LE RADIAZIONI ELETTROMAGNETICHE SONO MUTAZIONI GENICHE INDOTTE. QUELLE DEL 5G POSSONO CAUSARE DANNI INCANCELLABILI AL DNA UMANO: UN'ARMA CONTRO L'UMANITA'. IL 5G E' UN'ARMA MILITARE CHE PUO' ESSERE USATA ANCHE COME INIBITORE DI FOLLE PER CONTROLLARE LE MANIFESTAZIONI DI SCONTENTO SEMPRE PIU' MASSIVE NEL MONDO....
Le mutazioni possono essere indotte dall'esposizione degli organismi (o delle cellule) ad una grande varietà di trattamenti. Alcuni dei più comuni sono qui di seguito elencati. La radiazione è un potentissimo agente mutageno e fu il primo ad essere scoperto. Radiazioni diverse possono indurre diversi tipi di mutazioni genetiche. Le radiazioni ultraviolette (UV) causano mutazioni puntiformi. I raggi X possono causare la rottura di una doppia elica di DNA e indurre un processo di traslocazione, di inversione o altri tipi di danni cromosomici. L'esposizione ai raggi UV della luce solare sono stati correlati all'insorgenza di tumori della pelle. Bisogna ricordare tuttavia, che la caratteristica della radiazione di creare danni al DNA è stata spesso sfruttata a scopo terapeutico in alcuni trattamenti del cancro a base di radiazioni.
Mutageni chimici - È ben noto che molti prodotti chimici sono mutageni. Tali prodotti esercitano la loro attività tossica legandosi direttamente al DNA o a piccole molecole che costituiscono il DNA e interferendo con i processi di replicazione e trascrizione. Fra i mutageni chimici più comuni ricordiamo il benzo-a-pirene, un prodotto chimico che si ritrova nel fumo di sigaretta, e l'aflatossina, un mutagene che molto spesso si ritrova nei prodotti agricoli non conservati opportunamente.
Infiammazione cronica - Un'infiammazione cronica può apportare danni al DNA a causa della sintesi di prodotti chimici mutageni da parte delle cellule del sistema immunitario. Un esempio piuttosto comune è quello di una infiammazione a lungo termine indotta dall'infezione del virus dell'epatite.
Radicali ossigenati - Durante i processi di produzione di energia dal cibo, che avvengono nei mitocondri, si possono generare dei sottoprodotti chimici molto reattivi e capaci di danneggiare le membrane cellulari e lo stesso DNA. Tali intermedi reattivi dell'ossigeno (ROI, Reactive Oxygen Intermediates) possono essere anche prodotti dall'esposizione delle cellule a radiazioni.
Tuttavia, l'attività mutagena dei ROI è associata allo sviluppo di cancro non più di quanto lo sia l'attività di numerose terapie antitumorali, come la radioterapie e la chemioterapia.
Vediamo ora quali sono i mezzi con i quali è possibile ottenere mutazioni.
Anche se il mezzo delle radiazioni ionizzanti ( IR )è il più comune e il più profondamente studiato, si conoscono altri agenti mutageni, come i raggi ultravioletti e sostanze chimiche diverse; tuttavia, in queste pagine ci si soffermerà soprattutto sulla azione delle radiazioni, anche di quelle non ionizzanti ( NIR ), anche se quest'ultime non dovrebbero essere in grado di produrre mutazioni.
Le radiazioni ionizzanti.
Le prime radiazioni riconosciute come aventi capacità mutagena sono state i raggi X.
Le prime osservazioni sull'influenza dei raggi X sulla materia vivente risalgono a qualche anno dopo la riscoperta delle leggi di Mendel, ossia verso il 1903. Già allora, utilizzando sorgenti di Raggi X, alcuni ricercatori avevano osservato che piccole dosi di tali radiazioni eccitavano i processi vitali, mentre dosi elevate immobilizzavano le attività e potevano anche distruggere i tessuti. Oscar Hertwig, in base a esperienze proprie e a esame critico di quelle di altri ricercatori, stabilì una regola sulla sensibilità dei tessuti alle radiazioni; la sensibilità era notevole per le cellule dei tessuti labili, cioè di quelli che si riproducevano continuamente, mentre diminuiva sensibilmente nei tessuti stabili e perenni, specialmente quando essi si sono differenziati morfologicamente e funzionalmente.
Dopo queste osservazioni furono iniziate, con una notevole intensità e un certo ordine, ricerche sugli effetti delle radiazioni ionizzanti sulle cellule germinali.
Regaud, trattando varie fasi spermatogoniali di Mammiferi con raggi X, poté stabilire che lo stadio di spermatogonio − che è una cellula staminale − è più sensibile delle fasi seguenti − in cui avviene la differenziazione cellulare −, e notò anche una distribuzione anormale del contenuto del nucleo nelle cellule formatesi dopo il trattamento.
A queste osservazioni seguirono quelle sulle conseguenze nello sviluppo di zigoti formatisi dall'unione di individui maschi irradiati, con femmine normali e viceversa. Hertwig, nelle sue ricerche sugli Anfibi, osservò che da genitori irradiati nascevano individui con un accrescimento anormale, e spesse volte con mostruosità, come atrofia dell'encefalo o addirittura mancanza del cuore e delle branchie. Da queste esperienze Hertwig trasse due conclusioni: la prima, che la parte più sensibile della cellula era il nucleo, l'altra che lo spermatozoo, dopo essere penetrato nell'uovo, non si univa al nucleo femminile, rimaneva isolato, assumendo la forma di un granulo fortemente e costantemente colorato; da queste uova, poi, si sviluppavano degli embrioni anormali che non riuscivano a proseguire il loro sviluppo.
