lunedì 18 marzo 2019

LE RADIAZIONI 5G FANNO MALE, 170 SCIENZIATI PER LA MORATORIA


L’artista Nickolay Lamm ha creato mappe 3D dei campi elettromagnetici emessi dai cellulari

Le radiazioni non ionizzanti sono considerate un possibile cancerogeno dall’OMS. Gli esperti chiedono valutazioni indipendenti prima di commercializzare il nuovo standard 5G
Con le connessioni 5G aumenta l’esposizione ai campi elettromagnetici
(Rinnovabili.it) – Una moratoria sulla realizzazione della rete di quinta generazione, l’attesissimo 5G. È la richiesta contenuta in una lettera aperta firmata da 170 scienziati di 37 paesi, tra cui l’Italia. Gli esperti avvertono che l’arrivo della nuova rete causerebbe un aumento massiccio dei campi elettromagnetici a radiofrequenza (RF-EMF), con la conseguente maggiore esposizione degli esseri umani ad un flusso di radiazioni non ionizzanti – definito anche elettrosmog – che non è privo di controindicazioni.
«Devono essere condotti studi di impatto sanitario e ambientale seri e indipendenti prima di qualsiasi immissione sul mercato», scrivono i 170 scienziati. Il loro appello segue un altro richiamo del 2015, nel quale si chiedeva all’ONU e all’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) di promuovere misure preventive per limitare l’esposizione alle onde elettromagnetiche. Le preoccupazioni, fino a qualche anno fa liquidate con un’alzata di spalle e portate avanti da pochi esperti, sono oggi una realtà conclamata. Il passaggio discriminante è avvenuto nel 2011 con la classificazione da parte della IARC (l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) delle radiofrequenze come «possibile cancerogeno» per l’uomo.
La valutazione della IARC ha ammesso possibili effetti biologici, non soltanto termici, delle radiazioni non ionizzanti. La lettera degli scienziati alle istituzioni europee raccomanda che tutti i paesi membri seguano la risoluzione 1815 del Consiglio d’Europa sui potenziali danni dei campi elettromagnetici e informino cittadini, insegnanti e medici sui rischi per la salute delle radiazioni RF-EMF.
Gli esperti avvertono che la progressiva diffusione del cosiddetto internet delle cose (IoT) porterà a creare dalle 10 alle 20 miliardi di nuove connessioni, incrementando l’esposizione umana all’elettrosmog in maniera esponenziale. Con essa crescerebbero i rischi di cancro al cervello, morbo di Alzheimer, infertilità o sintomi di elettro-ipersensibilità (forte mal di testa, difficoltà di concentrazione, disturbi del sonno, stanchezza e sintomi simili a quelli dell’influenza).
La tecnologia 5G è in fase di sperimentazione in diversi paesi. Svezia e Finlandia tirano la volata in Europa, con Francia e Germania che hanno già lanciato le aste per le frequenze. Il Giappone punta a offrire servizi di connessione già per le Olimpiadi 2020 di Tokyo. In Italia il Ministero dello Sviluppo Economico ha lanciato il bando “Città in 5G” lo scorso maggio, con l’intenzione di arrivare ad una copertura commerciale entro il 2022.  
Il 5G opererà su frequenze più elevate di quelle sino ad ora utilizzate dai sistemi di radiotelefonia (superiori ai 30GHz) e renderà necessaria l’installazione in area urbana di numerosissimi micro-ripetitori (con aumento della densità espositiva) a causa degli ostacoli alla trasmissione lineare di questo particolare tipo di segnale da parte di palazzi e aree verdi. In pratica esiste la possibilità che quasi ogni palazzo possa avere una micro-antenna 5G. Circa 4 milioni di residenti saranno dunque esposti durante la “sperimentazione” a campi elettromagnetici ad alta frequenza con densità espositive e frequenze sino ad ora inesplorate su così ampia scala… Scarica il comunicato stampa
In nome dell’abbattimento della CO2 il mondo cambierà. L’Unione Europea prevede di spendere 270 miliardi di Euro l’anno per  “tutelare il clima”. Queste sono le cifre nei prossimi 40 anni secondo Connie Hedegaard. L’obiettivo sarebbe di ridurre le emissioni di gas serra tra l’80 e il 90 per cento entro il 2050 favorendo la creazione di Smart Cities. 
La Smart Grid consiste nell’installazione di una rete capillare di controllo elettronico in grado di monitorare e coordinare la vita nella società. In nome della ‘sicurezza e della sostenibilità’ saranno applicati dei dispositivi di controllo e misurazione negli apparecchi di uso quotidiano (lavatrice, frigo, termosifone, caldaie, lampadine…contatori). Tutte le attività, in luoghi pubblici e privati, saranno inseriti in una estesa rete di sorveglianza. Ogni attività collegata ad un dispositivo elettronico (sensori) sarà identificata e registrata. BIG DATA. Dati su abitudini e attività quotidiani delle persone saranno raccolti, registrati e conservati in una banca dati.
La commissione europea ha lanciato l’iniziativa Smart Cities & Communities European Innovation Partnership (SCC).
Smart Cities & Communities diventa una parte fondamentale del nuovo programma dedicato alla ricerca Horizon 2020. Uno dei principali motori che spinge verso questa evoluzione sono gli obiettivi Europei di eco-sostenibilità “20-20-20”, che entro il 2020 prevedono la riduzione del 20% delle emissioni di gas serra rispetto ai livelli del 1990, l’aumento dell’efficienza energetica del 20% e la provenienza del 20% di energia elettrica da fonti rinnovabili.
La rivoluzione arriva poi nelle case di tutti. La case di ognuno deve diventare ‘intelligente e green’. Il convincimento è il seguente: è fondamentale per ridurre le emissioni di CO2 nell’atmosfera che diventi una priorità per tutte le persone. Tutti quindi ‘devono necessariamente diventare responsabili’ nei confronti dell’ambiente, partendo dal nostro piccolo. E cosa significa? La nostra casa deve diventare smart. Per facilitare il passaggio ci sono belle promesse: sarà gestito al meglio comfort, benessere, sicurezza, riduzione costi e consumi. Le valanghe di articoli che pubblicizzano le case smart dicono questo.
C’è un piccolo inconveniente.
Saremo spiati, seguiti, controllati. Sapranno ancora di più dove ci troviamo e con chi siamo. Conosceranno ancora meglio i nostri gusti, le nostre abitudini, le preferenze politiche, i prodotti che ci piacciono e quelli che odiamo. Di noi conoscono tutto ormai. Grazie al cellulare, tablet o pc siamo costantemente filtrati, scannerizzati, analizzati.  Qualsiasi informazione possa essere raccolta dalle nostre abitudini è merce preziosa. Oggi 10 miliardi di computer, smartphone e tablet si scambiano continuamente in tutto il mondo flussi di dati.
L’enorme mole di dati che si raccoglie sui singoli individui permettono alle agenzie di intelligence di compiere un’analisi predittiva dei comportamenti dei singoli, questo anche per ‘individuare i potenziali soggetti pericolosi’.
Un mondo smart è clean e sostenibile? Non lo è. 
Saremo (ancora di più) immersi nelle microonde, giorno e notte. Sono ormai sempre più numerose le prove e le testimonianze, internazionali e nazionali, sui danni prodotti da “elettrosmog”, cioè da campi elettromagnetici (EM) nocivi per la salute umana, prodotti da antenne, cellulari, cordless, Wi-Fi e altri prodotti similari.  Numerosi studi dimostrano che la radiazione da radiofrequenza danneggia l’ambiente, sia la flora che la fauna. E non avremo via di scampo.Nemmeno George Orwell nel suo libro “1984” si era spinto tanto, era più avanzato Huxley nel suo Brave New World. Pare che abbia scritto un copione per il futuro. La “dittatura dolce” è cominciata. E noi, in nome dellaCO2 e del Global Warming, l’abbiamo accettata? 

LE FREQUENZE DEI CAMPI ELETTROMAGNETICI



LE CONOSCENZE ATTUALI

La valutazione dei rischi sanitari derivanti dall’esposizione a campi elettro-magnetici è un processo caratterizzato da estrema complessità. Ciò consegue al numero elevatissimo di pubblicazioni scientifiche esistenti a livello internazionale sull’argomento, alla loro grande eterogeneità ed alla loro frequente incompletezza, oltre che al carattere multidisciplinare che la tematica di per sé presenta. 

Esiste una notevole controversia sulla possibilità di un nesso fra l’esposizione a campi magnetici a frequenze estremamente basse (ELF) ed il rischio di patologie per l’uomo, in particolare il rischio della malattia tumorale. 

