(Cooperatores Veritatis – 25 luglio 2019) Siamo negli ultimi giorni di luglio, mese dedicato al Preziosissimo Sangue del Signore. Per questo pubblichiamo un ottimo articolo sull’argomento scritto dal prof. Roberto de Mattei — ringraziandolo per la gentile concessione — e che il giornale americano The Remnant Newspaper ha già divulgato in inglese lo scorso 14 luglio.
La forza invincibile del Preziosissimo Sangue
Una molteplicità di chiese hanno ospitato la Messa tradizionale a Roma nei cinquant’anni che vanno dalla promulgazione del Novus Ordo Missae di Paolo VI (3 aprile 1969) ad oggi, ma quella che più si è distinta per la continuità con cui il Rito Romano antico vi è stato da allora celebrato è la chiesa di San Giuseppe a Capo le Case, in via Francesco Crispi, in prossimità della più celebre via Sistina. Questa chiesa custodisce una preziosa reliquia del Preziosissimo Sangue di Gesù Cristo. Il Sangue di Cristo, a cui si deve la nostra redenzione, dà alla vita di ogni cristiano un carattere sacrificale, come partecipazione all’immolazione che Cristo fece di Sé sul Calvario. Esso è intimamente legato al santo sacrificio della Messa, che è il rinnovamento incruento del Sacrificio della Croce. E non è privo di significato il fatto che la chiesa di san Giuseppe a Capo così intimamente legata alla reliquia del Sangue di Cristo, abbia il privilegio di essere la più antica chiesa di Roma, dove si celebra con regolarità la Santa Messa secondo il Rito romano antico.
Gianluca Orsola, in un recente libro dedicato a San Longino nella tradizione greca e latina di età tardo antica (Graphe.it Edizioni, Ponte Felcini (PG) 2008, ristampa 2017), basandosi sulle testimonianze degli Acta Pilati, del Martyrologium Hieronimianum, e di numerose altre fonti greche e latine, ricostruisce la figura di san Longino, il centurione romano che sul Calvario trafisse con la Sacra Lancia il costato di Gesù per constatare se fosse morto. Dopo aver riconosciuto e confessato per vero Dio l’uomo da lui crocifisso (Mc 15, 39), Longino raccolse il “sangue e l’acqua” (Gv 19, 34) che sgorgava dal divino costato e cadeva ai piedi della croce, riponendolo in un vaso, che portò in Italia, assieme alla spugna usata per dare da bere l’aceto a Gesù. Si fermò nella città cesarea di Mantova, sotterrando le reliquie in una piccola cassetta di piombo, con sopra la scritta “Jesu Christi Sanguis”. Nella stessa città, il 15 marzo del 37 d.C., san Longino subì il martirio per decapitazione in un sobborgo chiamato Cappadocia. Dopo quasi otto secoli, nell’anno 804, apparve a un fedele l’apostolo sant’Andrea, indicandogli il luogo dove si trovavano le ossa del martire e la cassetta da lui seppellita. La notizia giunse alla corte di Carlo Magno, che pregò il papa Leone III di accertare la veridicità della scoperta. Il Pontefice si recò a Mantova e approvò l’apparizione di sant’Andrea e l’autenticità delle reliquie, portandone a Carlo Magno un frammento, che poi fu conservato nella Sainte Chapelle di Parigi. Il Papa elevò quindi Mantova a diocesi, nominandone il primo vescovo, Gregorio da Roma. Nell’XI secolo fu costruita in onore di sant’Andrea una grande basilica, ristrutturata a partire dal 1472 su progetto di Leon Battista Alberti. La canonizzazione del centurione avvenne il 2 dicembre 1340 sotto il pontificato di Innocenzo III e la sua memoria si celebra il 15 marzo. Una statua scolpita da Gian Lorenzo Bernini lo raffigura alla base di uno dei quattro piloni che sorreggono la cupola della basilica di San Pietro. All’interno della basilica di Sant’Andrea, una cappella ospita le spoglie di san Longino, mentre nella cripta della basilica si conserva la fiala del Preziosissimo sangue. A Mantova ogni anno, nel pomeriggio di Venerdì Santo, si svolge la cerimonia per l’apertura dei forzieri che custodiscono le sacre reliquie, poi esposte alla venerazione dei fedeli ai piedi del Cristo crocifisso nell’abside della Cattedrale.
