mercoledì 12 giugno 2019

Tutti i 50 motivi per cui all'Italia conviene uscire dall'euro




QUESTI I 50 MOTIVI PER CUI CONVIENE USCIRE DALL'UE, E NON SOLO ALL'ITALIA....



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Mentre tutti i giornali sono pieni e zeppi di Italicum - condito ormai nelle salse più diverse - e di ragioni per il sì o il no ad un referendum su una revisione costituzionale da vero sballo, vi offriremo un piccolo manuale di salvezza nazionale su due temi che riteniamo veramente decisivi per la sorte del nostro Paese e di cui solo Libero parla. L’euro da una parte e l’Unione Europea dall'altra.



Il primo è un cappio al collo che sta inesorabilmente umiliando e devastando un Paese che nel dopoguerra ha dimostrato - invece - di saper brillantemente camminare e correre sulle sue gambe fino a diventare una delle principali potenze manifatturiere del pianeta. La seconda è una gabbia soffocante che limita la nostra sovranità in spregio ai più elementari principi di libertà.


Riconquistare la propria indipendenza monetaria è condizione necessaria - anche se non sufficiente - per tornare a crescere. Senza questo scatto di orgoglio e libertà ogni altro meritevole sforzo per rilanciare l'economia del Paese si rivelerà purtroppo inutile. Ecco perché abbiamo deciso di elencare “nero su bianco” 50 buoni motivi per dire NO all’euro e NO all’Unione Europea. E lo faremo sfatando uno per uno tutti i luoghi comuni più radicati di volta in volta tirati in ballo da chi sostiene che non ci sia alternativa.


1. PERCHÉ I TRATTATI DELL’UNIONE VIOLENTANO LA NOSTRA COSTITUZIONE 
L’adozione dei trattati palesa un’esplicita violazione dei più elementari principi fondanti della nostra Costituzione. Tutto è fuorché un progetto che risponde allo spirito della nostra Carta. Ci si riferisce in particolare all'articolo 1. Il secondo comma recita «La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». È impossibile non toccare con mano come il potere decisionale sia stato di fatto delegato ad élite tecnocratiche, non elette ed irresponsabili. Come altrettanto evidente e palese è la violazione dell'articolo 11 della nostra Carta laddove viene scritto che l'Italia «consente in condizioni di parità con gli altri Stati (principio nei fatti già sconfessato dalle cronache quotidiane) alle limitazioni (si badi bene non si parla di "cessioni" ma di "limitazioni") di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni». I Padri Costituenti si riferivano in maniera esplicita ad Organizzazioni transnazionali quali le Nazioni Unite. Non certo ad un mostro giuridico quale l'Unione Monetaria Europea che addirittura pretende di promuovere o bocciare le leggi di bilancio dei singoli Stati aderenti prima ancora che queste siano presentate al voto dei parlamenti nazionali. E cosa c'è dunque di più anticostituzionale che cedere la propria sovranità monetaria?


2. PERCHÉ LA «CASTRAZIONE MONETARIA» OLTRE AD ESSERE ANTICOSTITUZIONALE NON È COSA AFFATTO NORMALE 
Gli eurofili ritengono che sia assolutamente naturale aver conferito ad un'autorità sovranazionale come la Banca centrale europea il diritto di coniare moneta. Segue un illuminante elenco di alcuni altri Paesi al mondo che hanno deciso di non coniare monete nazionali. E vi assicuriamo che vederli colorati in un planisfero (come ha fatto il sito qz.com) fa un certo effetto. Ecuador, Timor est, El Salvador, Isole Marshall, Micronesia, Palau, Turks and Caicos, Isole Vergini Britanniche, Zimbabwe, Benin, Burkina Faso, Camerun, Repubblica Centro Africana, Ciad, Repubblica del Congo, Guinea Equatoriale, Costa d'Avorio, Mali, Niger, Senegal, Togo, Antigua e Barbuda, Dominica, Grenada, Saint Kitts e Nevis, Santa Lucia, Saint Vicent and the Grenadines ecc. Tutti Stati, cioè, con un recente passato da colonia.

3. PERCHÉ L'UNIONE MONETARIA NON È FATTA SU MISURA PER L'ITALIA 
L’Europa non è affatto una casa comune. L'Italia abbandonò nel 1992 un insostenibile tasso di cambio "fisso" con le altre valute per essere poi sciaguratamente ripreso nel 1996. Nel 1999 - al momento dell'ingresso nell'euro - il reddito pro-capite degli italiani era il 96 per cento di quello tedesco. Nel 2015 dopo sedici anni di euro il reddito degli italiani è il 76 per cento di quello dei tedeschi (Fondo Monetario Internazionale). Le alternative sono due. O Meno Europa oppure Meno Reddito. Tertium non datur.

4. PERCHÉ L'UNIONE MONETARIA È FATTA INVECE SU MISURA DELLA GERMANIA 
La pretesa di ritenere che l'Unione sia un progetto comune costruito nell’interesse ed al servizio di tutti è una pura utopia. Basta rielaborare i dati relativi al surplus/deficit delle partite correnti di Italia e Germania. Nel periodo intercorrente fra il 1993 ed il 1999 l'Italia ha sempre avuto un surplus positivo per arrivare a toccare il suo massimo nel 1996. Un valore del 2,9 per cento sul Prodotto interno lordo. Purtroppo in quell'anno l'Italia cessa di far fluttuare liberamente la propria valuta per rientrare nuovamente nel Sistema Monetario Europeo, in previsione dell'adozione dell’euro del 1999 (sebbene l'euro sia entrato materialmente in circolazione il primo gennaio del 2002). Nello stesso periodo la Germania ha quasi sempre registrato un deficit (mediamente dell’1 per cento con l'eccezione del 1998). Ma dal 2000 al 2013 la situazione si capovolge radicalmente. L'Italia in questi 14 anni ne colleziona 12 di deficit per arrivare ad un picco negativo di -3,5 per cento sul Prodotto interno lordo nel 2010 mentre la Germania "ingrana la quarta" collezionando 12 anni di surplus ed arrivando al picco positivo del 7 per cento nel 2012 (Fmi).

5. PERCHÉ AVEVANO BISOGNO DI UN POLLO DA SPENNARE: L'ITALIA 
Queste in proposito le confessioni dell'ex Ministro delle Finanze italiano Vincenzo Visco (esponente del Partito democratico) a Stefano Feltri nel maggio 2012: «L'Italia fuori dall'euro, visto il nostro apparato industriale, poteva fare paura a molti, incluse Francia e Germania che temevano le nostre esportazioni prezzate in lire. Ma Berlino ha consapevolmente gestito la globalizzazione: le serviva un euro deprezzato, così oggi è in surplus nei confronti di tutti i Paesi, tranne la Russia da cui compra l'energia. Era un disegno razionale, serviva l'Italia dentro la moneta unica proprio perché era debole». 
Ogni ulteriore commento ci sembra superfluo.

6. PERCHÉ ECONOMIE DIVERSE DEVONO AVERE MONETE DIVERSE 
Ma è semplice: altrimenti il debole diventa sempre più debole ed il forte diventa sempre più forte. La moneta, cioè, assolve al ruolo di "ammortizzatore" nei rapporti fra diverse economie. Quella che si trova in una situazione di difficoltà vedrà la sua moneta svalutarsi. Ovvero il prezzo di quella moneta si riallineerà al giusto prezzo di mercato, così consentendo un recupero di competitività. Ma non potendo svalutare la moneta, l'unica alternativa per recuperare la competitività rimane quella del taglio dei salari e dell'aumento di produttività attraverso licenziamenti. E la conferma arriva addirittura dalla Commissione dell’Unione europea che in un report del gennaio 2014 rivelava: «Venuta meno la possibilità di svalutare la moneta, i Paesi della zona euro che tentano di recuperare competitività sul versante dei costi devono ricorrere alla “svalutazione interna” (contenimento di prezzi e salari). Questa politica presenta però limiti e risvolti negativi, non da ultimo in termini di un aumento della disoccupazione e del disagio sociale».

7. PERCHÉ LA GERMANIA CE LO HA DETTO CHIARO E TONDO 
6 Maggio 2014: la tedeschina Ska Keller - leader dei verdi - viene intervistata in televisione su Rai 3. Queste le sue testuali parole: «Se la Germania lasciasse l'euro perderebbe moltissimi posti di lavoro nel settore delle esportazioni perché nessuno comprerebbe più i prodotti carissimi tedeschi». Theo Waigel, ex ministro delle finanze tedesco (10 luglio 2016): «Se la Germania oggi uscisse dall'Unione Monetaria allora avremmo immediatamente, il giorno dopo, un apprezzamento tra il 20 per cento ed il 30 per cento del marco tedesco che tornerebbe nuovamente in circolazione. Chiunque si può immaginare che cosa significherebbe per le nostre esportazioni, per il nostro mercato del lavoro, per il nostro bilancio federale. Invece con un'uscita dall'euro ed un taglio netto del debito la crisi interna italiana finirebbe di colpo». Più chiaro di così.

8. PERCHÉ FAMOSISSIMI ECONOMISTI CE LO HANNO DETTO CHIARO E TONDO 
Sul testo "Macroeconomia" scritto da Rudiger Dornbush e Stanley Fischer si sono formati milioni di studenti di tutto il mondo. In un articolo pubblicato sulla prestigiosa rivista Foreign Affairs, Dornbusch venti anni fa scriveva: «Abolendo gli aggiustamenti del tasso di cambio l'Euro finirà per scaricare sul mercato del lavoro il compito di adeguare la competitività ed i prezzi relativi. Diventeranno preponderanti recessione, disoccupazione e pressioni sulla Banca centrale europea affinché inflazioni l'economia. Una volta entrata l'Italia con una valuta sopravvalutata si troverà di nuovo alle corde come nel 1992, quando venne attaccata la lira». Un'ulteriore conferma arriva addirittura da uno studio finanziato dalla Commissione dell’Unione europea a firma degli economisti Lars Jonung ed Eoin Drea. Già il titolo parla da solo: «L’Euro non può essere realizzato. È una pessima idea. Non durerà. Il parere degli economisti americani nel periodo 1989-2002». Nel sommario riassuntivo addirittura leggiamo: «Tutti gli economisti -pur nella diversità di approccio- mostrano un forte scetticismo per un progetto politico che ignora i più elementari fondamenti della scienza economica non essendo l'Europa un'area valutaria ottimale».

9. PERCHÉ GLI STATI UNITI D'EUROPA SONO UN PROGETTO ANTISTORICO E FALLIMENTARE 
Nel 1940 gli Stati indipendenti e sovrani al mondo erano in tutto 69. Nel 2015 erano saliti a 205. In 75 anni il numero è quasi triplicato. A chi dice che gli Stati Uniti d'Europa sono un progetto che asseconda la storia noi rispondiamo quindi numeri alla mano che è l'esatto contrario (Cia factbook). E non è neppure vero che l'unione faccia la forza. Chiunque sostenga che la creazione dell'Unione Monetaria risponda all'obiettivo di rafforzare l'intero blocco si scontra con la cruda realtà dei numeri. La quota di Pil mondiale dell'eurozona nel 1999 era pari al 22 per cento oggi è il 17 per cento. (Fmi).

10. PERCHÉ NON POTREMO MAI CREARE GLI STATI UNITI D'EUROPA 
È un mantra ricorrente. Ossessivo e compulsivo. «La globalizzazione incombe. Impone sfide che i singoli Stati nazionali da soli non potrebbero affrontare. Abbiamo una moneta in comune? Bene andiamo avanti e facciamo gli Stati Uniti di Europa». 
Ma è veramente. questa, una prospettiva concreta e razionale? È vero, i cinquanta Stati a stelle e strisce condividono come moneta il dollaro come gli Stati dell'eurozona condividono l'euro. Ma le somiglianze finiscono qui. Gli Stati Uniti d’America, infatti, hanno in comune la stessa lingua. Quando il Presidente eletto degli Usa parla lo comprendono in Florida e nel Wisconsin. Immaginatevi la scena di un ipotetico presidente degli Stati Uniti d'Europa che parla a reti unificate. Il suo discorso dovrebbe essere tradotto o sottotitolato in altre diciassette lingue. E che razza di campagna elettorale potremmo mai avere con queste barriere linguistiche? L'assenza delle quali -ricordiamolo- consente al disoccupato del poverissimo stato del Mississippi (il cui Prodotto interno lordo è grosso modo quello dell'Ecuador) di poter agevolmente emigrare e trovare lavoro in Texas (il cui reddito è pari a quello dell'Australia). E voi pensate forse che un dentista disoccupato di Salonicco possa agevolmente esercitare la propria attività a Riga? E sempre negli Stati Uniti d'America esiste un bilancio federale che si fa carico di trasferimenti dalla California all'Alabama senza che a quest'ultima vengano imposte deliranti "riforme strutturali" in cambio di trasferimenti finanziari. Tutte cose che in Europa non solo non abbiamo ma neanche avremo mai; perché altrimenti le vedremmo già realizzate. E che - se comunque fatte - non agevolerebbero certamente lo sviluppo degli stati sussidiati come del resto dimostra l'esperienza plurisecolare del nostro Mezzogiorno. 
Ricapitolando: gli Stati Uniti costituiscono un'area valutaria ottimale non perché condividono il dollaro ma perché hanno in comune una lingua, quindi la mobilità del fattore lavoro ed anche un bilancio federale unico. L'Unione Monetaria Europea manca di tutto questo. 

11. PERCHÉ NON È VERO CHE USCIRE DA UN'UNIONE MONETARIA SAREBBE UNA CATASTROFE 
È un classico, come l'agnello a Pasqua o il Panettone a Natale. «Se entrare nell'euro è stato un errore, uscirne sarebbe letale». E con queste parole è morta lì. Ma è veramente così? Il Centro Studi Oxford Economics ha condotto nel 2015 un accurato studio evidenziando come dal 1945 ad oggi «oltre settanta Stati hanno sperimentato uscite da unioni monetarie». In media una ogni anno. E non è neppure vero che tali disgregazioni monetarie siano state accompagnate da conseguenze economiche disastrose. Tutt'altro. Dal momento che lo studio rileva che in oltre «due casi su tre si è registrato un tasso di crescita fin dall'anno in cui un il Paese di turno ha lasciato l'Unione con un valore mediano pari al 2,7%». 

