PRIMA DI VOTARE "SI" AL REFERENDUM SUL TAGLIO DEI PARLAMENTARI DOVRESTE CHIARIRVI BENE IL CONCETTO DI "DEMOCRAZIA" E CHIEDERVI SE IN ITALIA ANCORA SI POSSA PARLARE DI "POTERE DEL POPOLO".....
Forse in termini quantitativi ha ragione Edgar Morin, secondo cui “la democrazia è nata in modo marginale nella storia, al fianco di imperi dispotici, teocrazie, aristocrazie, sistemi di caste. Resta marginale, nonostante l’universalizzazione dell’aspirazione democratica”[1]. Ma in termini qualitativi no, come egli stesso riconosce, la democrazia resta “il sistema politico più civilizzato”[2]. In termini qualitativi ovunque la democrazia si è affermata, è stata egemonica.
La democrazia ha sempre risolto al suo interno i problemi, non deve ricorrere a nessuno. Risolve i problemi al suo interno, da sola con i propri meccanismi. Non esiste un regime post-democratico. Oltre la democrazia non può esserci un’altra democrazia. Ci sarà una diversa forma di governo, che potrà essere in mille modi ma non potrà essere democratica. La democrazia è autopoietica o non è.
Non è un caso allora che, in tutti i regimi democratici la crisi economica è stata salvata da decisione politiche; che, di fronte alla esigenza di rinnovare la democrazia, i partiti politici occidentali abbiano pensato di ricorrere alla democrazia; non è un caso che tutti, per cambiare un governo hanno deciso di rivolgersi al corpo elettorale.
Tutti, tranne l’Italia. Solo l’Italia ha pensato di risolvere i problemi della sua democrazia sospendendo la democrazia. Solo in Italia, un parlamento di nominati nomina da sempre al Governo un suo rappresentante, talvolta ha appositamente nominato un senatore per far in modo che fosse nominato presidente del Consiglio. Solo in Italia, una crisi prevalentemente politica, anni fa è stata gestita da un tecnico dell’economia. Solo in Italia, i partiti popolari lasciano il potere alla tecnostruttura scientifico-burocratica che in gran parte ha prodotto e contrastato, nell’ambiguità radicale dell’era moderna, la crisi economica che imperversa, irrefrenabile.
Eppure, uno degli elementi della degenerazione delle democrazie moderne, denunciato più volte da John Kennett Galbraith, e rimarcato ancora nel 1996 da Edgar Morin è proprio il potere degli econocrati, “capacissimi di adattare le persone al progresso tecnico, ma incapaci di adattare il progresso tecnico alle persone”[3].
Nati dentro meccanismi consolidati e conservativi delle economie moderne produttive e finanziare, privi della spinta dell’azione politica, “non possono immaginare nuove soluzioni di riorganizzazione del lavoro e di ripartizione della ricchezza”[4]. Tutto questo produce una regressione della democrazia, l’instaurarsi di “una società duale”[5], nella quale “i grandi problemi della civiltà restano concepiti come problemi privati invece di manifestarsi alla coscienza politica e al dibattito pubblico”[6]; “una società duale”[7] che determina “l’accentuazione della competizione economica fra le nazioni, soprattutto in una congiuntura di depressione economica, favorisca la riduzione della politica all’economia, e l’economia diventa il problema politico permanente”[8]; una regressione democratica che genera una società duale e, contemporaneamente una società duale che genera regressione democratica, in modo che, “qualora persistesse il deficit democratico, diverrà società normale”[9]. Morin ha dipinto, sedici anni prima, la situazione italiana di oggi. Un quadro ben descritto anche da Pasolini e dalla sua denuncia sui processi di omologazione della società capitalista che più di tutti ha svuotato le strutture di significato del sistema sociale e relazionale. Uno scenario di verità, molto più modestamente, indicato anche da me come condizione moderna dell’epipower, il potere epistemologico della società della comunicazione[10].
Il problema centrale resta comunque quello della regressione democratica che non permette la soluzione dei problemi che richiederebbe una progressione democratica, appunto perché “la democrazia dipende dalle condizioni che dipendono dal suo esercizio”[11]; ovvero “la democrazia dipende dalla civiltà che a sua volta dipende dalla democrazia”[12].
