La Bioetica è lo studio delle questioni etiche emerse con l’avanzare della scienza, come ad esempio è accaduto per branche come quelle della biologia e della medicina. La Bioetica tuttavia appare come una disciplina a carattere multidisciplinare, coinvolgendo infatti vari ambiti quali la filosofia, il diritto, la filosofia della scienza, la medicina, la Bioetica clinica, la biologia, la giurisprudenza, il biodiritto, la sociologia e la biopolitica, nelle diverse visioni morali, atee, agnostiche, spirituali e religiose.
L’etimologia della parola è da ricercarsi nella lingua greca con ἔθος, èthos, che vuol dire consuetudine, comportamento e βίος, bìos, che significa vita. È una disciplina relativamente recente, il termine viene utilizzato per la prima volta da Fritz Jahr, che nel 1927, prendendo spunto dall'imperativo categorico kantiano, parlò di “imperativo bioetico”, secondo il quale tutti gli esseri viventi hanno diritto al rispetto e devono essere trattati non come mezzi, ma come fine in sé stessi.
Tuttavia il termine Bioetica, inteso nel significato attuale, proviene dall'oncologo statunitense Van Rensselaer Potter, che lo utilizzò nel 1970 in un articolo pubblicato sulla rivista dell'Università del Wisconsin "Perspectives in Biology and Medicine" dove si scriveva di «Bioetica: la scienza della sopravvivenza».
Potter spiegava il termine Bioetica come la scienza che consentisse all'uomo di sopravvivere utilizzando i suoi valori morali di fronte all'evolversi dell'ecosistema. La Bioetica doveva essere «un'ecologia globale di vita».
In senso più aderente alla filosofia André Hellegers considerava la Bioetica come un nuovo aspetto del dialogo socratico capace cioè di far interloquire la medicina, la filosofia e l'etica alla ricerca di verità condivise.
Questa definizione venne in seguito giudicata troppo riduttiva da Warren Reich, che nella sua "Enciclopedia della Bioetica" elaborò questa definizione globale: «Lo studio sistematico delle dimensioni morali - inclusa la visione morale, la condotta e le politiche - delle scienze della vita e della salute, utilizzando varie metodologie etiche e con un'impostazione interdisciplinare» dove si dava maggiore valore alla morale. Si trattava dunque di uno «studio sistematico delle dimensioni morali delle scienze della vita e della salute» includendovi anche i problemi sociali e ambientali legati alla salute.
L’articolo di Daniel Callahan tratto dalla Encyclopedia of Bioethics, 3a edizione asserisce che la Bioetica è un campo relativamente moderno che ha raggiunto notevoli progressi nelle scienze biomediche, ambientali e sociali. Questi progressi hanno portato ad un nuovo mondo caratterizzato da conoscenze scientifiche allargate e da una forte innovazione tecnologica e hanno anche modificato per sempre ciò che può essere fatto in merito alle vulnerabilità della natura, del corpo e della mente umana, e alla cura, miglioramento e allungamento della vita umana.
La Bioetica rappresenta una trasformazione radicale del più antico e più tradizionale ambito dell’etica medica; è anche vero che, fin dall’antichità, i guaritori sono stati obbligati a confrontarsi con la paura dell’uomo per le malattie e la morte e con i limiti imposti dalla limitatezza umana.
Contesto Storico
Per comprendere appieno la nascita della Bioetica come disciplina è necessario comprendere le ragioni che sono state alla base del suo sviluppo. Secondo l’analisi di Daniel Callahan, possiamo prendere gli anni ’60 come riferimento temporale. Quegli anni portarono alla confluenza di due sviluppi importanti, uno scientifico e un altro culturale. Nella biomedicina, gli anni ’60 furono un’epoca di straordinari progressi tecnologici. Si è assistito all’avvento della dialisi renale, dei trapianti di organi, degli aborti terapeutici, della pillola contraccettiva, della diagnosi prenatale, dell’ampio uso delle unità di terapia intensiva e dei respiratori artificiali, al grande cambiamento dalla “morte in casa” alla “morte in ospedale” e ai primi bagliori dell’ingegneria genetica. Si tratta di una notevole gamma di sviluppi tecnologici, risultato palpabile del grande slancio nella ricerca e applicazione biomedica di base che seguì la Seconda Guerra Mondiale.
Riguardo a tale conflitto è necessario apporre un inciso: norme etiche per la tutela della sperimentazione clinica sull'uomo infatti, furono già affrontate durante il processo di Norimberga nel 1946, al termine del quale venne elaborato il Codice di Norimberga, che rappresentò il primo strumento giuridico internazionale di regolamentazione sulla sperimentazione umana. Nel codice si stabilì che la persona sottoposta a ricerca clinica deve essere informata sulle modalità, gli scopi e i rischi prevedibili e deve esprimere in maniera esplicita il proprio consenso.