12. PERCHÉ NON È VERO CHE USCIRE DALL'EURO SIGNIFICHI USCIRE DALL'UE 
Vi sono Paesi quali, ad esempio, la Svezia, l'Ungheria, la Danimarca ecc. che pur non avendo l'euro fanno comunque parte dell'Unione Europea e guarda caso stanno meglio. Una rielaborazione del Centro Studi Unimpresa sui dati della Banca d'Italia mostra che nel periodo 2008-2015 i Paesi dell'eurozona hanno perso 3,238 milioni di posti di lavoro mentre quelli dell'Unione con propria moneta nello stesso periodo di tempo hanno creato 1,068 milioni di posti di lavoro. L'Eurozona è un'autentica macchina di distruzione del lavoro. 

13. PERCHÉ COMUNQUE NON È VERO CHE USCIRE O NON FAR PARTE DELL'UNIONE EUROPEA SIGNIFICHI NON AVERE ACCESSO AL MERCATO CONTINENTALE 
Vi sono Paesi quali la Norvegia, l'Islanda, il Liechtenstein e la Svizzera che hanno stipulato da tempo accordi per la partecipazione al mercato interno che disciplina la libera circolazione delle merci, dei servizi e dei lavoratori all'interno del cosiddetto Spazio Economico Europeo (di cui fanno parte questi Paesi assieme all'Unione Europea). Ora toccherà alla Gran Bretagna negoziare un accordo che preveda l'uscita dall'Unione Europea nel rispetto dell'esito del referendum del 23 giugno 2016. E sono già tantissimi gli osservatori che prevedono l'adozione del cosiddetto "modello Norvegia" da parte del Regno Unito.

14. PERCHÉ FUORI DALL'UNIONE EUROPEA SI STA COMUNQUE MEGLIO 
Mentre i Paesi senza euro ma dentro l'Ue stanno meglio dei cugini che hanno scelto la moneta unica, così i Paesi che stanno fuori dall'Unione vivono molto meglio dei vicini condomini dell'Unione Europea. Il Pil pro-capite medio dell'Efta (l'accordo di libero scambio fra Norvegia, Liechtenstein, Islanda e Svizzera) è infatti pari a 62.534 dollari, mentre quello dell'Unione Europea è pari a 37.800 dollari. In altre parole un cittadino dell'Unione mediamente guadagna il 60 per cento del cugino che sta fuori. I dati sono riferiti al 2015 (Fonte Cia factbook). A riprova di quanto detto sia l'Islanda che la Svizzera hanno di recente ufficialmente abbandonato il progetto di adesione all'Unione Europea. Un tempo si facevano carte false per entrare nell'Unione, ora se puoi la eviti.

15. PERCHÉ NON È VERO CHE ABBANDONANDO L'EURO TORNEREMO AI VECCHI MILIONI E MILIARDI 
Sono in molti quelli che spesso - in cattiva o buona fede - fanno confusione fra tasso di conversione e tasso di cambio. L'Italia uscendo dell'euro potrà scegliere di convertire la propria nuova moneta con un tasso di conversione "convenzionale" rispetto all'euro. Cioè frutto di una deliberata scelta tecnica. Può essere 1 lira per ogni euro e quasi sicuramente così sarà per semplicità. Dopodiché il prezzo della lira sarà libero di fluttuare nel mercato valutario e quasi sicuramente svaluterà del 20 per cento - 30 per cento circa rispetto alle altre monete. Questo è il cosiddetto tasso di cambio. Ma ciò non deve destare preoccupazione. Per caso qualcosa nella vostra vita è drammaticamente cambiato da quando l'euro ha pesantemente svalutato rispetto al dollaro? Due anni fa con un euro acquistavamo 1,35 dollari mentre oggi ne acquistiamo 1,10 circa. Ovviamente nulla è cambiato nella vita quotidiana di ciascuno di noi per il semplice motivo che non facciamo la spesa al supermercato di Cleveland.

16. PERCHÉ NON È VERO CHE SVALUTARE NON SERVE A NIENTE 
Dopo la conversione la nostra nuova moneta si svaluterà rispetto alle altre. Raggiungerà cioè il giusto prezzo di mercato di mercato rispetto alle altre valute. Tutti i più importanti economisti sono concordi nello stimare il riallineamento in misura pari ad una svalutazione del 20 per cento - 30 per cento. In considerazione dei diversi livelli di prezzo relativo fra le varie economie. Sarà più conveniente per gli stranieri acquistare il Made in Italy, fare le vacanze nel Bel Paese o mettere su una fabbrica da noi. E sarà simmetricamente più costoso per gli italiani acquistare prodotti stranieri, fare le vacanze all'estero o delocalizzare la produzione. Ma per un Paese come l'Italia che vive di manifattura e turismo si aprirebbero enormi opportunità di crescita. Tutto ciò che purtroppo oggi è precluso da una moneta artificialmente troppo forte per la nostra economia.

17. PERCHÉ NON È VERO CHE SE TORNASSIMO ALLA LIRA SAREMMO TRAVOLTI DALL'IPERINFLAZIONE O DALL'INFLAZIONE 
È questa una delle più ricorrenti mistificazioni. L'Italia sarebbe devastata da una terribile iperinflazione. Innanzitutto partiamo dalla sua definizione. Si parla convenzionalmente di iperinflazione quando il tasso di incremento dei prezzi supera l'1 per cento al giorno o, alternativamente, il 50 per cento in un mese. Il Centro Studi americano Cato Institute ha catalogato e studiato oltre 50 casi di iperinflazione avvenuti nella storia contemporanea fino ai giorni nostri. Tutti sono accomunati da uno o più fenomeni di straordinaria ed eccezionale gravità quali in particolare: (a) conflitti internazionali; (b) devastanti guerre civili interne; (c) instaurazione di regimi totalitari con conseguente adozione di scriteriate e non ragionate politiche economiche; (d) traumatica trasformazione dei modelli economici con successivo passaggio degli stessi da sistemi di mercato a regimi pianificati di tipo socialista o viceversa. Niente a che vedere con la situazione italiana. Quanto ai più tenui timori di inflazione, anche qui occorre fare chiarezza. L'inflazione altro non è che l'aumento generalizzato dei prezzi al consumo dovuto ad surriscaldamento della domanda. Detto in soldoni la gente lavora, ha i soldi in tasca, acquista e quindi i prezzi crescono. Non è un caso che disoccupazione ed inflazione siano inversamente correlate. Più una è alta, più l'altra è bassa. Detta relazione è stata modellizzata dall'economista neozelandese Phillips. Svalutazione e inflazione sono invece fenomeni scorrelati. 
Ne volete una prova diretta e recente? Negli ultimi sette mesi il prezzo del petrolio è aumentato di quasi il 50 per cento sia in dollari che in euro. Una svalutazione mostruosa. Ebbene: vi risulta per caso che gli italiani stiano tutti andando in giro a cavallo? In sintesi: l'inflazione è direttamente correlata all'occupazione e non alla svalutazione.

18. PERCHÉ NON È VERO CHE SENZA L'EURO I RISPARMI SI DIMEZZEREBBERO 
Se vuoi impaurire una persona devi colpirla negli affetti più cari. Il risparmio. Che come sapete può essere investito in molti modi: case, azioni, obbligazioni, oro ecc. E non è certo cambiando la moneta che perderebbero mercato. È solo grazie alla ripresa o alla stagnazione che il valore del risparmio sale o scende. Anzi è proprio con l'euro che in Italia i risparmiatori hanno visto andare in fumo i risparmi di una vita grazie al bailin (anzi Belin! come si dice a Genova). Ne sanno qualcosa gli obbligazionisti di Banca Etruria & C.

19. PERCHÉ NON È VERO CHE SENZA L'EURO I MUTUI ANDREBBERO ALLE STELLE 
Le strategie del terrorismo sulla moneta unica passano con grande spregiudicatezza dai risparmi ai mutui. Il mutuo viene convertito in lire e la sua rata andrebbe alle stelle. Come se con il passaggio dalla lira all'euro questa si fosse dimezzata. Facciamo chiarezza. Il tasso del mutuo non è indicizzato alla valuta. Il debitore deve solo temere la perdita del posto di lavoro, senza il quale non avrà fondi a sufficienza per rimborsare il mutuo. Situazione purtroppo tipica in cui si trovano oggi i molti disoccupati italiani. Circa tre milioni. Aumentati di oltre un milione rispetto al 2004 (Fonte Istat). Provate a pagare il mutuo da disoccupati, in euro o in lire la cosa non cambia.

20. PERCHÉ NON È VERO CHE È TUTTA COLPA DELLA SPESA PUBBLICA 
La spesa pubblica (assieme ai consumi delle famiglie, agli investimenti delle imprese ed alle esportazioni nette) è una delle componenti del Prodotto interno lordo. Non si vede come la sua semplice riduzione possa determinare un aumento del reddito nazionale. Certamente potremmo meritoriamente utilizzare i risparmi di spesa per abbassare le tasse. Giusto. Ma avremmo comunque effettuato soltanto un'operazione di redistribuzione fiscale. E non si vede come ridurre lo stipendio al segretario comunale per incrementare lo stipendio di un creativo pubblicitario possa alimentare la domanda aggregata. La verità è che quando la crisi economica morde due sono i modi per uscirne: spendere di più e tassare di meno. Ecco, noi in Italia dall’arrivo del professor Mario Monti alla presidenza del Consiglio in poi stiamo facendo invece l'esatto opposto: spendere di meno e tassare di più. E non è neppure vero che l'Italia sarebbe malata di eccessiva spesa pubblica, dal momento che l'incidenza media della spesa primaria (esclusi cioè gli interessi) sul Prodotto interno lordo nel periodo 1999-2012 è stata pari al 40 per cento circa, contro una media del 41 per cento dell'eurozona (Fmi). 


21. PERCHÉ NON È VERO CHE TUTTA COLPA DEL DEBITO PUBBLICO 
Chi dice tutto questo, sia chiaro, non siamo noi, ma addirittura il Vice Presidente della Banca centrale europea Vitor Constancio in una famosa conferenza tenuta ad Atene il 23 maggio 2013 in cui spiega a chiare lettere come il debito pubblico non sia mai la causa bensì la conseguenza di squilibri di finanza privata. Come altrimenti spiegarsi la crisi di Paesi come Spagna, Portogallo o Irlanda che nel 2007 avevano livelli di debito pubblico rispetto al Prodotto interno lordo rispettivamente pari al 36 per cento, al 68 per cento ed al 25 per cento mentre il debito privato era cresciuto nel periodo 1999-2007 (dall'introduzione dell'euro fino allo scoppio della crisi) rispettivamente del 75 per cento, del 49 per cento e del 101 per cento? Per non parlare del Giappone che con un debito del 240 per cento del Prodotto interno lordo registra una disoccupazione giovanile del 4 per cento. Vero è piuttosto che il debito pubblico è la conseguenza della crisi, dal momento che alla fine tocca sempre al contribuente farsi carico degli oneri di salvataggio del sistema bancario.

22. PERCHÉ NON È VERO CHE IL NOSTRO DEBITO PUBBLICO DOVREMMO COMUNQUE RIPAGARLO IN EURO 
Perché oltre il 96 per cento del debito pubblico - stando alle statistiche del Ministero del Tesoro - è emesso e disciplinato dalla legge italiana. E quindi in caso di uscita dalla moneta unica verrebbe convertito in valuta domestica ai sensi degli articoli 1277 e seguenti del Codice Civile (la cosiddetta Lex Monetae). Gli investitori esteri che hanno Titoli di Stato subiranno certo una perdita dovuta al rischio di cambio in caso di svalutazione della lira. Niente di drammatico. Come nulla è successo quando gli investitori stranieri che avevano in portafoglio titoli di stato britannici hanno visto svalutare la sterlina. E lo stesso dicasi per il gli investitori americani che avevano in portafoglio titoli di stato italiani o tedeschi a seguito della pesante svalutazione dell'euro rispetto al dollaro.

23. PERCHÉ NON È VERO CHE FAREMO LA FINE DELL'ARGENTINA 
Pur di impaurire e terrorizzare la gente, gli euroinomani sono soliti sproloquiare che faremo la fine dell'Argentina in caso di uscita dell'euro. Chi non ricorda il più grande default sovrano della storia? Ebbene quasi tutti trascurano che il debito pubblico argentino al momento del default era grosso modo pari al 45 per cento del Prodotto interno lordo. Come si spiega quindi la successiva rovinosa caduta? Semplicemente con il fatto che questo debito era stato contratto in dollari Usa (cioè una valuta straniera). E si dà il caso che l'Argentina non possa stampare dollari alla bisogna per far fronte a questo debito. Illuminanti le parole dell'ex governatore della Federal Reserve Greenspan che risponde ad un preoccupato giornalista della Cnbc: «Gli Usa possono rimborsare qualsiasi debito in quanto possiamo stampare valuta per pagarli. La probabilità di default è ZERO». Non è quindi la quantità di debito pubblico a determinare la maggiore o minore probabilità di default ma la possibilità o meno di coniare la moneta con cui il debito viene rimborsato. Ed è così che che l'Argentina indebitata in dollari ma "virtuosa nei conti" va in default ed il Giappone no.

24. PERCHÉ NON È VERO CHE NEPPURE I PAESI DEL SUD EUROPA NON VOGLIONO USCIRE DALL'EURO 
Si dice spesso che Paesi come Grecia, Irlanda e Spagna anche nei momenti più acuti della loro crisi mai hanno accarezzato l'idea di lasciare l'Unione Monetaria. Intanto si consideri che nel luglio 2015 gli elettori greci hanno con un referendum sonoramente bocciato i "piani di salvataggio" elaborati dalla Troika (Banca centrale europea, Commissione europea e Fondo monetario internazionale). inoltre si tenga conto del fatto che tutti questi Paesi hanno ricevuto corposi finanziamenti dagli altri cugini europei affinché rimborsassero con questi soldi i prestiti incautamente erogati loro dalle banche francesi e tedesche. Ad esempio nel luglio 2015 per impedire alla Grecia di uscire dall'Unione Monetaria è stato accordato un finanziamento per complessivi 86 miliardi di euro. Quasi il 50% del Pil. Insomma, se li sono comprati per farli rimanere nell' euro, ovviamente con i soldi nostri. 

