giovedì 3 gennaio 2019

OGGI 3 GENNAIO SI FESTEGGIA IL SANTISSIMO NOME DI GESU'

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Santissimo Nome di Gesù

3 gennaio - Memoria Facoltativa

Il Santissimo Nome di Gesù fu sempre onorato e venerato nella Chiesa fin dai primi tempi, ma solo nel secolo XIV cominciò ad avere culto liturgico. San Bernardino, aiutato da altri confratelli, sopratutto dai beati Alberto da Sarteáno e Bernardino da Feltre, diffuse con tanto slancio e fervore tale devozione che finalmente venne istituita la festa liturgica. Nel 1530 Papa Clemente VII autorizzò l'Ordine francescano a recitare l'Ufficio del Santissimo Nome di Gesù. Giovanni Paolo II ha ripristinato al 3 gennaio la memoria facoltativa nel Calendario Romano.
Martirologio Romano: Santissimo Nome di Gesù, il solo in cui, nei cieli, sulla terra e sotto terra, si pieghi ogni ginocchio a gloria della maestà divina. 





Il significato e la proprietà del nome

Anzitutto i nomi hanno un loro significato intrinseco, come appare dai nomi teofori (evocatori della divinità) e da quelli di alcuni eroi, che sono il simbolo della missione adempiuta da costoro nella storia. 

In secondo luogo, il nome ha un contenuto dinamico; rappresenta e in qualche modo racchiude in sé una forza. Esso designa l’intima natura di un essere, poiché contiene una presenza attiva di quell’essere. 

Platone diceva che “Chiunque sa il nome, sa anche le cose”; conoscerlo vuol dire conoscere la ‘cosa’ in se stessa. Il nome “occupa” uno spazio, ha la “proprietà” della cosa e la spiega. 

Il nome di nascita indica in primo luogo, l’”essenza” di una persona, le sue prerogative, le qualità e i difetti; pronunciandolo si è come in presenza di colui che si nomina, si dà ad esso una precisa dimensione. 

Così come fra i ‘primitivi’ che cercavano di conoscere il nome al fine di esercitare un potere su una persona o su qualsiasi cosa vivente, il nome è ancora indispensabile nel praticare un incantesimo; infatti i cosiddetti ‘maghi’ vogliono conoscerlo, per inciderlo su amuleti e talismani, accanto a quello delle Entità Invisibili. 


Il nome nelle società antiche
Nell’antica Grecia i nomi provenivano da due categorie: 1) nomi di un dio o derivati da quello portato dalla divinità (Apollodoro, Apollonio, Eròdoto, Isidoro, Demetrio, Teodoro, ecc.); 2) nomi scelti come augurio per la futura vita del bambino, seguiti da quello della località di residenza o provenienza. 
I Romani imponevano ai neonati tre nomi: Il prenome scelto fra i diciotto più usati, che si abbreviava con la lettera iniziale, es. P = Publius (Publio), C = Caius (Caio), ecc. Il nome indicava la gens di appartenenza, es. Julius (della gens Julia). Il cognome indicante la famiglia, quando la gens d’origine si divideva in molte famiglie
Nei nomi di origine ebraica, particolarmente quelli maschili, si nota quasi sempre una invocazione a Dio, l’eterno creatore, dal quale il popolo ebraico trasse sempre forza nella sua travagliata esistenza. 

Il nome nella mentalità semitica
Per i semiti i nomi propri avevano un significato intrinseco; questo era indicato dalla loro stessa composizione, dalla etimologia od era evocato dalla pronuncia. 
Nel costume popolare, due usanze sembrano comunemente diffuse; in primo luogo l’imposizione di nomi teofori, con cui si voleva porre il bambino sotto la protezione della divinità, oppure si intendeva ringraziare e pregare la divinità per il lieto evento (es. Isaia = Iahvé salva; Giosuè = Iahvé è salvezza, ecc.). 
In secondo luogo, l’attribuzione di nomi che esprimono qualche circostanza o particolarità della nascita dei bambini, es. (Gen. 35, 16-18) “… Rachele, sul punto in cui le sfuggiva l’anima, perché stava morendo a causa del penoso parto, chiamò il figlio appena nato, col nome di Ben-Oni (figlio del mio dolore)…”. 
Così pure, per gli ebrei c’era la tendenza a fare del nome, il simbolo del significato religioso o politico degli eroi nazionali e religiosi; così interpretato, il nome era in un rapporto molto più significativo con la persona che caratterizzava; Eva è “la madre di tutti i viventi”, Abramo è “il padre di una moltitudine”, Giacobbe è “colui che soppianta”, ecc. 
Nella concezione semitica, il nome ha anche un aspetto dinamico, che corrisponde alla forza, alla potenza che il nome rappresenta e in qualche modo include; dove c’è il nome c’è la persona, con la sua forza, pronta a manifestarsi. 
Conoscere qualcuno per nome, vuol dire conoscerlo fino in fondo e poter disporre della sua potenza. Questo concetto svolge un ruolo importante applicato agli esseri superiori, che non sono conoscibili normalmente da parte dell’uomo; la sola conoscenza che si può avere di essi è quella del loro nome. 
Il nome del dio nasconde la sua presenza misteriosa e rappresenta il mezzo più accessibile di comunicazione tra l’uomo e lui. Quindi nella sfera del ‘mistero’ sia esso magico che religioso, chi conosce il nome del dio e lo pronunzia, ha la forza di farsi ascoltare da lui e di farlo intervenire a suo favore. 
Infine nella Tradizione semitica c’è inoltre il concetto, che chi impone a qualcuno il nome che deve portare o gli cambia il nome che possiede, esprime il potere assoluto, la sovranità, che detiene su quello (Ge. 2), così come Adamo impose i nomi a tutto il bestiame di cui poteva usufruire. 
Anche il Dio degli Ebrei esprime il suo dominio assoluto, imponendo e mutando i nomi di Abram in Abraham e Sarai in Sara (Ge. 17, 5-15) e di Giacobbe in Israel (Ge. 32, 29), acquistando così tali nomi nuovi significati. 