Allo stesso tempo ci fu un grande risveglio nei riguardi delle calamità naturali causate dall’appetito umano verso il progresso economico e il dominio della natura. Tutto ciò pose un’incredibile serie di problemi morali, difficili e apparentemente nuovi. La Bioetica, come campo di indagine, potrebbe non essere emersa in modo così forte e insistente se non fosse stato per una serie di sviluppi culturali paralleli. Questi anni posero anche le basi per la proliferazione di un’impressionante gamma di sforzi verso una riforma culturale e sociale. Fu l’epoca del movimento dei diritti civili, che diede agli africani d’America e ad altri gruppi di colore nuovi diritti e possibilità. In questo periodo ci fu il ritorno del femminismo come potente movimento sociale e l’estensione alle donne di alcuni diritti prima ad esse negati. Fu anche l’era di un nuovo accento sull’individualismo, sotto molti punti di vista conseguenza del benessere e della mobilità del dopoguerra e della trasformazione di molte istituzioni tradizionali, famiglia inclusa, chiese e scuole. Fu un periodo che mise sotto gli occhi dell’umanità le enormi possibilità che le scienze naturali offrono in materia di lotta alle malattie e alla morte, insieme ad una serie di radicali cambiamenti negli stili di vita.
Alcune di queste opportunità erano state prospettate nell’importante volume Medicine and Morals, scritto da Joseph Fletcher, un teologo episcopale che ad un certo punto rigettò i suoi credo religiosi. Egli celebrò il potere della medicina moderna per liberare gli esseri umani dalla morsa della natura, mettendo invece nelle loro mani il potere di plasmare le loro vite a loro piacimento. Questa visione iniziò ad essere prevalente durante gli anni ’60. Quel decennio combinò i progressi medici che sembravano presagire l’eventuale “conquista” della natura, con i cambiamenti culturali portando in questo modo l’individuo a credere di poter assumere il controllo del proprio destino.
Essi modificarono per prima cosa le opinioni tradizionali, l’obiettivo e il significato della salute umana e infine l’idea stessa di ciò che significa vivere una vita da uomo. La medicina è stata trasformata da una disciplina diagnostica e palliativa in un potente agente in grado di curare le malattie ed effettivamente prevenire la morte. La “salute” umana rientra sempre di più nella definizione dell’OMS del 1974 con la sua enfasi sulla salute come “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non solo la pura assenza di malattie o infermità”. Nozioni tradizionali di come vivere la vita sono state stravolte da aspettative di vita più lunghe, dal controllo delle nascite e da potenti agenti farmacologici in grado di modificare le sensazioni e il pensiero. L’avvento della Bioetica può essere visto come la principale risposta sociale a questi importanti cambiamenti.
Secondo Potter, tuttavia, il progresso tecnico-scientifico è ambivalente poiché da una parte esso contiene la possibilità di miglioramento delle condizioni di vita ma anche di autodistruzione dello stesso genere umano. Così come sono molteplici i settori di cui si occupa la biologia, così lo sono i motivi di allarme, con la creazione di due tematiche fondamentali per la Bioetica: l’applicazione delle conoscenze biologiche in ambito bellico e la ricerca nel campo agro-alimentare (ciò negli anni ’70 darà vita alla nascita di numerosi movimenti ecologisti).
Storia dell’etica medica
I principi e i valori che, sin dall’antichità, hanno governato la pratica professionale della Medicina (attraverso i giuramenti e i codici deontologici) obbligavano il medico ad agire sempre per il massimo beneficio del paziente, vietando qualsiasi intervento che potesse arrecargli danno o che andasse contro i valori morali prevalenti nella società. Naturalmente, i contesti culturali erano diversi, quindi anche i criteri e i valori. L’etica medica antica metteva l’accento sul carattere e le virtù richieste al medico che esercitava l’arte. Egli doveva avere un certo portamento che ne definisse il profilo o stile professionale (etichetta), includendo l’essere in buona salute, non sovrappeso, allegro, sereno, riservato ma deciso e educato.
Capostipite del concetto di codice deontologico, pur considerando le limitazioni del caso, fu Ippocrate (460 a.C. - 377 a.C.), considerato come il padre della medicina. Ovviamente la medicina era ancor lontana dall’essere come la si intende attualmente. Per Ippocrate infatti il rapporto con la divinità era strettamente correlato, considerando infatti la malattia come una forma di disequilibrio dovuto alle divinità. Il medico dunque non poteva non essere “iniziato” ai misteri dell’arte. Tant’è che egli affermava: «Le cose sacre non devono essere insegnate che alle persone pure; è un sacrilegio comunicarle ai profani prima di averli iniziati ai misteri della scienza.»