25. PERCHÉ NON È VERO CHE SE LA BCE SI COMPORTASSE COME LA FED RIUSCIREMMO A SUPERARE LA CRISI RIMANENDO NELL'EURO 
Sono in molti a sostenere che la Bce dovrebbe essere come la Fed (la Banca Centrale degli Stati Uniti d’America) che fra i suoi obiettivi principali non ha soltanto il controllo della stabilità dei prezzi ma anche la crescita occupazionale. Ma in realtà tutto ciò che una Banca Centrale può fare in caso di crisi è abbassare i tassi di interesse e stampare nuova moneta per "annaffiare l'economia". E questo è ciò che la Banca centrale Europea sta già facendo da tempo. Come rileva una rielaborazione del Centro Studi Unimpresa, nel periodo 2013-2016 le banche italiane hanno raccolto un importo lordo di 859 miliardi. Quasi un terzo del totale messo a disposizione da Draghi per tutte le banche europee. Ma nello stesso periodo i crediti ad imprese e famiglie sono diminuiti di 15 miliardi. Keynes - del resto - era solito ricordare ai suoi alunni che «la politica monetaria è come una corda. Buona per tirare ma inutile per spingere». Fuor di metafora, aumentando i tassi di interesse o drenando moneta dall'economia si raffredda il ciclo economico. Ma viceversa no. Se il cavallo non beve puoi dargli tutta l'acqua che vuoi. Sarà semplicemente sprecata.

26. PERCHÉ NON È VERO CHE L'UE PROTEGGE LE NOSTRE BANCHE 
Era il 19 dicembre 2013 e l'allora Presidente del Consiglio Letta così festeggiava: «Finita ora la sessione del Consiglio Europeo. Approvata la Banking Union. Per tutelare i risparmiatori ed evitare nuove crisi. Buon passo verso una Unione europea più unita». Parole che alcuni obbligazionisti di Banca Etruria, Cariferrara, Carichieti e Banca Marche troveranno a dir poco incaute e beffarde 23 mesi più tardi. Ma l'applicazione della direttiva sul bailin ha avuto conseguenze devastanti anche sull'intero sistema bancario. Basti pensare che il comparto delle banche quotate a Piazza Affari ha registrato pesantissime perdite passando da un valore di borsa di 130 miliardi a Novembre 2015 ad uno di 59 miliardi a Giugno 2016. Completamente rovesciato e sovvertito il funzionamento del sistema bancario: dai risparmiatori che finanziano le banche con l'implicita garanzia della Banca Centrale a quest'ultima che le tiene in piedi grazie a copiosi finanziamenti garantiti dagli incolpevoli risparmiatori.

27. PERCHÉ NON È VERO CHE È TUTTO E SOLTANTO COLPA DELLA CATTIVA GESTIONE DELLE NOSTRE BANCHE 
Al netto di deprecabili episodi di "mala gestio" sui quali sta indagando la magistratura, la crisi delle nostre banche non può essere confinata a semplici episodi di cronaca giudiziaria. L'economista Lars Christensen estensore del blog Market Monetarist rileva che se la crescita del Pil nominale non si fosse arrestata ed invertita in maniera così acuta a partire dal 2008 oggi non staremmo a parlare di una crisi bancaria italiana. Nessuna bolla speculativa prima del 2008 e neppure indizi che le banche italiane fossero state particolarmente irresponsabili. Anche la banca più prudente finirebbe nei guai non appena il Pil nominale scendesse di un quarto del suo valore. Cosa che di fatto è successa in Italia a partire dal 2008. 
Tutto spiegato da quella che Christensen chiama la "morte incrociata"; da una parte il Pil nominale italiano che nel periodo 2008-2015 crolla di un quarto del suo valore; dall'altro l'esplosione dei crediti deteriorati che in pratica triplicano passando dal 4% al 12% del Pil.

28. PERCHÉ NON È VERO CHE BASTEREBBE METTERE LE BANCHE IN CONDIZIONI DI RECUPERARE PIÙ VELOCEMENTE I CREDITI DETERIORATI PER RILANCIARE L'ECONOMIA 
Il Ministero dell'Economia e delle Finanze annuncia nel Maggio 2016 che grazie alle misure approvate per velocizzare le procedure esecutive le banche disporranno di maggiori spazi per l'erogazione del credito. Il punto è: rilanciare la domanda interna per rendere più semplice il rimborso del debito da parte delle imprese debitrici oppure "spezzare i mignolini subito subito a chi non paga" senza tante storie o lungaggini burocratiche? Il Governo italiano in ossequio ai diktat europei non ha avuto alcun dubbio in proposito. Ma è solo rilanciando l'economia che i debitori rimborsano i prestiti e le banche malate guariscono.

29. PERCHÉ NON È VERO CHE L'EURO PROTEGGE LA NOSTRA INDUSTRIA 
Chiunque pensasse che l'Ue abbia protetto o rafforzato la nostra industria deve purtroppo misurarsi con la cruda realtà dei fatti. La quale dimostra che l'indice di produzione industriale è salito da un livello di circa 85 nel 1984 per arrivare ad un massimo di 120 nel 2008 e quindi ritornare intorno a 91 nel 2015. L'incapacità di reagire a shock esterni attraverso il riallineamento del cambio della moneta nei confronti dei nostri principali competitor europei ha cioè spostato le lancette dell'orologio di nuovo intorno agli anni 90. I dati sono frutto di una rielaborazione dei numeri Ocse effettuato dalla Federal Reserve di St. Louis.

30. PERCHÉ NON È VERO CHE GLI ALTRI SONO EFFICIENTI, INVESTONO IN RICERCA E SVILUPPO E LE NOSTRE IMPRESE NO 
Le argomentazioni di denigrazione non mancano anche riguardo alle nostre imprese. «Non hanno fatto abbastanza in termini di efficientamento e di ricerca e sviluppo» è il mantra ricorrente. «Lo avessero fatto oggi le nostre imprese sarebbero competitive ed esporterebbero di più». Ricordiamoci che l'euro è per la Germania un marco svalutato che aiuta ad esportare, vendere, incassare e in queste situazioni fare innovazione è molto più semplice che non quando devi affrontare pesanti crisi di domanda interna oppure Equitalia ti notifica una cartella da pagare mentre la banca ti chiede di rientrare immediatamente nel fido. Ma pur fra queste mille difficoltà il sistema manifatturiero rimane comunque uno dei più competitivi al mondo. Non sappiamo ancora per quanto.

31. PERCHÉ NON È VERO CHE L'EUROPA MIGLIORA LA QUALITÀ DELLA VITA DEI CONSUMATORI 
Un luogo comune è: l'Europa ha in generale migliorato la qualità della vita di ogni cittadino tranne il fatto che non ha per ora dimostrato di avere concordato alcunché in merito alla realizzazione di opportune azioni di politica economica atte a rimuovere le cause della crisi. A parte che ci verrebbe da dire "hai detto scansati!". Ma sinceramente non si capisce in quale misura gli sconcertanti regolamenti europei possano avere migliorato la qualità della vita dei consumatori o delle nostre imprese.
Cogliamo fior da fiore alcuni regolamenti Ue decisamente emblematici: c'è quello che disciplina la lunghezza minima delle banane (almeno 14 cm) o quello che impedisce la messa in vendita di fave con meno di tre piselli all'interno (sempre in tema!); quello che stabilisce che le vongole debbano avere un diametro non inferiore ai 25 mm per arrivare a quello che disciplina il raggio di curvatura del cetriolo; dai carciofi con sezione equatoriale non inferiore a 6 cm (altrimenti non commestibili?!?) alla cipolla con diametro che deve essere non inferiore ai 10 centimetri. L'ex ministro Giulio Tremonti in una intervista a Libero ha rivelato che se mettessimo in fila le oltre 32.000 pagine di Gazzetta Ufficiale Europea pubblicate nel 2015 arriveremmo a coprire la distanza record di oltre 151 km lineari.

32. PERCHÉ NON È VERO CHE SE I PREZZI CALASSERO NOI SAREMMO A POSTO 
C'è pure chi magnifica la deflazione perché una diminuzione del livello dei prezzi aumenterebbe, secondo loro, il potere di acquisto dei salari. Niente di più stupido. In contesti deflattivi i consumatori rimandano le scelte di consumo (aspettando che i prezzi calino ancora). Le imprese vendono di meno, rimandano gli investimenti e licenziano. Andate a spiegare al lavoratore disoccupato quanto è bello avere i prezzi stabili o in calo se il suo reddito è zero. Ovviamente il circolo vizioso si autoalimenta in una terribile spirale. Meno salari, meno vendite, meno investimenti, meno produzione, ancora più licenziamenti eccetera. Esattamente ciò che stiamo sperimentando ora. La nostra domanda è semplice: è meglio avere gente che lavora e consuma alimentando l'inflazione o il terribile circolo vizioso della deflazione?

33. PERCHÉ NON È VERO CHE UN SINGOLO STATO NAZIONALE NON PUÒ AVERE TUTTE LE NECESSARIE LEVE PER REAGIRE AD UNO SHOCK ECONOMICO ESTERNO 
È un altro luogo comune con cui si intende giustificare l'assoluta necessità di delegare potere a Bruxelles. Niente di più falso. Basta vedere come la Gran Bretagna ha reagito al crack Lehman Brothers nel 2008. Crollo dei mercati finanziari. Cui segue una consistente svalutazione della sterlina. Politica fiscale espansiva ed un deficit/Pil crescente. Con la Banca Centrale che inizia ad acquistare i titoli di stato emessi da Sua Maestà. Il bilancio della Banca d'Inghilterra che si gonfia grazie alla politica monetaria accomodante. Conseguente crescita del rapporto Debito/Pil. E il Prodotto interno lordo? Inizia a crescere costantemente fin dal 2009. Ecco in proposito le parole rilasciate dall'ex premier islandese Gunnlaughsson in una recente intervista al Telegraph: «Non avere l'euro è stato essenziale per riprenderci velocemente dalla crisi. Se avessimo avuto la moneta unica o comunque fossimo stati parte dell'Unione Europea oggi avremmo fatto la fine della Grecia».

34. PERCHÉ NON È VERO CHE CON UNA SUPERPOTENZA COME LA CINA È IMPOSSIBILE COMPETERE PER UN SINGOLO STATO NAZIONALE 
Lo spettro della Cina viene costantemente evocato per giustificare la necessità di creare un Superstato Europeo. Ovviamente è una mistificazione sesquipedale. Basti vedere ciò che ha fatto la Corea del Sud. Oltre ad essere il Paese Ocse con il tasso di disoccupazione più basso del mondo (sotto al 4 per cento) la Corea nel periodo 1999-2014 ha visto aumentare la propria quota di Prodotto interno lordo mondiale dall’1,5 per cento all1,8 per cento circa finendo per quasi raddoppiare il proprio reddito. Ed ha la Cina li a due passi.

35. PERCHÉ NON È VERO CHE L'ITALIA DA SOLA NON CE LA FACEVA 
Ovviamente niente di più falso in quella retorica che dipinge un’Italia di operetta con la sua povera lira. Tutt'altro. L'Italia è dal 1976 che fa parte del G6 (i sei grandi). Che poi sarebbero diventati 7 con l'ingresso del Canada. 
Illuminanti le riflessioni di Giuseppe Guarino nel suo intervento "Il lungo e sorprendente miracolo italiano": «Nel periodo 1945-1980 l'Italia è stato il primo - non il secondo il primo - Paese al Mondo per tasso medio di crescita annuo. Se si considera anche il decennio 1980-1990 l'Italia è seconda al mondo solo dietro la Germania».

36. PERCHÉ NON È VERO CHE SENZA L'EURO SAREMMO MENO AFFIDABILI 
Premessa doverosa: non metteteci nel gruppo di coloro che ritengono che il giudizio di affidabilità delle agenzie di rating sia Vangelo, anzi tutt'altro. Ciò non toglie che nel 1996 (ultimo anno in cui l'Italia ha operato con un cambio flessibile) l'Italia aveva un rating AA da parte di Standard and Poor’s. Un giudizio lusinghiero quasi di massima affidabilità. Mentre oggi il voto è BBB-. Qualora detto voto fosse abbassato anche di un solo piccolo scalino, il debito dell'Italia sarebbe catalogato come "spazzatura".

37. PERCHÉ NON È VERO CHE BASTEREBBE «PIÙ EUROPA» PER RISOLVERE I PROBLEMI 
Dire «ci vuole più Europa» equivale a dire una fesseria. In uno Stato unico le regioni ricche sussidiano quelle povere. E i tedeschi mai e poi mai si sognerebbero di fare trasferimenti in favore dei greci, dei portoghesi, degli italiani e degli spagnoli. E se anche lo volessero ci dovremmo opporre con forza noi a questa soluzione. 
Lo abbiamo visto col nostro Mezzogiorno. I sussidi creano malcostume e criminalità vanificando ogni sforzo imprenditoriale. 

38. PERCHÉ NON È VERO CHE «SBATTENDO I PUGNI SUL TAVOLO» RISOLVEREMMO I NOSTRI PROBLEMI 
A parte il fatto che a forza di sbattere questi pugni, il tavolo dovrebbe essersi ormai rotto. Ma come diceva Sun Tzu nell'arte della guerra ogni battaglia è vinta prima di essere combattuta. 
Il Centro Studi a/simmetrie ha accuratamente mappato l'esercito tedesco attualmente stanziato nelle file dell'eurocrazia di Bruxelles pronto a fare gli interessi della Germania e non il nostro. Dodici potentissimi funzionari teutonici sconosciuti al grande pubblico, ma che hanno un potere decisionale enorme. Sono a capo delle segreterie più rilevanti: dalla concorrenza alla commissione Ue; dal Consiglio Ue all'Eurogruppo; dall'Unione bancaria agli affari economici. Tutti i posti chiave sono occupati da tedeschi o da amici di tedeschi. 

39. PERCHÉ NON È VERO CHE I PROBLEMI SONO SOLO ITALIANI E NON EUROPEI 
L'argomentazione in base alla quale l'Italia soffra di problemi interni specifici rispetto all'Europa è una nuova ennesima fesseria che non trova riscontro nei numeri. Osservando l'elenco dei Paesi Ocse riportati in ordine decrescente per tasso di disoccupazione si scoprono cose illuminati. I primi dieci Paesi sono quelli che hanno la disoccupazione più alta. Per intendersi a doppia cifra. Ebbene nove di questi Paesi su dieci con disoccupazione superiore al 10 per cento hanno una cosa in comune. La moneta. Abbiamo Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna (i famigerati PIIGS). Non ci facciamo mancare pure Slovenia e Slovacchia. E, per finire, i nostri cugini d'oltralpe - la Francia - assieme ai vichinghi della Finlandia.

