venerdì 13 novembre 2020

LE RESPONSABILITA' DI CINA E GERMANIA SUL CROLLO DEL PONTE MORANDI

....E IL PIAVE MORMORO' NON PASSA LO STRANIERO! IL PONTE MORANDI E' STATO FATTO DETONARE SU ORDINE DI PECHINO E BERLINO? LA CINA BACCHETTA L'AMBASCIATORE ITALIANO. LA VENDETTA DEI MORTI DEL PONTE MORANDI PIU' QUELLI DEL COVID VARREBBE BENE UNA GUERRA....

Nella primavera del 2017 vanno in scena grandi manovre in casa Atlantia e il 28 aprile si annuncia una maxi operazione: la vendita di quasi il 12% di Autostrade per 1,48 miliardi. Il pacchetto è acquistato da un consorzio guidato dai tedeschi di Allianz e da Silk Road Fund fondo sovrano cinese. La liquidità permetterà ad Atlantia di acquisire la spagnola Abertis. Questo, secondo la procura di Genova potrebbe aver avuto un ruolo nella gestione della sicurezza delle infrastrutture, Ponte Morandi compreso.

Sulla sorte di Aspi (Autostrade per l’Italia) si allungano ombre cinesi e tedesche. La questione della possibile revoca delle concessioni per la gestione di parte della rete autostradale italiana, ora in mano per l’88% ad Atlantia, la società controllata dalla famiglia Benetton tramite Sintonia, preoccupa la Germania e la Cina, che sono direttamente interessate grazie alla partecipazione azionaria in Aspi di un gruppo capitanato da Allianz assicurazioni e dell’agenzia cinese Silk Road Fund.

In Autostrade per l’Italia il 12% restante venduto da Atlantia, per una valorizzazione complessiva che ammontava a più 13,5 miliardi di euro, è infatti in mano per il 7% ad Appia Investment, un fondo sottoscritto dal gruppo tedesco Allianz, Edf Invest e Dif, mentre il restante 5% è in mano a Silk Road Fund, un meccanismo finanziario voluto da Pechino nel quadro degli investimenti per la One Belt One Road Intiative, la Nuova Via della Seta cinese che rappresenta lo strumento globale di penetrazione economica della Cina.

La Merkel, sollecitata dagli industriali tedeschi e da Allianz, avrebbe infatti riportato al presidente del Consiglio Conte delle pressioni ricevute dal tessuto economico del Paese affinché riferisse le preoccupazioni riguardanti le decisioni del Governo in merito al futuro di Aspi.

Sull’altro fronte anche la Cina non è rimasta a guardare. L’ambasciatore italiano a Pechino, Luca Ferrari, è stato convocato dai vertici di Silk Road Fund per chiedere spiegazioni in merito alla stessa questione che preoccupa i tedeschi.

Silk and Road Fund rientra nel meccanismo europeo della One Belt and One Road che al dicembre del 2014 aveva a disposizione 40 miliardi di dollari elargiti dallo Stato per “incrementare i commerci” tra la Cina e gli altri Stati, con particolare attenzione ai suoi “vicini di casa”. 

A capo di Silk Road Fund c’è Xie Duo, un personaggio che è stato vicepresidente di Afca, l’Asian Financial Cooperation Association e segretario generale di Nafmii, la National Association of Financial Market Institutional Investors, un’agenzia che mira a promuovere lo sviluppo del mercato finanziario cinese composto da mercato obbligazionario interbancario, mercato dei prestiti interbancari, mercato dei cambi e mercato dell’oro.

Sostanzialmente uno strumento dello Stato per controllare l’attività finanziaria e bancaria. Il vicepresidente di Silk Road Fund è Ding Guorong, che in una dichiarazione del 2016 ci ha ricordato lo scopo della società: ottenere la partecipazione della Cina nella costruzione e gestione di infrastrutture, nel settore energetico e per implementare la cooperazione coi Paesi esteri in materia di capacità industriale e attività finanziarie, sempre, ovviamente, nello spirito del “win-win”. Politica che però ha come effetto, molto spesso, l’indebitamento del Paese contraente e quindi la cessione di sovranità di infrastrutture alla Cina, come avvenuto per il porto greco del Pireo o per quello di Hambantota, nello Sri Lanka, le cui infrastrutture costruite da Pechino sono passate sotto controllo cinese a fronte di un debito che il governo di Colombo non è stato in grado di ripagare.

Il futuro di Aspi sembra così condizionato, più che dalla possibile decisione del Governo italiano di nazionalizzare la società in mano ad Atlantia, da interessi stranieri. Germania e Cina difficilmente cederanno a questa eventualità, e qualora dovessero farlo bisognerebbe chiedersi che tipo di contropartita verrebbe loro offerta.

Il rischio, una volta che lo Stato fosse riuscito a mettere le mani su Aspi, è che venga deciso di vendere direttamente quel 88% di Atlantia alle società cinesi e tedesche o di aumentare le loro quote di partecipazione, con un conseguente problema di sovranità della gestione della rete autostradale.

Le congiunture economiche derivate dalla crisi pandemica non sono affatto a nostro favore in questo senso, e questo pericolo c’è. Abbiamo già visto che grazie a meccanismi come il Recovery Fund, attori stranieri, come la Francia, potrebbero facilmente mettere le mani sull’eccellenza industriale italiana. La convocazione dell’ambasciatore italiano in Cina, sebbene lecita in quanto si tratta pur sempre di un affare che coinvolge lo Stato, è quantomeno poco ortodossa nei metodi e suona molto come una “reprimenda” da parte cinese. 

Ci auguriamo che questo governo agisca negli interessi nazionali e non si dimostri prono a quelli altrui, spesso camuffati da accordi “alla pari” che in realtà nascondono subdolamente meccanismi di controllo di infrastrutture strategiche per una nazione. 

Ma per augurarsi questo ci vorrebbe un altro governo e un'altra politica più orientata al bene dell'Italia e del suo popolo e meno lobbista. Utopia? Ce lo dirà il tempo....

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