A tal riguardo molti studi scientifici sono stati pubblicati da quando, nel 1979, Wertheimer e Leeper riportarono un’associazione tra mortalità per tumori - sia infantili che dell’adulto - e vicinanza delle abitazioni alle linee di distribuzione dell’energia elettrica; tali case vennero classificate come “abitazioni ad alta configurazione di corrente”. Emerse l’ipotesi di un aumento nel rischio di tumori infantili conseguente alla presenza di sorgenti di campo magnetico esterne. 

Il Promemoria dell'OMS n. 205 fa riferimento, per la valutazione dei possibili effetti sanitari a lungo termine, ad un ampio rapporto prodotto nel 1998 dal National Institute of Environmental Health Sciences (NIEHS) degli Stati Uniti. Nel giugno 1998, il NIEHS ha convocato un gruppo di lavoro internazionale per una revisione critica dei risultati della ricerca. Il gruppo di lavoro, usando i criteri stabiliti dall'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (International Agency for Research on Cancer, IARC), ha concluso che i campi ELF debbano essere considerati come un "possibile cancerogeno per l'uomo" con riferimento prevalente alla possibilità di causare leucemie infantili.
"Possibilmente cancerogeno per l’uomo" è una classificazione usata per connotare un agente per il quale vi sia una limitata evidenza di cancerogenicità nell’uomo ed un’evidenza meno che sufficiente negli animali da laboratorio (in questa classe ad esempio vi sono: il caffè, i gas di scarico delle auto a benzina, i fumi di saldatura).

Due studi epidemiologici particolarmente importanti per le dimensioni e per la metodologia impiegata sono stati pubblicati dopo il rapporto NIEHS (Linet et al. 1998; McBride et al. 1999). I loro risultati sembrano indebolire l'ipotesi di una cancerogenicità dei campi magnetici ELF. 

L'OMS ha presentato nel 2001 una valutazione (effettuata congiuntamente alla IARC) degli effetti cancerogeni dei campi ELF; nel 2002 seguirà una valutazione di altri possibili effetti sanitari. 

Nel dicembre 2001 è stata pubblicata la rassegna effettuata dall’ICNIRP sui dati esistenti in letteratura riguardo ai campi ELF in cui si mette in evidenza la possibile associazione delle ELF con le leucemie infantili. 

Per quanto riguarda le radiazioni elettromagnetiche a radio-frequenza la revisione dei dati scientifici svolta dall’OMS (1996) nell’ambito del Progetto internazionale CEM ha concluso che, sulla base della letteratura attuale, non c’è alcuna evidenza convincente che l’esposizione a RF abbrevi la durata della vita umana, né che induca o favorisca il cancro.

I ricercatori non hanno trovato indicazioni che esposizioni multiple al di sotto dei livelli di soglia provochino alcun effetto negativo per la salute. 

Non si verifica alcun accumulo di danni per effetto di esposizioni ripetute a bassi livelli di campi a RF. 

Comunque, la stessa revisione ha anche evidenziato che sono necessari ulteriori studi per delineare un quadro più completo dei rischi sanitari, specie per quanto concerne un possibile rischio di cancro connesso all’esposizione a bassi livelli di campi RF. Da questa riconosciuta incompletezza della conoscenza scientifica scaturisce, a nostro avviso, la necessità di attuare comportamenti che siano in linea con i principi di precauzione e responsabilità. 
L’INTERAZIONE DELLE ONDE ELETTROMAGNETICHE CON I SISTEMI BIOLOGICI

I tre parametri che caratterizzano le onde elettromagnetiche-m (lunghezza d’onda, frequenza ed energia per singolo quanto di energia (fotone)) sono legati fra loro ed ognuno influenza l’effetto che il campo può avere su un sistema biologico. A maggiore frequenza corrisponde una maggiore energia ed una minore lunghezza d'onda. 

Le onde elettromagnetiche possono essere anche classificate in base alla loro frequenza ed energia in radiazioni ionizzanti e radiazioni non ionizzanti (NIR). Leradiazioni ionizzanti, che comprendono per esempio la radiazione X e la radiazione gamma, a causa della loro elevata energia sono in grado di produrre la ionizzazione della materia, ovvero la creazione di atomi o molecole elettricamente cariche positivamente o negativamente, rompendo i legami atomici che tengono unite le molecole nelle cellule. Le radiazioni non ionizzanti, che comprendono per esempio i campi elettromagnetici a radiofrequenze e microonde e i campi elettrici e magnetici a frequenze estremamente basse (ELF) non hanno l’energia sufficiente per rompere i legami atomici: pertanto anche ad elevata intensità non sono in grado di produrre la ionizzazione in un sistema biologico. Sono però in grado di produrre altri effetti biologici, che possono talvolta arrecare un danno alla salute.

Un effetto biologico si verifica quando l’esposizione alle onde elettromagnetiche provoca qualche variazione fisiologica notevole o rilevabile in un sistema biologico. Undanno alla salute avviene quando l’effetto biologico è al di fuori dell’intervallo in cui l’organismo può normalmente compensarlo, e ciò conduce a qualche condizione di detrimento della salute; solo in questo caso si parla di effetti sanitari, come più volte ribadito dall’OMS. 

L’interazione tra sistemi biologici e campi elettromagnetici può essere diretta oindiretta. 

Gli effetti acuti dell’esposizione a campi elettrici e magnetici ELF ed a campi elettromagnetici a radiofrequenze e microonde sono dovuti a meccanismi d’interazione ben conosciuti, sono immediati ed oggettivi, avvengono solo per valori superiori ad un ben preciso valore di soglia della grandezza dosimetrica specifica, sono accertabili sperimentalmente sugli animali e su volontari al di là di ogni possibile dubbio. Possono essere riassunti nel modo seguente:


induzione di cariche e correnti elettriche e conseguente stimolazione di tessuti costituiti da cellule elettricamente eccitabili, quali le fibre muscolari e i neuroni per quanto riguarda i campi elettrici e magnetici statici ed ELF ed i campi elottromagnetici a frequenze minori di 1 MHz; 


riscaldamento dei tessuti, dovuto alla trasformazione dell'energia elettromagnetica in energia termica per campi elettromagnetici a frequenze maggiori di 1 MHz. 

Gli effetti sanitari a lungo termine sono invece difficilmente valutabili; l'eventuale rapporto causa effetto si basa su studi epidemiologici.


sintomi più o meno soggettivi (affaticamento, irritabilità, difficoltà di concentrazione, diminuzione della libido, cefalee, insonnia, impotenza etc.);


patologie con segni oggettivi ed in genere gravi (tumori, malattie degenerative).



GLI EFFETTI DEI CAMPI ELETTRICI E MAGNETICI STATICI

L'azione fondamentale di questi campi sui sistemi biologici è l'induzione di cariche e correnti elettriche, è stato provato che si verificano anche altri effetti (es. interferenza con pacemaker od altri dispositivi elettronici, spostamento di impianti metallomagnetici), che potrebbero portare a danni per la salute ma solo ad intensità di campo molto elevate.
Il campo elettrico statico, escludendo le possibili correnti elettriche indotte da campi particolarmente intensi, non desta preoccupazioni per la salute. 

I campi magnetici statici molto intensi possono alterare il flusso sanguigno o modificare i normali impulsi nervosi. Intensità così elevate non si incontrano nella vita quotidiana. Alcune indagini mediche (es. risonanza magnetica) e alcune lavorazioni (es. produzione di corrente continua, impianti elettrolitici, produzioni di magneti permanenti) possono causare esposizioni al di sopra dei livelli normali. Vi è insufficiente informazione sugli effetti di esposizioni prolungate ai campi magnetici statici ai livelli che si incontrano negli ambienti di lavoro.

GLI EFFETTI DEI CAMPI ELETTRICI E MAGNETICI A FREQUENZE ESTREMAMENTE BASSE (ELF) 


L'OMS ha presentato nel 2001 una valutazione (effettuata congiuntamente alla IARC) degli effetti cancerogeni dei campi ELF; nel 2002 seguirà una valutazione di altri possibili effetti sanitari. 


