martedì 26 marzo 2019

Come si muoverà l’Italia su Huawei per il 5G. Fatti, polemiche e scenari


Ecco la nuova norma su Golden power e non solo sul 5G per i fornitori extra europei come Huawei.


Amiche, ma non troppo. Tra Italia e Cina c’è un accordo di collaborazione per la nascita della nuova “Via della Seta” (29 accordi istituzionali e commerciali) per un valore potenziale di 20 miliardi: le premesse sono buone per una lunga e duratura amicizia geopolitica, eppure il rapporto sembra essere destinato ad essere vissuto sul filo del rasoio.

L’Italia della Cina si fida poco, specie in materia di tlc (settore comunque indicato nel testo finale del Memorandum). E a testimoniarlo è lo scudo che il nostro Paese ha alzato con l’aggiornamento della normativa sul Golden Power. Ma andiamo per gradi.
LE NUOVE NORME DEL GOLDEN POWER

Entra in vigore oggi il Dl n. 22 del 25 marzo, con cui il governo ha deciso di aggiornare il decreto 21 del 2012 sul “golden power”, ovvero i poteri speciali dello Stato nei settori strategici.

Secondo le nuove norme i poteri potranno essere applicati, come sottolinea il Sole 24 Ore, anche per tecnologia 5G acquisita da tutti i soggetti extra Ue, grazie ad un nuovo articolo (1-bis) in cui si specifica che tra le “attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale” rientrano anche “i servizi di comunicazione elettronica a banda larga basati sulla tecnologia 5G”. Il potere può essere applicato anche nel caso di forniture di materiali e servizi (non solo, dunque, per acquisizioni azionarie).
OBBLIGO DI COMUNICAZIONE

Con le nuove norme, in pratica, gli operatori tlc che intendono acquisire beni e servizi relativi al 5G dovranno comunicarlo, in anticipo, alla presidenza del Consiglio per permettere al governo di valutare la possibilità di esercitare i poteri speciali.

Di volta in volta, il governo valuterà la “presenza di fattori di vulnerabilità che potrebbero compromettere l’integrità e la sicurezza delle reti e dei dati che vi transitano”, si legge del decreto legge.
SOLO ACCORDI FUTURI

Le nuove regole saranno applicate ai contratti e agli accordi futuri. Infatti nel Dl n. 22 del 25 marzo non ci sono commi che si riferiscano alla tecnologia e agli apparati già installati o acquistati.
L’ALLARME DEL CENTRO STUDI MACHIAVELLI

L’introduzione delle nuove norme da parte di Palazzo Chigi risponde alle preoccupazioni, che si sono levate in primis negli Usa e dall’Intelligenze, sulla possibilità della Cina di spiare attraverso le tecnologie Huawei e Zte i Paesi che le utilizzano.

Secondo un report del centro studi Machiavelli promosso da Guglielmo Picchi, attuale sottosegretario della Lega agli Esteri, attraverso la rete 5G Huawei potrebbe avere accesso alle base Nato e ai dati sensibili di milioni di cittadini.


Per quello che riguarda le basi Nato, infatti, rientrerebbero nelle competenze di Huawei “anche aggiornamenti e patch attraverso il quale – anche tramite backdoor – la Repubblica Popolare potrebbe prelevare un imponente flusso di informazioni. Ciò potrebbe costituire un grosso problema, soprattutto dopo le numerose accuse di furto di proprietà intellettuale, spionaggio economico e industriale”, si legge nel report scritto dal giornalista Francesco Bechis e dall’analista Rebecca Mieli.
IL DIBATTITO

Un report definito “di parte” da Massimiliano Rossi, ingegnere delle telecomunicazioni, che su Twitter ha scritto “che la delivery in Italia da parte di #Huawei è fatta da ingegneri italiani e che tutto il sw e patch sono testate in Italia dai gestori+ingegneri italiani Huawei. Inoltre i vari apparati da attraversare sono di vendor non Huawei”.

“La delivery e l’installazione apparati rappresentano l’implementazione della rete. Il report ignora che l’installazione, configurazione, test e monitoring della rete è fatto da ingegneri italiani che non ubbidiscono a nessun partito”, ha aggiunto Massimiliano Rossi in risposta al giornalista Francesco Bechis che ha fatto notare che “il report non si concentra su delivery né apparati ma sull’implementazione della rete 5G da parte di Huawei e ZTE (antenne/core network)”.
L’ANALISI DI BRESSAN SU 5G E GOLDEN POWER

Washington è allarmata rispetto al tema delle comunicazioni e del 5G, ha riconosciuto l’analista Matteo Bressan in una conversazione con Start Magazine. Su questo tema, comunque, “l’Italia ha però fornito delle risposte chiare, da una parte con il rafforzamento del Golden power, dall’altra con i paletti molto forti, chiari e stringenti ribaditi da Mattarella”, ha sottolineato Bressan, direttore dell’Osservatorio per la Stabilità e la Sicurezza del Mediterraneo allargato dell’Università di Roma Lumsa e membro del board scientifico della NATO Defense College Foundation.
IL RUOLO DI HUAWEI IN ITALIA

La verità, comunque, è che Huawei in Italia ha già in corso sperimentazioni sul 5G (qui l’approfondimento di Start Magazine). La tecnologia cinese potrebbe essere sostituita con quella dell’Americana Cisco, con quella di Ericsson o della svedese Nokia, ma non sarebbe la stessa cosa.

“La Cina è più avanti degli Usa in varie tecnologie, compreso appunto il 5G”, si legge sull’editoriale di sabato scorso del settimanale Milano Finanza. “Basti pensare che nessuna delle aziende americane, Cisco inclusa, è in grado di fornire tutta la struttura completa per internet ad altissima velocità: può fare bene e in maniera competitiva larga parte di essa, ma gli manca un pezzo”.
FATTI, INDISCREZIONI E LE PAROLE DELL’EX COPASIR

5G a parte, comunque, un addetto ai lavori esperto del settore ha denunciato che la tecnologia Huawei è stata scelta in Italia per le Forze dell’ordine: “Gli Usa sanno benissimo che il telefonino di servizio fornito ad alcune componenti delle forze armate è Huawei, effetto di un vecchio contratto Consip. Comunque molti piloti, addestrati negli Stati Uniti, lasciano il cellulare Huawei e mettono la scheda nel proprio IPhone o Samsung”, ha detto l’addetto.

E c’è di più. “Già nel 2009 le agenzie di cybersicurezza mondiali avevano bandito Huawei dagli appalti per le infrastrutture critiche, mentre in Italia stava stringendo accordi con Telecom per sostituire Cisco», ha spiegato a Milena Gabanelli del Corriere della Sera l’ex vicepresidente del Copasir, Giuseppe Esposito: “Mentre il prodotto di Cisco si sapeva com’era fatto, con la quantità di produzione messa in piedi da Hauwei nessuno ha mai potuto controllare l’effettiva sicurezza”, ha detto Esposito.

Persino la Panic Room di Palazzo Chigi, la stanza di massima sicurezza della presidenza del Consiglio, «passa attraverso due grandi nodi: il primo con i router di Tim, e quindi è fatto da Huawei». Ha concluso Esposito: «Se ci fosse un microchip, loro potrebbero ascoltare o addirittura vedere in video il presidente del Consiglio: è possibile, ma non è mai stato provato».

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