A quasi un anno di distanza dall’inizio della pandemia di coronavirus, non ci è dato ancora di intravvedere una via d’uscita: malati, decessi, ospedali perennemente in affanno, oltre a una crisi economica che si preannuncia catastrofica, sono gli elementi molto inquietanti che si profilano per i prossimi mesi di questo 2021, allineato perfettamente al 2020 appena conclusosi. A fare il punto sull’emergenza sanitaria, sulle terapie e sui vaccini contro il Covid-19 è il medico Marco Cosentino, dottore di ricerca in Farmacologia e Tossicologia, nonché professore ordinario di Farmacologia presso la Scuola di Medicina dell’Università dell’Insubria, dove dirige il Centro di ricerche in Farmacologia Medica. Il professor Cosentino è inoltre autore di centinaia di pubblicazioni su riviste internazionali, di libri e capitoli di libri, inerenti la fisiopatologia e la farmacoterapia di malattie del sistema nervoso e del sistema immunitario, la farmacologia clinica, la farmacogenetica e la farmacovigilanza.
Professore, la terza ondata pare ormai inevitabile. Tuttavia il mainstream si sofferma quasi esclusivamente sul vaccino, non ancora disponibile per tutti, anziché sulle cure. Cosa sta succedendo?
“Si evidenzia senza ombra di dubbio un problema di natura organizzativa e strategica. Ad un anno ormai quasi compiuto dalla manifestazione della vicenda, le strutture e attività, nonché il modus operandi del sistema sanitario proseguono, tuttavia, come se l’emergenza fosse appena stata dichiarata. Ad esempio, la carenza di personale medico e sanitario e di posti letto negli ospedali – indiscutibilmente legata ai tagli degli ultimi decenni – costituisce un’emergenza nell’emergenza che ancora nessuno ha ritenuto di affrontare. Il contrasto tra i quotidiani richiami all’emergenza sanitaria e la mancanza fin qui di reali interventi strutturali si fa sempre più stridente. Non dobbiamo tra l’altro dimenticarci che le conseguenze di questa emergenza riguardano non solo i malati di Covid, bensì tutti gli altri malati di malattie altrettanto o più gravi, soprattutto croniche, e che si ritrovano reparti e ambulatori chiusi a causa del Covid”.
Ci può analizzare la situazione, secondo il Suo autorevole punto di vista?
“La Società Italiana di Cardiologia ha recentemente stimato che la mortalità per infarto nel 2020 si è triplicata, i neurologi constatano un drammatico declino cognitivo senza precedenti nelle persone con malattia di Alzheimer e i notiziari più attenti ci informano che sono crollati gli esami di monitoraggio per la prevenzione dei tumori. Tutte conseguenze prevedibili a fronte dei tagli alla sanità degli ultimi decenni, che la crisi contingente ha esasperato rendendole maggiormente evidenti. Converrebbe fare un ragionamento complessivo e soprattutto non più emergenziale, come a quasi un anno dall’inizio della crisi, sarebbe peraltro lecito attendersi”.
Quali sono le armi più efficaci contro il Covid? Perché in Italia manca un protocollo uniforme per il trattamento domiciliare del coronavirus in fase precoce?
“La malattia è subdola, con andamento variabile da persona a persona e con remissioni che purtroppo in alcuni casi preludono a repentini aggravamenti. Per questo è estremamente importante che il medico segua con assiduità e attenzione i propri assistiti fin dai primi sintomi, pronto a somministrare le terapie più appropriate in relazione al quadro clinico. Non parlerei dunque di “protocollo” quanto di linee guida o di “prontuario anti-covid”, che oggi comprende numerosi farmaci, sia vecchi che nuovi. Indubbiamente, tra gli aspetti singolari e incomprensibili che ancora osserviamo, a quasi un anno di distanza dai primi casi di Covid, va annoverata anche la resistenza a considerare l’esperienza acquisita “sul campo” da tanti medici che hanno curato e continuano a curare le persone con successo, riducendo al minimo il numero di casi che si aggrava al punto da rendere necessario il ricovero, e realizzando in tal modo il miglior beneficio per i loro pazienti e al tempo stesso per il sistema sanitario. Pare di cogliere un atteggiamento severissimo da parte di alcuni, che richiedono gli standard più rigorosi nella valutazione delle farmacoterapie, atteggiamento che paradossalmente porta a escludere quasi ogni possibile terapia in nome di una malintesa “medicina basata sulle evidenze””.
A cosa si riferisce, esattamente?