Il nome di Dio nella Bibbia
L’esigenza di sapere il nome della divinità in cui si crede, è stato sempre intrinseco nell’animo umano, perché il nome stesso è garanzia della sua esistenza; a tal proposito si riporta un passo dell’opera di Francesco Albergamo “Mito e Magia” che scrive: “Una bambina di nove anni chiede al padre se Dio esiste; il padre risponde che non ne è troppo sicuro, al che la piccola osserva: Bisogna pure che esista, dal momento che ha un nome”. 
Quindi quando Mosè (Es. 3) viene chiamato da Dio alla sua missione fra il popolo ebraico, logicamente gli chiede il suo Nome da poter comunicare al popolo, che senz’altro gli chiederà “Chi ti ha riconosciuto principe su di noi?”. E il Dio di Israele, conosciuto inizialmente come il “Dio degli antenati”, il “Dio di Abramo di Isacco di Giacobbe”, oppure con espressioni particolari: “El Shaddai”, “Terrore di Isacco”, “Forte di Giacobbe”, rivela il suo nome “Iahvé”, che significa “Egli è”; e questo Nome entrò così a far parte della vita religiosa degli israeliti, e mediante gli interventi sovrani nella storia, il nome di Iahvé divenne famoso e noto. 
I profeti ed i sommi sacerdoti, lungo tutta la storia d’Israele, posero al centro della liturgia il nome di Iahvé, con la professione di fede del profeta, l’invocazione solenne di Dio, la fede e la glorificazione di tutto il popolo (Commemorazione, invocazione, glorificazione del suo Nome). 
Nel tardo giudaismo però, per il bisogno di sottolineare la trascendenza divina, il nome di Iahvé non è stato più pronunciato e Dio è stato designato col termine Nome e con altri appellativi, come Padre a sottolineare lo speciale rapporto che lega Dio e il suo popolo. 

Il nome del Padre
Ma solo nel Nuovo Testamento, sulla bocca di Gesù e dei credenti, il nome di Padre attribuito a Dio, assume il suo vero significato.
Solo Gesù, infatti conosce il Padre e può efficacemente rivelarlo (Mt.11, 27-28). Gesù si è riferito spesso a Dio chiamandolo Padre, nel Vangelo di s. Giovanni, Padre viene usato addirittura come sinonimo di Dio e secondo l’evangelista questa è la sua vera definizione, questo è il nome che esprime più profondamente l’essere divino. Tale nome è stato manifestato agli uomini da Gesù, ed essi ora sanno che, se credono, sono figli insieme a lui. 
Inoltre Gesù ha anche insegnato a pregare Dio con questo titolo “Padre nostro…” e questa è diventata la preghiera per eccellenza della comunità cristiana. 
Gesù aveva chiesto al Padre di glorificare il suo nome (Giov. 12, 28) e aveva invitato i discepoli a pregare così: “Sia santificato il tuo nome”; Dio ha risposto a queste preghiere, manifestando la potenza del suo nome e glorificando il proprio figlio. 
Ai credenti è affidato il compito di prolungare questa azione di glorificazione; essi lodano, testimoniano il nome di Dio e devono comportarsi in modo che il nome divino non riceva biasimo e bestemmie (Rom. 2, 24)

Il nome del Signore Gesù
Il Messia ha portato durante la sua vita terrena il nome di Gesù, nome che gli fu imposto da san Giuseppe dopo che l’angelo di Dio in sogno gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché ciò che in lei è stato concepito è opera dello Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt.1, 21-25)
Quindi il significato del nome Gesù è quello di salvatore; gli evangelisti, gli Atti degli Apostoli, le lettere apostoliche, citano moltissimo il significato e la potenza del Nome di Gesù, fermandosi spesso al solo termine di “Nome” come nell’Antico Testamento si indicava Dio. 
Nel corso della vita pubblica di Gesù, i suoi discepoli, appellandosi al suo nome, guariscono i malati, cacciano i demoni e compiono ogni sorta di prodigi: 
Luca, 10, 17, “E i settantadue tornarono pieni di gioia dicendo: Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome”; Matteo 7, 22, “… Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti prodigi nel tuo nome?”. 
Atti 4, 12, “…Non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale possiamo avere la salvezza”. 
Risuscitando Gesù e facendolo sedere alla sua destra, Dio “gli ha donato il nome che è sopra di ogni nome” (Ef. 1, 20-21); si tratta di un “nome nuovo” (Ap. 3, 12) che è costantemente unito a quello di Dio. 
Questo nome trova la sua espressione nell’appellativo di Signore, che conviene a Gesù risorto, come allo stesso Dio Padre (Fil. 2, 10-11). Infatti i cristiani non hanno avuto difficoltà ad attribuire a Gesù, gli appellativi più caratteristici che nel giudaismo erano attribuiti a Dio. 
Atti 5, 41: “Ma essi (gli apostoli) se ne partirono dalla presenza del Sinedrio, lieti di essere stati condannati all’oltraggio a motivo del Nome”. 
La fede cristiana consiste nel professare con la bocca e credere nel cuore “che Gesù è il Signore, e che Dio lo ha ridestato dai morti” e nell’invocare il nome del Signore per conseguire la salvezza (Rom. 10, 9-13). 
I primi cristiani, appunto, sono coloro che riconoscono Gesù come Signore e si designano come coloro che invocano il suo nome, esso avrà sempre un ruolo preminente nella loro vita: nel nome di Gesù i cristiani si riuniranno, accoglieranno chiunque si presenti nel suo nome, renderanno grazie a Dio in quel nome, si comporteranno in modo che tale nome sia glorificato, saranno disposti anche a soffrire per il nome del Signore. 
L’espressione somma della presenza del Nome del Signore e dell’intera SS. Trinità nella vita cristiana, si ha nel segno della croce, che introduce ogni preghiera, devozione, celebrazione; e conclude le benedizioni e l’amministrazione dei sacramenti: “Nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. 
Il culto liturgico del Nome di Gesù
Il SS. Nome di Gesù, fu sempre onorato e venerato nella Chiesa fin dai primi tempi, ma solo nel XIV secolo cominciò ad avere culto liturgico. 
Grande predicatore e propagatore del culto al Nome di Gesù, fu il francescano san Bernardino da Siena (1380-1444) e continuato da altri confratelli, soprattutto dai beati Alberto da Sarteano (1385-1450) e Bernardino da Feltre (1439-1494). 
Nel 1530, papa Clemente VII autorizzò l’Ordine Francescano a recitare l’Ufficio del Santissimo Nome di Gesù; e la celebrazione ormai presente in varie località, fu estesa a tutta la Chiesa da papa Innocenzo XIII nel 1721. 
Il giorno di celebrazione variò tra le prime domeniche di gennaio, per attestarsi al 2 gennaio fino agli anni Settanta del Novecento, quando fu soppressa. 
Papa Giovanni Paolo II ha ripristinato al 3 gennaio la memoria facoltativa nel Calendario Romano. 