40. PERCHÉ NON È VERO CHE L'UE È UNA BARRIERA CONTRO LA POVERTÀ 
L'Europa doveva essere un progetto di libertà e prosperità. I numeri purtroppo dicono che i poveri in Italia sono aumentati in maniera esponenziale. Nel 2005 gli italiani in situazione di povertà assoluta erano 1,9 milioni. Nel 2015 quasi 4,6 milioni (rilevazione dati Istat). La situazione della Grecia è per certi versi ancor più drammatica ed agghiacciante. La banca di Grecia e la rivista scientifica The Lancet riportano in proposito numeri inequivocabili. La mortalità infantile è aumentata di quasi il 50 per cento passando dal 2,65 per cento del 2008 al 3,75 per cento nel 2014 mentre oltre 800.000 persone si stima che non abbiano più accesso alle cure mediche di base.

41. PERCHÉ NON VERO CHE L'AUSTERITÀ PAGA 
In questi anni la Grecia è stata oggetto dei più feroci ed insulsi esperimenti di politica economica mai concepibili. Il tutto è stato pure giustificato con affermazioni risibili del tipo: «i greci hanno truccato i conti»; «hanno sperperato denaro in apparati pubblici improduttivi» ovvero «sono pigri e lazzaroni». 
C'è del vero nel fatto che i conti pubblici siano stati oggetto di manipolazione e che il tessuto manifatturiero ellenico sia di fatto inesistente. Ma ciò rende ancor più deprecabile il sadismo delle torture cui il popolo e l'economia della Grecia sono stati sottoposti in questi ultimi anni dalla Troika; peraltro con risultati sconcertanti. La Commissione Europea - ad esempio - riportava nel luglio 2015 che la spesa primaria annua (esclusi cioè gli interessi sul debito) sia stata tagliata da 110 a 81 miliardi nel periodo 2008-2014. Una sforbiciata del 26 per cento circa. La disoccupazione è nel frattempo salita dal 7,8 per cento al 26,5 per cento. Cioè è più che triplicata. 
Giusto per darvi un'idea dell'ordine di grandezza di questa follia, è come se l'Italia fosse arrivata a tagliare la spesa pubblica primaria annua di quasi 200 miliardi di euro. In pratica cancellando tutto il Servizio Sanitario Nazionale, mandando a casa medici, infermieri ed impiegati, chiudendo tutti gli ospedali e non garantendo più alcun farmaco ai nostri assistiti, dovremmo ancora trovare dagli 80 ai 90 miliardi di euro per raggiungere l'incredibile cifra di 200 miliardi di euro. Viceversa l'esperienza di Paesi quali Stati Uniti d’America, Giappone e Regno Unito dimostra che arrivare a livelli di deficit di bilancio fra l'8 per cento ed il 10 per cento nei momenti di crisi -grazie anche agli investimenti pubblici ed alle minori tasse - aiuta l'economia a ripartire.

42. PERCHÉ NON CI DOBBIAMO FIDARE DELLE PREVISIONI DI ORGANISMI QUALI IL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE 
Quando gli euroinomani citano a supporto delle proprie narrazioni le previsioni del Fmi (non i dati consuntivi come facciamo noi) iniziate pure a ridere. Non ne hanno mai azzeccata una. Nel 2010 il Fondo Monetario prevedeva che il Prodotto interno lordo del 2015 della Grecia sarebbe stato pari a 260 miliardi di euro. Nel 2011 invece scrisse che sarebbe stato intorno a 230 miliardi di euro; nel 2012 prevedeva infine che sarebbe stato intorno a 220 miliardi di euro per poi "arrotondare" questa cifra a 195 miliardi. Il Pil greco nel 2015 si è attestato comunque intorno ai 180 miliardi cioè oltre il 30% in meno rispetto a quanto prevedeva cinque anni prima (fonte The Telegraph).

43. PERCHÉ NON È VERO CHE IL PROBLEMA SONO LE NOSTRE PENSIONI TROPPO ALTE 
Altra balla. Il sistema pensionistico italiano sarebbe fuori controllo. Ma qual è effettivamente lo stato del nostro sistema pensionistico? Esiste una grandezza per determinarne la sostenibilità. Si tratta del cosiddetto debito implicito. Ovvero il debito che lo Stato deve pagare per erogare le future prestazioni previdenziali, sanitarie ed assistenziali secondo quanto previsto dalla legislazione vigente, nell'ipotesi che la legislazione sulla previdenza sociale e sulla sanità pubblica resti invariata in futuro. Ebbene uno studio dell'Università di Friburgo in Germania già nel 2011 rilevava come il nostro sistema pensionistico fosse il più sostenibile in Europa.

44. PERCHÉ L'UNIONE EUROPEA NON È DEMOCRATICA 
L'Unione Europea in generale (e quella monetaria in particolare) tutto sono fuorché democratiche. I cittadini di ben undici Stati membri dell’Unione, non si sono mai potuti esprimere con un voto sull'adesione o meno del proprio Paese all'Europa. Dieci di questi sono anche Paesi che hanno adottato la moneta comune. 
La cosa ancora più inquietante è che tra questi undici ci sono tutti e tre "soci fondatori" dell'Europa, cioè Francia, Germania e Italia. Ma quello che più fa paura è che la Germania, architrave dell'Europa, il Paese che detta la politica economica dell'Unione e che si è assunta il ruolo di contro-potere rispetto alla Banca Centrale Europea, in 44 anni non ha mai permesso ai propri cittadini di votare su nessuna questione che riguardasse temi europei. L'Italia lo ha fatto una sola volta e la Francia tre, una delle quali (adozione del trattato costituzionale) finita con la vittoria dei no.

45. PERCHÉ NON È VERO CHE USCENDO DALL'UNIONE EUROPEA PERDEREMMO I FINANZIAMENTI UE 
È vero l’esatto contrario. Lasciando l'Unione Europea risparmieremmo un sacco di soldi. Per l’esattezza 25 milioni di euro al giorno. Questo è quanto ci costa l'Unione Europea. Dal 2001 al 2014 l'Italia ha versato nelle casse dell'Unione europea 70,9 miliardi di euro in più di quanti ne abbia ricevuti. E questo - sia chiaro - nell'ipotesi che tutti i soldi ricevuti fossero effettivamente spesi. La fonte è la Ragioneria Generale dello Stato. 
A tutto questo si aggiungano i circa 60 miliardi di euro che nel 2014 avevamo prestato in varie forme agli altri Stati dell’Unione europea (la Grecia, l’Irlanda, la Spagna) affinché restituissero i crediti che le banche francesi e tedesche avevano loro incautamente prestato. Crediti che oggi sono in massima parte inesigibili e che avremmo invece potuto prestare alle nostre imprese.
Ergo, in 14 anni sono stati spesi 130,9 miliardi di euro. Cioè, per l’appunto, 25 milioni di euro al giorno. Se uscissimo di sabato dall’Unione europea per rientrare il lunedì dopo risparmieremmo più di quanto il presidente del Consiglio Matteo Renzi sostiene che si possa tagliare con la sua revisione costituzionale del Senato della Repubblica.

46. PERCHÉ NON È VERO CHE NON SAPPIAMO SPENDERE I FONDI CHE L'UNIONE EUROPEA CI ASSEGNA 
Le regole in materia sono talmente demenziali da far pensare che siano state disegnate pur di non far spendere questi soldi. La normativa europea spesso prevede che i fondi assegnati per determinati investimenti (soldi nostri in quanto l'Italia è un "contribuente netto") possano essere spesi solo se gli Enti destinatari cofinanziano la spesa con altri fondi. E le restrittive politiche di bilancio spesso sono di una tale durezza che gli enti possono benissimo non avere la disponibilità dei soldi per cofinanziare l'operazione.
Ma la cosa più incredibile è che talvolta anche riuscendo a racimolare i soldi per miracolo, gli investimenti devono essere comunque rimandati o accantonati pur di rispettare il demenziale vincolo di stabilità interna che obbliga tutta la Pubblica Amministrazione a razionare ogni e qualsiasi spesa pur di rispettare il "sacro" limite del 3 per cento del rapporto tra il deficit e il Prodotto interno lordo.

47. PERCHÉ NON È VERO CHE L'UNIONE EUROPEA HA PORTATO LA PACE 
L'Unione europea nella sua attuale fisionomia è in vita soltanto a partire dal 1993. Prima di lei c’erano state la Ceca (Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio) e poi la Cee. Organizzazioni di Paesi indipendenti e sovrani e non un superstato; soggetti capaci di assicurare decenni di prosperità e pace. 
È vero invece che ogni sforzo di costringere all'unità popoli diversi è finito sempre tragicamente. Si pensi, per fare solo alcuni esempi, ai casi della Yugoslavia e dell'Unione Sovietica. In Europa a partire da Maastricht è cominciato il disastro, o come diceva l’antropologa Ida Magli, la «dittatura europea».

48. PERCHÉ NON È VERO CHE È IMPOSSIBILE USCIRE DALLA UE 
Che l’uscita dalla Unione europea da parte di uno Stato membro sia sempre possibile, lo ha dimostrato, di recente, la Brexit. Ma come funzionano le cose dal punto di vista delle procedure definite dal Trattato di Lisbona? 
L'articolo 50 del suddetto Trattato ha introdotto una particolare procedura "liberatoria". Al primo paragrafo viene riconosciuto che «ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall'Unione». Lo Stato, tuttavia, ha l'onere di notificare tale intenzione al Consiglio Europeo. Alla luce degli orientamenti formulati da quest'ultimo, «l'Unione negozia e conclude con tale Stato un accordo volto a definire le modalità del recesso, tenendo conto del quadro delle future relazioni con l'Unione». L'accordo è, infine, concluso a nome dell'Unione europea, dal Consiglio «che delibera a maggioranza qualificata previa approvazione del Parlamento europeo». 
Secondo l'articolo 50, pertanto, uno Stato che intenda uscire dall'Unione dovrebbe negoziare un accordo con quest'ultima attraverso una procedura che, per giungere ad un esito positivo, richiede non soltanto il consenso del Consiglio Europeo, ma anche l'approvazione da parte del Parlamento Europeo.
Vale la pena, però, notare che il paragrafo 3 prevede che «i trattati cessano di essere applicabili allo Stato interessato a decorrere dalla data di entrata in vigore dell'accordo di recesso o, in mancanza di tale accordo, due anni dopo la notifica di cui al paragrafo 2, salvo che il Consiglio europeo, d'intesa con lo Stato membro interessato, decida all'unanimità di prorogare tale termine». Il recesso non richiede, pertanto, la conclusione dell'accordo previsto dai primi due paragrafi dell’articolo 50: nel caso di fallimento dei negoziati, infatti, i trattati cessano comunque di avere efficacia per lo Stato membro che intenda "uscire" dall'Europa, con il solo limite temporale di due anni dalla notifica dell'intenzione di recedere. 
L'accordo bilaterale, pertanto, non esclude la possibilità di un recesso unilaterale, ma, al contrario, la presuppone. Nei prossimi mesi vedremo quello che succederà in Gran Bretagna.

49. E SE UNO STATO VOLESSE USCIRE SOLO DALL'EUROZONA? 
«Se uno Stato non volesse uscire dalla Unione europea ma soltanto rinunciare all'euro si potrebbe fare?» Vi sono, nell'Unione, Stati che non hanno adottato l'euro, come è noto. Logica vorrebbe, pertanto, che sia certamente possibile restare in Europa uscendo soltanto dalla moneta unica.
Eppure la cosa sembra più complicata di quanto si penserebbe. Mentre, infatti, il Trattato di Lisbona disciplina, all'articolo 50, la procedura di uscita dall'Unione, nessuna disposizione fa riferimento alcuno al recesso dall'Unione Monetaria (così come, del resto, nulla diceva il Trattato di Maastricht a questo proposito). Sembrerebbe quasi che, una volta accettata la moneta, non si possa più neppure tornare indietro. 
Impossibile uscirne, dunque? Secondo alcuni costituzionalisti l'uscita unilaterale per decreto è assolutamente legittima. Secondo altri, invece, proprio in forza del fatto che il sistema europeo è stato disegnato sia con Stati dentro che fuori dalla moneta unica comune, l'uscita dovrebbe essere consentita, quantomeno con un negoziato analogo a quello previsto dall'articolo 50 del Trattato. 

50. PERCHÉ NON È VERO CHE NON È POSSIBILE UN REFERENDUM SU UE E EURO 
Se ne è molto discusso, ma poca chiarezza è stata fatto fino ad oggi. Anzitutto, occorre precisare che dall'Euro l'Italia non potrebbe uscire tramite un referendum abrogativo. Non soltanto, infatti, l'articolo 75 della Costituzione vieta esplicitamente che possa svolgersi un simile referendum sulle leggi di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali ma, secondo una consolidata interpretazione della Consulta, non sarebbe mai possibile interferire, attraverso referendum, con l'ambito di applicazione delle norme comunitarie e con gli obblighi assunti dall'Italia nei confronti dell'Unione Europea. Nel nostro ordinamento, inoltre, al momento (le cose potrebbero cambiare qualora venisse approvata la revisione costituzionale) non è possibile proporre lo svolgimento di referendum consultivi, al di là delle espresse previsioni della costituzione (articolo 132, ai sensi del quale tali consultazioni riguardano unicamente modifiche ai territori delle Regioni). 
Abbiamo, però, un precedente, che potrebbe valere anche per il caso dell'Euro. Nel 1989, con legge costituzionale (3 aprile 1989, n. 2), fu indetto un "referendum di indirizzo" (ossia consultivo) sul conferimento di un mandato al Parlamento europeo per redigere un progetto di Costituzione europea. Fu necessaria, allora, una legge di iniziativa popolare promossa dal Movimento federalista europeo - successivamente sostituita dalla proposta di legge costituzionale presentata dal Pci - la cui approvazione richiese la doppia lettura in entrambi i rami del Parlamento, secondo l'iter necessario per le leggi costituzionali. La Costituzione non prevede, nella sua lettera, un'ipotesi simile, ma nell'89 i partiti furono concordi nell'approvare questo strumento atipico (il “referendum di indirizzo”) mediante una legge costituzionale ad hoc, formalmente derogando da quanto previsto dall'articolo 75 della Costituzione, per legittimare in quel caso con il ricorso al voto popolare l'accelerazione del processo di integrazione europea.
Limitandosi all'indizione di quella singola consultazione la legge costituzionale non ha introdotto nel nostro ordinamento il referendum di indirizzo, il quale è per così dire, una volta svoltesi le operazioni di voto, uscito dallo scenario costituzionale. Ma nulla esclude che possa ritornare sulla scena. Con legge costituzionale (e dunque con doppia votazione in entrambe le Camere, ed approvazione a maggioranza di 2/3 o, quantomeno, assoluta), sarebbe dunque possibile istituire un referendum di indirizzo ad hoc per la moneta unica. Si potrebbe obiettare che non ci sono oggi le condizioni politiche per realizzare quanto accadde nel 1989 data la delicatezza del tema. Ciò non toglie che, in linea di principio, la possibilità esista. Ecco perché la raccolta di firme iniziata da Libero, oltre a stimolare il dibattito tra i cittadini, è del tutto degna di considerazione.

di Paolo Becchi e Fabio Dragoni



STRAGI ISIS SRI LANKA: GRAVI ACCUSE DI COMPLICITA’ AL PRESIDENTE E AL MINISTRO ISLAMICO



IL CAPO DELL’INTELLIGENCE DIMISSIONARIO

E L’ISPETTORE DELLA POLIZIA RIMOSSO
INCOLPANO IL CAPO DI STATO DI AVER OCCULTATO
IL DOSSIER DEI SERVIZI SEGRETI SUI TERRORISTI
Dimissioni di 8 membri musulmani del governo
per i sospetti di relazioni coi jihadisti del loro collega

___di Fabio Giuseppe Carlo Carisio ___

In un dettagliato reportage Gospa News aveva ricostruito il puzzle di tutte le coperture deò dossier dei servizi segreti sui terroristi e gli intrecci tra politica e affaristi musulmani in mezzo ai quali erano avvenuti gli attentati esplosivi compiuti a Pasqua nello Sri Lanka. Gli attacchi del 21 aprile scorso dei jihadisti affiiati all’Isis nelle chiese cristiane e negli alberghi di lusso hanno ucciso più di 250 persone, ferendone più di 500, in maggioranza di fede cattolica e protestante durante la Messa e in minima parte turisti in vacanza.

