Le proteste e gli scontri, in vista delle elezioni del prossimo aprile, sono iniziati lo scorso dicembre. In piazza con i manifestanti c’erano anche alcuni politici e altri candidati alla presidenza del Paese, tra loro anche l’ex primo ministro Ali Benflis. Il bilancio degli scontri ad Algeri è stato di decine di feriti; una quarantina gli arresti. L’Algeria è stato il primo Paese che ha dovuto fare i conti con il terrorismo a partire dagli anni ‘90, ma è stato messo in ginocchio proprio dal governo del Fronte di Liberazione Nazionale guidato da Bouteflika. In quegli anni vinse le elezioni, dichiarate poi non valide: quindi si crearono i presupposti per una guerra civile che insanguinò il Paese. Il Presidente è in carica dal 1999. Nel 2014 è arrivata la modifica costituzionale che gli permise di ricandidarsi, una scelta che alimenta ancora oggi il risentimento di parte della popolazione.
Le manifestazioni contro il quinto mandato sono state partecipatissime nelle principali città del Paese, con decine di migliaia di persone in piazza a Orano, Costantina, Batna, Skikda, Annaba e tante altre. Variegata anche la composizione delle proteste sotto le insegne del 5 sbarrato, dagli avvocati di Bejaia agli ultras dell’Usma e del JSK, dagli universitari di Algeri ai tuareg di Tamanrasset. Folla anche nel capoluogo cabilo di Tizi Ouzou, teatro di sanguinosi episodi di repressione statale negli anni ’90 e 2000, culminati nella Primavera Nera del 2001.
Importanti attestati di solidarietà sono arrivati da oltre confine: è stata fatta circolare una lettera di sostegno ai manifestanti di Nasser Zefzafi, leader delle sollevazioni repubblicane del Rif marocchino in carcere da due anni per la sua opposizione alla monarchia del Makhzen di Mohammed VI. Organizzate a tempo di record mobilitazioni dalla diaspora algerina in varie città della Francia (legatesi anche ad alcune piazze dei gilet gialli) e in altre metropoli come Barcellona, Londra, Milano e Tunisi (in quest’ultimo contesto reoresse dalle locali forze di sicurezza).
Ora gli occhi sono puntati sulla Commissione Elettorale, con la scadenza dei termini di presentazione dei candidati presidenziali e la decisione di legittimità delle candidature entro una decina di giorni. Un primo, insufficiente segnale è stato dato dall’estromissione di Abdelmalek Sellal (ex-primo ministro e potente esponente della cricca presidenziale) dal comitato della campagna presidenziale di Bouteflika, dopo la diffusione di intercettazioni telefoniche in cui censurerebbe le proteste assieme al miliardario Ali Haddad. Ma il messaggio della piazza è chiaro.
L’appoggio di Macron a Bouteflika
Il presidente francese Macron in questi giorni ha convocato l’ambasciatore francese in Algeria per riferire con urgenza al ministro degli Esteri. Una bomba ad orologeria pronta a detonare per l’innesco provocato dalla farsa elettorale che l’Algeria sarebbe sul punto di mettere in scena il prossimo 18 aprile. Una farsa non più tollerabile da una parte della popolazione, quella più giovane, acculturata, emancipata, quella che vive nei maggiori centri urbani e frequenta i social media, che in queste ore appaiono in fermento. Non solo. Anche i giornalisti di Entv, la televisione pubblica, rivendicano il diritto di esercitare il proprio mestiere: informare, finalmente liberi da censure.
Un Paese destabilizzato, o peggio ancora un regime ostile, rappresenterebbe una grave minaccia non solo per la Francia, ma anche per l’Europa, su cui incombe, a fine maggio, il verdetto delle elezioni. Certo è che, se non saranno le prossime elezioni politiche, il naturale decesso dell’ottuagenario presidente, in pessime condizioni di salute, potrebbe mettere fine a breve termine ad uno status quo ventennale. E allora una strategia per il futuro dell’Algeria non sarà più rinviabile.
Intanto, giova ricordare che lo scorso 25 febbraio anche a Parigi erano in tanti a sfilare in Place de la République contro il quinto mandato di Bouteflika. Questa volta non erano i “soliti” gilets jeunes, ma francesi, algerini, franco-algerini che vorrebbero riavviare l’Algeria saccheggiata dai satrapi della nomenklatura incistata intorno al clan Bouteflika. Clan che tra il 2000 e il 2015, quindi prima del crollo dei prezzi, ha “sperperato” 600 miliardi di dollari provenienti dalla vendita di idrocarburi, in ”deflussi“ di diverse centinaia di miliardi di dollari, più oltre 100 miliardi di dollari spesi “a discrezione dei governi”, eufemismo delicato che maschera l’opacità della loro destinazione. Nessuno vorrà rivendicare una tale eredità, nessuno vuole associare il suo nome con decenni di implementazione delle risorse pubbliche a servizio di un clan familiare; la rottura è quindi annunciata. A beneficio di chi? Il futuro ormai prossimo lo dirà.
di Cinzia Palmacci
Scrittrice e blogger
web writer verainformazionerealtime.blogspot.com
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