Il trigramma di san Bernardino da Siena
Affinché la sua predicazione non fosse dimenticata facilmente, Bernardino con profondo intuito psicologico inventò un simbolo dai colori vivaci che veniva posto in tutti i locali pubblici e privati, sostituendo blasoni e stemmi delle varie Famiglie e Corporazioni spesso in lotta fra loro. 
Il trigramma del nome di Gesù, divenne un emblema celebre e diffuso in ogni luogo, sulla facciata del Palazzo Pubblico di Siena campeggia enorme e solenne, opera dell’orafo senese Tuccio di Sano e di suo figlio Pietro, ma lo si ritrova in ogni posto dove Bernardino e i suoi discepoli abbiano predicato o soggiornato. 
Qualche volta il trigramma figurava sugli stendardi che precedevano Bernardino, quando arrivava in una nuova città a predicare e sulle tavolette di legno che il santo francescano poggiava sull’altare, dove celebrava la Messa prima dell’attesa omelia, e con la tavoletta al termine benediceva i fedeli. 
Il trigramma fu disegnato da Bernardino stesso, per questo è considerato patrono dei pubblicitari; il simbolo consiste in un sole raggiante in campo azzurro, sopra vi sono le lettere IHS che sono le prime tre del nome Gesù in greco ΙΗΣΟΥΣ (Iesûs), ma si sono date anche altre spiegazioni, come l’abbreviazione di “In Hoc Signo (vinces)” il motto costantiniano, oppure di “Iesus Hominum Salvator”. 
Ad ogni elemento del simbolo, Bernardino applicò un significato, il sole centrale è chiara allusione a Cristo che dà la vita come fa il sole, e suggerisce l’idea dell’irradiarsi della Carità. 
Il calore del sole è diffuso dai raggi, ed ecco allora i dodici raggi serpeggianti come i dodici Apostoli e poi da otto raggi diretti che rappresentano le beatitudini, la fascia che circonda il sole rappresenta la felicità dei beati che non ha termine, il celeste dello sfondo è simbolo della fede, l’oro dell’amore. 
Bernardino allungò anche l’asta sinistra dell’H, tagliandola in alto per farne una croce, in alcuni casi la croce è poggiata sulla linea mediana dell’H. 
Il significato mistico dei raggi serpeggianti era espresso in una litania; 1° rifugio dei penitenti; 2° vessillo dei combattenti; 3° rimedio degli infermi; 4° conforto dei sofferenti; 5° onore dei credenti; 6° gioia dei predicanti; 7° merito degli operanti; 8° aiuto dei deficienti; 9° sospiro dei meditanti; 10° suffragio degli oranti; 11° gusto dei contemplanti; 12° gloria dei trionfanti. 
Tutto il simbolo è circondato da una cerchia esterna con le parole in latino tratte dalla Lettera ai Filippesi di san Paolo: “Nel Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, sia degli esseri celesti, che dei terrestri e degli inferi”.Il trigramma bernardiniano ebbe un gran successo, diffondendosi in tutta Europa, anche s. Giovanna d’Arco volle ricamarlo sul suo stendardo e più tardi fu adottato anche dai Gesuiti. 
Diceva s. Bernardino: “Questa è mia intenzione, di rinnovare e chiarificare il nome di Gesù, come fu nella primitiva Chiesa”, spiegando che, mentre la croce evocava la Passione di Cristo, il suo Nome rammentava ogni aspetto della sua vita, la povertà del presepio, la modesta bottega di falegname, la penitenza nel deserto, i miracoli della carità divina, la sofferenza sul Calvario, il trionfo della Resurrezione e dell’Ascensione. 
In effetti Bernardino ribadiva la devozione già presente in san Paolo e durante il Medioevo in alcuni Dottori della Chiesa e in s. Francesco d’Assisi, inoltre tale devozione era praticata in tutto il Senese, pochi decenni prima dai Gesuati, congregazione religiosa fondata nel 1360 dal senese beato Giovanni Colombini, dedita all’assistenza degli infermi e così detti per il loro ripetere frequente del nome di Gesù.

La Compagnia di Gesù, prese poi queste tre lettere come suo emblema e diventò sostenitrice del culto e della dottrina, dedicando al Ss. Nome di Gesù le sue più belle e grandi chiese, edificate in tutto il mondo. 
Fra tutte si ricorda, la “Chiesa del Gesù” a Roma, la maggiore e più insigne chiesa dei Gesuiti; vi è nella volta il “Trionfo del Nome di Gesù”, affresco del 1679, opera del genovese Giovanni Battista Gaulli detto ‘il Baciccia’; dove centinaia di figure si muovono in uno spazio chiaro con veloce impeto, attratte dal centrale Nome di Gesù.