Tutti quei sospetti, corroborati da particolari ancora più inquietanti, sono ora al centro del lavoro del Parliamentary Select Committee (PSC), la commissione parlamentare d’inchiesta che sta indagando sulle stragi e sulle presunte omissioni del presidente dello Sri Lanka Maithripala Sirisena per aver bloccato un’indagine della polizia e non aver allertato la Sicurezza Nazionale, nemmeno il primo ministro Ranil Wickremesinghe, dopo il rapporto dell’intelligence indiana Raw. Nel’informativa si preannunciava il rischio di attacchi terroristici facendo anche il nome dell’imam estremista, predicatore della jihad verso gli infedeli, morto poi kamikaze in uno di essi.

La commissione PSC parlamentare d’inchiesta sugli attentati di Pasqua esce dalla riunione

Ad incolpare il presidente, che aveva negato di essere a conoscenza del rapporto degli 007 ed ora respinge ogni accusa, non sono due persone qualunque ma l’ex ispettore generale della polizia srilankese, rimosso dallo stesso Sirisena, e il capo dell’intelligence nazionale, che si è dimesso prima di essere destituito dal capo dello stato.

Le accuse di occultamento del dossier di allerta sugli attentati si affiancano a quelle di complicità contro il ministro musulmano dell’Industria e Commercio Rishad Bathiudeen, oggetto di una mozione di sfiducia in Parlamento e dimessosi dall’incarico prima che questa fosse discussa dai deputati. In segno di solidarietà altri due ministri e cinque sottosegretari si sono dimessi con un gesto più formale che sostanziale: hanno rinunciato alla gestione dei loro portafogli finanziari senza però lasciare gli incarichi ed evitando così una crisi di governo.

La posizione ambigua di Bathiudeen, leader nazionale del partito musulmano All Ceylon Makkai Congress (Acmc) da lui fondato nel 2005 dopo la rottura con gli altri islamici dello Sri Lanka Muslim Congress, era stata evidenziata già dall’inchiesta di Gospa News mettendo in luce la presunta amicizia del ministro con uno dei musulmani arrestati dalla polizia dopo le stragi: il facoltoso commerciante di spezie e Mohamed Yussuf Ibrahim, padre di due kamikaz e finanziatore del partito di sinistra JVP.

In questo contesto sconcertante assume sempre più rilevanza l’ipotesi di un complotto simile a quelli delle stragi degli anni ’80 e ’90 in Italia dove si sono intrecciate, senza consentire una piena luce sulla verità, componenti politiche, servizi segreti e terroristi sotto la regia del Deep International State per creare la strategia del terrore e giustificare anche le più spregiudicate operazioni d’intelligence militare.

Come sarebbe avvenuto anche nell’olocausto dell’11 settembre 2001 a New York nel quale la mancata attenzione ad una nota della sicurezza nazionale sugli attentati, segnalata dal senatore dem Gary Hart, sembra essere stata parte di una cospirazione internazionale che ha visto i miliziani di Al Qaeda quali braccio armato di poteri occulti con la sospetta complicità e regia del Mossad israeliano.

Un complotto creato ad arte per giustificare le operazioni anti-terrorismo Usa e le politiche di guerra nei paesi arabi ricchi di petrolio arricchendo anche la lobby delle armi. Questa ricostruzione, cui dedicheremo un prossimo reportage, è stata illustrata in numerose articoli dal reduce del Vietnam e consulente internazionale d’intelligence militare, Gordon Duff, senior editor del sito americano di controinformazione geopolitica e investigazioni internazionali Veterans Today.



IL CAPO DELL’INTELLIGENCE DIMISSIONARIO

Il presidente dello Sri Lanka Maithripala Sirisena

«Il presidente dello Sri Lanka, Maithripala Sirisena, ha criticato un’indagine parlamentare sugli attentati di Pasqua, venerdì 7 giugno, il giorno successivo a due testimonianze di alto profilo che lo hanno accusato di cattiva gestione della sicurezza nazionale dell’isola». Hanno scritto i giornalisti Ranga Sirilal e Alexandra Ulmer per l’agenzia Reuters riportando anche una pesante dichiarazione del capo dello stato: «Non accetto il comitato ristretto e non invierò i miei ufficiali» a testimoniare.

La ragione di questa presa di posizione è conseguente ad uno scontro politico con il Parlamento controllato dai partiti di governo del premier Ranil Wickremesingh, delegittimato dal presidente Sirisena nell’ottobre scorso che nominò d’autorità al suo posto l’ex presidente Mahinda Rajapaksa prima che la Corte Costituzionale dichiarasse il golpe politico illegittimo riaffermando il potere di Wickremesingh.

«Il presidente Sirisena ieri nella sua disperazione per reprimere le informazioni che stanno emergendo sulla sua complicità agli attentati annunciati della domenica di Pasqua ha riferito che fino ad oggi hanno testimoniato davanti al Comitato parlamentare solo quelli che hanno lasciato il servizio e ha aggiunto che non permetterà ufficiale in servizio attivo di testimoniare dinanzi al CPS» scrive invece il Colombo Telegraph, fortemente critico sui silenzi del capo dello Stato.


Mouvli Zhmar davanti alle bandiere occidentali in fiamme

Questo sito giornalistico della capitale srilankese sin da subito riportò i dettagli sul dossier dei servizi segreti Raw occultato e gli autorevoli interventi di un famoso avvocato e di un ex maresciallo dell’aria dell’aviazione nazionale che rivelarono tutti i macroscopici errori politici nella gestione dell’informativa in cui si faceva riferimento al complotto del gruppo estremista musulmano NTJ (National Thowfeek Jamaath) e si indicava quale mente degli attacchi il suo fondatore, l’imam Moulvi Zahram Hashim, di cui sono stati provati i suoi legami con l’Isis ed il suo addestramento in Siria. 




Sisira Mendis, direttore del Centro Nazionale d’Intelligence dello Sri Lanka

Oggi è sempre il Colombo Telegraph a rivelare l’ultimo clamoroso sviluppo nell’inchiesta parlamentare e smentendo le affermazioni di Sirisena. «Il capo dell’intelligence nazionale, Sisira Mendis, che ha testimoniato davanti al PSC alla sua seduta iniziale, stava ricoprendo la sua posizione proprio mentre Sirisena pronunciava quelle parole».

Si riferisce anche che «Sirisena ha pronunciato quella menzogna durante il suo incontro con i capi di polizia la scorsa sera ed ha fatto un punto per chiarire la sua affermazione, sottolineando: “Abbiamo anche rimosso Sisira Mendis dalla sua posizione”. Un’altra sfacciata menzogna: solo 24 dopo Mendis ha rassegnato le sue dimissioni adducendo problemi di salute». Le ricostruzioni del Colombo Telegraph sono così dettagliate da essere più credibili delle dichiarazioni nebulose del presidente dello Sri Lanka.

ANCHE L’ISPETTORE DELLA POLIZIA ACCUSA IL PRESIDENTE

«L’ex segretario alla Difesa dello Sri Lanka Hemasiri Fernando (dimissionario dopo lo scandalo del dossier insabbiato – ndr) ha anche testimoniato giovedì, dicendo che il presidente aveva ordinato che Wickremesingh, fosse tenuto fuori dalle riunioni del consiglio di sicurezza» spiega ancora l’agenzia Reuters concentrandosi poi su un’altra deposizione pesantissima davanti alla commissione parlamentare  d’inchiesta.


L’ex Ispettore Generale della Polizia Pujith Jayasundara rimosso dal presidente dello Sri Lanka

«L’ispettore generale della polizia Pujith Jayasundara ha detto che Sirisena gli aveva chiesto di assumersi la responsabilità degli attentati rassegnando le dimissioni, aggiungendo che il leader gli aveva promesso un distacco diplomatico in cambio. Jayasundara si rifiutò di lasciare il posto e più tardi fu messo in licenza» riporta l’agenzia.

Mentre il Colombo Telegraph in altri articoli riferisce un’ulteriore circostanza inquietante: «I funzionari dell’intelligence che hanno testimoniato davanti al comitato parlamentare sugli attacchi di Pasqua hanno rimarcato che fino ad allora non erano a conoscenza di quale paese avesse condiviso le informazioni di intelligence sugli attacchi imminenti e che anche loro ne avrebbero sentito parlare solo attraverso i media».

L’informativa dei servizi segreti indiani RAW, pubblicata da Gospa News, era stata inoltrata anche alla polizia ma sarebbe stata tenuta nascosta per motivi di sicurezza nazionale su ordine del presidente che invece aveva sempre negato ai giornalisti di essere a conoscenza del dossier.

Lo ha confermato sempre l’ex capo della polizia Jayasundara, mandato in congedo obbligatorio come capro espiatorio dei fallimenti dell’intelligence, in una petizione sui diritti fondamentali presentata da Jayasundara FR e depositata pochi giorni fa, come ha segnalato il Servizio di intelligence di Stato (SIS) in una lettera menzionata sempre dal Colombo Telegraph.

Jayasundara spiega che la la polizia aveva avviato un’indagine sulle attività del Thawheed Jamath nazionale, ma il TID (Divisione Investigativa Terrorismo) l’8 aprile 2018 ha ricevuto l’ordine di sospendere le investigazioni da Sirisena, dal momento che “tali indagini avevano pregiudicato le indagini segrete condotte dal SIS”. L’ispettore generale «afferma inoltre che il presidente lo ha escluso dal partecipare alle riunioni del Consiglio di sicurezza nazionale dall’inizio di ottobre 2018, fino a dopo gli attacchi terroristici di domenica di Pasqua, il 21 aprile» e che il presidente ha richiesto al direttore del SIS Nilantha Jayawardana di riferire direttamente a lui».




Karu Jayasuriya, portavoce della commissione parlamentare d’inchiesta PSC sulle stragi di Pasqua nello Sri Lanka

Analoghe ragioni per cui oggi Sirisena è in polemica col portavoce della commissione PSC, Karu Jayasuriya, accusandolo di non aver tenuto in debita considerazione una sua lettera ufficiale in cui chiedeva la sospensione delle audizioni parlamentari del comitato a causa dell’impatto sulla sicurezza nazionale. Il portavoce ha negato ciò affermando che sono state adottate misure per portarla prontamente all’attenzione dei membri del PSC al fine di garantire ulteriormente la riservatezza ma ha anche aggiunto che solo il Parlamento ha l’autorità di sospendere le udienze.

In aggiunta a tutto ciò il Colombo Telegraph in un altro articolo evidenzia che è stato finalmente depositato il resoconto di un’altra indagine sulle stragi disposto dallo stesso presidente. «Quando Sirisena il 22 aprile nominò la commissione, composta dal giudice della Corte Suprema Vijith Malalgoda, dall’Ispettore generale della polizia in pensione NK Illangakoon e dall’ex segretario del ministero, Padmasiri Jayamanne, il rapporto doveva essere consegnato entro due settimane. Sirisena ha assicurato che i contenuti sarebbero stati resi pubblici ma, fino ad ora, non si è fatto cenno a quando il rapporto sarà reso accessibile al pubblico».


LE RELAZIONI DEL PRESIDENTE CON IL TYCOON ISLAMICO

Allirajah Subaskaran fondatore della produzione televisiva Lyca e di Lycamobile

I comportamenti sospetti del capo dello stato diventano sempre più numerosi ogni giorno che passa e rendono indispensabile ricordare le sue connessioni con il tycoon anglo-cingalese musulmano Allirajah Subaskaran. Quest’ultimo, di etnia Tamil tanto da dedicargli un film thriller prodotto dalla sua casa cinematografica indiana Lyca di Bollywood, ha beneficiato delle ottime relazioni con il Regno Unito dello Sri Lanka, già colonia britannica, per trasferirsi a Londra.

Li è stato uno dei più importanti finanziatori dell’ex premier David Cameron, noto per le ottime relazioni con l’Islamic Saharia Council, e viene ritenuto tra i sovvenzionatori della più importante ong islamica, la Muslim Aid, indagata in alcuni stati del mondo per presunti finanziamenti a gruppi fondamentalisti e terroristici. Subaskaran è anche proprietario del gestore commerciale di telefonia mobile Lycamobile, finito nei guai per evasione fiscale in Italia e per riciclaggio in Francia, ma soprattutto per essere uno dei più importanti venditori di simcard anonime ai suoi clienti, soprattutto africani ed asiatici immigrati in Europa.

Subaskaran è ritenuto coinvolto in torbidi affari finanziari con l’ex presidente Mahinda Rajapaksa, sconfitto nelle presidenziali da Sirisena ma poi scelto da quest’ultimo come premier per nel tentativo di golpe politico fallito ai danni di Wickremesingh.




Non solo. Oltre ad aver svolto un ruolo sicuramente lodevole per la ricostruzione dopo il terremoto e lo tsunami del 26 dicembre 2004 attraverso la sua Gnanam Foundation, il tycoon islamico srilankese-britannico ha di recente proposto al Gabinetto dei ministri dello Sri Lanka guidato dal presidente Sirisena un progetto Lyca per costruire un edificio di sei piani con una superficie di 6.500 mq con attrezzature moderne con un investimento di 740 milioni di rupie singalesi (3,7 milioni di euro circa) e assegnare un premio all’università di Jaffna attraverso la fondazione Gnanam.