Anche Cesare Artom, colpendo con i raggi X individui di Paludina (un mollusco), osservò disarmonie nelle divisioni delle cellule germinali che potevano alterare negli spermatidi l'assetto cromosomico.
Nel 1927 Muller, che ebbe per questo il premio Nobel, usando ceppi particolari di Drosophila, osservò che, trattando i maschi di queste specie con raggi X, si ottenevano mutazioni letali e semiletali, visibili con frequenze significativamente più elevate che nei controlli non trattati, e osservò anche che, se la dose di raggi veniva raddoppiata, in egual misura veniva raddoppiata la frequenza delle mutazioni.
Fu stabilito da Timofeeff-Ressovsky che la percentuale di mutazioni era direttamente proporzionale alla dose di radiazioni, la quale è a sua volta indipendente dal tempo; si ottengono cioè le stesse frequenze di mutazioni sia che la quantità di radiazioni voluta sia somministrata in un tempo solo, sia che la stessa venga frazionata in tempi diversi. Inoltre non esiste una dose minima al di sotto della quale non si verifichino mutazioni: qualunque dose produce un effetto, per piccolo che sia.
Effetti biologici.
La frequenza delle mutazioni varia con il tipo di raggi usati: essa risulta più elevata usando raggi duri a brevissima lunghezza d'onda (0,01 Å) che non quando si usano raggi molli (2 Å), i quali non riescono a penetrare profondamente nei tessuti degli animali superiori.
Sorse così una nuova scienza, la Radiobiologia, che studia sistematicamente gli effetti delle radiazioni sui tessuti, sulle cellule e anche sulle molecole che compongono i sistemi differenziati della cellula stessa. L'azione delle radiazioni ionizzanti si esercita per prima sulle molecole che compongono la cellula, ed è stata distinta in azione 'diretta' e 'indiretta'.
L'azione diretta è quella che promuove la ionizzazione e l'eccitazione di una molecola. L'azione indiretta consiste nella formazione di agenti altamente reattivi (perossidi) a partire dall'acqua, il principale componente del citoplasma; essi si diffondono nella cellula in vari luoghi dove aggrediscono sostanze chimiche diverse tra cui il DNA. Nel citoplasma vi sono enzimi respiratori (nei mitocondri e nell'apparato di Golgi) che hanno strutture e funzioni così specifiche e concatenate le une con le altre, che il disturbo di una di esse non può logicamente che riflettersi sulle altre. Tutti questi organuli, quindi, costituiscono una specie di bersaglio e una volta colpiti denunciano, attraverso alterazioni, quello che possiamo definire 'il colpo'.
Duryee, per dimostrare l'influenza indiretta delle radiazioni sul citoplasma, condusse un esperimento assai interessante: il nucleo delle uova di rana è molto resistente alle radiazioni ionizzanti, e qualche lesione si manifesta soltanto a 60 000 r, che è dose veramente eccezionale; ma se nelle uova normali, non irradiate, viene introdotta una piccola porzione di citoplasma irradiato, nel nucleo incominciano a comparire le stesse aberrazioni prodotte direttamente con i raggi X.
Lasciando da parte quanto oggi si conosce sugli effetti dei raggi X sugli organuli del citoplasma, per cui ci vorrebbe una trattazione particolare e piuttosto complessa, consideriamo ora l'effetto delle radiazioni sul patrimonio ereditario, sul quale si conoscono meglio gli effetti, in quanto essi si possono rilevare nelle generazioni successive degli organismi trattati.
Da questo punto di vista i raggi X sono altamente aspecifici, possono cioè provocare qualunque tipo di mutazione: mutazioni geniche quando le radiazioni agiscono sulla struttura del DNA, provocando un cambiamento o una perdita di basi, mutazioni cromosomiche quando determinano rotture e riarrangiamenti cromosomici.
La maggior delle mutazioni sono neutrali, ovvero non portano a modificazioni fenotipiche vistose, spesso anzi provocano alterazioni appena percettibili; invece, se le mutazioni hanno un effetto, raramente è adattativo cioè favorevole alla sopravvivenza (mutazioni adattative), ma più spesso è dannoso all'organismo (mutazioni letali), in quest'ultimo caso le mutazioni tendono ad essere eliminate dalla popolazione, in quanto hanno un valore adattativo inferiore rispetto al gene normale.
Le mutazioni letali dovute a geni recessivi lo sono solo allo stato omozigote, cioè quando sono trasmesse a un individuo "in doppia dose"; le dominanti lo sono anche in condizione eterozigote.
Vi è tutta una gamma di mutazioni che vanno da quelle che uccidono l'individuo in uno stadio più o meno precoce della vita embrionale, a quelle che si esprimono fra la nascita e la maturità sessuale. Vi sono infine mutazioni letali che si manifestano molto tardi, quando cioè l'individuo ha ormai avuto la possibilità di procreare e queste sono le più dannose per le specie poiché sarà loro possibile ricomparire nelle successive generazioni.
Vi sono anche fattori letali legati ai cromosomi sessuali, che alterano il rapporto fra i sessi. Se infatti una femmina porta in un cromosoma X un fattore letale recessivo, questo verrà trasmesso a metà dei maschi, nei quali si potrà manifestare: il rapporto fra i sessi sarà pertanto di 2:1.
Vanno poi annoverati fra i "letali" tutti quei fattori genetici che producono la sterilità in uno dei due genitori o in ambedue, non tanto perché l'azione letale si esplichi sull'individuo direttamente, ma in quanto essi impediscono la riproduzione, e quindi la perpetuazione della specie. Fattori di sterilità si osservano tanto nelle piante quanto negli animali; essi possono produrre malformazioni degli organi copulatori, ma più spesso intervengono nel produrre anomalie nella formazione dei gameti, provocando soprattutto una disordinata distribuzione dei cromosomi durante la meiosi.
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