– MPS USO’ 4 MILIARDI DI STATO PER SALVARE DE BENEDETTI
A CUI DOVRA’ PURE REGALARE GLI UTILI DI SORGENIA!
– IL PAPA’ DELLA BOSCHI MULTATO PER IL CRACK ETRURIA
– 234MILA CASE PIGNORATE AI CITTADINI NEL 2017
– MA IL CAPO DELLO STATO MINACCIA IL PARLAMENTO:
«LA COMMISSIONE D’INCHIESTA SULLE BANCHE
NON PUO’ INDAGARE SU CREDITO E ISPETTORI»
___di Fabio Giuseppe Carlo Carisio ___
A pochi giorni dalla sentenza con cui la Corte di Cassazione ha condannato ad una salatissima multa il padre di un ex ministro per le sue responsabilità nel fallimento di una Banca, costruito negli anni nonostante i molteplici organismi di controllo che evidentemente non hanno funzionato a dovere, il Presidente della Repubblica Italiana getta la maschera di patrocinatore dei finanzieri mondialisti che lo hanno voluto sul Colle più alto d’Italia ed entra a gamba tesa per azzoppare la Commissione d’inchiesta sulle Banche voluta dal Parlamento. Essendo lui l’arbitro del gioco politico del paese – almeno fino ad un eventuale impeachment – nessuno può fischiare il calcio di rigore per spedirlo fuori dallo stadio dove ogni giorno la democrazia esce sconfitta. Soprattutto in quel perverso sistema del credito che nel 2017 ha tolto la casa a 234mila cittadini pignorati per insolvenza del mutuo immobiliare. Sergio Mattarella, forse timoroso che le investigazioni possano scandagliare le azioni dei politici ed amministratori del suo Partito Democratico implicato indirettamente nei dissesti di Monte dei Paschi di Siena ed Etruria o magari vadano a curiosare nelle inchieste giudiziarie sulle manipolazioni del rating da parte delle agenzie internazionali che complottarono sullo spread nel 2011 per ordire il Golpe finanziario contro il Governo Berlusconi, avverte il Parlamento che deve ben guardarsi dall’andare a fare troppe indagini o sovrapporsi agli enti di controllo che l’autonomia bancaria renderebbe, a suo giudizio, incostituzionali.
L’AMMONIMENTO DEL CAPO DI STATO AL PARLAMENTO
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella
Il Capo di Stato è un callidissimo ed espertissimo politico, legale e giurista. Sa benissimo che non può rifiutarsi di firmare la legge istitutiva di una Commissione parlamentare onde evitare di rischiare davvero una messa sotto accusa per impeachment, ma, forte del suo trascorso nella Consulta (2011-2015), in una lettera perentoria e molto articolata, scrive ai presidenti di Camera e Senato quella che ha l’evidente aspetto di una “minaccia” ai politici che siedono a Palazzo Madama e Montecitorio. Il senso è chiaro: attenti a come agite perché altrimenti potrebbe essere chiamata in causa la Corte Costituzionale. L’ammonimento al Parlamento si traduce però implicitamente anche in un suggerimento agli istituti di credito ed agli enti di controllo sulla linea difensiva da adottare per tutelare la loro riservatezza. Da avvocato Azzecca-Garbugli del terzo millennio offre l’assist a banchieri con conti troppi scheletri negli armadi e ad ispettori miopi per rispondere picche ad eventuali istanze indiscrete dei commissari parlamentari: appellarsi alla lentissima Consulta per ipotetici conflitti di potere dello Stato. Nonostante l’inquilino del Quirinale sia anche Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura (Csm) pare non essersi accorto del ciclone di scandali finanziari e giudiziari che hanno ottenebrato l’orizzonte bancario italiano negli ultimi vent’anni, dai Bond Parmalat in poi, e sono deflagrati in potenti uragani capaci di devastare le semine dei risparmiatori proprio nel settennato dell’oligarchia Pd. Sembra quasi che Mattarella voglia evitare che un’inchiesta fatta dai rappresentanti del popolo riapra il cahiers de doléances e verifichi magari quale sorte sia toccata ai 20 miliardi di euro di soldi pubblici stanziati dal Governo Gentiloni nel 2016 per salvare Monte dei Paschi di Siena che a sua volta aveva investito 600 milioni di euro, pari a circa il 2 % del suo intero patrimonio, per salvare la Sorgenia controllata dalla Cir del cittadino italo-svizzero Carlo De Benedetti, prima tessera dello stesso Partito Democratico: una società energetica creata grazie al mercato libero del Decreto Bersani, ovvero l’ex ministro Pier Luigi un altro compagno allora DS e poi PD. Ma quante rosse coincidenze…