Nel dicembre 2001 è stata pubblicata la rassegna effettuata dall’ICNIRP sui dati esistenti in letteratura riguardo ai campi ELF. Le cui conclusioni sono le seguenti: 

a) La qualità degli studi epidemiologici è migliorata sempre più e molti degli studi recenti su leucemia infantile e sul cancro associati ad esposizione occupazionale sono vicini al limite di quello che può realisticamente essere raggiunto in termini di portata dello studio e rigore metodologico. 


b) La valutazione dell’esposizione costituisce una difficoltà particolare per l’epidemiologia dei campi elettromagnetici, da vari punti di vista: 

1) l’esposizione è impercettibile, diffusa, ha molteplici sorgenti e può variare largamente nel tempo e anche per piccole distanze dalle sorgenti; 

2) in genere il periodo di esposizione, rilevante per gli effetti indagati, è precedente alla data in cui le misurazioni realisticamente possono essere ottenute e di durata e con periodo di induzione ignoti; 

3) non è nota una misura appropriata dell'esposizione cumulativa e non vi sono dati biologici da cui derivarla. 

c) In assenza di evidenze sperimentali e considerate le incertezze nella letteratura epidemiologica, non esiste alcuna malattia cronica per la quale una relazione etiologica con i campi elettromagnetici possa essere stabilita. 

d) Sono stati presentati in abbondanza dati di elevata qualità su cancro infantile, come anche per la leucemia dell’adulto ed i tumori cerebrali in rapporto all’esposizione occupazionale. Fra tutte le risultanze valutate negli studi epidemiologici sui campi elettromagnetici, la leucemia infantile in relazione ad esposizioni postnatali superiori a 0,4 mT è l’unico caso per il quale vi sia la maggiore evidenza di associazione. Il rischio relativo, in un’analisi condotta su un pool largamente rappresentativo, è stato stimato pari a 2,0 (intervallo di confidenza al 95% 1,27 - 3,13). E’ inverosimile che ciò sia dovuto al caso, ma potrebbe in parte essere dovuto a fattori confondenti (bias). Tale dato è difficile da interpretare, in assenza di un meccanismo conosciuto o di un supporto sperimentale riproducibile. Nella succitata analisi largamente rappresentativa soltanto lo 0.8% di tutti i bambini erano stati esposti a valori superiori a 0,4 mT. 
Ulteriori studi sono quindi necessari per disegnare e testare specifiche ipotesi quali le possibili distorsioni legate alla selezione dei soggetti in studio o la misura dell'esposizione. 

'Nella gran parte delle abitazioni, infatti, l'intensità di campo magnetico misurabile è notevolmente inferiore al valore suddetto ma tali intensità possono essere raggiunte e superate in residenze prossime ad importanti sorgenti di CEM (es. alcuni elettrodotti). Dagli studi epidemiologici è stato stimato che l'1% della popolazione sia esposta a campi e-m superiori a 0,3 - 0,4 mT. Ipotizzando che l'incremento di rischio possa essere attribuito con certezza e totalmente all'esposizione ai CEM e sapendo che il tasso annuale di leucemia infantile (0 - 14 anni) in Italia è circa 4/100000 bambini, nel nostro paese ogni anno meno di 10 leucemie infantili (3 - 7) su circa 430 sarebbero causate da questa esposizione.'


e) Sulla base dei riscontri epidemiologici, è stata evidenziata una associazione tra la sclerosi laterale amiotrofica e l’esposizione occupazionale a campi elettromagnetici, sebbene il confondimento sia una potenziale spiegazione. 

f) Il cancro del seno, le malattie cardio-vascolari, il suicidio, la depressione rimangono problemi irrisolti. 


Il progetto SETIL

E’ attualmente in corso di svolgimento il Progetto SETIL, lo Studio sulla Eziologia dei Tumori Infantili Linfoemopoietici e dei neuroblastomi coordinato dal dr. Corrado Magnani dell'Università di Torino. SETIL è uno studio epidemiologico multicentrico sui fattori di rischio per le leucemie acute, il linfoma non-Hodgkin ed il neuroblastoma in età infantile. A parte le radiazioni ionizzanti ed alcune rare sindromi genetiche, i fattori eziologici per queste malattie sono in gran parte sconosciuti. Per quanto riguarda la leucemia infantile, sono state ipotizzate l’associazione con esposizioni ambientali ad agenti fisici e chimici e con esposizioni in gravidanza o ad agenti infettivi. Numerosi studi hanno in particolare suggerito l’associazione con i campi magnetici a 50 Hz (ELF-MF), senza però ancora giungere a conclusioni definitive.


GLI EFFETTI DEI CAMPI ELETTROMAGNETICI A RADIO-FREQUENZA 




Le RF possono produrre effetti biologici che dipendono dalla frequenza e dall’intensità del campo. 



Non necessariamente tali effetti biologici si traducono in danni per la salute. 
Nella tabella seguente sono descritti i principali effetti (sperimentalmente accertati) sugli esseri viventi relativi alle specifiche bande di frequenza. 


Banda di frequenza 

Effetto biologico 

Grandezza dosimetrica 

Danni alla salute 

Luoghi a rischio 
(solo indicativo)


RF al di sopra di 10 GHz 

Assorbimento dalla superficie della pelle; pochissima energia penetra nei tessuti sottostanti. 

La densità di potenza, in watt al metro quadro (W/m2) e relativi sottomultipli. 

Cataratte oculari e ustioni della pelle solo per densità di potenza superiori a 1000 W/m2 

Nelle immediate vicinanze di radar di potenza, lungo i lobi di emissione e praticamente mai in altri ambienti di vita o di lavoro. 


RF tra 1 MHz e 10 GHz 

Penetrazione nei tessuti esposti e produzione di calore a seguito dell’assorbimento locale di energia. La profondità di penetrazione dipende dalla frequenza del campo ed è maggiore alle frequenze più basse. Questi aumenti di temperatura possono innescare varie risposte fisiologiche e risposte legate alla termoregolazione. 

L’assorbimento di energia si misura come tasso di assorbimento specifico (SAR) entro una data massa di tessuto, in watt al chilogrammo (W/Kg). 

Per livelli di SAR comunque maggiori di 4 W/Kg 

Cataratte oculari e ustioni della pelle solo per valori di SAR molto elevati. 

Influenza sullo sviluppo fetale (ma effetti teratogeni si verificano solo se la temperatura del feto aumenta per ore di 2-3°C all’ora).

Effetti negativi sulle fertilità maschile. 

Entro decine di metri di distanza dal fascio di emissione di potenti antenne FM, aree inaccessibili al pubblico in quanto collocate in cima a torri elevate. 


Le RF al di sotto di 1 MHz 

Nessun riscaldamento significativo; induzione invece di correnti elettriche nei tessuti. 

Le numerose reazioni chimiche implicate nei processi vitali sono associate a normali densità di correnti “di fondo” di circa 10 mA/m2. 

Densità di corrente espresse in ampère al metro quadro (A/m2) 

Densità di corrente indotte superiori a 10 mA/m2 possono interferire con i normali meccanismi fisiologici e provocare, ad esempio, contrazioni muscolari involontarie. 

Per quanto riguarda eventuali effetti cancerogeni, secondo l’OMS ed altri comitati internazionali di esperti, le attuali evidenze scientifiche fanno ritenere improbabile l’ipotesi che le RF promuovano o inducano tumori. 


Studi sperimentali


Sono stati condotti molti studi di genotossicità (danni al patrimonio genetico) delle RF in vitro ed in vivo, la maggior parte dei quali non ha dimostrato effetti genotossici ascrivibili all’esposizione alle RF. 

Gli studi di carcinogenesi su roditori non hanno fornito evidenze convincenti di effetti sull’induzione, la promozione o la progressione di tumori. 

Studi epidemiologici 

La relazione tra esposizione a RF e rischio di tumori è stata analizzata in diverse indagini epidemiologiche a loro volta esaminate in rassegne recenti. Gli Autori di queste rassegne concordano nell’affermare che gli studi al momento disponibili (qualche studio di sorveglianza della mortalità per professione, un piccolo numero di coorti di personale militare con unità di radaristi, una coorte di radioamatori, una piccola coorte di addette alla saldatura a RF di materie plastiche, qualche studio geografico su residenti in prossimità di trasmettitori radio-televisivi) non forniscono informazioni adeguate per un’appropriata valutazione dell’eventuale cancerogenicità per l’uomo dell’esposizione a RF, a causa della eterogeneità delle situazioni espositive considerate, della qualità tutt’altro che soddisfacente dei metodi di stima delle esposizione (quasi sempre presunta in base al titolo professionale ed alla mansione, ovvero per prossimità della residenza a sorgenti fisse di RF), oltrechè dell’incoerenza dei loro risultati.