Ma ai piedi della Croce non fu solo Longino a raccogliere il sangue di Cristo. Secondo un’antica tradizione riconosciuta dalla Chiesa, un altro soldato romano, appartenente alla famiglia dei Savelli, ebbe, come altri, la veste spruzzata da alcune stille del Preziosissimo Sangue di Gesù e si convertì. Il milite staccò dall’abito la parte rossa di Sangue e tornato Roma la conservò nel suo palazzo di Monte Savello, chiusa in un reliquiario di ebano e cristallo, dove restò gelosamente custodita per molti secoli. I Savelli, una delle prime famiglie baronali romane, diedero alla Chiesa due papi, Onorio I e Onorio IV, e furono marescialli del Conclave. Il principe Giulio Savelli (1626-1712), ultimo della sua casa, donò la reliquia alla Chiesa di San Nicola in Carcere, adiacente al suo palazzo, sul Teatro di Marcello. La reliquia fu chiusa in una cassetta d’argento e deposta in venerazione all’altare del Santissimo Crocifisso, lo stesso che aveva un giorno parlato a santa Brigida. In occasione del primo centenario del dono, l’8 dicembre 1808, il canonico Francesco Albertini, rettore della Chiesa, fondò, con un gruppo di devoti della reliquia una Pia Associazione in onore del Preziosissimo Sangue e ne assegnò la predicazione al neo sacerdote Gaspare del Bufalo (1786- 1837), da lui diretto spiritualmente. Il canonico Albertini, è considerato il “padre segreto” di tutto il movimento devozionale ottocentesco verso il Sangue di Cristo, colui che spinse san Gaspare del Bufalo alla fondazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue, a cui si ispirò anche santa Maria De Mattias (1805-1866), fondatrice delle Adoratrici del Sangue di Cristo.
Erano però giorni di tempesta per la Chiesa. Il 2 febbraio 1808, l’esercito francese, su ordine di Napoleone, occupò la città di Roma. Le intimidazioni e le violenze morali ai danni del Papato si moltiplicarono, finché il 10 giugno del 1809 fu calato lo stemma pontificio da Castel Sant’Angelo e innalzata la bandiera francese. Pio VII firmò la bolla di scomunica contro Napoleone e nella notte del 6 luglio fu fatto prigioniero e deportato. Alla richiesta di giurare fedeltà a Napoleone, don Gaspare del Bufalo risposta con fermezza: “Non posso, non debbo, non voglio”, una frase che sarà utilizzata anche da Pio IX durante la “questione romana”. Il giovane sacerdote subì quattro anni di esilio e di deportazione, fino alla caduta di Napoleone. Il 15 agosto 1815 Gaspare del Bufalo fondò la congregazione dei Missionari del Preziosissimo Sangue ai quali Pio VII, e poi Leone XII, affidarono la missione di predicare contro le società segrete, che svolgevano un’attiva propaganda nel popolo e di evangelizzare i briganti che infestavano lo Stato Pontificio per riportarli alla fede. Il sacerdote romano morì il 28 dicembre 1837, in una stanza del palazzo sopra il Teatro di Marcello, passato dalla famiglia dei Savelli a quella degli Orsini. San Vincenzo Pallotti vide la sua anima salire al cielo in forma di stella luminosa e Gesù venirle incontro. Canonizzato da Pio XII il 12 giugno 1954, san Gaspare del Bufalo fu definito da Giovanni XIII nel 1960 “gloria tutta splendente del clero romano” e “il vero e più grande apostolo della devozione al Preziosissimo Sangue di Gesù nel mondo”. Il suo corpo riposa a Roma, nella chiesa di Santa Maria in Trivio.
Quando, nel 1849, Pio IX fu costretto a lasciare Roma occupata dai rivoluzionari per rifugiarsi a Gaeta, ebbe un incontro con il venerabile don Giovanni Merlini, successore di san Gaspare del Bufalo e stimatissimo dal Pontefice per la sua santità e saggezza. Al Papa, che gli chiedeva quando sarebbero passati quei terribili momenti per la Chiesa, il santo missionario, rispose che se Pio IX avesse introdotto la Festa del Preziosissimo Sangue, sarebbe tornato a Roma liberata. Dopo averci riflettuto, il 30 giugno il Papa comunicò al Merlini che accettava il suo consiglio. La domenica del 1° luglio di quell’anno i rivoluzionari furono costretti a lasciare Roma e il Papa, con decreto del 10 agosto 1849, estese la festa del Preziosissimo Sangue a tutta la Chiesa, da celebrarsi con rito doppio di seconda classe nella prima domenica di luglio. Pio X la fissò definitivamente al 1° luglio e Pio XI, a ricordo del XIX centenario della redenzione, nell’aprile del 1934, la elevò a rito doppio di prima classe. Paolo VI, in seguito alla riforma liturgica post-conciliare abbinò la Festa del Preziosissimo Sangue a quella del Corpus Domini, ma la sua decisione provocò un vivo malcontento tra i devoti dell’una e dell’altra devozione. Ricevendo i Missionari del Preziosissimo sangue, il Papa comunicò loro che potevano ugualmente celebrare la Festa nel 1° luglio, con liturgia di solennità.