Autore: Antonio Borrelli



PREGHIERE E DEVOZIONI DEL GIORNO



DEVOZIONI DEL GIORNO



 Mese di Gennaio dedicato a GESU' BAMBINO

  SANTO ROSARIO  da recitare on-line 


  VANGELI 




LITURGIA DEL GIORNO
- Rito Romano -
  




 PRIMA LETTURA 

1Gv 2,29-3,6
Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo

Figlioli, se sapete che Dio è giusto, sappiate anche che chiunque opera la giustizia, è stato generato da lui.
Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui.
Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è.
Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro. Chiunque commette il peccato, commette anche l’iniquità, perché il peccato è l’iniquità. Voi sapete che egli si manifestò per togliere i peccati e che in lui non vi è peccato. Chiunque rimane in lui non pecca; chiunque pecca non l’ha visto né l’ha conosciuto.


  SALMO  

Sal 97
Tutta la terra ha veduto la salvezza del Signore.

Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo.

Tutti i confini della terra hanno veduto
la vittoria del nostro Dio.
Acclami il Signore tutta la terra,
gridate, esultate, cantate inni!

Cantate inni al Signore con la cetra,
con la cetra e al suono di strumenti a corde;
con le trombe e al suono del corno
acclamate davanti al re, il Signore.


 VANGELO 

Gv 1,29-34
Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele».
Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».

Dove nasce la persecuzione della Chiesa

SCONCERTANTE... Il gesuita padre Malachi Martin, don Amorth e il Terzo Segreto: "Satana è in Vaticano!!!"


UN LIBRO SCONCERTANTE...


Si tratta del volume di padre Malachi Martin dal titolo “Hostage to the Devil”, pubblicato originariamente nel 1976 e poi di nuovo nel 1992.

Perché questo libro è sconcertante? Molto semplicemente perché la prefazione alla sua seconda edizione sembra scritta oggi, proprio a ridosso di questi ultimi mesi di scandali pedofili nel clero cattolico, d’annata o più recenti.

Padre Martinun gesuita già stretto collaboratore del cardinal Augustin Bea sotto il papato di Giovanni XXIIIaffronta nel suo libro cinque casi esemplari di possessione diabolica, chiarendo la reale esistenza del Maligno e consigliando come evitarne la penetrazione nelle nostre vite. Nella prefazione alla seconda edizione del volume metteva in evidenza la crescita del fenomeno del satanismo, la sua capillare diffusione, la sua penetrazione nella società e l’esposizione sempre più indifesa dei bambini al fenomeno satanista in tutte le sue espressioni. In particolare mi ha colpito questa frase: “In almeno tre grandi città degli USA membri del clero hanno a loro disposizione almeno un coven (luogo di ritrovo per il rituale satanico) pedofiliaco, popolato e mantenuto esclusivamente da membri del clero”.

L’attenzione posta da Martin sul fenomeno della pedofilia nel clero cattolico è evidentemente inusuale per quegli anni (1992), dunque non può che meravigliare. Ed è estremamente interessante scoprire che padre Martin riteneva che i bambini di sesso maschile fossero preferiti dai satanisti in quanto sostituti di Gesù bambino, nel tipico rovesciamento diabolico.

E', a questo punto, importante far riferimento anche ad un altro libro di padre Martin. Si tratta del romanzo del 1996 dal titolo “Windswept house” (La casa spazzata dal vento). Inutile cercarlo in italiano, non lo troverete! Il libro non è mai stato tradotto, infatti, e probabilmente non è un caso.

Il romanzo è ambientato in Vaticano durante gli anni novanta e parla in maniera piuttosto esplicita di vicende legate al pontificato di Giovanni Paolo II. Ciò che è però più interessante è una delle sue tre brevi premesse storiche indicata dall’anno 1963.

Cosa accadde in quell’anno? Secondo il romanzo il 29 giugno del 1963 in Vaticano e per la precisione nella Cappella Paolina fu officiato un rito satanico cui parteciparono alti prelati, vescovi, clero semplice e laici.Stando a Martin si trattava di adempiere ad una profezia del satanismo moderno che annunciava l’avvio dell’era di Satana nel momento in cui un papa avesse assunto il nome di PaoloL’ultimo papa Paolo fu Camillo Borghese, morto nel 1621. Il 21 giugno 1963 fu eletto papa il cardinal Montini che assunse il nome di Paolo VI. Martin quindi racconta che la notte fra il 28 e il 29 giugno del ’63, ad una settimana dall’elezione di Paolo VI, fu organizzato questo rituale satanico in Vaticano, con lo scopo di intronizzare Satana nel cuore della cristianità.

I satanisti non potevano però organizzare un rituale completo: come avrebbero potuto portare la vittima e l’animale sacrificale nel Palazzo Apostolico? Decisero pertanto di combinare due riti da officiare contemporaneamente. Uno incruento in Vaticano, nella Cappella Paolina ed un altro, cruento, da officiare negli USA. I riti sarebbero avvenuti contemporaneamente e li si sarebbe sincronizzati attraverso un telefono. Chi officiò in Vaticano? Martin non lo dice. Parla solo di Prelati, sacerdoti e laici. Quanto al rito parallelo è più chiaro e racconta che avvenne in una chiesa parrocchiale del South Carolina e ad officiarlo fu un tal “Bishop Leo”.

Un nome così non dev’essere casuale. Ed infatti nell’unica diocesi del South Carolina troviamo nel 1964 il vescovo Ernst Leo Unterkoefler. Questi nel 1963 era già vescovo titolare di Latopolis e partecipava attivamente al Concilio Vaticano II. Ecco dunque perché un vescovo di uno stato periferico degli USA poteva avere così stretti legami in Vaticano, sì da offrirsi per l’organizzazione di un simile abominevole rituale. Ma proseguiamo con la narrazione del romanzo. Il rituale verrà compiuto in South Carolina attraverso la violenza sessuale ai danni di una bambina, prima narcotizzata e poi abusata. In Cappella Paolina verrà invece officiato il rituale principale incruento, concluso dalla lettura di una sorta di “consacrazione” a Satana del Vaticano.