MATTARELLA: «NO A CONDIZIONAMENTI POLITICI DELLE BANCHE»
La sede della Banca d’Italia a Milano – Gian Mattia D’Alberto / LaPresseì
Basterebbe questo piccolo promemoria di correlazioni politico –finanziarie, di cui nel prossimo paragrafo analizzeremo nel dettaglio gli eventi, per acclarare in modo lapalissiano quanto la politica si sia impicciata dell’alta finanza bancaria con conseguenze purtroppo disastrose quando a farlo è la sinistra visto che Mediolanum, la banca del più longevo statista di centrodestra Berlusconi, è invece una delle più sane di tutta l’Europa. Ecco perché appaiono assurde, per non dire sfacciatamente faziose, alcune delle motivazioni con cui Mattarella ha posto paletti virtualmente – ma non giuridicamente – ingiuntivi alle azioni investigative. «L’eventualità che soggetti, partecipi dell’alta funzione parlamentare ma pur sempre portatori di interessi politici, possano, anche involontariamente, condizionare, direttamente o indirettamente, le banche nell’esercizio del credito, nell’erogazione di finanziamenti o di mutui e le società per quanto riguarda le scelte di investimento si colloca decisamente al di fuori dei criteri che ispirano le norme della Costituzione». Questo scrive il Presidente della Repubblica scambiando per matricolati fessi tutti i deputati, senatori e cittadini italiani ben consapevoli degli annosi intrighi perniciosi tra politica e pianeta bancario. Per una coincidenza fatale, infatti, questa sua affermazione giunge a pochi giorni dalla sentenza di conferma della maximulta affibbiata al padre dell’ex ministra piddina e sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio Maria Elena Boschi per il caso Etruria che vedremo più avanti. Ora proseguiamo la lettura della missiva di Mattarella: «Non è in alcun modo in discussione, ovviamente, il potere del Parlamento di istituire commissioni di inchiesta ma non può, tuttavia, passare inosservato che, rispetto a tutte le banche, e anche agli operatori finanziari, questa volta viene, tra l’altro, previsto che la Commissione possa analizzare la gestione degli enti creditizi e delle imprese di investimento. Queste indicazioni, così ampie e generali, non devono poter sfociare in un controllo dell’attività creditizia». Tradotto dal politichese iperburocratico significa che i commissari possono indagare perché è un loro diritto ma non intromettersi troppo sulle manovre finanziarie che hanno creato i dissesti: praticamente possono fare una ricognizione aerea dei luoghi della strage dei risparmiatori ma non le perizie per analizzare gli esplosivi che le hanno determinate. Il pericolo per il Capo dello Stato è evidente: «occorre evitare il rischio che il ruolo della Commissione finisca con il sovrapporsi – quasi che si trattasse di un organismo ad esse sopra ordinato – all’esercizio dei compiti propri di Banca d’Italia, Consob, Ivass, Covip, Banca Centrale Europea. Ciò urterebbe con il loro carattere di Autorità indipendenti, sancito, da norme dell’ordinamento italiano e da disposizioni dell’Unione Europea, vincolanti sulla base dei relativi trattati». Per prima così fa d’uopo ricordare allo scaltro inquilino del Colle che Banca d’Italia è una società a capitale misto pubblico-privato compartecipata dalle stesse banche di cui la stessa MPS finita sull’orlo del fallimento, detiene il 2,5 % delle quote azionarie. Ovvero il controllore è partecipato dai controllati: esattamante come nella società per azioni Bce. «La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito – recita l’art- 47 della Costituzione – Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese».