A) Evidenze epidemiologiche sul rischio di tumori in relazione alla telefonia cellulare 

A.1) Stazioni radio-base 
Le preoccupazioni dei cittadini per i possibili effetti negativi associati ad esposizione a campi a RF nascono essenzialmente dalla presenza sul territorio delle antenne fisse per il servizio, tecnicamente indicate come stazioni radio base. Negli ultimi 15 anni sono stati pubblicati vari studi epidemiologici che hanno esaminato la possibile relazione tra trasmettitori a radiofrequenza e cancro. Questi non hanno fornito nessuna evidenza che l’esposizione ai campi generati dai trasmettitori con emissioni nei limiti di legge aumenti il rischio di cancro. I livelli dei campi elettromagnetici a RF prodotti dalle stazioni radio base e/o da altre reti locali wireless, a cui la popolazione è potenzialmente esposta, sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, non sembrano rappresentare rischi rilevanti per la salute umana.

A.2) Telefoni cellulari

Un cenno a parte meritano gli studi sul rischio di tumori tra gli utilizzatori di telefoni cellulari, perché alcuni contributi sono stati pubblicati molto di recente e non compaiono nelle rassegne precedentemente citate. Tutti questi studi hanno prodotto risultati rassicuranti. 



La mortalità per tutti i tumori non risulta correlata all’intensità d’uso del cellulare, il piccolo numero di decessi per tumori cerebrali e leucemie non consente analisi robuste da un punto di vista statistico e l’unica causa di morte per la quale si osserva un incremento di rischio associato all’intensità d’uso del telefono cellulare è relativa agli incidenti automobilistici. 

A.3) Il progetto INTERPHONE 

Il progetto Interphone, promosso e coordinato dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), è uno studio caso-controllo basato su interviste, finalizzato a valutare la relazione tra uso del telefono cellulare e rischio di tumori cerebrali (gliomi e meningiomi) e di alcune altre neoplasie (neurinomi del nervo acustico e tumori delle ghiandole salivari). Lo studio è stato realizzato tra il 2000 e il 2004 in 13 Paesi, tra i quali l’Italia.
Il progetto Interphone è terminato ed è stato pubblicato in data 17/05/2010. Si riportano di seguito la traduzione dei Risultati e delle Conclusioni dello studio.


Risultati:
Tra coloro che sono stati regolari utenti di telefoni cellulari si è osservato un ridotto odds ratio (OR)1 per il glioma [OR 0,81; intervalli di confidenza al 95% (CI) 0,70-0,94] e per il meningioma (OR 0,79; CI 95% 0,68-0,91), rispecchiando forse bias di partecipazione o altre limitazioni metodologiche. Nessun OR elevato è stato osservato dopo 10 o più anni dall’inizio dell’uso del telefono (glioma: OR 0,98; 95% CI 0,76-1,26; meningioma: OR 0,83; 95% CI 0,61-1,14). 
Gli OR erano minori di 1 (nessun rischio aggiuntivo dall’uso del telefono n.d.r.) per tutti i decili del numero delle telefonate durante tutta la vita e per i nove decili dei tempi cumulati delle telefonate. 
Nel decimo decile del tempi cumulati delle telefonate ricordate, 1.640 ore e più durante tutta la vita, l'OR era 1,40 (95% CI 1,03-1,89) per il glioma, e 1,15 (95% CI 0,81-1,62) per il meningioma; ma ci sono valori riferiti sull’uso inverosimili in questo gruppo. 
Gli OR per il glioma tendevano ad essere maggiori per il lobo temporale che per altre parti del cervello, ma gli intervalli di confidenza stimati sul lobo-specifico erano ampi. 
Gli OR per il glioma tendevano ad essere maggiori nei soggetti che hanno riferito di utilizzare abitualmente il telefono nello stesso lato della testa dove si è manifestato il tumore piuttosto che nel lato opposto.
1 L’ odd ratio (OR) è una misura di rischio relativo. In altri termini, un OR di x indica che le persone esposte hanno un rischio di x volte superiore al rischio delle persone non esposte.


Conclusioni:

In generale, non è stato osservato alcun aumento del rischio di glioma o meningioma legato all’utilizzo dei telefoni cellulari. Ci sono state indicazioni in merito ad un aumentato rischio di glioma per elevati livelli di esposizione, ma bias ed errori impediscono un’interpretazione causale. Per l’accertamento dei possibili effetti a lungo termine di un uso intensivo dei telefoni cellulari necessitano ulteriori indagini.


Cosa succederà?
Il Dr Christopher Wild, direttore della IARC, ha dichiarato: "Un aumento del rischio di cancro al cervello non è stabilito in base ai dati di Interphone. Tuttavia, le osservazioni dei più alti livelli cumulativi di tempo di esposizione e i mutamenti negli usi dei cellulari dal periodo di studio, in particolare nei giovani, giustificano ulteriori indagini sull’uso del telefono cellulare e sul rischio di cancro al cervello." 
La Prof. Elisabeth Cardis del Centre for Research in Environmental Epidemiology (CREAL) di Barcellona, centro che ha coordinato Interpone, ha detto che "lo studio Interphone proseguirà con ulteriori analisi sull’uso del telefono cellulare e sui tumori del nervo acustico e della ghiandola parotide". 
Ha poi aggiunto: "A causa delle preoccupazioni per il rapido aumento dell’utilizzo dei telefoni cellulari da parte dei giovani - che non erano inseriti in Interphone -, Il CREAL è co-coordinatore di un nuovo progetto, MobiKids, finanziato dall'Unione Europea, per indagare il rischio di tumori al cervello dall'uso del telefono cellulare nell'infanzia e nell'adolescenza." 
La IARC ha programmato una revisione globale del potenziale cancerogeno della telefonia mobile sotto l'egida del suo “Programma Monografie”. La revisione, prevista per il 24-31 Maggio 2011, prenderà in considerazione tutti gli studi epidemiologici pubblicati e le evidenze sperimentali, inclusi i nuovi dati dello studio Interphone. 
http://www.iarc.fr/en/media-centre/pr/2010/pdfs/pr200_E.pdf


A.4) Conclusioni 

Sulla base delle conoscenze scientifiche attualmente disponibili, sembra poco probabile che l’uso del telefono cellulare comporti un sensibile aumento del rischio di tumori cerebrali. D’altronde, il numero di utilizzatori attuali e la prevedibile ulteriore espansione della telefonia mobile fanno sì che anche modesti incrementi di rischio associati all’esposizione potrebbero avere un elevato impatto sanitario sulla popolazione. 


B) Il rischio di leucemia infantile tra i residenti in prossimità di trasmettitori radio-televisivi.

B.1) La letteratura 

Per quanto concerne, in particolare, le RF utilizzate nella trasmissione di segnali radio o TV ed il rischio di leucemia infantile, sono disponibili in letteratura sei studi epidemiologici su mortalità o incidenza di tumori infantili tra i residenti in prossimità di ripetitori radiotelevisivi. 

B.2) Conclusioni 

L’analisi approfondita degli studi geografici di popolazione condotti finora consente di concludere che non sono stati evidenziati cluster spaziali di leucemia infantile associati alla distanza di trasmettitori radiotelevisivi. Un solo studio ha cercato di valutare la relazione fra distanza dalla sorgente e intensità misurata del campo elettromagnetico, con risultati tutt’altro che confortanti sotto il profilo dell’accuratezza dell’indicatore “distanza della residenza dai trasmettitori radiotelevisivi” quale misuradell’esposizione dei residenti alle RF. 

Sulla base di queste osservazioni, che meriterebbero di essere ulteriormente replicate, si può affermare che le analisi spaziali dei tassi di mortalità o d’incidenza di patologia basate esclusivamente sulla distanza da ripetitori radio-TV non sono indicative riguardo all’eventuale associazione tra i diversi eventi in studio e l’esposizione a RF generate dai trasmettitori, neppure in riferimento ai livelli di esposizione come medie o gradienti di gruppo. 

Conclusioni sugli effetti per frequenze tra 100 kHz e 300 GHz 

La revisione dei dati scientifici svolta dall’OMS (1996) nell’ambito del Progetto internazionale CEM ha concluso che, sulla base della letteratura attuale, non c’è alcuna evidenza convincente che l’esposizione a RF abbrevi la durata della vita umana, né che induca o favorisca il cancro. Comunque, la stessa revisione ha anche evidenziato che sono necessari ulteriori studi per delineare un quadro più completo dei rischi sanitari, specie per quanto concerne un possibile rischio di cancro connesso all’esposizione a bassi livelli di campi RF. 

Non esistono indicazioni che esposizioni multiple al di sotto dei livelli di soglia, previsti dalle normative, provochino effetti negativi per la salute né risulta accumulo di danni per effetto di esposizioni ripetute a bassi livelli di campo RF. 

Importanti ricerche sono in atto o in programma per il prossimo futuro. 

Sulla base di questi studi, l’OMS e la IARC effettueranno nel 2003 una valutazione degli effetti cancerogeni dei campi elettromagnetici a radiofrequenza, mentre per il 2004 è prevista la valutazione di eventuali altri effetti sulla salute. 