Fin qui si potrebbe dire che sono tutte fandonie, fantasie, orripilanti creazioni di un sacerdote amante della narrativa estrema. E invece ci si dovrebbe chiedere perché Benedetto XVI nel giugno scorso ha riconsacrato la Cappella Paolina e perché l’ha voluta restaurare cancellando il vecchio altare posticcio fatto collocare da Paolo VI nel 1975 e ripristinando quello antico, anche se leggermente staccato dalla parete. E ci si potrebbe anche domandare perché padre Amorth abbia ancora recentemente ribadito che in Vaticano ci sono dei satanisti [1]. Ancora, questa storia potrebbe spiegare benissimo il famoso “fumo di Satana” di cui parlò Paolo VI, probabilmente allorquando venne a sapere, anni dopo, della vicenda.

Ad ogni modo ci terrei ad aggiungere che padre Martin fu tra i pochi che ebbero il privilegio di conoscere il terzo segreto di Fatima, precisamente da uno di coloro che lo lessero nel 1959, il cardinal Bea di cui era segretario. E sempre Martin più avanti nel suo romanzo “Windspwept house” raccontava, certo, nella finzione del romanzo, quanto segue: “Improvvisamente divenne indiscutibile che ora durante questo papato, l’organizzazione della Chiesa Cattolica Romana portava dentro di sè una permanente presenza di chierici che praticavano il culto di Satana e lo apprezzavano; di vescovi e preti che si sodomizzavano a vicenda e sodomizzavano bambini; di suore che praticavano i “riti neri” della wicca e che vivevano in relazioni lesbiche … Ogni giorno, inclusa la domenica e i giorni santi, atti di eresia e blasfemia erano commessi e permessi ai sacri altari da uomini che un tempo erano chiamati preti. Atti e riti sacrileghi non solo erano effettuati dinanzi i sacri altari, ma avevano la connivenza o almeno il tacito permesso di alcuni cardinali, arcivescovi e vescovi … Il loro numero totale era minoritario – qualcosa come dall’uno al dieci percento dei consacrati. Ma di questa minoranza, molti occupavano sorprendentemente alte posizioni o ranghi … I fatti che conducevano il papa ad un nuovo livello di sofferenza erano principalmente due: i sistematici legami organizzativi – la rete, in altre parole – che era stata stabilita fra alcuni gruppi di chierici omosessuali e covens satanisti. E la disordinata potenza ed influenza di questa rete” (pp.492-493).

Sappiamo tutti che spesso si sceglie la strada della narrativa per raccontare vicende che sarebbe meglio non rivelare e alle quali difficilmente si riuscirebbe a credere. Pure, qualcuno mi deve spiegare come fosse possibile che padre Martin avesse dinanzi a sè un chiarissimo quadro della situazione della Chiesa Cattolica e di una parte della sua gerarchia in un’epoca nella quale non si gridava ancora allo scandalo pedofilo, quando nessuno ne parlava e nessuno prendeva provvedimenti. Ma soprattutto perché padre Martin collegava a Satana e al suo culto la devianza morale di una parte della Chiesa?

Molto probabilmente Martin avrebbe condiviso le parole del Santo Padre riguardo alla vera natura del terzo segreto: “oggi lo vediamo in modo realmente terrificante che la più grande persecuzione alla chiesa non viene dai nemici di fuori, ma nasce dal peccato nella chiesa. E che la chiesa ha quindi un profondo bisogno di rimparare la penitenza, accettare la purificazione, imparare il perdono ma anche la necessità della giustizia.”

Sebbene siano molte le resistenze che il Santo Padre ha subito e molte le omertà anche del mondo dell’informazione che sembra preferire – e forse a ragione – la vulgata del Cardinal Bertone all’evidenza sia dei fatti che delle parole del papa, credo sia ormai difficilmente discutibile che il terzo segreto parli proprio di questa connessione fra satanismo ed una parte minoritaria del clero cattolico dedito ad atti abominevoli. Chi lo conosceva, come padre Martinha cercato per tutta la sua vita di lanciare segnali, di indicare l’elemento sconvolgente e raccapricciante dal quale nasce la persecuzione della Chiesa. E’ rimasto inascoltato ed è morto nel 1999, prima che scoppiasse negli Stati Uniti lo scandalo pedofilo in tutto il suo orrore. Padre Martin celebrò per tutta la sua vita la messa secondo il rito antico. Oggi non possiamo non considerarlo una sorta di profeta, uno scrittore ed un sacerdote, un esorcista infine, che già da tempo proclamava la necessità di una purificazione della Chiesa senza demonizzare il Vaticano II e senza esaltarlo per trasformare la Chiesa Cattolica in una succursale del protestantesimo.

L’equilibrio e la lungimiranza di padre Martin stavano forse nella sua capacità di osservare e raccontare fatti. E quei fatti oggi ci riconducono alla domanda ancora senza risposta: perché non è stato rivelato per intero il terzo segreto di Fatima?