Le vecchie banconote da 500 lire emesse dalla Repubblica Italiana
Peccato che a forza di riforme del sistema monetario e bancario la Repubblica che emetteva direttamente tramite la Zecca di Stato le famose banconote cartacee da 500 lire con la Testa di Mercurio abbia ceduto tale sovranità monetaria prima alla stessa istituzione pubblica Banca d’Italia e poi ad una società privata come la Bce. Che la proprietà delle abitazioni per i meccanismi del credito sia passata sempre più dalla popolazione alle banche e che, come detto, anche la funzione di controllo sia finita di fatto nelle mani di istituti di credito privati. Tutto ciò renderebbe sacrosanto il diritto di una Commissione di parlamentari a ispezionare quello che vogliono in nome del popolo italiano che rappresentano. «Ricordo che né le banche centrali né, tantomeno, la Banca Centrale Europea possono sollecitare o accettare istruzioni dai governi o da qualsiasi altro organismo degli Stati membri – aggiunge invece Mattarella – Il principio di non interferenza e quello di leale collaborazione vanno affermati anche nei rapporti tra inchiesta parlamentare e inchiesta giudiziaria: l’inchiesta parlamentare non deve influire sul normale corso della giustizia ed è precluso all’organo parlamentare l’accertamento delle modalità di esercizio della funzione giurisdizionale e le relative responsabilità». Se è ben vero che il Parlamento, cui compete il potere legislativo, non può intromettersi in quello giudiziario, è altrettanto vero che le attività della magistratura possono essere invece vagliate dal CSM presieduto da Mattarella ed affiancato nella vicepresidenza dall’avvocato David Ermini, ex deputato PD esattamente come lui: a conferma che la sinistra sa sempre piazzare i suoi politici nei gangli nervalgici dello Stato. Ecco quindi gli ammonimenti finali del Quirinale ai destinatari della missiva, cioé i presidenti di Camera e Senato, Roberto Fico e Maria Elisabetta Casellati: «Sono certo che i presidenti del Senato e della Camera, nell’esercizio delle loro prerogative, seguiranno con attenzione lo svolgimento dei lavori della Commissione affinché sia assicurato il rispetto dei limiti derivanti dalla Costituzione e dall’ordinamento della Ue nonché il rispetto dei diversi ruoli e responsabilità».
BANCAROTTA IN BANCA ETRURIA: MAXI-MULTA A PAPA’ BOSCHI
L’ex vicepresidente di banca Etruria Pierluigi Boschi e sua figlia Maria Elena ex ministra del Governo Renzi e sottosegretaria del Governo Gentiloni che approvò il Decreto SalvaBanche per Mps
Quello di cui sono certo io – dopo aver analizzato le vergognose vicende sui Bond Parmalat e seguendo ora quelle su Etruria, Mps e sulle manipolazioni dei giudizi da parte delle agenzie di rating – è che certamente molte cose non sono funzionate negli organismi di controllo. Come comprova un episodio accaduto nel 2005 a Vercelli dove un investitore fu risarcito integralmente del danno dalla sua banca, con secretazione dell’accordo stragiudiziale, a condizione che ritirasse la querela per truffa contro il funzionario che gli vendette 30mila euro di obbligazioni dell’azienda del latte 4 giorni prima del default, quando anche le pietre sapevano che il crack a Parma era imminente. Ciò avvenne solo in virtù dell’attenzione mediatica e della determinazione della magistratura a perseguire il singolo dipendente che avrebbe potuto rappresentare un’inchiesta pilota. L’ennesima conferma è giunta di recente dal procedimento penale per il crack Etruria nel quale il 31 gennaio «il gup di Arezzo Giampiero Borraccia ha condannato in abbreviato quattro ex dirigenti di Banca Etruria nel filone di inchiesta per bancarotta – scriveva l’Ansa – Il giudice ha deciso una pena di 5 anni (scontati per il rito) per l’ex presidente Giuseppe Fornasari e l’ex dg Luca Bronchi, e di 2 anni per l’ex dg Alfredo Berni, tutti imputati per bancarotta fraudolenta. Pena di 1 anno per l’ex consigliere del cda Rossano Soldini accusato di bancarotta semplice. Il gup Borraccia ha inoltre rinviato a giudizio gli altri 27 imputati».