All’interno del giuramento troviamo vari assunti che possono essere considerati attuali, sia per quello che riguarda il concetto di riservatezza, il concetto di uguaglianza nel dispensare le cure e soprattutto del dialogo tra medico e paziente: "Se ti udrà un medico di schiavi, ti rimprovererà: "Ma così tu rendi medico il tuo paziente!" proprio così dovrà dirti, se sei un bravo medico".
Il giuramento di Ippocrate, databile approssimativamente al IV sec. a.C. fornisce le basi di un primo codice deontologico che farà da riferimento alla professione medica fino alla metà del XX secolo (Fig. 1). Il giuramento indicava quali fossero le pratiche da seguire secondo la cultura del tempo, coinvolgendo esclusivamente la setta dei medici ippocratici. Secondo i principi del giuramento le sole garanzie per i pazienti circa le intenzioni del medico erano rappresentate dal controllo che la stessa comunità medica andava a porre in essere. Tuttavia, appare improbabile che il contenuto di tale assunto venisse applicato effettivamente nell’antichità, in quanto più che l'etica deontologica del giuramento, nell'antichità era fortemente presente l'etica teleologica delle virtù di origine platonica. Probabilmente raggiunse il titolo di codice deontologico, da intendere in senso moderno, solo in epoca cristiana. Dall’XI secolo l’etica medica occidentale pose l’accento sui precetti morali del cattolicesimo, ponendo enfasi sui doveri e i principi ai quali il medico doveva sottostare. L’accento si sposta sul valore sacro di ogni vita umana, sul significato teologico dell’assistenza al malato con l’istituzione degli ospedali. Nel Medioevo si fece strada il concetto pragmatico che la pratica della medicina fosse un privilegio che richiedeva formazione e abilità e che quindi implicasse responsabilità, nonché il principio che il medico dovesse prendersi cura anche dei casi gravi o senza speranza, cosicché l’imperativo di prolungare la vita diventava una responsabilità medica.
Nell’età post-illuminista l’etica medica acquisisce i temi legati ai rapporti tra medico e società. Nasce la figura del medico-ricercatore; la Bioetica comprende i temi inerenti il rapporto tra medico e società, la giustizia, la professionalità e la politica sanitaria. La società comincia a migliorare le conoscenze della fisiopatologia umana e la figura del medico guadagna prestigio scientifico tramite la sperimentazione: siamo agli esordi del metodo sperimentale.
Tappa fondamentale in questo percorso è rappresentata dalla revisione del fenomeno del paternalismo medico; è nei primi anni dell’800 che Sir Thomas Percival segna la nascita della deontologia professionale tramite il Code of Medical Ethics nel quale la figura del medico viene interpretata quale “ministro del paziente”, soggetto dell’atto medico ma con spirito di servizio al malato, al suo bene e al suo stato di salute.
Dal 1945 sono stati adottati da differenti organizzazioni vari codici per una appropriata e responsabile conduzione degli esperimenti sull’uomo nella ricerca medica.
Il Codice di Norimberga (1946)
L’evento traumatico che determinò una svolta nell’etica medica fu la scoperta dei crimini commessi dai medici nei campi di concentramento nazisti. Questi medici giustificavano la loro condotta immorale richiamandosi al dovere del medico di ubbidire, come gli altri cittadini, alle leggi dello Stato e al principio utilitaristico secondo il quale, durante un conflitto, la ricerca deve anteporre gli interessi della società a quelli del singolo. Nel corso del dibattimento processuale contro i medici nazisti emerse che anche al di fuori della Germania erano state condotte sperimentazioni su soggetti umani, contrari a un’etica rispettosa dei diritti fondamentali della persona. Ciò indusse il tribunale di Norimberga, chiamato a giudicare i crimini del nazismo, a includere nella sentenza un decalogo etico per ogni ricerca clinica su soggetti umani (Fig. 2).
Vennero dunque abbandonati i propositi ippocratici della cura individuale del malato per assecondare gli “interessi superiori” della nuova scienza.
Dichiarazione di Ginevra (1948)
La Dichiarazione di Ginevra fu adottata dall'Assemblea della World Medical Association a Ginevra nel 1948, ed emendata nel 1968, 1984, 1994, 2005 e 2006. È una dichiarazione di medici dedicata ad un'umanizzazione della medicina, una dichiarazione particolarmente importante dopo i crimini medici che erano stati commessi dal nazifascismo in Germania. Venne emendata al fine di contrastare il carattere autoritario del Codice di Norimberga (CDN). Anche gli stessi fautori del Codice non poterono non apprezzare il carattere universale dei principi stabiliti in seguito al processo, che al contrario era rimasto strettamente legato alle atrocità naziste, limitato anche dal suo carattere prettamente legalistico. I principi da esso enunciati erano considerati troppo "assoluti" per essere passibili di applicazione nell´ambito della moderna attività di ricerca.