“La medicina è prima di tutto pragmatismo, dato che di regola le esigenze dei malati difficilmente possono conciliarsi – specie in emergenza – con il soddisfacimento dei massimi livelli di evidenza. In altri termini, sembra purtroppo talora di vedere riconfermato il vecchio adagio popolare secondo cui “il meglio è nemico del bene”. Curiosamente, un tale rigore non pare venga esercitato per i vaccini, autorizzati in emergenza e in assenza di informazioni essenziali per apprezzarne al meglio le potenzialità e i rischi. Personalmente comprendo, e in una certa misura giustifico, la scelta “emergenziale” sui vaccini, ma proprio per questo fatico a spiegarmi l’atteggiamento “rigorista” sui farmaci, specie su quelli di uso maggiormente consolidato e per cui esiste quanto meno una chiara evidenza di sicurezza. “Primum non nŏcēre” è uno dei principi fondamentali della medicina, e – anche in assenza di cure di efficacia certa – dovrebbero essere impiegati quei presidi di efficacia probabile e di provata tollerabilità, così da sottrarsi al rischio di far del male per omissione”.
Nel protocollo ufficiale italiano viene raccomandato, al malato Covid domiciliare, di rimanere in “vigile attesa” e di assumere, all’occorrenza, del paracetamolo. Considera efficace questo approccio?
“Suggerire il paracetamolo per ridurre la febbre è senza dubbio una scelta singolare. Tra i farmaci antiinfiammatori non steroidei, i cosiddetti FANS, categoria cui il paracetamolo appartiene, esso è l’unico ad essere – come gli altri FANS – antipiretico e analgesico ma – a differenza degli altri FANS – privo di significativa attività antiinfiammatoria. I fenomeni infiammatori sono peculiari del Covid fin dagli esordi, ed esistono studi quanto meno di natura osservazionale che descrivono un’evoluzione nettamente più favorevole nei pazienti Covid in trattamento con aspirina, il capostipite dei FANS, antiinfiammatorio per antonomasia. Semmai, l’eventuale preoccupazione per i possibili disturbi che l’aspirina potrebbe causare nel tratto gastrointestinale potrebbe suggerire di ricorrere ad altri FANS comunque antiinfiammatori quali l’ibuprofene o il ketoprofene, meglio tollerati a quel livello. Esiste poi un comune consenso sul beneficio nel Covid a un certo stadio derivante dalla riduzione dell’aggregazione piastrinica e in generale della coagulazione. Tutti i FANS sono anche antiaggreganti piastrinici, ancora una volta tuttavia con l’eccezione del paracetamolo. Difficile quindi difendere la decisione di indicare il paracetamolo come FANS di scelta”.
Facciamo chiarezza sull’idrossiclorochina: perché sarebbe efficace? E perché in Italia si è dovuto pronunciare il Consiglio di Stato per “riabilitarla”?
“L’idrossiclorochina è un farmaco antimalarico di efficacia provata anche come antiinfiammatorio e immunomodulante in malattie autoimmuni quali l’artrite reumatoide e il lupus, che fa parte tra l’altro della lista dei farmaci essenziali dell’OMS. A concentrazioni terapeutiche possiede pure un’attività antivirale diretta, ma non è certo se sia questa o siano gli effetti immunologici a essere responsabili dei suoi effetti nel Covid. Questo farmaco è stato immediatamente preso in considerazione fin dall’inizio dell’epidemia, sulla base dell’esperienza e delle indicazioni soprattutto da parte di alcuni esperti francesi, ed è stato largamente impiegato anche nel nostro paese nella primavera del 2020, fino a quando – nel mese di maggio – sulla base di un articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista medica internazionale The Lancet, l’OMS decide di controindicarla nel Covid. La manipolazione e la grossolana falsificazione alla base dell’articolo di The Lancet vengono rapidamente identificate, al punto che la rivista lo ritira con grande imbarazzo. L’OMS tuttavia non ritorna più sulla sua decisione e altrettanto fanno varie agenzie regolatorie tra cui la nostra AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco, ndr), che aveva nel frattempo sospeso gli studi clinici in corso sull’idrossiclorochina”.
Cosa accadde in Italia?