Chi ha caldeggiato questa iniziativa approvata dal governo? Rauff Hakeem, ministro della pianificazione urbana, approvvigionamento idrico e istruzione superiore, uno dei membri musulmani del governo che ha dato le dimissioni in solidarietà del collega islamico Rishad Bathiudeen accusato da alcuni paramentari di presunta complicità coi terroristi…



IL MINISTRO ISLAMICO ACCUSATO DI COMPLICITA’ COI TERRORISTI

 

Il ministro dell’Industria e Commercio Rishad Bathiudeen

«Otto funzionari del governo musulmano dello Sri Lanka hanno lasciato il loro portafoglio lunedì 3 giugno in solidarietà con il ministro dell’industria accusato dall’opposizione di sostenere i militanti islamici che hanno ucciso più di 250 persone la domenica di Pasqua. Le dimissioni hanno minato la prevista mozione di sfiducia presentata dai sostenitori dell’ex presidente nazionalista Mahinda Rajapaksa contro il ministro dell’Industria Rishad Bathiudeen, che si è dimesso rendendo la mozione non sostenibile». E’ l’agenzia Reuters a scrivere il resoconto della conferenza stampa guidata da Hakeem.

«La mozione conteneva 10 accuse contro Bathiudeen, tra cui l’accusa di aver fornito munizioni a una fabbrica di proprietà di uno degli attentatori del 21 aprile e di aver fatto pressione sull’esercito per rilasciare i sospetti arrestati in relazione agli attacchi. Gli accusatori di Bathiudeen non hanno fornito prove delle loro accuse, che Bathiudeen ha negato».


Il Ministro dell’Industria e del Commercio Rishad Bathiudeen il 1 giugno 2017 all’incontro ufficiale con il Segretario della Colombo Traders Association (CTA) Sig. Suriyar (a sinistra) e il Presidente di CTA Yussuf Mohamed Ibrahim (Presidente, Ishana Exports Pvt Ltd a destra) presso i locali del Ministero

Ma va anche ricordato che proprio nei giorni successivi agli attacchi terroristici i media srilankesi avevano riferito della presunta amicizia tra il ministro leader del più importante partito musulmano e l’imprenditore islamico Mohamed Yussuf Ibrahim, arrestato insieme al figlio Ijaz Ahmed, perché sospettato di complicità con i figli morti kamikaze Inshaf Ahmed Ibrahim e Ilham Ibrahim.

Il padre era anche uno personaggio politico di spicco in quanto sostenitore e finanziatore del partito di ex marxisti-comunisti JVP (Janatha Vimukthi Peramuna). Non solo. Un fratello di Bathiudeen è stato arrestato dalla polizia per presunte implicazioni coi terroristi, secondo quanto riferito dal Daily Mirror, e poi rilasciato dopo una deposizione nel massimo riserbo degli investigatori.

Il gruppo dei kamikaze nella foto pubblicata dall’agenzia Amaq come rivendicazione dell’Isis: l’unico a volto scoperto è l’imam Moulvi Zahram Hashim

Secche erano state le smentite del ministro: «Io ei miei fratelli non siamo collegati a NTJ (National Thowfeek Jamaath)» ha dichiarato in una conferenza stampa speciale per rispondere ai sospetti contro di lui in seguito agli attacchi terroristici del 21 aprile: «I media riportano anche che l’Industrial Development Board (IDB) ha dato cartucce vuote di metallo a una compagnia agli attentatori suicidi di Shangri La per l’influenza di un potente politico governativo. Come da procedura, né io né il segretario del ministero abbiamo ora il potere di approvare queste richieste e solo i funzionari e gli esperti di IDB hanno l’autorità per accettarle».

Le cartucce vuote furono riempite di biglie dai jihadisti kamikaze e poi messe negli zaini con l’esplosivo affinchè la deflagrazione facesse il maggior numero di vittime possibili.

Rauff Hakeem, il ministro islamico della pianificazione urbana, durante l’annuncio delle sue dimissioni insieme a quelle dei colleghi musulmani

«Non lasceremo il governo, proteggiamo il governo» ha invexe dichiarato Rauff Hakeem, ex ministro della pianificazione urbana, per motivare la decisione di rinunciare ai portafogli ma non agli incarichi formali. Anche due governatori musulmani, M. L. A. M. Hizbullah e Azath Salley hanno rassegnato le dimissioni lunedì soprattutto dopo le rappresaglie di maggio contro i musulmani, una minoranza che rappresenta il 10 % della popolazione, che si sospetta siano state fatte da buddisti ed hanno portato il governo ad istituire un altro coprifuoco dopo che una persona è rimasta uccisa e molte ferite.

«I potenti monaci buddisti stanno facendo pressioni sui politici musulmani. Il monaco buddista di opposizione Athuraliye Ratana Thero ha iniziato uno sciopero della fame venerdì davanti a un tempio sacro nel distretto centrale di Kandy chiedendo le dimissioni di Bathiudeen e di due governatori musulmani – scrive ancora Reuters – Galagoda Aththe Gnanasara, capo della linea dura Bodu Bala Sena (BBS) o “Forza del potere buddista”, aveva minacciato di incitare proteste nazionali se gli uomini non fossero stati licenziati. Gnanasara aveva scontato una condanna a sei anni per oltraggio alla corte, ma è stato liberato per una grazia presidenziale il mese scorso».

In questo caos politico-giudiziario è passata in secondo piano la visita del primo ministro indiano Narendra Modi che domenica ha reso omaggio alle vittime degli attacchi di Pasqua nello Sri Lanka, incontrando il suo omologo Ranil Wickramasingh e visitando la chiesa di Sant’Antonio a Colombo, uno dei luoghi dove ci sono state più vittime.

Il clima politico rovente è anche motivato dal fatto che quest’anno è prevista l’elezione presidenziale nelle quali è pronto a scendere in campo Gotabaya Rajapaksa, fratello dell’ex capo di stato, e già capo della Difesa durante la sanguinosa e lunga guerra contro le Tigri Tamil.

Secondo un’inchiesta giornalistica è in quell’humus di rivalità etniche-religiose che sarebbe avvenuta la rinascita del terrorismo, questa volta di matrice islamica, dato che quasi tutti i musulmani srilankesi sono di etnia Tamil e di confessione sunnita, quella più estremista nel sostenere la jihad.

Ciò sarebbe accaduto anche per la forte presenza nello Sri Lanka del famigerato servizio segreto israeliano Mossad, accusato di aver addestrato entrambe le fazioni, quella governativa e quella rivoluzionaria, per mantenere vivo il conflitto ed incrementare il mercato delle armi nella nazione. Ma di questo parleremo in un prossimo imminente reportage.



Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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PROPONIMENTO DEL GIORNO


Oggi prometto di impegnarmi a non rispondere mai alla provocazioni ma di tacere come fece Gesù davanti ad Erode.


LITURGIA DEL GIORNO


LITURGIA DEL GIORNO
- Rito Romano -
  




 PRIMA LETTURA 

2Cor 3,4-11
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi

Fratelli, proprio questa è la fiducia che abbiamo per mezzo di Cristo, davanti a Dio. Non che da noi stessi siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio, il quale anche ci ha resi capaci di essere ministri di una nuova alleanza, non della lettera, ma dello Spirito; perché la lettera uccide, lo Spirito invece dà vita.
Se il ministero della morte, inciso in lettere su pietre, fu avvolto di gloria al punto che i figli d’Israele non potevano fissare il volto di Mosè a causa dello splendore effimero del suo volto, quanto più sarà glorioso il ministero dello Spirito?
Se già il ministero che porta alla condanna fu glorioso, molto di più abbonda di gloria il ministero che porta alla giustizia. Anzi, ciò che fu glorioso sotto quell’aspetto, non lo è più, a causa di questa gloria incomparabile.
Se dunque ciò che era effimero fu glorioso, molto più lo sarà ciò che è duraturo.


  SALMO  

Sal 98
Tu sei santo, Signore, nostro Dio.

Esaltate il Signore, nostro Dio,
prostratevi allo sgabello dei suoi piedi.
Egli è santo!

Mosè e Aronne tra i suoi sacerdoti,
Samuèle tra quanti invocavano il suo nome:
invocavano il Signore ed egli rispondeva.

Parlava loro da una colonna di nubi:
custodivano i suoi insegnamenti
e il precetto che aveva loro dato.

Signore, nostro Dio, tu li esaudivi,
eri per loro un Dio che perdona,
pur castigando i loro peccati.

Esaltate il Signore, nostro Dio,
prostratevi davanti alla sua santa montagna,
perché santo è il Signore, nostro Dio!


 VANGELO 

Mt 5,17-19
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento.
In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto.
Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli».

venerdì 7 giugno 2019

Tuis: il potere dei gesuiti, gli 007 del nuovo ordine mondiale

«Attenzione: stai per ricreare una pagina già cancellata in passato». E’ quanto si legge consultando su Wikipedia la voce Siv, Servizio Informazioni del Vaticano. Sorveglianza occhiuta: l’enciclopedia “libera” del web si ferma, di fronte all’intelligence del Papa. Anche perché, sostiene Riccardo Tristano Tuis, l’intera faccenda è nelle mani dell’ordine religioso più potente e misterioso della galassia cattolica: la Compagnia di Gesù, fondata nel 1537 dal militare spagnolo Ignazio de Loyola, con una vocazione – emersa fin dall’inizio – all’infiltrazione nelle altrui strutture, onde controllarle dall’interno. Geniale, l’uso della confessione da parte dei gesuiti: una volta introdotti a corte come educatori dei nobili rampolli, diventavano i custodi dei segreti dei futuri regnanti. Per Fausto Carotenuto, già analista dell’intelligente e autore del saggio “Il mistero della situazione internazionale”, i gesuiti rappresentano il vertice di una delle due piramidi “nere” che controllano il mondo – l’altra sarebbe costituita dalla massoneria internazionale. Comune l’obiettivo: il dominio di un pianeta completamente globalizzato mediante la finanza e l’economia, la politica addomesticata, la disinformazione martellante assicurata dai grandi media, reticenti o bugiardi sul terrorismo e sulla guerra.

«Anche tra i gesuiti si contano ovviamente molte ottime persone», ammette Tuis, intervistato a “Border Nights”, «ma la struttura ha avuto un ruolo essenzialmente negativo, nella storia: la congregazione resta un soggetto decisamente pericoloso, non a caso espulso per 70 volte da vari Stati». 
Rapporti difficili anche con il Vaticano: Papa Clemente XIV soppresse l’ordine religioso nel 1773. «I gesuiti erano nati come braccio speciale della Chiesa per sostituire i domenicani, politicamente poco duttili», spiega Gianfranco Carpeoro, autore di saggi che illuminano oscuri retroscena in cui convivono Chiesa e massoneria, come nel caso dell’origine del fascismo. «Poi però sempre i gesuiti divennero anche scomodi, quando – dopo la conquista del Sudamerica – si accorsero che gli indigeni erano migliori, come uomini, dei “conquistadores” cristiani». Lo ricorda lo stesso Tuis, autore del libro “Gesuiti” appena pubblicato da Uno Editori: «In Paraguay i gesuiti si schierarono con il popolo anche pagando con la vita la loro scelta». E’ di ispirazione gesuitica la “teologia della liberazione”, per l’emancipazione popolare dell’America Latina. Era gesuita lo stesso cardinale Martini, in prima linea contro le guerre. Ma la Compagnia di Gesù resta ambivalente: Jorge Mario Bergoglio, primo pontefice gesuita della storia, ha firmato il saggio “Questa economia uccide” ma in Argentina è stato accusato di complicità con i carnefici della dittatura militare, quella dei “desaparecidos”.

Riccardo Tristano Tuis non crede a Papa Francesco: «Nonostante la parte che recita, fa il gioco del potere: il suo impegno a favore dei migranti fa parte del progetto globalista che prevede anche l’islamizzazione dell’Europa a spese della fede cristiana, verso un’ipotetica religione unica mondiale». Il suo libro è chiaro, negli intenti, fin dal sottotitolo: «L’Ordine militare dietro alla Chiesa, alle banche, ai servizi segreti e alla governance mondiale». Già autore de “L’aristocrazia nera”, ovvero «la storia occulta dell’élite che da secoli controlla la guerra, il culto, la cultura e l’economia», Tuis racconta l’intreccio che – fin dall’origine – lega Ignazio di Loyola a potenti famiglie romane come quella dei Borgia. La missione dell’ordine: forgiare dei veri e propri 007, in grado di infiltrare qualsiasi ambiente politico e religioso, puntando al controllo del potere. Un progetto con un retroterra segreto, risalente ai Templari e da «ordini e consorzi di famiglie ancora più antiche». 

Nacquero così «agenti segreti con licenza di uccidere», pronti a operare clandestinamente sia nei paesi cristiani che in quelli protestanti o anglicani, «al punto che ai nostri giorni i servizi segreti deviati europei, nordamericani, del Commonwealth e d’Israele sono delle espressioni di un’unica regia: il Siv, cioè i servizi segreti del Vaticano», quelli irrintracciabili su Wikipedia.

«L’alta finanza, le più grandi banche del mondo e il cartello bancario che ha dato vita al moderno signoraggio bancario – sostiene Tuis – sono il prodotto della millenaria opulenza e forza della Chiesa di Roma, che proprio grazie ai gesuiti dall’Ottocento in poi ha in mano l’economia globale attraverso le famiglie dei banchieri internazionali ai cui vertici ci sono i guardiani del tesoro papale: i Rothschild». Il libro di Tuis indaga «sull’oscuro mondo delle società segrete e dei circoli magici di matrice satanico-luciferina e cristiana», scoprendo «le loro reciproche e insospettate connessioni attraverso i gesuiti di alto livello, gli “incogniti superiori del 4° voto” che muovono anche le fila dei potenti e stratificati ordini cavallereschi», vale a dire i Cavalieri di Malta in Europa e i loro corrispettivi americani, i Cavalieri di Colombo. Insieme alla massoneria internazionale, questa galassia di poteri “invisibili” dà vita «all’esercito di grigi burocrati dell’Unione Europea e del Congresso americano, che promuovono la criminale operazione su vasta scala denominata Agenda 21».