L’eredità del CDN fu la World Medical Association (WMA). Nata da una proposta della British Medical Association nel 1945, la WMA divenne realtà nel 1947 a Parigi e assunse da subito il ruolo di principale interlocutore del mondo medico mondiale nelle questioni di levatura internazionale. Gli avvenimenti e le violazioni perpetrate nell’ambito dell’attività medica e di ricerca spinsero quindi la neonata WMA ad assegnare ad un Comitato di Studio il compito di preparare una "Carta della Medicina", che potesse essere adottata con un vero e proprio giuramento da ogni medico nel mondo che fosse in procinto di intraprendere l’esercizio della professione. Prima di allora, ai membri della WMA veniva richiesto di sottoscrivere il testo del giuramento prodotto dai medici del paese dal quale provenivano. Un problema di difformità che avrebbe potuto causare anche discordanze nell´attività medica. I lavori della Commissione di studio durarono due anni. Il “Giuramento” fu presentato infine durante la II Assemblea Generale della WMA e prese il nome di "Dichiarazione di Ginevra". La "Dichiarazione di Ginevra" fu la risposta diretta della WMA al Codice di Norimberga: pur continuandone il carattere garantista per ciò che riguardava la tutela dei diritti fondamentali dei pazienti, essa si proponeva di essere un adattamento - contestualizzato secondo le mutate esigenze del mondo medico del secondo dopoguerra - del più antico "Giuramento d’Ippocrate". Ed è proprio questo il segnale che una stessa “ratio” era alla base dei documenti di Norimberga e di Ginevra. Fu proprio durante la stesura dei principi che avrebbero poi portato alla definizione del CDN, che Alexander e Ivy, si proposero di puntare al recupero di quelli che erano stati i principi fondamentali della medicina della Scuola Ippocratica, ovvero il principio di beneficenza dell´attività medica, la relativizzazione della figura del paziente, l´utilità dell´attività medica, l´importanza del rapporto medico curante-paziente.
Il testo si proponeva di porre il medico e il fisiologo in una posizione di responsabilità, alla stregua del CDN, il cui richiamo però non fosse rivolto all’eliminazione delle ingiustizie che erano state commesse secondo la “ratio” del "mai più", ma rivolta in un senso propositivo, secondo il quale le "Human Laws" devono essere e devono continuare ad essere sempre l’unità di misura alla quale bisogna riferirsi, anche durante lo svolgimento dell’attività medica e di ricerca.
La precedente versione è stata sottoposta ad un lungo processo di revisione, durato circa 2 anni, in cui sono stati recepiti tutti i commenti e le proposte di modifica, al fine di rendere più moderno il testo della dichiarazione (Tab. 1).
La Dichiarazione di Helsinki (1964-2013)
Due linee di normative si svilupparono, quindi, come seguito della stesura del CDN: la dottrina dei “diritti dell'uomo”, culminata nella Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 1948, e l'approvazione via via aggiornata di linee-guida specifiche per l’etica della sperimentazione, emanate da organismi internazionali, come la WMA cui si deve la famosa Dichiarazione di Helsinki, emanata nel 1964 e successivamente rivista più volte (l’ultima nell’ottobre del 2013).
Tabella 1: I Dieci Punti del Codice di Norimberga
La Dichiarazione di Helsinki fu sviluppata dalla WMA come un insieme di principi etici riguardanti tutta la comunità medica per ciò che concerne la sperimentazione umana. È quindi considerata la pietra miliare dell'etica della ricerca umana, sebbene non possegga strumenti di impegno legale nella legislatura internazionale. Fornisce linee guida sia a livello teorico che pratico. Prima del codice di Norimberga promulgato nel 1947 non esisteva alcun codice che regolasse gli aspetti etici della ricerca umana.
La Dichiarazione sviluppò i primi dieci principi indicati nel Codice di Norimberga, e li riportò nella Dichiarazione di Ginevra dell'Associazione Medica Mondiale (1948), una dichiarazione di doveri etici per i medici.
La Dichiarazione riflette i cambiamenti nella pratica medica dal termine sperimentazione umana, usato nel codice di Norimberga. Un evidente cambiamento rispetto a Norimberga fu il mitigare le condizioni per il consenso, assolutamente essenziali e restrittive nel codice del 1947.
Successivamente, nel 2007, ebbe inizio la stesura della sesta e penultima revisione, che terminò nell’agosto del 2008.
Nell'ultima revisione della Dichiarazione di Helsinki viene inoltre ribadita e sostenuta la necessità di registrare tutti gli studi clinici in corso in un database pubblico a cui possano accedere sia medici e ricercatori ma anche gli stessi pazienti, per evitare di ripetere ricerche e aiutare medici e pazienti ad avere un quadro più ampio sugli studi in corso, in base a cui prendere determinate decisioni.