Di Francesco Colafemmina

NOTE

[1] Anche padre Gabriele Amorthesorcista ufficiale della Diocesi di Roma, è al corrente dell’esistenza di sette sataniche, tra il clero, a Roma. In un estratto delle sue “Memorie” si legge: “Satanisti in Vaticano? Sì,anche in Vaticano ci sono membri di sette sataniche. E chi vi è coinvolto? Si tratta di preti o di semplici laici? Ci sono preti, monsignori e anche cardinali! Mi perdoni, don Gabriele, ma lei come lo sa? Lo so dalle persone che me l’hanno potuto riferire perché hanno avuto modo di saperlo direttamente. Ed è una cosa “confessata” più volte dal Demonio stesso sotto obbedienza, durante gli esorcismi. Il papa ne è informato? Certo che ne è stato informato! Ma fa quello che può. È una cosa agghiacciante. Tenga presente poi che Benedetto XVI è un papa tedesco, viene da una nazione decisamente avversa a queste cose. In Germania, infatti, praticamente non ci sono esorcisti, eppure il papa ci crede: ho avuto occasione di parlare con lui tre volte, quando ancora era Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Altroché se ci crede! Allora è vero quello che diceva Paolo VI: che il “fumo di Satana” è entrato nella Chiesa? È vero, purtroppo, perché anche nella Chiesa ci sono adepti alle sette sataniche. Questo particolare del “fumo di Satana” lo riferì Paolo VI il 29 giugno 1972. Certo, ha rotto il ghiaccio, sollevando un velo di silenzio e censura che durava da troppo tempo, però non ha avuto conseguenze pratiche. Ci voleva uno come me, che non valeva niente, per spargere l’allarme, per ottenere conseguenze pratiche.

Fonte:


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Segnalo anche questo articolo molto interessante in cui si parla più nello specifico della relazione che intercorre tra il prelato gesuita e il Terzo Segreto di Fatima:


Traggo da qui alcune lapidarie affermazioni di padre Martin sull'importantissimo Documento:

« Il castigo che sta per sopraggiungere, di potenza "esponenziale", sarà il peggiore dei vostri incubi »

« L'Apostasia nella Chiesa costituisce il substrato su cui poggia il Terzo Segreto ed è già cominciata! I castighi preannunciati in esso sono di natura fisica, perciò ben reali e terribili! »

[Circa scambio che aveva avuto con il cardinal Bea, dopo che quest'ultimo si era incontrato con papa Giovanni XXIII per discutere sui contenuti del Terzo Segreto]: « Il Cardinale Bea uscì da quell'incontro pallido in volto. “Che cosa c'è, Eminenza”, gli chiesi. E lui mi rispose: “Abbiamo appena ucciso un miliardo di persone... Guarda qui”. Mi dette un foglio di carta contenente uno scritto su 26 righe, che lessi in pochi istanti. Sin da quel momento, ogni singola parola di quel testo rimase scolpita nella mia mente per sempre, e non potrò mai più dimenticarla. Il Cardinale Bea aveva parlato della morte di un miliardo di persone, e questo perché papa Giovanni aveva appena deciso di non pubblicare il Terzo Segreto e di non consacrare la Russia ».

« Se il Vaticano rendesse pubblico il Terzo Segreto, sarebbe un tale shock per le genti che le chiese si riempirebbero immediatamente di fedeli in ginocchio e i confessionali di tutti i santuari, cattedrali e basiliche collasserebbero per l'eccessiva affluenza sino al sabato sera! ».

Tempi di Maria 



Segreto di Fatima



Le precise domande cui Roma non risponde

28 dicembre 2018, Santi Innocenti martiri


Pubblichiamo il testo della lettera inviata il 26 settembre 2018 (ed inoltrato nuovamente l’8 dicembre scorso) con la quale abbiamo rivolto alcune domande di chiarimenti specifici alla Rev.ma Congregazione per la Dottrina della Fede senza ricevere alcuna…smentita. 

Invitiamo ciascun lettore ad inviare anch’egli, cooperando ad avere risposta esplicita, il presente testo al seguente indirizzo:


Rev.ma Congregazione per la Dottrina della Fede
Palazzo del Sant’Uffizio
00120 - Città del Vaticano



Chiediamo a codesta Rev.ma Suprema Congregazione:

    • Se Suor Lucia Dos Santos, veggente di Fatima, abbia mai redatto uno scritto collegato al Terzo Segreto ed esplicativo della visione, uno scritto che ne abbia ad oggetto il significato ovvero l’interpretazione. 
      • Se il testo del Terzo Segreto di Fatima è stato scritto soltanto una volta oppure, in qualche modo, più volte.
        • Quali siano le «alcune aggiunte fatte nel 1951» - secondo l’asserto del Cardinale Angelo Amato, già Segretario di codesta Congregazione, a un Convegno e su l’Osservatore Romano del 7 maggio 2015 - da Suor Lucia alle «prime due parti» del Segreto.



          In filiale fiducia che non si opponga il muro del silenzio a quesiti posti all’Autorità ecclesiastica, ringraziamo per la cortese attenzione assicurando fervide preghiere.


          Don Stefano Carusi
              Abbé Louis-Numa Julien
              Abbé Jean-Pierre Gaillard
              kl. Lukasz Zaruski



          Pubblicato da Disputationes Theologicae 



          Ma non lo vedete, come vi siete ridotti? NON PIU' CATTOLICI MA IDOLATRI

          A QUESTO OTTIMO ARTICOLO DEL PROF. LAMENDOLA DEDICO UNA FRASE DELLA SACRA SCRITTURA CHE MI PARE APPROPRIATA, E DELLA QUALE TUTTI CERCHIAMO DI FARE TESORO:  

          Non abbandonate dunque la vostra franchezza, alla quale è riservata una grande ricompensa (Ebrei 10,35). 



          Cristo addio, non più cattolici, ma idolatri. La dittatura e papolatria bergogliana? è come al tempo del nazionalsocialismo o in Unione Sovietica durante il regime staliniano, con una smaccata celebrazione del proprio dittatore 

          di Francesco Lamendola   

          Quando il catechista domandava ai bambini della prima Comunione, fino a pochi anni fa: Chi è il modello perfetto che noi dobbiamo imitare nella nostra vita? A chi dobbiamo sforzarci di assomigliare costantemente, nei nostri pensieri, nelle nostre parole e nelle nostre azioni?, la risposta, senza alcuna esitazione, era una e una sola: Il modello perfetto è Gesù; dobbiamo sforzarci di assomigliare a Gesù. Né potrebbe essere diversamente; almeno se vogliamo continuare a dirci cattolici. Che poi si tratti di un modello irraggiungibile, è un altro paio di maniche; ma il modello è quello, e soltanto quello. 