Il libro si addentra in specifici eventi storici: «Due più famosi dittatori europei, Napoleone Bonaparte e Adolf Hitler, sono saliti al poteregrazie ad operazioni clandestine dei gesuiti e degli Illuminati, che da secoli lavorano a fianco a fianco nell’instaurazione della secolare agenda mondialista “La Nuova Atlantide”, meglio conosciuta come Nuovo Ordine Mondiale». A un ex gesuita, racconta Tuis a “Border Nights” si deve l’invenzione della ghigliottina: atroce simbolo del Terrore francese, d’accordo, ma pur sempre «un modo per ridurre la sofferenza del condannato». Dai gesuiti sono nate eccellenze assolute in ogni campo, compreso quello scientifico: è la Compagnia di Gesù a gestire il potente osservatorio astronomico di Mount Graham, in Arizona. Alieni in arrivo? Meglio chiamarli “fratelli dello spazio”; nel caso un giorno atterrassero, disse il direttore del centro, perché non battezzarli? Conoscenza, segreti, informazioni riservate. «L’archivio dei gesuiti a La Spezia – dichiara Tuis – è vasto almeno quanto quello della Cia».


Sanno tutto di tutti? Dossier, schedature minuziose? «Per quello nacquero: furono loro a fondare la prima intelligence della storia». Il libro di Tuis è un’indagine sul lato meno trasparente del potere, il più insospettabile: sul web circola liberamente il testo di un famigerato giuramento, in cui il novizio – nel ‘500 – si impegna anche ad uccidere, nel caso, e comunque a eseguire qualsiasi ordine senza discutere, “perinde ac cadaver”. Leggende? Purtroppo no, sostiene Tuis: «Oggi la vera battaglia è condotta nel campo dell’informazione: il mainstream deforma sistematicamente la verità. La controinformazione è fondamentale, e il potere la teme». Dietro allo speaker del telegiornale c’è spesso un politico, collegato a influenti soggetti economici. Quello che sfugge è che “tutte le strade”, o almeno molte, portino a Roma, dove il potere di quel network sarebbe esteso oltre l’immaginabile. «Non è un caso se l’aggettivo “gesuitico” ha assunto una connotazione negativa: indica qualcosa di falso e insincero, ipocrita, ma al tempo stesso raffinato e coltissimo. I gesuiti hanno una visione precisa del mondo, la loro. Arrivano dovunque, sono lì da mezzo millennio: non sarà facile fermarli».

(Il libro: Riccardo Tristano Tuis, “I Gesuiti. L’Ordine militare dietro alla Chiesa, alle Banche, ai servizi segreti e alla governance mondiale”, Uno Editori, 264 pagine, euro 14.90).

Ecco i nomi dei massoni golpisti che hanno creato la crisi (Anche Von Hayek)

Monopolisti. Privatizzatori. C’è chi li ha definiti, anche, golpisti bianchi. Ma sono essenzialmente massoni. Attenzione: le obbedienze nazionali non c’entrano. Si tratta di supermassoni in quota alle Ur-Lodes, le oscure superlogge sovranazionali. Precisamente: quelle di segno neo-aristocratico, che detestano la democrazia e confiscano il potere dei cittadini, rimettendolo nelle mani di un’élite pre-moderna, pre-sindacale, ultra-padronale. E’ così che hanno costruito il nuovo medioevo in cui viviamo, il neo-feudalesimo regolato dall’Ue e dalla sua Commissione di non-eletti. Giochi di specchi: laddove si parla di finanza e geopolitica, citando banche centrali e governi, si omette sempre di scoprire chi c’è dietro. Sempre gli stessi, sempre loro: un club ristrettissimo di padreterni, di “contro-iniziati” che si credono onnipotenti e autorizzati, come per diritto divino, a manipolare in eterno il popolo bue, ridotto a bestiame umano. Lo ricorda Patrizia Scanu, segretaria del Movimento Roosevelt, sodalizio fondato dal massone progressista Gioele Magaldi proprio con l’intento di smascherare l’attuale governance europea finto-democratica, dopo la clamorosa denuncia contenuta nel saggio “Massoni”, edito nel 2014 da Chiarelettere. Una rivelazione: dietro ai principali tornanti della nostra storia recente ci sono sempre gli stessi personaggi, i medesimi circoli occulti: grazie a loro, in fondo, poi in Italia crollano anche i viadotti autostradali.

«Se l’obiettivo era il ripristino del potere di classe delle élite, il neoliberismo era senz’altro la risposta giusta», premette il politologo britannico David Harvey nella sua “Breve storia del neoliberismo” (Il Saggiatore). Il neoliberismo come clava: privatizzazioni selvagge, attraverso una martellante propaganda ideologica esplosa negli anni ‘90: libertà d’impresa, Stato minimo, liberalizzazioni, deregulation. Certo, neoliberismo e democrazia non possono stare insieme: da sola, però, la “teologia” neoliberale non spiega tutto, come ricorda Patrizia Scanu sul blog del Movimento Roosevelt: se siamo stati globalizzati “a mano armata” lo si deve, anche e soprattutto, al «forte nesso esistente fra massoneria neoaristocratica e neoliberismo da una parte e fra neoliberismo e monopoli privati dall’altra». Un legame nascosto, non facile da individuare. «A prima vista, si direbbe che la libertà del mercato predicata dalla teoria neoliberista sia in contraddizione con i monopoli privati». Ma come si fa a predicare il libero mercato fondato sulla concorrenza, per poi cedere i beni pubblici come le autostrade «regalate agli amici della Casta»? La risposta la fornisce Magaldi nel suo bestseller: la vernice ideologica è servita essenzialmente come cosmesi, per coprire l’immane, brutale restaurazione di potere architettata da loro, i signori delle Ur-Lodges neo-oligarchiche.

Nulla a che vedere con le massonerie ordinarie, come il Grande Oriente e la Gran Loggia d’Italia, regolarmente registrate e dichiaratamente fedeli alla Costituzione. Il problema è il mondo, coperto e sovranazionale, delle Ur-Lodges, «un network di superlogge che rappresentano l’élite massonica mondiale, alla quale aderiscono i membri più ragguardevoli della massoneria ordinaria e persone di prestigio (moltissimi i politici di governo) “iniziate” per particolari doti individuali esoteriche e sapienziali, e provenienti da ogni angolo del pianeta». Club super-esclusivi, «la cui esistenza è sconosciuta ai più». Come agiscono, questi circuiti-ombra? Attraverso «i vari club paramassonici, quali la Trilateral Commission o il Bilderberg Group, che ne sono solo l’espressione più visibile e aperta». Ma la massoneria settecentesca non era stata il motore della modernità democratica? «La democrazia non l’ha portata in dono la cicogna», ricorda Magaldi: furono proprio le logge massoniche a incubare, cominciando dalla Francia, lo Stato di diritto e il suffragio universale. A qualcuno, poi, l’Ottocento e il Novecento hanno dato alla testa: se sai di essere l’architetto del mondo nuovo, può succedere che tenda a considerarlo di tua proprietà, sentendoti autorizzato a compiere qualsiasi manipolazione, dai golpe alle crisi finanziarie.


Se non si capisce questo, sottolinea Magaldi, non si riesce ad afferrare la vera natura – profondamente oligarchica – del potere (prima occidentale, poi globale) che dagli anni ‘80 ha assunto il dominio del pianeta, ricorrendo sistematicamente all’abuso e alla violenza. Mai dimenticare, quindi, il ruolo decisivo delle superlogge, «che costituiscono il back-office del potere a livello internazionale». Magaldi ne fornisce una mappa completa: ci sono quelle conservatrici (si chiamano “Edmund Burke”, “Joseph De Maistre”, “Compass Star-Rose”, “Pan-Europa”, “Three Eyes”, “White Eagle”, “Hathor Pentalpha”) ma non mancano quelle progressiste, di stampo rooseveltiano e keynesiano, che sostennero i leader progressisti del dopoguerra, fino ai Kennedy e alla stagione dei diritti civili negli Usa, aiutando paesi come l’Italia a non cadere sotto le trame golpiste. Il frutto più palpabile del loro lavoro, in Europa? Il sistema del welfare: ideato dall’inglese William Beveridge. Chi ne effettuò la più spettacolare applicazione? La Svezia di Olof Palme, altro supermassone progressista.

Poi, dalla fine degli anni Settanta, le Ur-Lodges democratiche (“Thomas Paine”, “Montesquieu”, “Chistopher Columbus”, “Ioannes”, “Hiram Rhodes Revels”, “Ghedullah”) hanno perso terreno, di fronte allo storico attacco delle superlogge rivali, con le quali – a nostra insaputa – stiamo tuttora facendo i conti, ogni giorno. L’obiettivo dei neo-aristocratici? «Invertire il corso della storia, trasformando coloro che erano cittadini in neosudditi e schiavizzando sempre di più quelli che sudditi erano sempre rimasti». Lo stesso Magaldi ricorda che i supermassoni oligarchici hanno voluto «aumentare a dismisura il proprio potere materiale, mediante colossali speculazioni ai danni di popoli e nazioni». Il loro piano: «Assurgere essi stessi, nell’incomprensione generale di quanto va accadendo, alla gloria di una nuova aristocrazia iniziatico-spirituale dell’era globalizzata». Dopo gli anni del boom economico e l’affermazione dei diritti sociali, ricorda Patrizia Scanu, la micidiale riscossa neoaristocratica è stata meticolosamente programmata negli anni ‘70. Le prove? «Gli economisti Friedrich Von Hayek e Milton Friedman, principali teorici del neoliberismo, nonché Robert Nozick, filosofo politico e teorico dello “Stato minimo”, erano tutti massoni neoaristocratici; Von Hayek e Friedman erano affiliati alle Ur-Lodges “Three Eyes” ed “Edmund Burke”, e dal 1978 anche alla “White Eagle”».


Fu proprio grazie all’impulso di queste superlogge, spiega Patrizia Scanu, che Von Hayek e Friedman ottennero, rispettivamente nel 1974 e nel 1976, il Premio Nobel per l’Economia («che, detto per inciso, non viene assegnato dagli accademici di Svezia, ma dai banchieri svedesi»). Il progetto era semplice: «Far diventare il neoliberismo – teoria allora marginale e ininfluente – il mainstream in economia». Ostacoli politici, all’avanzata dei restauratori? «Il nemico apparente era il socialismo, ma l’obiettivo vero era il keynesismo», ovvero la teoria del massone progressista inglese John Maynard Keynes, “cervello” del New Deal di Roosevelt che risollevò l’America dalla Grande Depressione, fino a creare – di riflesso – il boom economico anche in Europa. Come? Espandendo in modo formidabile il deficit, il debito pubblico strategico, per creare lavoro, fino a realizzare la piena occupazione. Di qui la reazione dell’élite, spaventata da tutto quel benessere piovuto sulle masse: «Si voleva abbattere il “capitalismo dal volto umano”, che si era consolidato specie in Europa, con l’intervento regolatore dello Stato in economia e la diffusione del welfare», scrive Patrizia Scanu. «Fu l’ideologia neoliberista ad ispirare la globalizzazione così come la conosciamo, con tutti i suoi tremendi squilibri e le sue enormi disuguaglianze, che fu programmata a tavolino dalle superlogge reazionarie».

Politica, economia e geopolitica. Sempre “loro”, in azione. Ovunque: «Erano massoni neoaristocratici i leader politici che applicarono le ricette neoliberiste in economia nei loro paesi». Per esempio Augusto Pinochet in Cile: «Il colpo di Stato del 1973 fu promosso dalle Ur-Lodges “Three Eyes, di cui era membro Henry Kissinger, fra le menti dell’operazione Condor, e “Geburah”. E che dire di Margaret Thatcher (in quota alla “Edmund Burke”), spietata madrina del neoliberismo nel Regno Unito? Ma la contro-rivoluzione non coinvolse il solo occidente: Deng Xiao Ping, che introdusse l’economia di mercato in Cina, era affiliato alla “Three Eyes”. Ronald Reagan? A sua volta membro della Ur-Lodge “White Eagle”, «di cui facevano parte due presidenti della Federal Reserve, Paul Volcker e Alan Greenspan, artefici delle politiche monetarie neoliberiste». Nella “White Eagle” anche William Casey e Antony Fisher, i fondatori del Centre for Economic Policy Studies, importante think-tank neoliberista. «Fra i consiglieri economici di Reagan vi erano numerosi economisti neoliberisti provenienti dalla paramassonicaMont Pelerin Society», fondata dall’austriaco Von Hayek e poi retta, a lungo, dal futuro ministro berlusconiano Antonio Martino.


Riletta così, la nostra storia recente risulta più comprensibile: fu un’iniziativa neoaristocratica anche la pubblicazione del celebre volume “The Crisis of Democracy”, avvenuta nel 1975 a cura di Samuel Huntington, Michel Crozier e Joji Watanuki («massoni reazionari tutti e tre, affiliati alla “Edmund Burke” e alla “Three Eyes”», annota Patrizia Scanu). Il volume «concluse un lungo periodo di attività e di elaborazione di strategie da parte di numerose Ur-Lodges neoaristocratiche», iniziato negli anni 1967-68 con la fondazione della potente “Three Eyes”. «Fu il manifesto pubblico e propagandistico con il quale si voleva attirare il consenso dei massoni moderati», raccontando che la “crisi della democrazia” era dovuta – tu guarda – a un “eccesso di democrazia”. Troppi diritti, troppa uguaglianza, troppa partecipazione da parte dei cittadini. Il saggio «sosteneva l’importanza dell’apatia delle masse verso la politica, da raggiungere mediante il consumismo e il disgusto verso la corruzione». Al tempo stesso, «proponeva la ricetta per riportare il governo saldamente nelle mani di un’élite, trasformando la democraziain oligarchia». Questo era il progetto: svuotare di contenuto la democrazia, usando – come strumento – la diffusione del “credo” neoliberista.

Un’epidemia, riassume Patrizia Scanu, diffusasi a macchia d’olio sulle due sponde dell’Atlantico: nel 1978 fu creata la super-segreta “White Eagle” «per portare Margaret Thatcher al governo nel Regno Unito e Ronald Reagan negli Usa». Poi, a ruota, sempre alla “White Eagle” furono affiliati gli italiani Carlo Azeglio Ciampi e Beniamino Andreatta, «che nel 1981 furono gli artefici del primo clamoroso passo verso la liquidazione dell’Italia come potenza economica, attraverso la mai abbastanza vituperata separazione fra Banca d’Italia e Tesoro, che privò il nostro paese della sovranità monetaria, rendendoci schiavi delle banche private». Una svolta sciagurata, «che avviò la perversa spirale del debito». Lo documenta in modo perfetto l’economista post-keynesiano Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt: «Alla fine degli anni ‘80, la vera partita dietro le quinte è la liquidazione definitiva dell’Italia come competitor strategico». Ciampi, Andreatta e De Mita avevano un obiettivo preciso: «Cedere la sovranità nazionale, pur di sottrarre potere a quella che consideravano la classe politica più corrotta d’Europa». Col divorzio tra Bankitalia e Tesoro, per la prima volta il paese si trovò in crisi finanziaria: prima, infatti, era la Banca d’Italia a fare da “prestatrice di ultima istanza” comprando titoli di Stato e, di fatto, emettendo moneta destinata all’investimento pubblico.