Nel documento viene anche affrontata la necessità di pubblicare i risultati di questi studi, anche se negativi, ma viene fatto in maniera generica non garantendo di fatto, la possibilità di avere accesso ai dati originali degli studi clinici controllati, ed impedendo a tutti i soggetti coinvolti nella ricerca medica di essere informati circa gli esiti e i risultati dello studio.
La convenzione di Oviedo (1997)
La convenzione di Oviedo, ovvero la convenzione sui diritti umani e la biomedicina, costituisce il primo trattato internazionale riguardante la Bioetica, e rappresenta una pietra miliare per lo sviluppo di regolamenti internazionali volti a orientare eticamente le politiche della ricerca di base e applicativa in ambito biomedico, e a proteggere i diritti dell’uomo dalle potenziali minacce sollevate dagli avanzamenti biotecnologici.
Venne promossa dal Consiglio d’Europa, la stessa organizzazione responsabile dell’elaborazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) nel 1950, che già prevedeva alcuni principi basati sul rispetto dei diritti umani.
Nel 1985 venne istituito un Comitato Ad Hoc di Esperti di Bioetica (CAHBI) che aveva, tra le varie funzioni, quella di pronunciarsi in merito alle questioni derivanti dal rapido avanzamento delle scienze biomediche.
Nel luglio del 1992 era pronta una prima stesura del documento, che fu sottoposta ad una prima opinione dell’Assemblea Parlamentare. Nel Giugno del 1996 venne redatta la stesura finale e sottoposta anch’essa ad approvazione dell’Assemblea Parlamentare: la Convenzione era pronta e il 4 aprile 1997 fu aperta alla firma ad Oviedo, in Spagna.
La Convenzione di Oviedo è composta da 14 capitoli. L’aspetto significativo della Convezione si trova nel fatto che, a differenza di altri strumenti internazionali relativi alla Bioetica come la Dichiarazione Universale sul Genoma Umano ad opera dell’UNESCO, focalizzati meramente sulla genetica, la Convenzione di Oviedo comprende l’intero ambito della Bioetica: passando dai diritti umani, che a temi più specifici.
I Comitati Etici
La Direttiva 2001/20/CE del Parlamento Europeo definisce il Comitato Etico come un organismo indipendente di uno Stato membro, composto da personale sanitario e non, incaricato di garantire la tutela dei diritti, della sicurezza e del benessere dei soggetti della sperimentazione, sull’idoneità dello o degli sperimentatori, sulle strutture e sui metodi e documenti da impiegare per informare i soggetti della sperimentazione prima di ottenere il consenso informato.
Il Codice di Norimberga, la Dichiarazione di Helsinki - come affermato precedentemente - manifestavano sia la volontà, ma anche la necessità, all’interno del mondo scientifico di andare a regolamentare la ricerca e la sperimentazione clinica sull’essere umano. Ma come si poteva rendere uniforme le norme tecniche e procedurali in un campo così vasto?
Nel 1989 iniziò il processo di armonizzazione delle normative ad opera di Europa, Giappone e Stati Uniti, fino alla creazione nel 1990 dell’International Council of Harmonisation of Technical Requirements for Registration of Pharmaceuticals for Human Use (ICH).
Da questo evento scaturì dunque l’adozione delle Good Clinical Practice/Buona Pratica Clinica (GCP). La GCP è uno standard internazionale di etica e qualità scientifica per progettare, condurre, registrare e relazionare gli studi clinici che coinvolgano soggetti umani. L’aderenza a questi standard di GCP garantisce pubblicamente non solo la tutela dei diritti, della sicurezza e del benessere dei soggetti che partecipano allo studio, in conformità con i princìpi stabiliti dalla Dichiarazione di Helsinki, ma anche l’attendibilità dei dati relativi allo studio clinico.
In Italia il recepimento delle linee guida dell'Unione europea di buona pratica clinica per la esecuzione delle sperimentazioni cliniche dei medicinali si è avuto per la prima volta grazie al Decreto Ministeriale 15 luglio 1997.
La composizione dei Comitati Etici deve garantire le qualifiche e l'esperienza necessarie a valutare gli aspetti etici, scientifici e metodologici degli studi proposti. I componenti dei comitati etici debbono avere una documentata conoscenza e/o esperienza nelle sperimentazioni cliniche dei medicinali e nelle altre materie di competenza del comitato etico.