La Pia associazione del Preziosissimo Sangue fondata da mons. Albertini, eretta ad Arciconfraternita dal papa Pio VII nel 1815, nel 1936 si trasferì presso la chiesa di san Giuseppe a Capo le Case, tenuta dalle carmelitane, dove, dietro l’Altare, ancora si conserva l’antico reliquiario venerato da san Gaspare del Bufalo e dove continuano a venerarla i fedeli della Messa tradizionale che da cinquant’anni frequentano questa piccola chiesa.
Ma non si può concludere questa ricognizione della devozione al Preziosissimo Sangue, senza ricordare che prima di essere versato in maniera cruenta durante tutta la Sua Passione, il Sangue di Cristo fu offerto a Dio e distribuito sacramentalmente agli Apostoli il Giovedì Santo. Durante l’Ultima Cena, per la prima volta il pane e il vino furono trasformati da Gesù stesso nel Suo Corpo, Sangue, Anima e Divinità e la coppa utilizzata da Nostro Signore per celebrare la prima Messa costituisce la più preziosa reliquia della Passione dopo la Santa Croce.
Janice Bennett nello studio St. Laurence And The Holy Grail: The Story Of The Holy Grail Of Valencia (Ignatius Press, San Francisco 2012) e l’abbé Bertrand Labouche, nel suo libro Le Saint Graal ou le vrai Calice de Jésus-Christ. Histoire, archéologie et th éologie du Calice de Valencia, Editions de Chiré, Chiré 2015), raccontano la storia di questa reliquia, così legata al Preziosissimo Sangue, oggi venerata nella cattedrale della città spagnola di Valencia. Una ricercatrice universitaria spagnola, Ana Mafé Garcia, nella tesi di dottorato in storia dell’arte presso l’università di Valencia, svolta nel 2010, basandosi su nuovi dati iconografici e archeologici, ha confermato le conclusioni di questi studi, dicendosi sicura, al 99,9% che il calice di Valencia è quello che Gesù Cristo usò nell’Ultima Cena.
Janice Bennett sostiene che il calice, una coppa di cornalina, sarebbe stato di proprietà della famiglia di san Marco Evangelista che lo avrebbe affidato a San Pietro. È probabile però, che esso sia stato custodito nel suo oratorio dalla Vergine Maria, fino alla sua Assunzione al Cielo e poi consegnato al principe degli apostoli. A Roma, san Pietro e i suoi successori usarono spesso questo santo calice per celebrare la Messa. L’ultimo papa che celebrò i santi Misteri con questo calice fu san Sisto, martirizzato il 6 agosto 258, sotto la persecuzione di Valeriano, con l’accusa di non aver consegnato ai pagani tutti i beni della Chiesa, tra cui il Sacro Calice. Chi custodiva questi beni era il diacono Lorenzo che, il 10 agosto fu anch’egli martirizzato, a causa del suo rifiuto di consegnare le reliquie che custodiva. Lorenzo, originario della città spagnola di Huesca, nella zona dei Pirenei, riuscì a inviarlo alla sua città. Un antico mosaico che ornava la navata centrale della basilica di San Lorenzo fuori le Mura, e che fu distrutto durante la seconda Guerra mondiale, rappresentava san Lorenzo che affidava il calice a un soldato romano in ginocchio. Questo soldato, che si chiamava Precelius ed era anch’egli spagnolo, portò il calice a Huesca dove rimase per oltre quattro secoli, fino all’invasione musulmana del 711. Quando si avvicinarono gli invasori, il vescovo di Huesca fuggì nella grotta di Yebra, nei monti Pirenei, dove però fu raggiunto dai musulmani e martirizzato. Il sacro calice venne portato in salvo a San Pietro di Siresa, il più antico monastero di Aragona, presso Roncisvalle, e dopo molte peripezie giunse nel monastero di San Juan de la Peña dove rimase fino al 1399 quando i religiosi lo donarono al re Martino I di Aragona. Nel 1437 trovò finalmente il suo rifugio definitivo nella cattedrale di Valencia, dove oggi è venerato in una sontuosa cappella, in cui hanno pregato e celebrato la Messa Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Una delle prime concessioni della Santa Sede di un ufficio De Sanguine Christi è proprio quella data nel 1582 alla diocesi di Valencia.
L’odissea del Sacro Calice non era terminata. Dopo essere sfuggita ai musulmani la sacra reliquia riuscì miracolosamente a sfuggire nel 1809 al vandalismo dell’esercito napoleonico e nel 1936 a quello anarco-comunista. Ma un’aggressione più sottile oggi l’aggredisce: le favole diffuse dagli ambienti esoterici attorno al Graal mirano ad offuscare l’autentico significato del Preziosissimo Sangue di Gesù. Ma il Sangue del Verbo Incarnato, effuso nella Passione di Cristo e nell’Eucarestia, è, come dicono le Litanie a lui dedicate, vittorioso sui demoni, fortezza dei martiri, virtù dei confessori, pegno di vita eterna, “omni gloria et honore dignissimum” e, potremmo aggiungere, arma potentissima e trionfante contro i nemici della Chiesa.
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