La sede di Banca Etruria ad Arezzo
«Qui si è fatto giurisprudenza, le accuse hanno retto tutte e anche il contributo delle parti civili è stato essenziale. Siamo molto soddisfatti – aveva commentato il presidente di Federconsumatori di Arezzo Pietro Ferrari che fornisce l’assistenza legale ai 1.563 risparmiatori costituitisi parti civili – Si tratta di un passo importante anche per la parte che adesso andrà a svilupparsi davanti al tribunale e per gli altri filoni processuali ancora aperti». Tra i rinviati a giudizio non c’è Pier Luigi Boschi, padre dell’ex ministra Pd, perché, pur essendo vicepresidente, non aveva preso parte alle delibere sui prestiti ad alto rischio che contribuirono a causare il dissesto e la successiva liquidazione coatta amministrativa per un passivo di 526 milioni di euro e crediti deteriorati per 2,8 miliardi di euro (due miliardi di sofferenze e 800 milioni di incagli). Tra i finanziamenti contestati dai pm del pool investigativo c’è lo yacht di Civitavecchia (perdita da 25 milioni) progettato per diventare il panfilo più grande del mondo e rimasto a invecchiare nel cantiere. Il prestito Sacci, ovvero cinquanta milioni mai rientrati concessi a una società il cui amministratore Augusto Federici, ora imputato, era anche membro del Cda della banca. E ancora l’operazione San Carlo Borromeo, relais di lusso di Armando Verdiglione su cui Banca Etruria aveva la sola garanzia di un’ipoteca di quarto grado. Ma l’estraneità ai rilievi penali non ha esimato l’ex vicepresidente della banca da una maxi multa. «La Corte di Cassazione ha reso definitiva la pena pecuniaria che gli ispettori di Ignazio Visco hanno inflitto a Luciano Nataloni, Pier Luigi Boschi e Andrea Orlandi – riporta il quotidiano Libero di Vittorio Feltri – Facevano tutti parte del consiglio di amministrazione di Banca Etruria al momento del fallimento. Il papà di Maria Elena rivestiva la carica di vicepresidente Con una sentenza depositata ieri, la seconda sezione civile della Suprema Corte ha rigettato i ricorsi degli imputati. A questo punto non c’ è più nulla fare: Nataloni dovrà pagare 156mila euro, Boschi e Orlandi 144mila ciascuno». Merita un più articolato approfondimento la vicenda Monte dei Paschi di Siena, emblematico caso di intrecci tra politica e finanza. Ma prima di analizzarlo vediamo come si sta invece comportando il sistema bancario nei confronti dei cittadini qualunque…
PIGNORATE LE CASE DI 234MILA CITTADINI
«Nel Portale delle vendite pubbliche del Ministero della Giustizia ci sono oggi 36.700 annunci di vendita in asta di immobili residenziali. Case finite lì perché il proprietario non è riuscito a fare fronte ai propri debiti. Dietro questi immobili ci sono storie diverse. Non è solo la difficoltà a pagare le rate del mutuo a precipitare molte persone in una situazione drammatica. C’è chi ha acceso altri finanziamenti da cui non riesce più a rientrare, chi non paga le spese condominiali, ci sono le storie di chi ha perso il lavoro o si è trovato in una situazione finanziaria di difficoltà per una separazione – ha scritto Alessandro Piu in un illuminante articolo sul sito Wall Street Italia – Quale che sia la causa del problema, sta di fatto che è in crescita. Secondo i dati del sito specializzato Enti e Tribunali nel 2015 ci sono state 226.000 esecuzioni immobiliari, nel 2016 sono state 267.000 e nel 2017 oltre 234.000. Con un ritmo di oltre 200.000 pignoramenti l’anno il rischio è di arrivare a quota 1,5 milioni di