Pensioni, tasto delicato. Il governo ha annunciato che vuole mandare in pensione a 62 anni chi ha lavorato e versato contributi per almeno 38 anni. Ma ora il presidente dell’Inps, Tito Boeri, mette il bastone tra le ruote ai ritocchi promessi alla riforma Fornero. Con le ipotesi del governo su quota 100 e il blocco dell’adeguamento all’aspettativa di vita (3 mesi in più ogni anno), per la pensione anticipata nel 2019 «il sistema previdenziale è a rischio» con il debito previdenziale che potrebbe aumentare di 100 miliardi. Boeri sintetizza che il paventato intervento sul sistema «oltre ad essere costoso» premia gli uomini penalizzando i giovani e le donne. Ragionamento che parte dal numero di contributi mediamente versati (gli uomini solitamente cominciano a lavorare prima), e quindi la platea dei maschietti che potrebbe beneficiarne rappresenta oltre l’85% dei potenziali pensionandi. Le donne potrebbero andare in pensione con la già sperimentata “Opzione donna”, che prevede però una forte decurtazione dell’assegno in base agli anni di anticipo.
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A stretto giro arriva la replica piccata del vicepremier Matteo Salvini che della “riforma della Riforma Fornero” ha fatto una battaglia: «Da italiano invito il dottor Boeri, che anche oggi difende la sua amata legge Fornero, a dimettersi dalla presidenza dell’Inps e a presentarsi alle prossime elezioni chiedendo il voto per mandare la gente in pensione a 80 anni». Sulle stessa lunghezza d’onda anche Paolo Savona, che però rifila una stoccata tecnica al professor Boeri: «Per quanto mi risulta lo Stato dai pensionati incassa circa 50 miliardi, che è una somma superiore a quello che lo Stato dà per consentire lo sbilancio. Si parla sempre di sbilancio ma i pensionati si autofinanziano», ribatte il ministro Affari Europei intervenendo in aula alla Camera durante il dibattito sulla Nota di aggiornamento del Def. Nei fatti Savona, da economista, mette il dito nella piaga della previdenza pubblica. L’Inps, se solo facesse il proprio mestiere (quello di gestire entrate/contributi e uscite/prestazioni), non sarebbe in rosso, ma i contributi versati dai lavoratori e dalle imprese basterebbero per chiudere il bilancio in “utile”. Nei decenni scorsi però - attingendo alla mammella dei contributi pagati dai lavoratori - lo Stato ci ha pagato pure le pensioni dei milioni di dipendenti pubblici, che fino a qualche anno fa venivano contabilizzate con contributi fittizi e virtuali. Dalle casse dell’Inps ogni anno escono oltre 3,8 milioni di trattamenti assistenziali (complessivamente 100 miliardi), spesa che poi, a consuntivo, viene in parte rimborsata con i trasferimenti dalla fiscalità pubblica (ovvero le tasse che noi tutti paghiamo).
Savona, sottolineando che i pensionati “puntellano” l’Inps pagando una montagna di tasse sulle proprie pensioni, ricorda a Boeri che lo sbilanciamento non è da imputare ai lavoratori. Semmai ai milioni di assegni assistenziali che lo Stato generosamente eroga utilizzando l’Istiuto come ufficiale pagatore. C’è da crederci che questo non sarà l’ultimo scontro tra il vulcanico Boeri (che a febbraio terminerà il mandato affidatogli dal governo Renzi), e il governo Conte. Boeri contesta anche effetti e gettito del taglio alle pensioni d’oro (150 milioni). Tra le spese assistenziali, dal 2019, l’Istituto dovrà gestire pure l’erogazione del famoso reddito di cittadinanza (platea prevista 1,7 milioni di famiglie sotto la soglia di povertà, budget altri 9 miliardi). E con un timoniere “ostile” in plancia di comando l’operazione sarà tutt’altro che agevole. E infatti si vuole partire a marzo...
di Antonio Castro
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