Chiuso il rubinetto della lira, la situazione precipitò: con l’impennarsi degli interessi (da pagare a quel punto ai nuovi “investitori” privati) il debito pubblico esplose, letteralmente, fino a superare il Pil. Non era un “problema”, un infortunio. Al contrario: era esattamente l’obiettivo voluto. Cioè: «Mettere in crisi lo Stato, disabilitando la sua funzione strategica di spesa pubblica a costo zero per i cittadini, a favore dell’industria e dell’occupazione». Degli investimenti pubblici da colpire, ricorda Galloni, «la componente più importante era sicuramente quella riguardante le partecipazioni statali, l’energia e i trasporti, dove l’Italia stava primeggiando a livello mondiale». Tutti d’accordo, ai vertici dell’élite neoliberale: al piano anti-italiano, sottolinea Patrizia Scanu, partecipò anche la grande industria privata, a partire dalla Fiat, che di colpo smise di investire nella produzione delle auto e preferì comprare titoli di Stato: da quando la Banca d’Italia non li acquistava più, i tassi erano saliti alle stelle. Amputando lo Stato, la finanza pubblica si era trasformata in un ghiottissimo business privato. Du così che, di colpo, l’industria passò in secondo piano: da lì in poi, sarebbe dovuta “costare” il meno possibile.

«In quegli anni – riassume Galloni – la Confindustria era solo presa dall’idea di introdurre forme di flessibilizzazione sempre più forti, che poi avrebbero prodotto la precarizzazione». Aumentare i profitti: «Una visione poco profonda di quello che è lo sviluppo industriale». Risultato: «Perdita di valore delle imprese, perché le imprese acquistano valore se hanno prospettive di profitto». Dati che parlano da soli. E spiegano tutto: «Negli anni ’80 – racconta ancora Galloni – feci una ricerca che dimostrava che i 50 gruppi più importanti pubblici e i 50 gruppi più importanti privati facevano la stessa politica, cioè investivano la metà dei loro profitti non in attività produttive ma nell’acquisto di titoli di Stato, per la semplice ragione che i titoli di Stato italiani rendevano tantissimo. E quindi si guadagnava di più facendo investimenti finanziari, invece che facendo investimenti produttivi. Questo è stato l’inizio della nostra deindustrializzazione». Avevano fatto un ottimo “lavoro”, i nostri Ciampi e Andreatta, manovrati dalla “White Eagle” reaganiana e thatchriana, avanguardia dell’élite occulta che, in capo a undecennio, avrebbe poi licenziato – usando Mani Pulite – i “ladri” della Prima Repubblica, per prendersi l’Italia in blocco, lasciando lo Stato in bolletta e i cittadini in mutande.

E’ abbastanza deprimente, scrive Patrizia Scanu, scoprire – oggi – che i campioni delle storiche privatizzazioni degli anni ‘90 erano, tutti, massoni neoaristocratici. Le famigerate e scandalose dismissioni e privatizzazioni all’italiana furono supervisionate dalla regia del massone neoaristocratico Mario Draghi, «affiliato alle Ur-Lodges “Pan-Europa”, “Edmund Burke” e in seguito anche alla “Three Eyes”, alla “Compass Star-Rose/Rosa-Stella Ventorum” e alla “White Eagle”». Draghi agiva in qualità di direttore generale del ministero del Tesoro, carica-chiave che rivestì dal 12 aprile 1991 al 23 novembre 2001. Quelle privatizzazioni selvagge furono quindi inaugurate «per conto terzi» sotto il primo governo di Giuliano Amato (1992-93), poi proseguite dal governo Ciampi (1993-94), dal primo governo Berlusconi (1994-95), quindi dal governo di Lamberto Dini (1995-96), dal primo esecutivo guidato da Romano Prodi (1996-98), infine dal governo D’Alema (1998-2000) e poi dal secondo governo Amato (2000-2001). «L’immarcescibile e granitico Mario Draghi – scrive Magaldi – diresse le operazioni ininterrottamente per un decennio, mentre a Palazzo Chigi si avvicendavano ministri e premier del tutto compiacenti (da destra, centro e sinistra) al piano di doloso smembramento e immotivata (sul piano dell’interesse pubblico) svendita a potentati privati di beni e aziende di proprietà del popolo sovrano».

Tutto cominciò nel 1992. Vogliamo ricordare che cosa fu privatizzato? Lo illustra Francesco Amodeo su “Scenari Economici”. Il ‘92, scrive Amodeo, «è l’anno in cui in soli 7 giorni cambia il sistema monetario italiano, che viene sottratto dal controllo del governo e messo nelle mani della finanza speculativa». Per farlo «vengono privatizzati gli istituti di credito e gli enti pubblici, compresi quelli azionisti della Banca d’Italia». Sempre il ‘92, è l’anno in cui «viene impedito al ministero del Tesoro di concordare con la Banca d’Italia il tasso ufficiale di sconto (il costo del denaro alla sua emissione), che viene quindi ceduto a privati». Non solo: «È l’anno della firma del Trattato di Maastricht e dell’adesione ai vincoli europei. In pratica è l’anno in cui un manipolo di uomini palesemente al servizio del Cartello finanziario internazionale ha ceduto ogni nostra sovranità». A continuare il suo lavoro di smembramento delle aziende di Stato «ci penserà Massimo D’Alema, che nel 1999 favorirà la cessione, tra le altre, di Autostrade per l’Italia e Autogrill alla famiglia Benetton, che di fatto hanno, così, assunto il monopolio assoluto nel settore del pedaggio e della ristorazione autostradale. Una operazione che farà perdere allo Stato italiano miliardi di fatturato ogni anno».


Se invece di “cartello finanziario internazionale” leggiamo, con Magaldi, “massoneria aristocratica sovranazionale” – avverte Patrizia Scanu – capiamo di colpo il nesso chiarissimo che tiene insieme privatizzazioni, neoliberismo e cessione di sovranità monetaria: prima con la separazione fra Tesoro e banca centrale e poi con il sistema dell’euro. Non manca il legante politico: il Trattato di Maastricht è un capolavoro neoliberista. Risultato voluto e puntualmente ottenuto: deindustrializzazione, crisi della democrazia e del welfare. Cervello dell’operazione? Loro, le Ur-Lodges neoaristocratiche. «Soprattutto, appare chiaro che l’Europa dei tecnocrati e dell’euro, che fu realizzata da Maastricht in poi, lontanissima dall’Europa dei popoli vagheggiata da Altiero Spinelli, era stata progettata fin dall’immediato dopoguerra (dai massoni neoaristocratici Richard Coudenhove-Kalergi e Jean Monnet) per portare al potereun’élite economico-finanziaria a danno delle democrazie europee». Il neoliberismo, sottolinea Patrizia Scanu, era un’ideologia costruita appositamente per questo fine, «cioè per travasare ricchezza dai poveri ai ricchi e asservire gli Stati alle banche private mediante il debito, secondo il più tradizionale sistema imperialista, tenendo buone le masse con la favoletta del debito pubblico, della crisi, dei vincoli europei, del rapporto deficit-Pil, dell’austerity e infine dello spread».

Micidiale, la “teologia” neoliberista: basata su dogmi di cartapesta, ma perfettamente funzionale al piano di restaurazione oligarchica. «Fu diffusa capillarmente finanziando università, centri di ricerche, think-tank, per soppiantare il “capitalismo dal volto umano” e dei diritti sociali che era stato delineato da Keynes e che vedeva come scopo delle politiche economiche la piena occupazione e il sostegno alla domanda interna». Mentre esalta a parole il libero mercato e lo “Stato minimo”, l’ideologia neoliberista «lavora per costruire monopoli, rendite di posizione, consorterie di privati che si arricchiscono a spese della collettività e assurdi vincoli all’espansione economica, come il pareggio di bilancio». Una sua caratteristica? «La continua confusione di pubblico e privato, con le “sliding doors” fra cariche istituzionali e incarichi privati e con i complessi conflitti di interesse». Ogni paese applica la ricetta a modo suo, ma con lo stesso risultato: «Disuguaglianze, povertà, disoccupazione, compressione dei diritti e insicurezza». Non sono “effetti collaterali” del neoliberismo, applicato alle politiche degli Stati: sono il loro vero obiettivo. «Per conseguirlo, occorre comunque la complicità dei governanti locali, che restano quindi i veri responsabili di questo scempio criminale».


Una controrivoluzione inesorabile, catastrofica: il progetto è continuato anno dopo anno, con lo smantellamento pezzo a pezzo del welfare e delle tutele del lavoro, del settore pubblico, della scuola, della classe media, «per culminare con il governo Monti nel 2011 e con quel terribile tradimento bipartisan del popolo italiano (votato dal Pd di Bersani e dal centrodestra di Berlusconi, sotto lo sguardo vigile di Giorgio Napolitano, massone neoaristocratico affiliato alla “Three Eyes”), che fu l’introduzione dell’equilibrio di bilancio (supremo dogma neoliberista) nella Costituzione, che ci condanna per sempre al dissanguamento economico, almeno finché non verrà rimosso». Fu allora che Monti (anche lui, dice Magaldi, massone affiliato a una Ur-Lodge, la “Babel Tower”) si disse soddisfatto per aver distrutto la domanda interna. L’eterno supervisore, Mario Draghi – ormai seduto sulla poltronissima della Bce – osservò che tutto stava andando per il meglio: l’inaudito piano di sequestro della sovranità nazionale dei paesi europei a beneficio delle potentissime lobby finanziarie di Bruxelles procedeva a tappe forzate. Prima mossa: dare ossigeno alle banche ma non alle aziende, per indebolire l’Europa del Sud. Seconda: impedire agli Stati, attraverso il Fiscal Compact, di spendere a deficit per i propri cittadini, rilanciando l’occupazione. Obiettivo finale, testualmente: «Riforme strutturali per liberalizzare il settore dei beni e dei servizi e rendere il mercato del lavoro più flessibile».

L’unica soluzione? Privatizzazione quel che ancora c’èra da razziare. Il declassamento dello Stato, secondo l’uomo che la Germania ha voluto alla guida della Bce, avrebbe assicurato più «equità» al sistema, aprendo spazi meno precari ai giovani attualmente privi di garanzie: per Draghi, la causa della disoccupazione non è stata la crisi mondiale della crescita, ma l’eccesso di tranquillità di chi invece il posto fisso ce l’ha (e se lo tiene stretto). Tutto da rifare: «Il modello sociale europeo è oggi superato», disse il super-banchiere di Francoforte. In una intervista al “Wall Street Journal”, l’ex dirigente strategico della Goldman Sachs gettò alle ortiche oltre mezzo secolo di “pax europea”, cresciuta al riparo del miglior sistema mondiale di welfare. D’ora in poi, ciascuno avrebbe dovuto lottare duramente, per sopravvivere, perché gli Stati – in via di smantellamento, neutralizzati con l’adozione della moneta unica da prendere in prestito a caro prezzo dalla Bce – non avrebbero più potuto garantire protezioni sociali: attraverso il Fiscal Compact, i bilanci sarebbero stati prima validati a Bruxelles e, dal 2013 in poi, nessuno Stato europeo avrebbe più potuto investire un euro per i propri cittadini, al di là della copertura del gettito fiscale.


«Occorre dunque andare a fondo e guardare dietro la superficie per comprendere chi ci ha derubati della nostra ricchezza, chi ha tradito la Costituzione e ha svenduto la nostra vita e il nostro paese per arricchire un’élite spietata e immeritevole», conclude Patrizia Scanu. «Sarà la storia a giudicare questa sciagurata operazione di rapina ai danni di tutti noi, perpetrata sotto il nostro naso e sotto tutte le bandiere politiche, mentre i mass media compiacenti ci parlavano d’altro». Ora è il momento di aprire gli occhi: «La tragedia di Genova è un terribile monito per tutti noi», scrive la segretaria del Movimento Roosevelt: «O ci riprendiamo diritti, democrazia e sovranità, oppure saremo schiavi per sempre». Non ci credete? Seguite i soldi: «Le incredibili concentrazioni di ricchezza e di potere che esistono adesso, ai livelli più alti del capitalismo, non si vedevano dagli anni Venti. Il flusso dei tributi verso i maggiori centri finanziari del mondo è stato stupefacente». Quello che però è ancora più stupefacente, aggiunge Scanu, è l’abitudine a trattare tutto questo come un semplice – e magari in qualche caso deprecabile – “effetto collaterale” della neoliberalizzazione. «La sola idea che questo aspetto possa invece costituire proprio l’elemento sostanziale a cui puntava la neoliberalizzazione fin dall’inizio – la sola idea che esista questa possibilità – appare inaccettabile».

Certo, il neoliberismo «ha dato prova di molto talento presentandosi con una maschera di benevolenza, con parole altisonanti come libertà, indipendenza, scelte e diritti, nascondendo le amare realtà della restaurazione del puro e semplice potere di classe, a livello locale oltre che transnazionale, ma in particolare nei principali centri finanziari del capitalismo globale», afferma David Harvey. Ma, appunto, dire “neoliberismo” non basta, così come non bastano le espressioni élite, oligarchia, vero potere. Qui ci sono anche nomi e cognomi: quelli del gotha supermassonico reazionario. «Leggendo il libro di Magaldi, si possono trovare i nomi di tutti i politici italiani e stranieri coinvolti nella distruzione della democrazia in Europa». Così, chiosa Patrizia Scanu, «può esserci più chiaro quali responsabilità abbiano i rappresentanti del popolo (di destra, di centro e di sinistra) che abbiamo votato, ignari e in buona fede, per tanti anni». Ma possibile che Magaldi non sia stato querelato da nessuno? Assolutamente sì: lo rivela l’autore stesso. La “congiura del silenzio” è proseguita anche in Parlamento, dove la senatrice Laura Bottrici (M5S) ha inutilmente citato il libro di Magaldi, il 12 gennaio 2015. «La senatrice chiedeva conto a Giorgio Napolitano della sua affiliazione alla massoneria internazionale. Il che vorrà ben dire qualcosa…».