immobili in asta nei prossimi cinque anni. Nel 70% dei casi si tratta di abitazioni, nel 4% di negozi e uffici, nel 7% di capannoni industriali e nel 13% di terreni. Poco meno dell’1% di immobili in asta è rappresentata da hotel e strutture alberghiere, nella maggior parte dei casi si tratta di micro-strutture a conduzione familiare. Mentre nel restante 6% dei casi, sono presenti una serie di unità immobiliari di diversa natura e anche di difficile ricollocazione. Questi dati sono stati ricordati da William Cappa, fondatore di Cappa & Associati società specializzata nel settore del debito con un focus sui pignoramenti, nel corso di una presentazione a Milano». L’unico commento da fare è che ci sono i poveri cittadini stritolati da un sistema bancario cinico che si fa però aiutare dallo Stato quando si trova in rosso per colpa del salvataggio di imprenditori politicamente amici…
LA SORGENIA DI DE BENEDETTI SALVATA DA MPS
L’imprenditore Carlo De Benedetti fondatore di Sorgenia poi rilevata da Monte dei Paschi di Siena insieme ad altre banche Foto Roberto Monaldo
Prima di ricordare come fu aiutata la banca senese andiamo a vedere come la sua storia si connette con quella di uno degli storici esponenti del Partito Democratico Carlo De Benedetti, residente in Svizzera e ideatore di Sorgenia, società energetica impegnata da anni, attraverso una società controllata, a cercare di far decollare a Gioia Tauro uno dei più grandi impianti di rigassificazione del Mediterraneo. Si tratta di uno stabilimento che consentirebbe di riconvertire il gas metano liquido, più facile da trasportare sulle navi cisterna perché meno ingombrante, allo stato gassoso per la sua distribuzione in tutta la rete energetica del paese. «All’inizio, quando nasce nel 1999 in seguito al Decreto Bersani sulla liberalizzazione dell’energia elettrica, si chiama Energia SpA. E fa parte della galassia CIR-De Benedetti che detiene, attraverso Energia Holding, il 73,4% del capitale mentre il 26,6% è in mano al gruppo energetico austriaco Verbund (controllato con il 51% dallo Stato austriaco) – scrive Wikipedia con la doviziosa e puntuale citazione d’innumerevoli fonti – Nel 2000 la società avvia la fornitura di energia elettrica ai primi clienti industriali, nel 2003 inizia anche la fornitura di gas dalla Libia tramite il gasdotto Green Stream. E porta avanti con gli investimenti i progetti greenfield relativi alle centrali elettriche a ciclo combinato alimentate a gas naturale di Termoli (CB), Modugno (Bari), Aprilia (Latina), Bertonico-Turano Lodigiano (Lodi). Nel 2003 il business energetico (808 milioni di euro di fatturato contro i 574 dell’anno precedente) rappresenta ormai un terzo dei ricavi CIR. Nel luglio 2006 Energia SpA, in cui gli austriaci di Verbund hanno da pochi mesi sottoscritto, pur essendo azionisti di Energia Holding, un aumento di capitale di 150 milioni in cambio di una partecipazione del 6%, cambia nome e diventa Sorgenia SpA. Il maggiore azionista è sempre la CIR di De Benedetti». Gli investimenti procedono a ritmo incalzante soprattutto nella creazione di sinergie internazionali. Il progetto più strategico è quello del rigassificatore di Gioia Tauro elaborato dalla societù LNG Medgas, controllata al 70 % dalla Fingas che è a sua volta partecipata al 50 % da Sorgenia (il resto è di Iren). Si tratta di un progetto colossale e rivoluzionario per l’Italia. Ma proprio per questo incontra rallentamenti nelle autorizzazioni dei vari enti