Analizzando questi dati ISTAT sui decessi da influenza nei periodi 2006-2011, quindi molto prima del covid 19, ci accorgiamo che i codici utilizzati per classificare le cause di morte venivano già aggregati dalla stampa a fini propagandistici per attribuire al virus dell'influenza la maggior parte dei decessi. Con questo piccolo artifizio, sommando i 400 decessi per influenza (che comprende anche quelli di sindromi influenzali), con gli 8345 di polmonite nel 2011 si arriva al numero che circolava sulla stampa. Lo stesso artifizio che la solita stampa di regime ha messo in atto per i dati sul covid 19 attribuendo a questo anche i decessi avvenuti per altre cause quali malattie cardiache, tumori, eventi traumatici ed altro.
Il significato dei codici:
J10 -influenza, virus influenzale identificato
J11- influenza, virus non identificato
J12- polmonite virale non classificata altrove (esclude polmonite in influenza)
J13-polmonite da Streptococcus pneumoniae
J14-polmonite da haemophilus influenzae
J15-polmonite batterica non classificata altrove
J16-polmonite da altri microrganismi non infettivi non classificate altrove
J17-polmonite in malattie classificate altrove
J18-polmonite da microrganismo non specificato.
Per consultare i grafici dei decessi 2006-2011 vedi qui: http://www.assis.it/dati-istat-sui-decessi-da-influenza/
I codici J10 e J11 fanno riferimento ai decessi causati dall’influenza: il J10 viene usato quando il virus influenzale è identificato, il J11 quando tale virus non è stato individuato, ma i sintomi presentati dal paziente hanno indirizzano verso tale patologia. Ricordiamo che i virus responsabili delle sindromi influenzali sono centinaia, e che il virus dell’influenza è solo uno di questi. I decessi attribuibili all’influenza rientrano in queste due categorie, comprendendo così più agenti eziologici. Tutti gli altri codici, da J12 a J18 non fanno riferimento all’influenza. Sono decessi causati da polmoniti provocate da batteri, microrganismi o addirittura altre condizioni patologiche, escluse l’influenza. E’ evidente che si tratta di categorie diverse, e non c’è alcun motivo di aggregarli, se non a fini propagandistici. Seguendo la stessa logica si potrebbero attribuire all’influenza tutti i decessi per insufficienza cardiaca, malattie cerebrovascolari, diabete, o (perché no?) per traumi, incidenti stradali, cadute accidentali purché avvenuti nel periodo della stagione influenzale.
Con riferimento alle numerose richieste di informazioni pervenute a seguito della emergenza sanitaria da covid 19, l'Istat precisa che:
- i dati elaborati dalla fonte Istat “Indagine sui decessi e cause di morte” fanno riferimento a quanto riportato dai medici sulle schede per la certificazione delle cause di morte, che devono essere compilate per legge per ogni deceduto sul territorio italiano; la scelta della “causa iniziale di morte”, la causa che viene utilizzata nelle statistiche ufficiali, viene effettuata applicando le regole di selezione definite dalla ICD-10.
- la sorveglianza sanitaria presso la Protezione Civile registra invece tutti e soli i casi di COVID-19 diagnosticati dai laboratori di riferimento regionali, come indicato dalla Circolare del Ministero della Salute n. 0005443 del 22 febbraio 2020. Quindi la mortalità per influenza, bronchite, polmonite, tumori, malattie cardiovascolari e per ogni altra causa, di soggetti che non hanno la diagnosi di COVID-19 non viene conteggiata dai dati di sorveglianza.
Un confronto diretto tra i dati delle due fonti non sarebbe pertanto corretto.
Che cos'è la classificazione internazionale ICD
La classificazione internazionale delle malattie, incidenti e cause di morte (ICD, International Statistical Classification of Diseases, Injuries and Causes of Death) è uno standard di classificazione delle malattie e dei problemi correlati, stilata dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e rappresenta un valido strumento per gli studi statistici ed epidemiologici.
La ICD è arrivata alla decima edizione (ICD-10), dopo essere stata approvata dalla 43esima Assemblea mondiale della sanità nel maggio 1990 ed essere entrata in vigore e in uso negli Stati membri dell’Oms nel 1994.
I primi tentativi di stilare una classificazione ragionata cominciano a metà dell’Ottocento ma la prima lista di cause di morte ufficiale è l’International List of Causes of Death scritta dall'Istituto statistico internazionale nel 1893. L’Oms rileverà il compito di seguire l’evoluzione della classificazione internazionale delle malattie solo nel 1948, quando alla sesta revisione ICD vengono incluse anche le cause di morbosità.
L’ICD-10 è una classificazione che si aggiorna periodicamente e le cui revisioni, sia relative ai codici sia alle regole, presentano annualmente modifiche minori e ogni 3 anni modifiche maggiori.
Si affianca a questa classificazione anche il Manuale di codifica automatica Acme che viene aggiornato annualmente, scaricabile dal sito del Cdc americani.
È importante ricordare che il certificato internazionale di morte presentato nei testi ICD-10 si differenzia molto dal certificato italiano in quanto non presenta parti diversificate per le morti accidentali e segue una logica di lettura contraria: sul modello internazionale si parte dalla causa ultima e si arriva alla causa prima, sul certificato italiano si parte dalla causa iniziale e si finisce sulla causa terminale.
In accordo con quanto previsto dall’ICD-10, per entrambi i codici di COVID-19 (U07.1 e U07.2), è previsto che la selezione della causa iniziale segua le stesse regole delle infezioni virali respiratorie (come l’influenza, la MERS o la SARS).
In considerazione di quanto appena detto si deduce che dati certi e incontrovertibili sulla reale portata del virus covid 19, sulle cause di mortalità, non sono facilmente reperibili a causa di quattro fattori principali:
- ambiguità dei codici di riferimento dell'OMS;
- errata interpretazione degli stessi da parte del personale sanitario;
- interessi di parte che vedono coinvolte le lobby farmaceutiche (che finanziano l'OMS);
- scorretta propaganda della stampa di regime in accordo con gli interessi dei grandi gruppi farmaceutici.
Cinzia Palmacci