Il Sultano ha avviato le operazioni di annientamento dei curdi siriani, come aveva promesso da tempo. USA e singoli stati europei manifestano tardiva e inutile indignazione. Recep Tayyip Erdogan se la ride, sprezzante, dimostrando di non essere per nulla intimorito dalle vuote condanne internazionali, e continua imperterrito le sue operazioni in Siria. Ci stupiremmo che così non fosse!
Inoltre, per qualsiasi leader dittatoriale in difficoltà con la propria opinione pubblica non c’è manna più gradita che altisonanti condanne straniere che gli consentano di zittire le opposizioni domestiche nel nome dell’onore nazionale.
Nel caso specifico, poi, le condanne sono eccezionalmente blande e, in alcuni casi, come quella statunitense, anche platealmente di facciata. Condanne meramente “ad usum delphini”, cui non corrisponde né la volontà né la capacità di mettere in campo ritorsioni concrete.
L’accordo dei Curdi con Assad, negoziato da Mosca, rappresenta l’unica via sia per garantire la sopravvivenza fisica dei Curdi (non certo la loro autonomia, quella ormai è perduta) sia la futura pacificazione dell’intera Siria, sotto un regime dittatoriale, certamente, come lo sono, peraltro, molti dei governi che siedono con onore all’ONU.
Non sappiamo ancora come andrà al Sultano. Potrebbe uscirne bene anche questa volta o aver tentato il passo più lungo della gamba: si vedrà.
Sicuramente, a livello internazionale si prospetta almeno un sicuro vincitore: Putin, che si è confermato ancora una volta l’unico baluardo credibile per la stabilità della regione. Analogamente abbiamo almeno tre “grandi” che hanno perso faccia e molta credibilità: USA, UE e NATO.
Degli USA ci siamo già occupati mentre la UE è stata a guardare in silenzio per otto anni senza mai prendere posizione. Ora finge di strapparsi le vesti, ma in realtà non vuole essere invischiata. Ha paura! Se volesse, potrebbe sicuramente adottare concrete misure di “guerra commerciale”.
Invece di blaterare di bandi sulla vendita di armamenti, che non impattano assolutamente sulle operazioni in corso, giacché gli eventuali effetti si vedrebbero solo tra qualche anno, l’UE potrebbe agevolmente adottare misure economiche di immediato e sicuro effetto sulla popolazione turca (e quindi sul consenso per Erdogan) quali i dazi sulle esportazioni turche e imposizione di sanzioni economiche che limitino l’import di un’ampia gamma di prodotti, come ha fatto nei confronti della Russia.
Da notare che le operazioni russe in Ucraina hanno danneggiato i paesi europei meno di quanto possa fare l’attuale intervento turco in Siria e il conseguente possibile ritorno nell’area UE di migliaia di foreign fighters.
Se poi l’UE volesse contrastare anche l’esplicita minaccia di Erdogan di “invaderci” con milioni di migranti, un’UE “militare” (che ossimoro!) potrebbe anche avviare delle operazioni tendenti a interdire flussi illegali di migranti sia attraverso le frontiere terrestri della Turchia con Grecia e Bulgaria, sia attraverso Egeo e Mar Nero.
Operazioni per le quali non mancherebbe certo la capacità militare, ma forse sarebbe carente la volontà politica. Insomma, un conto è tuonare e minacciare misure che tanto si sa che non si adotteranno mai, un’altra è porre in atto misure di guerra commerciale e di reale controllo delle frontiere (subendone le conseguenze sia economiche sia politiche).
Comunque, sia USA sia UE potranno riscattarsi. Per la NATO, almeno per “questa” NATO, invece, quanto sta accadendo potrebbe rappresentare un colpo mortale. Ancora in tempi non sospetti avevamo evidenziato i rischi per l’Alleanza derivanti dalle operazioni militari turche condotte in Siria.
Oggi un paese NATO sta conducendo un’operazione militare che tutti gli altri membri condannano.
Per condurre tale operazione la Turchia si avvale della collaborazione di tagliagole ex al-Nusra e di altri movimenti notoriamente collusi con il terrorismo islamista. D’altronde, il contrasto turco ai jihadisti è sempre stato molto ambiguo, come del resto anche quello USA.
L’avanzata turca è contraddistinta da elevati “danni collaterali“ tra i civili, evidentemente danni tutt’altro che accidentali, mentre le milizie sunnite che fiancheggiano le forze regolari turche si abbandonano ad atti barbarici, come quello di cui è stata vittima, tra i tanti altri, Hevrin Kalaf.
Vi sono oggi soldati “della NATO” che scorazzano in Siria, senza mandato ONU, né NATO né invito da parte delle locali autorità governative, con buona pace del Diritto Internazionale!
Vi sono soldati di un paese NATO che operano spalla a spalla con tagliagole islamisti che non si fanno scrupolo di uccidere giornalisti e civili e fare anche peggio di ciò se quanto ci viene riportato in relazione ad Hevrin Kalaf rispondesse al vero, con buona pace del Diritto Umanitario dei Conflitti Armati!