pubblici interessati. I ricavi netti della società energetica controllata da De Debenedetti, invece, tra il 2005 ed il 2006 precipitano con un -3,9 milioni annuo e l’indebitamento netto sale da 429 a 491 milioni. E’ l’inizio del tracollo divenuto mostruoso nel 2013 con un indebitamento di 1,8 miliardi di euro nei confronti di 21 banche. La principale banca creditrice risulta Mps che da sola si è caricata di ben un terzo di quel fardello: 600 milioni, a suo tempo elargiti per finanziare la società elettrica. Proprio Monte dei Paschi di Siena è però a sua volta con l’acqua alla gola: ha chiuso il primo semestre 2012 con un buco di 1,617 miliardi ed il peso del credito verso Sorgenia comincia a far sentire il suo peso. Ma è in quel momento che il Governo di Mario Monti – nel quale siede come Ministro delle Infrastrutture anche l’esperto banchiere Corrado Passera manager con De Benedetti nella Olivetti – interviene in soccorso di MPS (e di Unicredit) attraverso un prestito dello Stato di 3,9 miliardi di euro sotto forma di obbligazioni: i cosiddetti Monti bond. Questi danno alla banca senese il respiro finanziario indispensabile per aiutare Sorgenia. «Di fronte ad una pesante crisi, i De Benedetti non si sono resi disponibili a ricapitalizzare la società come avevano invece richiesto le banche. Con un accordo di moratoria (standstill) con gli istituti finanziatori, è così avviato un processo di ristrutturazione con un aumento di capitale sottoscritto solo dalle banche: CIR e Verbund escono dalla società e, alla fine, Sorgenia finisce in mano alle banche creditrici che hanno convertito l’esposizione creditizia in azioni. Perciò Mps si è ritrovata ad essere azionista di Sorgenia con il 22% del capitale e ad averla tra gli incagli dei suoi conti. Le altre banche coinvolte: Ubi Banca con il 18%, Banco Popolare con l’11,5% Intesa Sanpaolo e Unicredit entrambe con il 10%, Bpm con il 9%». Ma con che coraggio Monte dei Paschi di Siena accettò di trasformare in azioni un credito così ingente proprio nel momento in cui aveva bisogno di sempre maggiore liquidità per evitare il dissesto? E’ evidente che poteva contare sulle promesse di aiuti politici molti significativi…
IL GOVERNO GENTILONI SOSTENUTO DAL PD SALVA MONTE DEI PASCHI
I due ex premier Paolo Gentiloni e Matteo Renzi
«A dicembre del 2016 è stato deciso il salvataggio di Monte dei Paschi di Siena (quarto gruppo bancario in Italia), anche questa in crisi dopo anni di cattiva gestione. Diversamente da quanto successo alle quattro banche del centro Italia, nel caso di Mps lo Stato ha finanziato parte dell’operazione, attingendo a un fondo di 20 miliardi di euro presi a debito varato a questo scopo – riferisce un articolo molto esaustivo de Il Foglio – Questi, circa 3,9 sono stati spesi per la ricapitalizzazione e al massimo 1,5 riservati al ristoro degli investitori al dettaglio che detengono le passività subordinate della banca oggetto di conversione in azioni nell’ambito del burden sharing. Azionisti e obbligazionisti hanno da parte loro contribuito per altri 2,8 miliardi, secondo il principio della condivisione degli oneri previsto dalla normativa dell’Ue. A pagare sono stati quindi sia i contribuenti sia i privati, e anche in questo caso i soci proprietari hanno visto il proprio capitale azzerarsi mentre parte dei risparmiatori è stata tutelata. A dicembre 2016 la banca senese deteneva 39 miliardi di euro in conti correnti (in parte comunque tutelati dal Fondo Interbancario) e