“AIFA arrivò a pubblicare una nota che vietava l’uso di idrossiclorochina, interferendo in tal modo sul diritto esclusivo e inviolabile dei medici di prescrivere quelle cure che, “in scienza e coscienza”, siano ritenute nel migliore interesse del paziente. Su questo aspetto il Consiglio di Stato si è pronunciato, arrivando a definire “irragionevole” la sospensione dell’uso del farmaco. Si tratta di una sentenza severa, che utilizza espressioni pesanti per stigmatizzare una decisione indubbiamente singolare dell’ente regolatorio. Purtroppo la discussione intorno all’idrossiclorochina, così come su altri rimedi di efficacia più che probabile – come ad esempio il plasma convalescente – è stata inquinata da connotati di natura politica, che nulla hanno a che fare con la medicina. La vicenda nel complesso è particolarmente intricata e forse solo in futuro comprenderemo davvero quali motivazioni abbiano mosso e ancora muovano i vari attori sulla scena odierna. Nel frattempo, ne soffrono medici e malati, i primi condizionati nella loro autonomia e serenità decisionale, che rischia ovviamente di riflettersi in un danno a carico dei secondi. Va aggiunto che, sebbene l’idrossiclorochina sia un farmaco da maneggiare con prudenza, gravato com’è da vari possibili effetti avversi, l’esperienza documentata da pubblicazioni che riportano i risultati del suo uso in decine di migliaia di pazienti Covid, per quanto non conclusiva sulla sua reale efficacia nelle varie circostanze è tuttavia concorde nell’indicare un ottimo profilo di tollerabilità”.
Altro argomento delicato, che in Italia sembra essere caduto nel dimenticatoio: l’utilizzo del plasma dei convalescenti…
“Gli USA hanno tempestivamente avviato un programma di impiego allargato che ha permesso di documentarne l’efficacia su oltre settantamila persone. Su questa base FDA (Food and Drug Administration, ndr) ne ha autorizzato l’uso in emergenza. Lo scorso ottobre il Centro nazionale sangue si è dichiarato pronto a organizzarne la raccolta e la conservazione, ma tuttora il suo impiego risulta limitato a pochi centri che conducono protocolli di sperimentazione, mentre si apprende di malati cui viene negato in quanto l’ospedale in cui sono ricoverati non è coinvolto in tali studi”.
Anticorpi monoclonali: cosa sono? Perché sarebbero efficaci?
“Si tratta di immunoglobuline – spesso identificate proprio grazie allo studio del plasma di soggetti convalescenti e successivamente prodotte a livello industriale – in grado di legare efficacemente il virus bloccandolo, impedendogli di infettare le cellule del nostro organismo e favorendone l’eliminazione da parte del sistema immunitario. Per certi versi, sono una versione “perfezionata” del plasma convalescente”.
I vaccini rappresentano una soluzione concreta per contrastare la diffusione del coronavirus?
“I risultati noti ad oggi ci dicono che i vaccini fin qui autorizzati riducono la probabilità di ammalarsi di Covid, cosa che non va confusa con la possibilità di contagiarsi. Gli studi in corso sono progettati in maniera tale da non conteggiare gli eventuali positivi asintomatici, di conseguenza non possiamo ancora dire nulla sulla eventuale capacità di un qualsiasi vaccino di ridurre la circolazione del virus. L’efficacia fin qui documentata riguarda inoltre un periodo di tempo di poche settimane dal completamento del ciclo vaccinale. Cosa succeda in tempi più lunghi è ancora tutto da scoprire”.
Parliamo del vaccino a mRNA contro il Covid: come funziona? È sicuro? Perché non convincerebbe la Cina?
“I vaccini a RNA inducono le cellule del ricevente a produrre la proteina S del virus, così che il sistema immunitario possa “imparare” a riconoscerla e ad attaccarla rapidamente quando dovesse ripresentarsi a causa dell’ingresso del virus nell’organismo. Un vaccino, così come un qualsiasi altro farmaco, non è mai “assolutamente” sicuro, e il suo impiego deve essere giustificato dalla constatazione su base documentata di un rapporto favorevole tra benefici attesi e rischi più o meno prevedibili. La circospezione con cui molti esperti non solo cinesi guardano a questi vaccini è dovuta prima di tutto al fatto che si tratta di una tecnologia del tutto nuova, nata innanzitutto per la cura dei tumori, e fino ad ora mai impiegata in clinica (con l’eccezione di un vaccino antirabbico sviluppato qualche anno fa, di efficacia non straordinaria e con qualche problema di sicurezza)”.
Quali sono le differenze e le caratteristiche dei principali vaccini disponibili (“Pfizer-BioNTech”/”Moderna”/”AstraZeneca”)? Quali sono le differenze tra un vaccino a mRNA e uno “tradizionale”?