          Non ce ne sono altri. Con l’aiuto della Grazia, che è fondamentale, il cristiano cerca di assomigliare a Gesù, di vivere come Gesù, di uniformarsi a tutto ciò che Lui ha insegnato, sia con le parole, sia con la sua vita. Il che, fra l’altro, ha una importante conseguenza: che il vero cristiano sa benissimo di dover mettere nel conto delle possibilità l’ostilità del mondo, la calunnia, la persecuzione e anche la morte. Proprio perché Gesù ha subito tutte queste cose: ha conosciuto l’ostilità, specie quella dei potenti; è stato calunniato – lo hanno chiamato persino figlio del demonio -, perseguitato, messo in croce. Questo lo sapevano anche i bambini di otto o nove anni; non parliamo poi dei ragazzini della Cresima. E lo sapevano perché veniva insegnato loro; perché lo dicevano il catechista, il sacerdote e il vescovo; perché c’era scritto sul libro di religione; perché lo ripetevano la stampa cattolica e le radiotelevisioni cattoliche. Vuoi essere un degno cristiano? Devi cercare di assomigliare a Gesù. Vuoi essere perfetto, sempre entro i limiti umani, che sono limiti ben precisi e invalicabili, dunque relativamente perfetto e non assolutamente perfetto? Cerca di fare come faceva Lui; di parlare come parlava Lui; di pensare come pensava Lui; e anche di prendere e sopportare la Croce come ha fa saputo fare Lui.  

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          Gesù è uno, ma di suoi vicari in terra ne abbiamo, oggi, due? la confusione nasce proprio da qui: se Gesù è il solo Maestro, come è possibile che non ci sia un solo vicario di Gesù in terra? Eppure, anche a questo stiamo assistendo; che ce ne sono due, e sia pure uno dei due col titolo di “emerito”, ma vivo e vegeto.

          Questo dicevano e insegnavano tutti, dalle suore dell’asilo fino ai professori di teologia nei seminari, e ai predicatori, in chiesa, nei Quaresimali di Pasqua. Vi era assoluta, totale concordia su questo punto: uno e uno solo è il modello da imitare, il modello perfetto: Gesù Cristo, e nessun altri che lui. Era impossibile che un cattolico si confondesse, se interrogato su questo punto; era impossibile che, davanti a una simile domanda, dovesse prendersi del tempo per pensare; ed era impossibile che la risposta non gli sgorgasse dalle labbra, naturale, immediata, fino dalla più tenera età. Del resto, anche senza bisogno che qualcuno gli ponesse una tale domanda, qualsiasi cattolico aveva sempre ben chiaro, al centro della sua mente e della sua anima, questo pensiero, questo sentimento: Io voglio essere come Gesù. Gesù, aiutami ad assomigliare a Te. Gesù, fammi la grazia di essere, almeno in parte, come Te; di essere come Tu ci vuoi, cioè perfettamente docili e obbedienti alla volontà del Padre nostro. Non c’era bisogno di essere come San Domenico Savio, il Santo bambino, che a quindici anni aveva per motto: La morte, ma non i peccati; non c’era bisogno di possedere una virtù talmente eroica: qualsiasi cattolico, dai sette anni in su, aveva perfettamente chiaro il concetto che, per essere degni di dirsi cattolici, non esiste altro mezzo che quello di prendere Gesù a modello della propria vita.

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          Senza la centralità e l’unicità di Gesù, non c’è più cattolicesimo e non c’è più chiesa: se Gesù non è il solo modello perfetto, allora siamo in presenza di una religione post-cristiana, sincretista ed eretica.

          Abbiamo detto: fino a pochi anni fa. Perché abbiamo usato il tempo imperfetto? Perché oggi pare che non sia più così; pare che sia cambiato tutto. Ma come, dirà qualcuno: questo non è possibile, non è materialmente possibile. Si può cambiare tutto, o quasi tutto, ma non questo: non il fatto che Gesù è il solo modello perfetto della vita cristiana; se si mette in discussione questo, non si è più cristiani, né tantomeno cattolici. Evidentemente. Nondimeno, è accaduto e sta continuando ad accadere: sotto i nostri occhi; e, cosa più grave ancora, senza che la maggior parte dei cosiddetti cattolici se ne renda conto. Naturalmente, nessuno è tanto audace, tanto sfrontato, tanto blasfemo, da dire apertamente: Volete sapere l’ultima? Gesù Cristo non è più il solo modello perfetto che il cristiano deve seguire nella sua vita; se lo facesse, verrebbe riconosciuto per quello che è: non solo un non cattolico, ma qualcosa di peggio, un individuo perverso che si spaccia per cattolico, ma cattolico non lo è; che indossa i panni del cattolico, ma vuole distruggere il cattolicesimo. È più che evidente, infatti, perfino in questi tempi di estrema, babelica confusione morale e dottrinale, che Gesù è il fondamento di tutto: che senza Gesù, senza la centralità e l’unicità di Gesù, non c’è più cattolicesimo e non c’è più chiesa; che se Gesù non è il solo modello perfetto, allora siamo in presenza di una religione post-cristiana, sincretista, che pone Gesù come uno dei modelli da imitare, uno dei maestri da seguire; uno accanto ad altri, e non necessariamente il più importante. (Fra parentesi: la confusione nasce proprio da qui: se Gesù è il solo Maestro, come è possibile che non ci sia un solo vicario di Gesù in terra? Eppure, anche a questo stiamo assistendo; che ce ne sono due, e sia pure uno dei due col titolo di “emerito”, ma vivo e vegeto, e sempre vestito di bianco; ammesso e non concesso, inoltre, che da vicario di Cristo ci si possa dimettere, così come si dimette l’amministratore delegato di un’azienda, con una semplice letterina, e senza dare affatto spiegazioni convincenti: dunque Gesù è uno, ma di suoi vicari in terra ne abbiamo, oggi, due). Facciamo anche notare che parlare di modello perfetto implica di necessità, logica e linguistica, il fatto che il modello sia assolutamente unico: perfetto viene dal latino perfectus, che è il participio passato di perficĕre, ossia “compiere”, formato da per efacĕre. Una cosa è perfetta, dunque, quando è compiuta, portata a compimento, conclusa; per estensione, si dice perfetto ciò che è fatto nel migliore dei modi possibili, tale che nel suo genere non si possa immaginare niente di meglio (Treccani). E infatti: un cristiano potrebbe immaginare un modello migliore di Gesù Cristo? Assolutamente no. Dunque, Gesù uno è un modello perfetto, ma è il modello perfetto; non ce ne sono altri, non diciamo migliori di Lui, il che sarebbe palesemente contraddittorio e impossibile, ma neppure altrettanto buoni di Lui. Anche soltanto immaginare una cosa come questa, anche soltanto essere sfiorati da un dubbio in proposito, significa non aver capito nulla di ciò che è essenziale al cristianesimo. Si possono aver dubbi sulle cose secondarie, ma non su ciò che è essenziale. Se si hanno dei dubbi su ciò che è essenziale alla fede cristiana, non ci si può dire cristiani, perché non lo si è; si è qualche cosa d’altro.