Vi sono soldati turchi che potrebbero trovarsi a combattere contro soldati russi e a quel punto non mi stupirei se Ankara invocasse (totalmente a sproposito) un intervento NATO in forza di una discutibile interpretazione dell’articolo 5 del Trattato di Washington. Si pensi, ad esempio, al caso di un raid aereo russo oltre il confine turco in risposta ad un bombardamento di posizioni russe in Siria.
Tutto ciò era facilmente prevedibile. Ciononostante, la NATO non sembra essere stata capace di adottare per tempo le necessarie contromisure.
È chiaro che per un’organizzazione inter-governativa, qual è la NATO, non è facile agire nei confronti di un paese membro che mantiene intatta la propria sovranità. Un’alleanza in cui inoltre le decisioni possono essere adottate solo all’unanimità (attribuendo, pertanto, al “cattivo” il diritto di veto in merito a qualsiasi decisione lo riguardi). È verissimo, ed è un’ulteriore debolezza di un’Alleanza, dove ormai le percezioni dei rischi sono decisamente divergenti tra i 29 paesi membri (troppi?). Né esistono procedure per “espellere” il cattivo di turno.
La NATO, però, non può restare inerte e lasciarsi trascinare nel ridicolo da Erdogan. Come avvenuto anche l’11 ottobre in occasione della visita in Turchia del Segretario Generale della NATO, il norvegese Jens Stoltenberg, che ha incontrato sia Erdogan sia il Ministro degli Esteri Mevlüt Çavuşoğlu, con il quale, nel corso dell’imbarazzante conferenza stampa finale anziché condannare esplicitamente l’attacco turco alla Siria si è complimentato per il contributo di Ankara alle operazioni NATO!
Se è vero che le possibilità “tecniche” di marcare la distanza dell’Alleanza, in quanto tale, dalla Turchia sono molto limitate, è altrettanto vero che, in seno alla NATO, i singoli alleati possono adottare di concerto o isolatamente misure molto forti da subito, quali, a puro titolo di esempio:
Ritirare i propri contingenti dall’operazione “Active Fence”. Si tratta di un’operazione lanciata dalla NATO nel 2013 in seguito alla richiesta di Ankara di incrementare il dispositivo di difesa area integrato nel caso di eventuali lanci di missili dalla Siria. L’Italia partecipa all’operazione con una batteria ASTER SAMP/T e 130 uomini.
Bloccare nell’ambito dei comitati tecnici competenti le tante richieste di finanziamento a infrastrutture NATO in Turchia.
L’Alleanza in quanto tale, invece, dovrebbe trovare il modo, di mettere “in mora” paesi che si rendono protagonisti di operazioni militari non condivise dall’Alleanza che però possono impattare sulla sicurezza degli alleati. Oggi si tratta della Turchia, ma non mi stupirei che si verificassero casi analoghi in futuro, guardando per esempio ai sentimenti fortemente anti-russi dei Paesi Baltici. Sentimenti sicuramente comprensibili, ma altrettanto sicuramente non condivisi dalla totalità degli Alleati.
Si tratterebbe in questo caso di misure sicuramente difficili da attuare e la cui adozione sarebbe il preludio all’uscita della Turchia dalla NATO. Al riguardo, occorre valutare se si preferisca avere un membro pericoloso all’interno del club o avere un nemico molto ostile fuori dal club.
L’occasione, però, non può andare perduta. Erdogan ci ha messo di fronte agli occhi l’evidenza che l’Alleanza Atlantica, baluardo della nostra sicurezza per 70 anni, si trova oggi a vivere tensioni interne dovute alle diverse visioni della sicurezza da parte dei suoi membri.
La Turchia, monolitica, nazionalista, identitaria, anti-comunista e fondamentalmente laica di ieri è stata per decenni il fedele guardiano che bloccava a sud l’URSS, con le cui repubbliche caucasiche era all’epoca confinante.
In virtù della convenzione di Montreux del 1936 era anche la custode che vigilava gli Stretti Turchi (Dardanelli, Mar di Marmara e Bosforo), impedendo il libero accesso della potenza navale sovietica nel Mediterraneo. Nonostante i problemi tra Turchia e Grecia, Ankara restava un assetto indispensabile per la NATO! Le si poteva e doveva perdonare tutto!
La Turchia, monolitica, nazionalista, identitaria, ma non più laica, che oggi guarda sia ai Balcani sia al mondo islamico con il sogno di un creare nuovo sultanato è forse più dannosa che utile alla NATO!
Questa situazione è evidente da anni, anche se l’Alleanza ha sempre tentato di ignorare il problema. Ora sarebbe il caso che, visto quanto sta accadendo in Siria, i paesi della NATO si decidessero a prendere finalmente atto che un problema c’è e si cercasse una soluzione strutturale e coraggiosa alla difficile permanenza della Turchia nell’Alleanza.
In merito al caso contingente, anche l’Italia, individualmente, potrebbe da un lato interrogarsi sull’opportunità politica di continuare ad avere assetti tricolori che contribuiscono alla difesa aerea turca (che possiamo ritirare anche immediatamente in considerazione del cambiamento della situazione sul terreno) e dall’altro farsi promotrice di possibili azioni concrete (commerciali e di controllo delle frontiere) in ambito UE.
Foto: Anadolu, US DoD, Reuters, AP e AFP
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