“Va detto in premessa che al momento l’OMS elenca nei suoi archivi oltre 170 diversi vaccini in fase di studio preclinico e 60 in varie fasi di sperimentazione clinica. Tra questi, la maggior parte è costituita da vaccini “tradizionali”, ovvero contenenti frammenti di virus in grado di “istruire” il sistema immunitario. Il fatto che da noi si parli soprattutto di Pfizer-BioNTech, Moderna e AstraZeneca è probabilmente legato prima di tutto a ragioni “geopolitiche”: il primo nasce dalla ricerca dell’azienda tedesca BioNTech, il secondo ha ricevuto i maggiori finanziamenti dal programma Warp Speed USA e il terzo non casualmente è stato approvato per primo dal Regno Unito. Il primo vaccino in assoluto autorizzato per uso umano è stato lo Sputnik V della russa Gamaleya, fortemente criticato dalle agenzie regolatorie occidentali, salvo poi essere stato preso in considerazione da paesi UE come l’Ungheria ed ora aver avviato una collaborazione con AstraZeneca.
Riguardo alle tipologie, Pfizer-BioNTech e Moderna sono prodotti basati sulla tecnologia dell’RNA di cui si diceva sopra, mentre AstraZeneca come Gamaleya (e come la svizzero-italiana Reithera) utilizza la tecnologia del trasferimento genico mediante vettore adenovirale non patogeno e non replicante. Gamaleya si avvale dell’esperienza acquisita con successo anni fa con i suoi precedenti vaccini contro SARS e MERS, e impiega adenovirus non patogeni umani. AstraZeneca e Reithera hanno scelto invece adenovirus di scimmia.
A breve, tuttavia, sono attesi negli USA – e di conseguenza probabilmente anche da noi – vaccini di altro genere, quali Novavax e Sanofi Pasteur/GSK, entrambi basati sull’uso più “tradizionale” di un frammento virale, come pure il vaccino Janssen, altro prodotto che sfrutta il trasferimento genico con vettore adenovirale”.
Per il vaccino contro il Covid, l’Ema (European Medicines Agency) ha concesso un’autorizzazione all’immissione in commercio subordinata a condizioni. Che cosa significa?
“EMA per il momento ha autorizzato i vaccini Pfizer-BioNTech e Moderna con procedura condizionata (“conditional marketing authorization”). Si tratta di una procedura di emergenza analoga all’”emergency use authorization” di FDA, che ha validità di un anno rinnovabile, che viene concessa in assenza di dati di efficacia e sicurezza completi, quando si ritenga che il beneficio di un accesso immediato al prodotto per i cittadini sia maggiore dei rischi connessi alla mancanza di informazioni comunque essenziali, e a condizione che l’azienda si impegni a fornire quanto prima queste ultime. AIFA ad esempio nel riassunto delle caratteristiche del vaccino Pfizer-BioNTech identifica i dati mancanti da produrre, tra i quali le specifiche del principio attivo e del prodotto finito, i dati di validazione del processo di produzione, informazioni aggiuntive sui processi di sintesi e controllo di qualità del principio attivo e degli eccipienti, e ovviamente i dati completi dello studio di fase III in corso, i soli che permetteranno di valutare compiutamente buona parte se non proprio tutto il profilo di sicurezza e di efficacia del prodotto. Si prevede che questi dati saranno disponibili nel dicembre dell’anno 2023”.
Il vaccino attuale può rendere immuni e bloccare la trasmissibilità dell’infezione? Si dice che, per raggiungere l’immunità di gregge, si debba vaccinare circa il 70% della popolazione: qual è il Suo parere?
“I risultati degli studi clinici oggi disponibili ci dicono che i vaccini Pfizer-BioNTech, Moderna e Astrazeneca riducono la probabilità di sviluppare Covid sintomatico, quanto meno sul breve termine. Per ora non ci sono dati sull’eventuale prevenzione del contagio, per cui si possono fare solo ipotesi. Anche per questo motivo parlare di “immunità di gregge” o – meglio – di popolazione non ha alcun senso. Al momento l’unica certezza è il conferimento di un certo grado di protezione individuale per i vaccinati”.
Come sta procedendo il piano vaccinale in Italia?
I giornali hanno riportato nei giorni scorsi la notizia che il governo sta assumendo 3000 medici e 12000 infermieri per le vaccinazioni. Per quanto si tratti di assunzioni a termine, sembra la riprova che a fronte della volontà di consolidare determinate attività e servizi le soluzioni si trovino. Mi pare una buona notizia, se posta in relazione con la ricerca di soluzioni per il superamento delle difficoltà in cui da quasi un anno versa il sistema sanitario nel suo complesso”.