L’indipendenza del Comitato Etico viene garantita da vari fattori: mancanza di subordinazione gerarchica del Comitato Etico nei confronti della struttura ove esso opera, presenza di personale non dipendente dalla struttura ove opera, estraneità e dalla mancanza di conflitti di interesse dei votanti rispetto alla sperimentazione proposta (i componenti del Comitato Etico devono firmare annualmente una dichiarazione che li obbliga a non pronunciarsi per quelle sperimentazioni per le quali possa sussistere un conflitto di interessi di tipo diretto o indiretto, tra cui il coinvolgimento nella progettazione, nella conduzione o nella direzione della sperimentazione), rapporti di dipendenza con lo sperimentatore, rapporti di consulenza con l'azienda che produce il farmaco, mancanza di cointeressenze di tipo economico tra i membri del Comitato e le aziende del settore farmaceutico; pertanto, nella nomina dei membri del Comitato Etico, gli amministratori si astengono dal designare dipendenti di aziende farmaceutiche o persone cointeressate alle attività economiche delle aziende farmaceutiche.
Prima dello sviluppo dei moderni Comitati Etici, alcune questioni emerse con il progredire della pratica medica e clinica venivano discusse da apposite commissioni istituite per trattare di quei temi sensibili che sancirono la nascita e lo sviluppo della moderna concezione di Bioetica. Alcuni dei temi affrontati da queste commissioni riguardavano non solo quali pratiche potessero essere messe in atto oppure no, ma anche chi si poteva sottoporre o meno ad un determinato trattamento sperimentale.
Uno dei casi storici più famosi circa questo tema è stato quello del comitato creato nel 1961 a Seattle, presso lo Swedish Hospital: Admissions and Policies Committee of the Seattle Artificial Kidney Center at Swedish Hospital, diventato poi noto come God Committee o Comitato di Dio.
La ragione che aveva portato all’esistenza di questa commissione si trovava nella pratica della dialisi renale, pratica quest’ultima all’epoca molto costosa: le apparecchiature per la dialisi erano poche e molto costose, inoltre l’invenzione dello shunt in teflon ad opera di Belding Scribner, che poteva rimanere in sede nel braccio del paziente, aveva aumentato il numero di pazienti che potevano sottoporsi ad emodialisi, arrivando tuttavia ad un quantitativo molto superiore rispetto a quanto lo Swedish Hospital potesse effettivamente sostenere, di conseguenza non tutti i pazienti con nefropatia potevano essere considerati idonei al trattamento dialitico, portando quindi ad un obbligo di effettuare una scelta cruciale: quali pazienti dovevano vivere tramite il trattamento e quali invece andare incontro a morte certa.
Il Comitato venne creato per prendere questa decisione. La composizione di questo organo era di sette membri: una casalinga, un avvocato, un chirurgo, un ministro, un banchiere, un ufficiale governativo ed un dirigente sindacale, nominati dalla King County Medical Society.
Scrivevano al riguardo R. Fox e J.P. Swazey: “Una persona degna di aver salva la propria vita per mezzo di cure mediche costose e rare come la dialisi cronica doveva essere una persona giudicata in possesso delle qualità della decenza e responsabilità. Precedenti di devianza sociale, come detenzione in prigione, o indizi del fatto che la vita matrimoniale di una persona non fosse integra o priva di scandali rappresentavano una forte controindicazione per la selezione. Il candidato preferito era una persona che avesse dimostrato di sapersi impegnare nel lavoro e di raggiungere il successo nella professione, frequentasse la Chiesa e le associazioni e prendesse parte attiva negli affari della comunità".1
Negli anni ’70, con il diffondersi dell’emodialisi, questo Comitato venne definitivamente sciolto. Anche se alla luce di quasi 60 anni di sviluppo nell’ambito della medicina, gli avvenimenti posti in essere dal Comitato dello Swedish Hospital di Seattle possono apparire come disumani ed è importante fare una riflessione in merito ad un tema che invece è molto attuale come la donazione d’organo.
L’evoluzione delle regole della sperimentazioni fino ad oggi: Il nuovo regolamento europeo sulla sperimentazione clinica 536/2014
Se da una parte la Direttiva 2001/20/CE ha introdotto miglioramenti in tema di sicurezza e di validità etica delle sperimentazioni cliniche all’interno dell’Unione Europea (UE), dall’altra non ha facilitato la conduzione delle sperimentazioni cliniche in Europa, avendo ripercussioni dirette sia sulla fattibilità che sui costi legati alla conduzione delle sperimentazioni. In questo contesto è nato il nuovo Regolamento Europeo n. 536/2014 in tema di sperimentazione clinica di medicinali per uso umano, destinato ad abrogare la direttiva 2001/20/CE.
L’intento è quello di creare un ambiente favorevole alla conduzione di studi clinici nell’UE e di centralizzare, uniformare e semplificare le procedure per l’autorizzazione degli studi clinici da parte di tutti gli Stati Membri, riducendo il relativo carico burocratico, nonché i costi connessi.