circa 18 miliardi di obbligazioni ordinarie, che sarebbero stati persi in caso di liquidazione della banca. A proposito del fondo varato dal governo, è importante evidenziare che si è trattato di una acquisizione di attività, le azioni della banca, e non di un contributo a fondo perduto: potrà dunque tornare allo stato attraverso la vendita. Se la manovra avrà costituito un guadagno o una perdita dipenderà dall’andamento delle azioni nei prossimi tre anni: il Tesoro dovrà infatti uscire da Mps entro il 2021». Quel che si scorda di dire il quotidiano Il Foglio è che quei 3,9 miliardi di euro del decreto approvato dal Governo del premier Paolo Gentiloni, sostenuto dal Pd di Matteo Renzi, sono serviti per coprire i precedenti Monti Bond in scadenza e di essi 600 milioni erano quelli conseguenti all’esposizione di Sorgenia. In pratica, dunque, lo Stato non ha salvato solo Monte dei Paschi ma la stessa azienda di De Benedetti. Un cittadino semplice ed onesto potrebbe a questo punto domandarsi: perché lo Stato è entrato direttamente in Sorgenia rilevando un debito insieme ad un patrimonio di centrali elettriche anziché finanziare quella che di fatto è stata una speculazione finanziaria privata? E’ a queste domande che Mattarella teme che la Commissione parlamentare d’inchiesta possa dare risposta? Oppure all’acquisto da parte della stessa MPS di una Banca Antonveneta pagata 1,5 miliardi inpiù del suo valore? Resta il fato che grazie al Monte dei Paschi la società Sorgenia ha iniziato il suo decollo: nel 2016 ha chiuso con un fatturato di 1,5 miliardi di euro (+13,9%) e un utile di 14,5 milioni. L’indebitamento è sceso a 882,6 milioni ed è iniziata la parziale restituzione del debito agli istituti creditori. Nel maggio 2017 è stato chiuso un nuovo accordo di ristrutturazione del debito con le banche che vede tra l’altro un allungamento di 2-3 anni del piano di ripagamento del debito.
L’area interessata dal progetto per il rigassificatore di Gioia Tauro in cui è coinvolta anche Sorgenia
Ma nel frattempo la controllata LNG Medgas continua a sperare di fare il colpaccio del rigassificatore di Gioia Tauro, auspicato da banche e strateghi dell’energia, fortemente boicottato dagli ambientalisti. Fin qui è una storia a lieto fine di un’ordinaria speculazione bancaria sulle spalle dell’indebitamento pubblico di Stato dato che quei 20 miliardi versati dallo stato nel cosiddetto Decreto SalvaBanche rappresentano circa la metà dell’ammontare del Documento Economico Finanziario 2019 e più del doppio della cifra necessaria per il contenimento del deficit. Non sono bruscolini ma fette di un’amara torta da digerire per gli italiani cui viene invece tolta la prima casa. Ma c’è anche una ciliegina al veleno sopra la panna rancida di questa storia. Una clausola davvero vergognosa della speculazione: «Una volta rimborsato il debito e ottenuta la remunerazione del 10% sul capitale investito, le banche si sono impegnate a girare a CIR e Verbund il 10% della eventuale plusvalenza che otterranno cedendo la società risanata». Oltre al danno anche la beffa: gli italiani si sono puppati l’innalzamento del debito pubblico conseguente gli interessi passivi su quei 20 miliardi prestati alle banche fino al 2021. Se Sorgenia sarà venduta con profitto ci guadagnerà invece De Benedetti: italiano per arraffare, svizzero quando deve pagare le tasse.
Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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