PREVENZIONE FRA PRECAUZIONE E RESPONSABILITA’ 

A questo punto ci si potrebbe trovare di fronte alla scelta fra un atteggiamento attivo di una prevenzione primaria fatta in assenza di certezze e un atteggiamento attendista passivo che ignora la prevenzione primaria prendendo a motivo le incertezze eziologiche.

E’ evidente che la prima scelta è in armonia con il principio di precauzione del quale molto si parla oggi. Il principio di precauzione risponde alla necessità ed urgenza di intervenire quando si è messi a confronto con un rischio potenzialmente serio in assenza dell’evidenza scientifica incontestabile di una relazione causa-effetto.

Un atteggiamento cautelativo e prudente può venir sbrigativamente interpretato come antitecnologico e antiscientifico.

In realtà chi porta avanti un atteggiamento di cautela non fa che riconoscere che il sapere predittivo rimane il più delle volte al di sotto del sapere tecnico-scientifico. Il riconoscimento della nostra ignoranza o, quanto meno, della nostra limitata conoscenza nel predire le conseguenze del nostro sapere, non può che divenire, come dice Hans Jonas, un dovere di sapere e costituire quindi una spinta alla ricerca e non certo un suo arresto.

Il principio di precauzione a questo livello potrebbe rappresentare il rifiuto di un destino ineluttabilmente determinato da ciò che l’uomo è ormai in grado di fare e che soprattutto sembra essere costretto a continuare a fare, dando priorità oltre che al come al perché facciamo certe cose, assumendocene quindi anche la responsabilità.

I problemi ambientali e di salute continuano a crescere più rapidamente della capacità della società di identificarli e di correggerli.

Adottare il principio di precauzione e quello di responsabilità significa anche accettare il dovere di informare e impedire l’occultamento di informazioni su possibili rischi per la salute ed evitare che si continui a considerare l’intera specie umana come un insieme di cavie sulle quali saggiare tutto quanto è capace di inventare il progresso tecnologico. “Tutta la nostra realtà è divenuta sperimentale … l’uomo moderno è votato alla sperimentazione di se stesso”.

Invece di accettare una società che sta divenendo sempre meno democratica, dato che le scelte sfuggono ormai completamente agli individui, basata su una crescita economica che deve essere continua e sempre più forte e che nessuna persona di buon senso può accettare come illimitata, ma che può condurci alla catastrofe, è possibile pensare a uno sviluppo che si attui sui principi di precauzione e di responsabilità, dando priorità alla qualità della vita e all’equità sociale e ponendo il mantenimento della salute al di sopra dell’interesse economico .


L'OMS nel fact-sheet n. 263 dell'ottobre 2001 consiglia le seguenti misure precauzionali:


Governi e industrie: Questi organismi dovrebbero essere al corrente dei più recenti sviluppi scientifici e fornire al pubblico informazioni corrette, chiare ed esaurienti sui potenziali rischi dei campi elettromagnetici, assieme a suggerimenti per misure di riduzione delle esposizioni a basso costo e senza controindicazioni. Dovrebbero anche promuovere ricerche che forniscano migliori informazioni in base alle quali definire i rischi sanitari.


Singoli individui: I membri del pubblico generale potrebbero scegliere di ridurre la propria esposizione ai campi elettromagnetici minimizzando l’uso di certi dispositivi elettrici ed aumentando la distanza da sorgenti che possono produrre campi relativamente elevati.


Consultazione tra autorità locali, industrie e pubblico nella localizzazione di nuove linee elettriche: La fornitura di energia ai consumatori richiede ovviamente l’installazione di elettrodotti. Spesso, si richiede che nel decidere la loro localizzazione si tengano in considerazione gli aspetti estetici e la sensibilità del pubblico. Comunque, in queste decisioni si dovrebbero anche considerare le soluzioni per ridurre l’esposizione della popolazione.


Un efficace sistema di informazione e comunicazione sui temi sanitari tra scienziati, governi, industrie e pubblico è necessario per poter raggiungere una generale consapevolezza dei programmi messi in atto per affrontare il problema delle esposizioni a campi ELF e per ridurre sfiducia e paure.


RIFERIMENTI E LINK


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IL TESTO DELL'ACCORDO ITALIA-CINA NEL DETTAGLIO. VIDEO



Governo Italiano 2019: Accordo Italia-Cina, il testo, Nuova Via della Seta, dichiarazioni Conte, Salvini, Di Maio



QUANDO LA POLITICA PRENDE DECISIONI "IMPROPRIE" SOPRA LE TESTE DEI CITTADINI IGNARI. L'ITALIA SI ERA GIA' CONSEGNATA ALLA CINA.....






(Agenzia VISTA) - Roma, 3 Maggio 2016 - Dopo il memorandum d’intesa sottoscritto a L’Aia il 24 Settembre u.s. tra il Ministero del’Interno e il corrispondente Dicastero della Pubblica Sicurezza della Repubblica Popolare Cinese, il Servizio di Cooperazione Internazionale di Polizia (SCIP) della Direzione Centrale della Polizia Criminale ha definito l’impiego congiunto di Agenti della Polizia di Stato e dell’Arma dei Carabinieri con operatori provenienti dalla Cina. I poliziotti cinesi, prima di sbarcare in Italia, hanno seguito un training formativo a Pechino tenuto da Ufficiali e Funzionari Italiani. I pattugliamenti congiunti inizieranno nelle città di Roma e Milano e si svolgeranno da oggi fino al 13 maggio, periodo di massima affluenza in Italia da parte di turisti cinesi, e saranno coordinati operativamente dalle rispettive Questure e dai Comandi Provinciali / Polizia.


LA CORSA DELLA CINA ALLO SPAZIO


I recenti sviluppi del programma spaziale cinese hanno contribuito al rafforzamento di Pechino nel contesto internazionale. Sebbene molti progetti portati a termine con successo abbiano inorgoglito il Paese, non sono mancate delusioni e battute d’arresto, dovute forse ad un eccessivo ottimismo nel mettere in pratica le ricerche effettuate

UN AMBIZIOSO PROGRAMMA SPAZIALE – Dal lancio del primo satellite Dong Fang Hong, nel 1970, i progressi registrati dall’Agenzia Nazionale Cinese per lo Spazio (CNSA) sono stati notevoli e alcuni davvero futuristici. Se all’inizio dell’avventura spaziale l’obiettivo di Pechino era prettamente militare e difensivo, soprattutto alla fine degli anni ’60, l’attenzione si è spostata successivamente verso le esplorazioni e le ricerche. Nel corso degli anni gli sforzi furono notevoli e tuttavia soltanto nel 2003, a seguito di diverse battute d’arresto, la Cina riuscì ad inviare un taikonauta (nome cinese degli astronauti) nello spazio, e lo fece con un veicolo spaziale ispirato alla navetta spaziale russa Soyuz, la Shenzhou 5. Le aspirazioni spaziali cinesi iniziarono a crescere e la volontà di affermarsi a livello internazionale portò Pechino a chiedere formalmente un ingresso nel programma della Stazione Spaziale Internazionale(ISS), subito negato dagli USA. Nonostante questo la Cina avviò i lavori per la costruzione di un proprio avamposto spaziale. Uno dei progetti di Pechino è oggi proiettato alla costruzione di una base orbitale entro il 2022 e alla preparazione dell’allunaggio di taikonauti entro il 2036. Nel frattempo l’esplorazione dello spazio sta avvenendo con il lancio di diverse navicelle, come la Shenzhou 11, lanciata con due astronauti nell’ottobre 2016, che ha agganciato la nuova stazione Tiangong 2, e la Tianzhou 1, cargo che raggiungerà la stessa base per il rifornimento di carburanti e beni primari. Attualmente la Cina, decisa ad allinearsi agli sviluppi tecnologici soprattutto statunitensi, sta investendo – secondo fonti ufficiali – circa 3 miliardi di dollari l’anno nel settore spaziale. Potremmo affermare che la strategia cinese del futuro si ispiri ai principi di Machiavelli: infatti Pechino, tramite le affermazioni di Tian Yulong, Segretario Generale della CNSA, ha espresso la volontà di collaborare con l’Agenzia Spaziale Europea(ESA) per la creazione di una base esplorativa sulla Luna. Dunque la Cina vorrà interpretare la parte della “volpe”, cercando strategicamente di raggiungere i propri obiettivi, e quella del “leone”, ribadendo con forza la propria volontà a diventare un Paese con un programma spaziale solido e altamente tecnologico. Un esempio di tale volontà è rappresentato dal progetto “Moon Village”, una struttura di cui ancora si discute e che per adesso non ha alcun cantiere, in quanto la realizzazione del Villaggio dovrebbe essere successiva alla chiusura della ISS, prevista ora intorno al 2024. Il “Moon Village”, presentato dunque come il sostituto della ISS, rappresenterà, qualora venisse realizzato, un avamposto per esplorazioni lunari e ricerche scientifiche. Con il lancio di diversi razzi saranno prima trasportate le componenti strutturali per l’installazione di una cupola gonfiabile, in cui saranno inserite tutte le attrezzature utili alle ricerche, e poi con successive missioni gli astronauti saranno trasportati sulla Luna.