Il principio generale, sancito nell’art. 3 del Regolamento, stabilisce che una sperimentazione clinica possa essere condotta esclusivamente se i diritti, la sicurezza, la dignità e il benessere dei soggetti sono tutelati e se essa è progettata per generare dati affidabili e robusti. Al fine di migliorare la trasparenza dei dati derivanti dagli studi clinici si prevede che siano pubblicati in una banca dati europea accessibile al pubblico dei riassunti dettagliati, comprese le relazioni finali, una volta che sia stata presa una decisione in merito all’immissione in commercio di un farmaco o che la domanda di autorizzazione all’immissione in commercio venga ritirata.
La natura stessa del Regolamento fa sì che non ci siano difformità applicative nei diversi Stati Membri, come avvenne invece con il recepimento nella normativa nazionale della Direttiva 2001/20/CE.
Tra le principali novità, quindi, viene istituito un portale unico collegato alla banca dati dell’UE e gestito dalla Commissione Europea, che consentirà la gestione centralizzata delle domande di autorizzazione alla sperimentazione clinica.
Viene introdotto il concetto di sperimentazioni cliniche “a basso livello di intervento”, in cui “i medicinali sperimentali sono utilizzati in conformità alle indicazioni AIC o il loro impiego è basato su elementi di evidenza scientifica sulla sicurezza e l’efficacia di tali medicinali sperimentali in uno qualsiasi degli stati membri interessati”.
Viene introdotta una nuova procedura di autorizzazione che semplifica il sistema pre-vigente e garantisce una maggiore trasparenza nella conduzione dei trials clinici, eliminando la presentazione di domande multiple in gran parte identiche.
Il promotore presenta il dossier di sottomissione, attraverso il portale, a tutti gli Stati Membri in cui intende condurre la sperimentazione, e sceglie tra essi lo “Stato Membro Relatore”, il quale predispone una relazione in cui siano valutati i seguenti aspetti:
- i benefici terapeutici e per la salute pubblica;
- il rapporto rischio/beneficio per il soggetto coinvolto nello studio;
- la conformità ai requisiti in materia di fabbricazione e importazione dei medicinali sperimentali e ausiliari;
- la conformità ai requisiti di etichettatura;
- la completezza e l’adeguatezza del dossier per lo sperimentatore.
La procedura di valutazione si articola essenzialmente in una prima fase che prevede una valutazione iniziale condotta dallo Stato Membro Relatore entro 26 giorni dalla data di convalida e presentazione della richiesta di autorizzazione su portale europeo, in una seconda fase di revisione coordinata realizzata entro 12 giorni dalla fase di valutazione iniziale con il coinvolgimento di tutti gli Stati Membri interessati ed in una terza fase di consolidamento condotta dallo Stato Membro relatore entro 7 giorni dalla conclusione della fase di revisione coordinata.
“Ciascun Stato Membro interessato notifica al promotore mediante il Portale UE se la sperimentazione clinica è autorizzata, autorizzata ma subordinata a determinate condizioni oppure rifiutata”. Se, invece, entro i suddetti termini, non viene notificata alcuna osservazione al promotore mediante il portale unico, la domanda si considera tacitamente approvata.
Il Capo V del regolamento n. 536/2014 detta la disciplina in tema di protezione dei soggetti e di consenso informato, secondo cui nessun intervento nell’ambito della medicina e della biologia può essere eseguito senza il consenso libero e informato della persona interessata o del legale rappresentante.
A riguardo, il regolamento n. 536/2014 stabilisce i casi in cui sia impossibile ottenere il consenso libero ed informato del soggetto o del suo rappresentante legale. Una situazione di emergenza è tale se sussistono tutti i requisiti di cui all’art. 35, quali, ad esempio, una condizione clinica improvvisa che mette in pericolo la vita del paziente il cui consenso non può essere preventivamente ottenuto proprio a causa dell’urgenza del caso, con la concomitante presenza di motivi scientifici che inducano a pensare che dalla partecipazione del soggetto alla sperimentazione clinica si possa trarre «un beneficio diretto clinicamente rilevante, che si tradurrà in un miglioramento misurabile in termini di salute capace di alleviare la sofferenza e/o migliorare la salute del soggetto della sperimentazione o nella diagnosi della sua condizione». In questo caso, il regolamento stabilisce che il consenso può essere acquisito in un momento successivo alla decisione di includere i soggetti nella sperimentazione clinica, ma sempre seguendo la disciplina generale sul consenso informato di cui all’art. 29.
Infine, è stato introdotto il concetto di co-sponsorizzazione di un progetto di studio clinico. I co-sponsor possono decidere, mediante accordo scritto, di ripartirsi le responsabilità collegate e conseguenti alla sperimentazione clinica. In ogni caso, i co-sponsor hanno la responsabilità congiunta di individuare un promotore responsabile dei profili attinenti all’autorizzazione dei trials, allo loro modifica sostanziale ed ai rapporti con le autorità nazionali di vigilanza .