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          Un caso psichiatrico: il signore argentino si vorrebbe sostituire a Gesu' Cristo, a Dio? a quei “cattolici” che stravedono per lui, e bacerebbero la terra dove cammina, vorremmo chiedere: Ma non lo vedete, come vi siete ridotti?

          Ebbene, ora i cattolici, o molti di essi, sono arrivati a questo punto: credono ancora di esser cristiani e di essere cattolici, ma non lo sono; sono qualcos’altro. Il loro solo modello perfetto non è più Gesù Cristo, ma è diventato papa Francesco. Papa Francesco non è santo, e tanto meno somiglia al Santo di cui ha voluto prendre il nome; ma se anche fosse il più santo dei Santi, anche se fosse il santo più grande che si possa umanamente concepire, non sarebbe, perciò, il modello perfetto della vita cristiana; e, se pretendesse di porsi come tale, compirebbe una deliberata falsificazione del Vangelo. Io sono la via, la verità e la vita, ha detto Gesù Cristo di se stesso; e nessun altro, mai, neppure i Santi, neppure i papi, hanno preteso di dire altrettanto di se stessi, o hanno incoraggiato il fatto che la gente pensasse una cosa simile di loro.

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           Gesu' è stato chiarissimo ! Come lo è il primo comandamento: Io sono il Signore, tuo Dio; non avrai altro Dio all’infuori di meNon ti farai idolo, né immagine. Non ti prostrerai davanti a quelle cose.

          Ma il signore argentino lo fa, eccome; lo sta facendo sin dal primo istante della sua elezione; lo sta facendo dal momento in cui,gesuita, ha accettato di essere eletto papa, cosa contraria al diritto canonico, e quando ha preso il nome del Santo di Assisi, ciò che nessun pontefice aveva mai osato fare, per evidenti ragioni di opportunità, di modestia e di coscienza dei propri limiti. E continua a farlo ogni giorno, visto che incoraggia forme di culto verso la sua persona che equivalgono a una vera e propria idolatria,come il commercio di statuette, di ceri, lumini, altri oggetti e santini, tutti con la sua immagine; e si compiace dell’uscita di un film smaccatamente celebrativo, e menzognero fin da titolo: Un uomo di parola (qualcuno si è chiesto come mai non è mai voluto andare in viaggio pastorale in Argentina? qualcuno riesce a immaginare un Giovanni Paolo II che si guarda bene dal tornare in Polonia, o un Benedetto XVI che si tiene alla larga dalla Germania? Eppure Bergoglio è andato nel Cile, è andato nel Perù, ma in Argentina, la sua terra, no: forse perché laggiù lo conoscono molto bene, sanno chi egli sia, hanno un nitido ricordo di lui e riderebbero a crepapelle, o più probabilmente si sdegnerebbero, se qualcuno osasse definirlo un uomo di parola?). E che dire di quel giornaletto intitolato Il mio papa, scandaloso fin dal titolo, perché mai nessuno si sarebbe sognato, prima di questo pontificato, di fondare una rivista con un titolo del genere, neppure al tempo di Giovanni XXIII o di Giovanni Paolo II, papi sicuramente molto popolari e molto attenti alla propria immagine pubblica? Che cosa vuol dire, infatti, un’espressione del genere: il mio papaUn cattolico ha un solo capo, un solo modello, un solo Dio: Gesù Cristo; il papa non è il suo papa, neppure in senso affettivo, semmai è il nostro papa; ma la sola Persona per la quale il cattolico è autorizzato ad usare l’espressione: io sono suo, è Gesù Cristo, e nessun altri che Lui. Il cristiano è di Cristo, appartiene a Cristo; e Cristo è il Figlio di Dio, e Dio Egli stesso: e il Dio cristiano è un Dio geloso: non avrai altro Dio all’infuori di me. Qui non stiamo parlando di ciò che è secondario, ma di ciò che è essenziale; stiamo parlando del primo, e più importante, dei dieci comandamenti. Vi ricordate, per caso, di quella cosa un po’ démodé, un tantino obsoleta, che sono i Dieci Comandamenti? Bene: stiamo parlando di quello; stiamo parlando del primo di essi: Io sono il Signore, tuo Dio; non avrai altro Dio all’infuori di meNon ti farai idolo, né immagine. Non ti prostrerai davanti a quelle cose.

          0 GALLERY IL MIO PAPA
           Vogliono venirci a dire che non più Gesu' Cristo ma Bergoglio è perfetto, e che ogni credente deve prendere lui come massimo punto di riferimento, è improprio, è sbagliato, è scandaloso; ed è anche ridicolo.