Fig. 1 – La prima sonda spaziale cinese, la Chang’e 1, in attesa di essere lanciata dal cosmodromo di Xichang nell’ottobre 2007

INTRECCI DI INFORMAZIONI – Se le distanze terrestri sono colmate grazie alla estesa rete di collegamenti che Pechino sta costruendo oltre i propri confini nazionali, quelle spaziali sono diventate l’oggetto delle numerose ricerche condotte dagli scienziati cinesi. La possibilità di muovere informazioni nello spazio è per Pechino un importante obiettivo da raggiungere, soprattutto a seguito del lancio, avvenuto nell’agosto 2016, del satellite Micius. Il programma Quantum Experiments at Space Scale, lanciato nel 2012, di cui fa parte appunto Micius, è dedicato allo sviluppo di studi sulla comunicazione quantistica. Un gruppo di studiosi sta cercando di dimostrare come il fenomeno fisico dell’entanglement possa essere utilizzato per facilitare lo scambio di informazioni codificate. Infatti l’entanglement, riuscendo a legare due fotoni e a renderli blindati, permetterebbe di scoprire eventuali intercettazioni esterne. Nel momento in cui una comunicazione codificata subisse un attacco, il link tra i due fotoni verrebbe meno, mettendo in sicurezza le informazioni che si volevano trasmettere. L’utilizzo di questo fenomeno è però ostacolato dalla distanza fisica tra i due poli della comunicazione, in quanto il successo della trasmissione di informazione quantistica è inversamente proporzionale alla loro distanza. È questa la funzione di Micius: qualora le ricerche degli studiosi cinesi andassero a buon fine e dimostrassero la fattibilità del programma, il satellite dovrebbe servire da ripetitore. Dunque rendere la comunicazione meno complessa, agendo solo su un fotone, in quanto l’altro ne è conseguentemente modificato, potrebbe avere significativi risvolti per la creazione di un Internet quantistico. Oltre ai vantaggi puramente tecnici, questi studi, in attesa di conferma dalla comunità scientifica, potrebbero assumere un valore strategico per Internet, e quindi in ultimo per la difesa e la sicurezza di un Paese.


Fig. 2 – Un visitatore dell’ International Future Life Festival tenutasi lo scorso maggio nella città di Hangzhou. L’esibizione ha ospitato le più recenti tecnologie utili per la vita del futuro, tra cui quelle inerenti allo spazio

NUOVE RICERCHE – Tra i progetti di ricerca più importanti messi a punto dalla China Manned Space Agency, in collaborazione con l’ESA, c’è il programma di simulazione di un ammaraggio di emergenza in una capsula Shenzhou, il Sea Survival Training, a cui hanno partecipato, oltre agli astronauti cinesi Yu Guangfu e Chen Dong, anche l’italiana Samantha Cristoforetti e il tedesco Matthias Maurer. Dopo una sezione teorica, in cui sono state presentate le attrezzature e le procedure di emergenza, l’esercitazione pratica è avvenuta lo scorso agosto, nello Yantai, e si è svolta in mare. Atterrati in capsule galleggianti, gli astronauti hanno dovuto indossare la tuta di sopravvivenza e una volta usciti attivare il gommone e attendere i soccorsi. La ricerca spaziale cinese prevede anche la creazione di strumentazioni tecnologicamente molto avanzate, come i 4450 specchi iper sensibili di 500 metri di diametro che costituiscono il telescopio costruito, nella provincia di Guizhou, per captare variazioni di frequenze radio in arrivo dallo spazio. Il costo dell’operazione sarà di 667 milioni di yuan. Ha preso il via il 10 maggio l’esperimento che porterà quattro studenti nel Lunar Palace-1, una finta stazione spaziale sita a Pechino in cui rimarranno per oltre sei mesi. A novembre è previsto il lancio sulla Luna della Chang’e 5, una sonda che dovrà prelevare due chili di campioni di rocce e portarli sulla Terra. La missione, risultato delle sperimentazioni effettuate con la sonda sperimentale Chang’e 5-T1, atterrerà sull’area Mons Rümker, situata a nord-ovest della faccia visibile della Luna ed estremamente interessante da un punto di vista geologico. Dopo la Chang’e 5 sarà la volta del lancio della Cheng’e 4, precedentemente rinviato, e che atterrerà, invece, sulla faccia nascosta della Luna e che potrebbe trasportare un mini ecosistema, con semi di patate e larve di insetti, all’interno di un cilindro.

Fig. 3 – L’astronauta italiana Samantha Cristoforetti, il suo collega tedesco Matthias Maurer e alcuni astronauti cinesi hanno recentemente preso parte all’esercitazione Sea Survival Training, organizzata dall’Astronaut Center of China e avvenuta nello Yantai

INVESTIMENTI E TECNOLOGIE – La Cina lo scorso 2016 ha investito circa 6 miliardi di dollari nel programma spaziale, superando la Russia e posizionandosi dietro gli USA, il cui budget, nello stesso anno, sfiora i 40miliardi. Considerando le risorse messe a disposizione negli ultimi anni, in proporzione l’operatività di Pechino risulta essere quasi alla pari di quella statunitense, avendo effettuato, in particolare nel 2013, 14 lanci nello spazio contro i 19 degli USA. Il grande ottimismo che si percepisce in Cina per i risultati raggiunti non deve però ingannare: Pechino sta cercando di colmare un divario tecnologico, soprattutto con il programma statunitense, che è ancora molto ampio. Il Governo cinese sta investendo molto nel settore e sta cercando, consapevole delle lacune presenti nel proprio programma spaziale, di istruire i propri astronauti e tecnici soprattutto grazie a collaborazioni con l’ESA, come la missione Cluster per studiare il clima spaziale o la missione Smile (Solar Wind Magnetosphere Ionosphere Link Explorer). Quest’ultima sarà lanciata nel 2021 e indagherà principalmente i processi fisici alla base delle interazioni tra la magnetosfera e il vento solare e cercherà di fornire materiale grafico delle cuspidi polari e delle aree interessate dalle aurore. I tipici timori cinesi di rimanere emarginati nei confini nazionali hanno spinto Pechino a investire risorse e mettere in campo i migliori diplomatici per riuscire a infondere fiducia nei progetti cinesi di esplorazione dello spazio, per provare a diventare un nuovo punto di riferimento per la comunità spaziale internazionale. È sicuramente percepibile la necessità della Cina, seppure ben celata dietro l’obiettivo di ottenere informazioni scientifiche utili per l’umanità, di raccogliere dati e tecnologie per poter “governare” lo spazio e poter far leva, sul piano delle relazioni internazionali e della geopolitica, soprattutto nei confronti del Paese percepito come il principale rivale: gli Stati Uniti.

Isabel Pepe

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

L’entanglement è un fenomeno della meccanica quantistica, la branca della fisica che studia i fenomeni della materia a livello atomico e subatomico, che descrive il comportamento di due particelle. Tradotto con legame, intreccio, l’entanglement spiega appunto come due particelle che avevano avuto un’interazione o erano il risultato di uno stesso processo, se allontanate mantengano questo legame comportandosi allo stesso modo, nonostante la distanza che intercorre tra loro.[/box]

LA MOSCHEA DELLA STRAGE COVO DI JIHADISTI AL QAEDA




NEL CENTRO ISLAMICO DI CHRISTCHURCH
SI RADICALIZZARONO DUE AUSTRIALIANI
DIVENUTI FOREIGN FIGHTERS NELLO YEMEN
ED UCCISI NEL 2013 DA UN DRONE DEGLI USA.
OMBRE DI COSPIRAZIONI SUL MASSACRO





