sei milioni e mezzo di euro di risarcimento per aver trascorso 22 anni in carcere da innocente.

Per decenni era stato considerato un assassino, dopo che lo hanno costretto a firmare una confessione con le botte, puntandogli una pistola in faccia, torturandolo per una notte intera. Si era autoaccusato: era l’unico modo per farli smettere. Ricordiamo che Giuseppe Gulotta oggi ha 60 anni. Quando ne aveva appena 18, nel 1976, è stato accusato di aver ucciso due giovani carabinieri che dormivano nella caserma Alkmar di Alcamo Marina, in provincia di Trapani. Arrestato, è stato costretto sotto tortura a confessare un reato mai commesso.

Chi fece il suo nome? Dopo quella strage, una Fiat, correndo ad alta velocità, si schianta tra due muri. Interviene una gazzella dei carabinieri nelle vicinanze. L’uomo è armato, si chiama Giuseppe Vesco, ha 22 anni. Gli viene sequestrata una pistola calibro 7,65, stesso calibro di quella che ha fatto fuoco sui carabinieri di Alkamar.

Vesco viene arrestato e trasportato in caserma ed ammanettato ad un termosifone. Il ragazzo, sotto ordine del comandante, viene massacrato di botte da altri carabinieri. Il brigadiere Renato Olino sente le urla di Vesco, protesta con il suo comandante, ma non viene ascoltato. Nel pomeriggio Vesco viene denudato, viene fatto sdraiare su delle grandi casse e legato da braccia e gambe. Viene messo un imbuto nella bocca del ragazzo e, tappato il naso, viene costretto ad ingoiare ingenti quantità di acqua e sale.

Dalla bocca di Vesco devono uscire fuori necessariamente dei nomi. Non avendo successo con litri di acqua e sale, viene eseguita la successiva atrocità: vengono collegati ai testicoli di Vesco degli elettrodi, collegati ad un generatore di corrente. Dopo un interminabile supplizio di acqua e sale e scariche elettriche, il ragazzo, esausto, pronuncia quattro nominativi: Giovanni Mandalà, i minorenni Gaetano Santangelo e Vincenzo Ferrantelli, compreso il diciottenne Giuseppe Gulotta. Al processo di primo grado, Gulotta, è stato assolto per insufficienza di prove, ma dopo vari gradi di giudizio è stato definitivamente condannato all’ergastolo nel 1990. Con lui furono accusati innocentemente degli omicidi altri quattro ragazzi, nomi citati da Vesco sotto tortura. Due fuggirono in Brasile per scampare al verdetto, uno venne ritrovato impiccato in cella, un altro ancora morì di tumore in carcere, privato delle cure in ospedale perché ritenuto un pericoloso ergastolano.

Dopo 36 anni, di cui 25 trascorsi dietro le sbarre, Gulotta ha ottenuto la revisione del processo grazie alla confessione dell’ex brigadiere Olino. È stato assolto definitivamente nel 2012. Poi, nel 2016 riuscì ad ottenere un primo risarcimento di 6,5 milioni di euro, la cifra più alta che lo Stato italiano abbia mai sborsato per riparare a un errore giudiziario. Ora chiede il risarcimento per il danno esistenziale da errore giudiziario, sì perché tale richiesta rappresenta un caso emblematico dello “sconvolgimento esistenziale” che ha procurato l’intera vicenda.

Ci sono due aspetti che sono contenuti nella richiesta: il primo riguarda la responsabilità dello Stato per non aver codificato negli anni il reato di tortura; mentre il secondo è quello che attiene agli atti di tortura avvenuti in una sede istituzionale da personale appartenente all’Arma che ha generato un gravissimo errore giudiziario.






mercoledì 28 novembre 2018

Morte Alessandra Madonna, niente omicidio volontario: 4 anni e 8 mesi per Varriale