Che cosa ci insegna questa opera d’arte, questo profilo puntuale e previsionale sul destini politici dell’Occidente che, come ogni opera d’arte, racchiude e rappresenta tante elaborazioni di tanti?
Ci insegna che la democrazia attuale è la soluzione finale di tutti i sistemi politici che l’hanno preceduta. Nella filosofia politica classica le forme di governo possibili sono 3 (se si considera la natura dei governi: monocratico, aristocratico, democratico). Sono 6 se si considerano anche le tre deviazioni possibili (tirannico, oligarchico, populista). Nella filosofia politica successiva alla teoria dell’azione di Hannah Arendt, sono due: il totalitarimo e la democrazia.
Non esiste la postdemocrazia. La democrazia può essere soltanto regressiva o progressiva.
Il termine, ideato nel 2003 da Colin Crouch[13], è fuorviante perché diffonde l’idea di un regime altro, esterno ed estraneo al nostro; quando invece la crisi è dentro di noi, in qualche modo siamo noi la crisi, siamo noi che svuotiamo di significato le procedure e le istituzioni della democrazia liberale: “ [...]anche se le elezioni continuano a svolgersi e condizionare i governi, il dibattito elettorale è uno spettacolo saldamente controllato, condotto da gruppi rivali di professionisti esperti nelle tecniche di persuasione e si esercita su un numero ristretto di questioni selezionate da questi gruppi. La massa dei cittadini svolge un ruolo passivo, acquiescente, persino apatico, limitandosi a reagire ai segnali che riceve. A parte lo spettacolo della lotta elettorale, la politica viene decisa in privato dall'integrazione tra i governi eletti e le élite che rappresentano quasi esclusivamente interessi economici”[14]. E invece la sindrome di Crouch che attanaglia le democrazie moderne è tutta dentro la democrazia e non produce un sistema nuovo ed altro, non crea uno stato postdemocratico. Se i regimi rappresentativi affrontano una profonda parabola discendente o regressiva, non vuol dire che noi stiamo entrando in un nuovo regime.
E non è solo una questione di denominazione.
È una questione concettuale. La crisi finanziaria contemporanea non permette la raffigurazione marxista di Crouch in cui la sovrastruttura politica è condizionata e condotta dall’azienda globale “istituzione chiave del mondo postdemocratico”[15].
Cambiano i contenuti, ma la logica è sempre la stessa.
L’azienda non è più pesante ma leggera, il processo non è più internazionale ma globale, l’organizzazione non è più tayloristica ma decostruita[16], non è più rigida ma flessibile, non più invasiva ma “fantasma”[17].
La logica, però, è sempre la stessa, è sempre il sistema economico a conformare il sistema politico. Il modello istituzionale prevalente non è politico, come per la democrazia liberale di Crouch, ma aziendale, anche per il settore pubblico, come per la democrazia liberale di Marx. Quelle che erano classi dominanti tornano ad essere lobby al potere, sempre più sottoposte al rapporto mortale e asfissiante del potere economico sugli organi pubblici[18]. La tecnostruttura al potere, funzionale agli interessi assordanti degli apparati economici finanziari, diffonde la sua verità con una retorica globale e ossessionante, con l’obiettivo di ristrutturare gli enti pubblici e renderli più attraenti ai finanziatori privati.
Non è che questa visione sia totalmente sbagliata. È soltanto parziale. Vede solo alcuni effetti della quarta cosmogonia, dell’avvento dell’epipower, il potere epistemologico della verità sulla realtà.
La nuova condizione politica non ha bisogno di cambiare regime. Non ha bisogno di passare da uno stato di democrazia ad uno stato di post-democrazia. Può semplicemente modificare la morfologia del sistema in cui vive sia esso democratico, totalitario, tirannico, oligarchico o, con terminologia indefinita, postdemocratico. In qualsiasi sistema politico ciò che si afferma e che cambia, ciò che cambia e fa cambiare le cose è la connotazione del potere, nelle sue prevalenti espressioni economiche, politiche e/o sociali. In ogni sistema la connotazione del potere si definisce in base a 3 addensatori di energia: il meccanismo fiscale (potere economico), il meccanismo elettorale (potere politico), il meccanismo della comunicazione (potere sociale). La democrazia è progressiva o regressiva in funzione della struttura di questi 3 addensatori di energia: se sono semplici, comprensibili ed controllabili, allora possono essere riformati, e la democrazia diventa progressiva; viceversa, quando sono incomprensibili, complicati e incontrollabili, si determinano dei vuoti politici, degli autentici buchi neri che assorbono l’intera energia sociale e determinano una regressione involontaria della democrazia.