___di Fabio Giuseppe Carlo Carisio ___

Al Noor in arabo significa “la luce”. Ed è proprio nella moschea che reca questo nome di donna che un ragazzo neozelandese ed uno australiano, entrambi provenienti da buone famiglie occidentali, hanno avuto la loro illuminazione verso l’Islam radicale, verso la Jihad e l’affiliazione nella famigerata organizzazione terroristica Al Qaeda. Una scelta che in soli 4 anni li ha portati rapidamente nell’inferno dello Yemen prima e a scoprire se davvero esiste Allah dopo: per un missile sparato da un drone Usa contro un convoglio di terroristi islamici su cui stavano viaggiando. Onde evitare di fare un torto a quei musulmani che vivono la loro fede in modo pacifico, pur ispirandosi ad uno scritto propalatore anche di violenza come il Corano, va subito detto la moschea di Al Noor, dove è stata uccisa la maggior parte dei 50 islamici in preghiera nelle stragi di venerdì 15 marzo a Christchurch, in Nuova Zelanda, era un luogo in cui convivenano le due anime dell’Islam: quella che pensa a seguire la dottrina religiosa per una propria crescita morale e spirituale, quella che interpreta in modo letterale gli insegnamenti di quelle Sure estremiste di Maometto sulla guerra santa contro gli infedeli. Una prova di tutto ciò si può trovare nella famiglia australiana emigrata nell’altra isola oceanica dei Kiwi, il nomignolo della popolazione neozelandese, che ha vissuto direttamente le conseguenze di tali vicende: Daryl Jones è stato educato al Cristianesimo ma ha poi abbracciato il Corano che lo ha portato a diventare combattente qaedista, suo fratello minore Nathan ha vissuto la medesima conversione religiosa verso il Salafismo integralista ma ha spesso denunciato pubblicamente la violenza anche appendendo volantini nei templi islamici. Una differenza macroscopica che emerge chiara dalle testimonianze raccolte nel luglio 2014 da un quotidiano neozelandese, il Sunday Star Times, quando il Dna confermò che uno dei due ragazzi uccisi nella penisola araba era proprio Bin John, come si fece chiamare Daryl dagli amici dopo la radicalizzazione, prima di prendere il nome arabo da jihadista Abu Suhaib al Australi.


LOSCHE TRAME DI INTELLIGENCE DIETRO IL MASSACRO

Il ventotenne neozelandese Brenton Tarrant di professione personal trainer ma con grandissima esperienza nell’uso delle armi e molto sangue freddo tipico di un addestramento militare


Mentre le cronache di un tempo, rievocate dalla pagina Facebook “Il fronte degli Italiani”, confermano che proprio nel tempio islamico del massacro è iniziata la carriera di Foreign Terrorist Fighters per il ragazzo neozelandese Daryl Jonescome per l’autraliano Gordon Duf ed ucciso insieme a lui nel novembre 2013 nello Yemen, un reportage di ieri, domenica 17 marzo, pubblicato sul sito geopolitica internazionale e news di guerra Veterans Today e firmato dall’esperto di intelligence militare Gordon Duff, veterano dei Marines, svela molteplici dettagli anche sul capo del commando di attentatori Brenton Tarrant, girovago in Europa come in Medioriente, sospettato di essere passato in Israele come in un campo di addestramento Isis e così abile nell’uso delle armi da scegliersi un fucile semiautomatico modificato Ar15 American Rifle con munizioni difficilmente reperibili in Nuova Zelanda. Questi due clamorosi retroscena sulle stragi di Christchurch, la terza città neozelandese più importante che letteralmente significa Chiesa di Cristo, hanno certo tolto il sonno a molti analisti dell’intelligence nel tentativo di capire se, come ipotizzato da Gospa News nel precedente articolo, l’accaduto possa rientrare in una cospirazione per una strategia internazionale del terrore o in un occulto conflitto tra i miliziani qaedisti, braccio armato inventato dai Reali Sauditi, come sostenuto dalla deputata american Ilhan Omar (vedi sempre l’altro reportage), e gli altri rivali jihadisti dello Stato Islamico. I miliziani Isis, sebbene sconfitti, hanno ancora troppe correlazioni con i servizi segreti americani per non essere ritenuti in parte pilotati dagli stessi Usa che li hanno creati, finanziati, armati ed ora stanno gestendo le loro liberazioni per nasconderli con nuove identità in quell’immenso campo profughi di Al Rukban dove, secondo le prime indiscrezioni di VT, sarebbe transitato anche Tarrant. Sono questi gli ingredienti di una spy-story che approfondiremo in un prossimo articolo e che potrebbe arricchirsi di nuovi particolari se il principale imputato del massacro in Nuova Zelanda, il 5 aprile prossimo, deciderà di fare qualche confidenza ai giudici, prima che possa trovare compimento qualcuna delle minacce di morte a lui indirizzate in carcere. Con la scusa di una vendetta infatti, qualcuno potrebbe tappargli la bocca per sempre, come sovente avvenuto per gli assassini sospettati di essere sicari delle cospirazioni internazionali del “deep state” a stelle strisce, capace di eliminare non solo due presidenti degli Usa, Abramo Lincoln e Robert Fitzgerald Kennedy, ma anche i loro presunti killer.



Brenton Tarrant davanti ai giudici durante la convalida dell’arresto, fa un gesto da estremista EPA/Martin Hunter / POOL NEW ZEALAND OUT




LA CONVERSIONE DEI JONES A CHRISTCHURCH


Il reportage pubblicato lo scorso 27 luglio 2014 dal giornale neozelandese Sunday Star Times


«Nato in Australia il 14 settembre 1983, Daryl Anthony Jones e la sua famiglia si trasferirono in Nuova Zelanda, il paese natale di sua madre, quando aveva circa sei o sette anni. Coloro che conoscevano Jones usavano le stesse parole per descriverlo: tranquillo, timido, gentile, gentile, educato. “Anche Nathan sembrava un bravo ragazzo – ha detto una fonte – Penso che i due ragazzi sarebbero stati guidati abbastanza facilmente, penso che siano stati influenzati solo dalle persone sbagliate”». La storia dei due ragazzi educati nella fede a Gesù e diventati musulmani nella “Città di Cristo” proprio all’interno della moschea di Al Noor era stata passata ai raggi X dal quotidiano Sunday Star Times in un approfondito articolo d’inchiesta pubblicato il 27 luglio 2014 in cui si racconta che Daryl e Nathan hanno frequentato l’Aranui High School e sono stati impegnati in gruppi di giovani cristiani, ma sono rimasti disillusi e non si sono adattati. «Sentivano che ciò che veniva insegnato sull’amore e sulla tolleranza non veniva praticato: gli amici musulmani gli hanno offerto amicizia se si fosse convertito all’Islam – rimarcano i reporters citando varie fonti anonime – Quando i ragazzi Jones si convertirono all’Islam ciò causò molto scalpore a Christchurch. All’improvviso Daryl e suo fratello minore, cresciuti in una casa profondamente cristiana, sfoggiarono barbe, impararono l’arabo e indossarono vesti fluenti. Accompagnati da musulmani, tra cui donne immigrate con il velo, si presentavano a casa della famiglia in un sobborgo di East Christchurch, ma i vicini disapprovarono e mormorarono di terroristi. Tutto questo sconvolse i genitori dei ragazzi – il padre un ex poliziotto australiano che faceva la sicurezza per un’organizzazione governativa – la madre alle dipendenze di un’istituzione terziaria di Christchurch. I genitori volevano disperatamente che entrambi i ragazzi lasciassero l’Islam, avevano visto i loro figli cambiare radicalmente in apparenza». I coniugi Jones si rivolsero alla loro chiesa di New Life per chiedere aiuto sperando di convincere almeno Nathan a ripensare alla sua decisione: lui ascoltò educatamente la delegazione, ma rifiutò il consiglio. Ad avere la peggio furono i genitori che dopo questo tremendo trauma si separarono. Nel frattempo però le strade dei due fratelli si erano già divise. Come narra il giornale dell’isola oceanica Daryl cambiò il suo nome in Bin John (prima di adottare quello arabo) sposò una donna somala e nel 2009 si è diresse prima in Arabia Saudita e poi nello Yemen, casa ancestrale di Osama bin Laden e base di al-Qaeda nella penisola arabica (AQAP). «Ha detto alla sua famiglia che voleva insegnare l’inglese e aiutare le persone. Ma una fonte ha riferito che Jones sarebbe stato gettato in prigione nello Yemen perché non era un insegnante registrato, lasciando sua moglie e quattro figli abbandonati (furono poi i genitori ad accoglierli a Christchurch dopo la sua morte – ndr)». Non si sa se davvero abbia vissuto la prigionia, sovente luogo di estremizzazione, perché la famiglia si è chiusa a riccio nel suo silenzio inducendo a fare lo stesso i portavoce governativi cui era ben noto il ragazzo. Pare invece assodato che la radicalizzazione del giorvane Abu Suhaib al Australi fu un processo graduale. Prima avrebbe ascoltato discorsi sovversivi su internet da predicatori della Jihad come Anwar al-Awlaki, un cittadino americano colpito da un drone in Yemen nel 2011, e mescolato con i radicali a Sydney, dove lui si trasferì frequentando la moschea di Lakemba, nota come focolaio di radicalismo, e attirò l’attenzione delle autorità antiterrorismo a causa delle sue frequentazioni. Ma il principio della sua adesione all’estremismo fondamentalista sarebbe nata proprio nella moschea Al Noor come per l’altro ragazzo australiano morto insieme a lui nello Yemen.