RICORDATE IL CASO DI QUESTA RAGAZZA MORTA, SECONDO LA PROCURA, PER MANO DEL SUO FIDANZATO? EBBENE, PER IL TRIBUNALE DI NAPOLI NON E' STATO OMICIDIO VOLONTARIO. 4 ANNI E 8 MESI SONO POCHI PERFINO PER CHI UCCIDE UN ANIMALE!
Era molto attesa  la sentenza su Giuseppe Varriale, il 28 enne di Mugnano di Napoli responsabile, secondo la procura, della morte dell’ex fidanzata, Alessandra Madonna.Varriale (difeso dagli gli Avv. Pomponio e Chiummariello) ha incassato una condanna a 4  e 8 mesi di reclusione dal gip Santoro del Tribunale di Napoli nord. Il giudice ha accolto la tesi della difesa che aveva battuto la tesi della colpa cosciente e non del dolo. Dunque respinta la tesi della procura che aveva chiesto 30 anni di reclusione per omicidio volontario. Varriale resta ai domiciliari.
Della colpevolezza del giovane erano fermamente convinti i genitori della il padre della vittima Madonna Vincenzo, il fratello minorenne Gennaro e la madre Olimpia Cacace, costituitisi, durante l’iter processuale, parte civile e rispettivamente rappresentati dagli avvocati Celestino Gentile, Alessandro Caserta e Giovanbattista Vignola.
Grande delusione alla lettura della sentenza da parte dei familiari di Alessandra Madonna.
Una sentenza, con il rito abbreviato, definita «scandalosa» dalla famiglia Madonna. «L’hanno uccisa due volte», hanno accusato i familiari. La mamma di Alessandra, la signora Olimpia, ha minacciato il suicidio.

venerdì 28 settembre 2018

MARESCIALLO ANTONIO CAUTILLO : IL CORAGGIO DI DENUNCIARE-2015

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Il maresciallo Antonio Cautillo aveva denunciato abusi da parte di commilitoni. Vive un inferno kafkiano da 23 anni. Inutili appelli ai ministri della Giustizia e della Difesa.
Qualcuno doveva aver calunniato Cautillo perché, una mattina, senza che avesse fatto nulla di male, iniziò un processo contro di lui.
OTTOBRE 2015

ATTO CAMERA

INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/10842

Dati di presentazione dell’atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 508 del 22/10/2015
Firmatari
Primo firmatario: COZZOLINO EMANUELE 

Gruppo: MOVIMENTO 5 STELLE
Data firma: 22/10/2015
Destinatari
Ministero destinatario:
  • MINISTERO DELLA DIFESA
  • MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DELLA DIFESA delegato in data 22/10/2015
Stato iter:
IN CORSO
Atto Camera
Interrogazione a risposta scritta 4-10842
presentato da
COZZOLINO Emanuele
testo di
Giovedì 22 ottobre 2015, seduta n. 508
COZZOLINO. — Al Ministro della difesa, al Ministro della giustizia . — Per sapere – premesso che:

il settimanale Cronaca Vera in data 12 maggio 2015 ha pubblicato l’articolo intitolato «Mi hanno maltrattato in ogni modo» e così ha sintetizzato la vicenda: «Nel corso di un’inchiesta da lui curata, un suo superiore fu indagato per omissioni di atti d’ufficio. È stato forse questo episodio a scatenare nei confronti del maresciallo Antonio Cautillo (vedi Cronaca Vera n. 1961) quella che lo stesso militare definisce una “rappresaglia senza fine”, iniziata nel 1990 e ancora in corso, che ha sottoposto Cautillo a decine di procedimenti disciplinari e penali. Il calvario è iniziato con una graduale emarginazione che si è trasformata ben presto in rapporti sempre più esasperati con superiori e colleghi, fino ad arrivare a boicottaggi, minacce ed altre azioni che Cautillo ha sempre considerato illegali. “Ho sempre denunciato le minacce che, di volta in volta, ho ricevuto”, racconta. “Perseguire i reati è sempre stato il mio compito e l’ho svolto senza compromessi. Proprio per non essere rimasto in silenzio di fronte a gravissime situazioni di cui sono stato testimone, ho subito di tutto: procedimenti disciplinari, punizioni, trasferimenti coatti, continue umiliazioni. A tutto questo si sono aggiunte le denunce nei miei confronti per ipotetiche mancanze in servizio: disobbedienza aggravata e continuata, falsità ideologica, diffamazione, abuso d’ufficio, insubordinazione con ingiuria. Nonostante tutto questo, resisto e resto in servizio. Mi sono opposto a qualsiasi tipo di provvedimento emesso dai miei superiori. Recentemente, per aver documentato un’ingiusta punizione subita, al mio curriculum si sono aggiunti altri due giorni di consegna: per me vale più di un encomio”. VICENDA ALLUCINANTE. In due esposti inviati al ministero della Difesa, il maresciallo definisce “gerarchi” tre superiori. Basta questo per beccarsi una nuova denuncia per diffamazione, l’ultima di una serie di disavventure nel suo disperato tentativo di difendersi da quello che lui percepisce come un vero e proprio accerchiamento. Un noto generale, oggi in pensione, l’aveva preso proprio di petto. “Dopo essere stato assolto da una delle tante accuse di diffamazione fui punito con 10 giorni di consegna di rigore, poi venni sanzionato ‘per aver svolto con apprezzabile continuità attività sindacale’. E infine punito con tre mesi di sospensione dal servizio, dopo un’altra sentenza di assoluzione. Tutti dati in possesso del ministro della Giustizia, che fa finta di niente. Ho subito trattamenti crudeli, inumani, degradanti per mole, ripetitività e durata delle accuse rivolte nei miei confronti. Sono stato costretto a difendermi in 16 processi penali. Tutti questi provvedimenti possono sembrare ineccepibili perché emanati da persone in divisa, ma proprio chi dovrebbe difenderti spesso ti pugnala alle spalle”. Quel generale era amico dell’ex suocero di Cautillo e, infatti, anche nella vita privata il maresciallo è stato al centro di un’altra vicenda allucinante. Dopo un matrimonio in pompa magna, la moglie lo lascia, andandosene con la figlia e ottenendo sia l’annullamento della Sacra Rota per “costrizione morale”, sia l’assegno di mantenimento. Un’altra vicenda che si trascina a lungo nelle aule di giustizia. NESSUNA RISPOSTA. Come se non bastasse, oltre a tutto questo, il maresciallo Cautillo ha dovuto far fronte alle conseguenti cause di pignoramento di beni immobili di cui non era neanche più proprietario e al blocco dello stipendio, sostenendo numerose udienze senza avvocati difensori. “Gli stessi individui da me segnalati mi hanno privato di importanti incentivi concessi a tutti, come il premio di produzione e l’indennità di funzione. Se sei accusato e poi ti assolvono non ti chiedono scusa: ti puniscono, ti bloccano la carriera e, in branco, tentano di licenziarti. Finisci tu stesso sotto accusa”. Sul caso Cautillo sono state presentate 15 interrogazioni in Parlamento, 41 esposti al ministero della Giustizia e 30 al ministero della Difesa. Senza alcuna risposta esaustiva. Della questione sono state investite anche le istituzioni europee. “Sono un sopravvissuto, nessuno può resistere a tutto questo. Non c’è tirannia peggiore di quella esercitata nel nome della giustizia e sotto lo scudo della legge da poteri intoccabili. Con la consapevolezza che questa battaglia giudiziaria e disciplinare capovolta possa andare avanti a vita. Anche questo governo, come i precedenti, non difende chi denuncia la corruzione, protegge le caste militari e giudiziarie, si trincera dietro silenzi e omertà. Ho scritto a tutti, anche alla presidenza del Consiglio, segnalando dove andavano i miei superiori utilizzando l’auto di servizio, con chi s’incontravano e quali tipi di scambi avvenivano. Nessuno è mai intervenuto”»;
il maresciallo sulla vicenda ha sinora presentato 44 esposti al Ministro della giustizia, da cui risulterebbero inquietanti profili meritevoli di approfondimento;
nell’esposto n. 44 inviato al Ministro della giustizia il 25 settembre 2015, atto emblematico e divenuto di dominio pubblico, il carabiniere ha denunciato di essere vittima di ripetuti episodi di malagiustizia;
sulla vicenda che riguarda il militare, sono stati presentati 3 precedenti atti di sindacato ispettivo (4-02661, 4-01366 e 4-00975) al Senato che ad oggi non hanno ricevuto risposta, così come i numerosi atti di sindacato ispettivo presentati nel corso della XVI legislatura –:
se il Governo non ritenga opportuno, affinché si faccia piena luce sulla vicenda, attivare le iniziative ispettive di competenza. (4-10842)
Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):
trattamento crudele e degradante
delitto contro la persona
istituzione dell’Unione europea