Legge Lorenzin: novità per le sperimentazioni cliniche
Per attuare il nuovo Regolamento Europeo sulla sperimentazione clinica in Italia, sono state redatte le nuove disposizioni dettate dal Disegno di legge Lorenzin, che adeguano la disciplina Italiana alla nuova normativa europea (Regolamento UE 536/2014).
È in arrivo, infatti, una riforma sui Comitati Etici che valutano le sperimentazioni cliniche sui farmaci per uso umano e sui dispositivi medici.
Il nuovo decreto prevede l’individuazione di un numero massimo di 40 Comitati Etici territoriali, rispetto agli oltre 90 attivi oggi nel nostro territorio, di cui almeno uno per ogni regione. Il riconoscimento di 3 Comitati Etici a valenza nazionale, di cui uno riservato alla sperimentazione in ambito pediatrico.
Se la riduzione dei Comitati Etici punta a snellire il sistema, l’istituzione di un Centro di coordinamento nazionale prova a mediare e rendere più omogenea la valutazione dei trial clinici da Nord a Sud. Il nuovo organismo non si sostituirà ai Comitati Etici territoriali, ma punta a favorire la definizione di tempi certi, procedure e costi omogenei su tutto il territorio
Al Centro nazionale di coordinamento faranno parte almeno 15 componenti, di questi, due sono proposti dalla conferenza delle Regioni e due dalle associazione dei pazienti.
Alle riunioni del Centro di coordinamento faranno parte di diritto i Presidenti del Comitato Nazionale di Bioetica, della biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita e dell’Istituto Superiore di Sanità.
I componenti del Centro nazionale, oltre a dover documentare la loro conoscenza ed esperienza sulle sperimentazioni cliniche di farmaci e dispositivi, non possono trovarsi in situazioni di conflitto di interessi e devono essere indipendenti dal promotore, dal sito di sperimentazione clinica e dagli sperimentatori coinvolti, nonché dai finanziatori delle sperimentazioni. Con un’autocertificazione periodica annuale dovranno confermare di essere esenti da ogni condizionamento. Questa assoluta indipendenza vale anche per i Comitati Etici territoriali, i quali dovranno dichiarare l’assenza di conflitti di interessi personali e finanziari. Sempre in tema di trasparenza, il nuovo decreto legge introduce procedure di monitoraggio annuali presso i Centri clinici attraverso l’acquisizione di requisiti ed una pubblicazione dei Centri autorizzati sul sito dell’AIFA. Ogni Centro dovrà poi rendere pubblici tutti i nominativi ed i curriculum dei soggetti coinvolti nelle sperimentazioni attivate, i finanziamenti ed i contratti.
Etica e trasparenza non sono gli unici punti delineati nella riforma. Sul fronte dei costi, si identifica un’unica tariffa a carico del promotore delle sperimentazioni, da applicare in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale alla presentazione della domanda di autorizzazione alla sperimentazione.
Infine, nel ddl Lorenzin c’è spazio anche per la ricerca pubblica e no profit, che punta alla valorizzazione dei risultati dei progetti di ricerca nati in ambito pubblico (Università, Enti, ecc.). Apre alla brevettabilità delle scoperte, intervenendo sul decreto del 17 dicembre 2004 del Ministero della Salute in cui prevede che “la sperimentazione non sia finalizzata allo sviluppo industriale del farmaco o comunque ai fini di lucro”. Con il ddl Lorenzin si ammette “la cessione e l’utilizzazione dei dati relativi alle sperimentazioni a fini registrativi all’azienda farmaceutica, per valorizzare l’uso sociale ed etico della ricerca” e si stabilisce che “l’azienda farmaceutica rimborsi le spese dirette ed indirette connesse alla sperimentazione, nonché le mancate entrate connesse alla connotazione di studio come no profit”.
Conclusioni
Da quanto fino ad ora riportato, appare evidente come il concetto di Bioetica sia vivo e presente negli atti dell’essere umano e, come ogni cosa umana, continua ad evolversi dal processo di Norimberga alla stesura del nuovo Regolamento Europeo e si è tentato di porre in essere una revisione di alcune delle tappe più importanti nella storia della Bioetica, pur non avendo la presunzione di essere esaustivo in tutte le sue parti.
Tuttavia può essere utile per il lettore avere una panoramica completa su parte della storia della sperimentazione clinica.
Tucidide affermò: “Bisogna conoscere il passato per capire il presente e orientare il futuro”.
Si ringraziano Giulia Aversano e Francesca Fraola per la collaborazione.
1.R. Fox, J.P. Swazey, The Courage to Fail: A Social View of Organ Transplants and Dialysis, Univ. Press Chicago, Chicago 1974, p. 246
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