LEZIONI RADICALI NELLA MOSCHEA DI AL NOOR


Daryl alias Bin John fu ucciso insieme all’australiano Christopher Havard divenuto Abu Salman al Australi «i cui genitori dissero di essere stato introdotto all’Islam radicale nella moschea Al-Noor di Christchurch – si legge ancora nel reportage di Sunday Star Times – I leader della moschea hanno confermato che Havard è rimasto lì e ha studiato nel 2011, ma ha negato che l’insegnamento radicale abbia avuto luogo. Ma un uomo che ha partecipato a un fine settimana per covertiti alla moschea 10 anni fa ha detto che un oratore in visita dall’Indonesia parlò del jihad violento e che molti condivisero le sue opinioni». “La maggior parte degli uomini erano arrabbiati con la debolezza morale della Nuova Zelanda, direi che erano radicali” ha riferito la stessa fonte ai giornalisti neozelandesi. Ed un immigrato egiziano della comunità di Christchurch ha spiegato la pericolosità dei convertiti occidentali perché sono i più vulnerabili in quanto oltre a sentirsi emarginati dalla loro società di origine diventano curiosi della loro nuova religione e vogliono scavare più a fondo. I reclutatori fanno un processo di lavaggio del cervello noto come CRA – conversione, radicalizzazione e attivazione. Una volta che la persona è radicalizzata, gli mostrano il suo ruolo, la sua responsabilità inducendo la persona a sentire di avere qualcosa da fare di importante e di essere qualcuno. Nel maggio 2012 i genitori Jones perdono il contatto con il figlio ormai girovago tra penisola araba e Yemen, dove i musulmani sunniti di Al Qaeda stanno combattendo accanto all’esercito del Regno dell’Arabia Saudita per reprimere la rivoluzione dei nemici scitti Huthy e la loro rivendicazione di autonomia regionale per l’area della capitale San’a. Sia lui che il suo compagno di sventura Harward erano nel frattempo erano stati inquadrati come radicali islamici dalla Polizia Federale Australiana (Afp) che li aveva messi sotto osservazione arrivando nel 2012 ad annullare i loro passaporti australiani. Abu Salman Al Australi fu anche oggetto da un mandato di arresto internazionale spiccato da Afp i per il rapimento di occidentali in Yemen nel dicembre 2012. A conferma dell’affiliazione del neozelandese Daryl nelle milizie qaediste lo Standard Sun Day riporta un’altra importante testimonianza: «La scorsa settimana il convertito islamico della Nuova Zelanda Mark Taylor, ora combattente in Siria, ha detto che l’australiano Jones ha cercato di reclutarlo ad al-Qaeda nello Yemen nel 2009. Taylor, noto anche come Muhammad Daniel, ha affermato che a un certo punto Jones, per prendere il visto per l’Arabia Saudita, era tornato in Australia dove era stato avvicinato da agenti dei servizi segreti britannici che speravano potesse lavorare per loro». Non si sa cosa sia capitato. Si sa solo che «Jones e Havard erano con altri cinque nel convoglio colpito da un missile sparato da un drone statunitense nella provincia di Hadramout in Yemen il 19 novembre 2013. Anche se le autorità credono che fossero “fanti” dell’AQAP, non erano il bersaglio principale dell’attacco. I riscontri del Dna sui loro miseri resti hanno confermato l’identità gettando nello sconforto la famiglia per la quale la presenza del figlio su quella colonna di miliziani rimane un mistero: «Il primo ministro John Key, responsabile del SIS (Security Intelligence Service), è rimasto a bocca tappata sul caso, inizialmente rifiutando di rilasciare il vero nome fino a quando non è stato riportato nei media australiani. Ha detto che il Government Communications Security Bureau (GCSB) non ha fornito informazioni che hanno portato direttamente alla morte di Jones, ma ha avuto un mandato per monitorarlo e ha trasmesso informazioni ai partner delle agenzie di sicurezza Five Eyes». Riporta ancora il giornale neozelandese nell’articolo di allora facendo riferimento all’alleanza internazionale di intelligence tra Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti d’America.

I MUSULMANI DI CHRISTCHURCH: “NON SIAMO VIOLENTI”

La Moschea Al Noor a Christchurch, in Nuova Zelanda: luogo del massacro ma anche della radicalizzazione di due Foreign Terorist Fighters


Già quando la notizia della morte del ragazzo cristiano ucciso da un drone in un convoglio di Al Qaeda nel 2014 rimbalzò a Christchurch i musulmani della moschea di Al Noor e della comunità locale vollero apertamente prendere le distanze dall’Islam radicale. Ma proprio Nathan Jones, fratello di Daryl, aveva fondato con altri amici neozelandesi convertiti un centro per promuovere il salafismo, una setta che segue l’Islam rigoroso come praticato ai tempi di Maometto. Si tratta della confessione nota in occidente e medioriente per essere quella cui si ispirano quasi tutti i jihadisti sunniti. Il luogo di culto di Nathan, che a differenza degli altri convertiti ha conservato il suo nome originario, potrebbe essere proprio quella moschea nel sobborgo di Linwood oggetto del secondo e meno grave attacco. Resta il fatto che Jones junior ed i suoi seguaci fin da allora denunciavano la violenza anche con l’affissione di volantini alla finestra in cui si ricordava che “i terroristi uccidono indiscriminatamente musulmani e non musulmani”. Nathan, sposato con una donna irachena, si rifiutò di commentare pubblicamente la morte del fratello e le sue convinzioni ma i suoi amici si confidarono coi giornalisti «L’Islam ortodosso non ci insegna a uccidere persone innocenti ea far saltare in aria treni e legare bombe a noi stessi – disse Abu Hamzah – [Daryl] stava seguendo un’ideologia estremista nei modi di [Osama] bin Laden e non siamo mai stati d’accordo con quell’ideologia. Sono stato su e giù per questo paese quasi per ogni singolo masjid [moschea]che c’è e quante persone ho con questa idea radicale? Due [Jones e Christopher Havard]. E dove sono adesso? morto, il fratello di Nathan … andò nello Yemen, era in qualche ideologia deviata, pensò che sarebbe andato in un gruppo e ucciso da un drone». L’islamico ricordò che Havard e Jones ascoltarono predicatori radicali come Anwar al-Awlaki e «furono “sopraffatti dalle emozioni” nell’assasinio di musulmani» facendo riferimento con ogni probabilità proprio agli sciiti yemeniti. «Proviamo dolore per i nostri fratelli musulmani e chiediamo al Signore onnipotente di cambiare la situazione, ma noi ci fondiamo su morale e conoscenza. Se ci basassimo sulle emozioni probabilmente saremmo anche noi lì». Nello Yemen: dove si consuma una delle tante carneficine fratricida tra islamici fomentata proprio dall’appello jihadista di Maometto che in questi giorni ha subito scatenato la reazione degli estremisti.



In fiamme per un incendio doloso domenica 17 marzo l’ingresso della Chiesa di Saint Suplice a Parigi

Domenica 17 marzo un sospetto incendio doloso alla Chiesa di Saint Sulpice ha danneggiato solo il portone d’ingresso perché subito domato dai vigili del fuoco. Nessuno lo ha rivendicato ma le minacce diffuse dai fondamentalisti sono state numerose. In un post del 15 marzo condiviso su Telegram gruppi affiliati ad Al Qaeda parlano del massacro in Nuova Zelanda come di “guerra dei Crociati” contro i musulmani e promettono di rispondere con il “linguaggio del sangue”. Sul canale Telegram filo Isis Al-Asyaf Al Baghdadi, l’appello è “a versare il sangue dei Crociati”, mentre altri siti citati dal Site incitano ad attaccare “le chiese” in segno di reciprocità.
Cercheremo di capire in un prossimo articolo quanto tutto ciò possa avere a che fare con l’intelligence nella cosiddetta strategia del terrore in virtù del passato di Daryl Jones come di quello di Brenton Tarrant. Troppo esperto di armi ed esecuzioni per essere un semplice fanatico impazzito come sostenuto proprio dal sito americano di geopolitica internazionale e reports militari Veterans Today.

Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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