In Italia abbiamo sempre avuto un tutti e tre gli addensatori di energia sempre incontrollabili, incomprensibili e complicati. In che cosa potevamo sperare? Si sono prodotti dei buchi neri in cui sono crollati tutti i tentativi di riforma. Se non riusciremo a rendere semplici, controllabili e comprensibili il meccanismo fiscale, quello elettorale e quello comunicativo, dalla crisi non usciremo. Ma guarda caso gli intenti riformatori del ceto politico nostrano non sono mai stati indirizzati verso questi tre connotati, in grado di rafforzare il consenso e la partecipazione di tutti i cittadini che devono essere sempre messi nella condizione di comprendere e controllare il meccanismo della tassazione, quello della elezione e quello della comunicazione. Ogni riforma tentata ha complicato, reso sempre meno comprensibile e certamente incontrollabile i meccanismi di reclutamento delle risorse, delle persone e delle idee. Come funzionano davvero nessuno lo sa, tranne un piccolo apparato di tecnici a cui dobbiamo credere per fede. Tutta la regressione democratica che in Italia (e fors’anche in Europa) stiamo vivendo, che ha per emblema un governo nominato da nominati, è tutta in questi buchi neri che assorbono la nostra energia, sorti a causa della complicazione (che produce burocrazia), della incomprensione (che produce delegittimazione) e della incontrollabilità (che produce corruzione) dei nostri tre addensatori di energia. Tutta la progressione democratica che l’America sta vivendo, nonostante la dirompenza della crisi, è tutta il prodotto del semplice, controllabile e comprensibile funzionamento del meccanismo fiscale, di quello elettorale e di quello della comunicazione. Il resto sono orpelli, faticose rincorse, decisioni inutili, stress quotidiano e privilegio individuale; comprese le insignificanti categorie postdemocratiche della filosofia politica.
Ma il parlamento italiano, da anni, va in ferie senza aver fatto né proposto una riforma del meccanismo fiscale, o di quello politico o della comunicazione. Svendiamo i gioielli di famiglia e tiriamo a campare carichi di retorica pubblica sui mercati finanziari e sullo spread. Il fatto è che i tecnici mettono le mani sulle riforme che aiutano la retorica pubblica per aumentare la loro (e forse anche la nostra) credibilità internazionale. Sarà pure una operazione encomiabile, ma senza riforme vere resta soltanto una attività estetica per rendere più elegante la nostra dizione pubblica.
[1] Morin Edgar, LA MIA SINISTRA, Erikson, Trento 2011
[2] Morin E., cit., 2011
[3] Morin E., cit., 2011
[4] Morin E., cit., 2011
[5] Morin E., cit., 2011
[6] Morin E., cit., 2011
[7] Morin E., cit., 2011
[8] Morin E., cit., 2011
[9] Morin E., cit., 2011
[10] Ceci Alessandro, COSMOGONIE DEL POTERE, Ibiskos, Empoli 2012
[11] Morin E., cit., 2011
[12] Morin E., cit., 2011
[13] Crouch Colin, Postdemocrazia, Laterza, Bari 2003,
[14] Crouch C., cit., 2003
[15] Crouch C., cit., 2003
[16] La “capacità di decostruzione è la forma più estrema assunta dal predominio dell'azienda nella società contemporanea” , Crouch C., cit., 2003.
[17] Crouch C., cit., 2003
[18] “Oggi [...] a causa della crescente dipendenza dei governi dalle competenze e dai pareri di dirigenti delle multinazionali e grandi imprenditori e della dipendenza dei partiti dai loro finanziamenti, andiamo verso la formazione di una nuova classe dominante, politica ed economica, i cui componenti hanno non solo potere e ricchezza in aumento per loro conto via via che le società diventano sempre più diseguali, ma hanno anche acquisito il ruolo politico privilegiato che ha sempre contraddistinto l'autentica classe dominante. Questo è il fattore centrale di crisi della democrazia all'alba del XXI secolo”, Crouch C., cit., 2003.