martedì 19 marzo 2019

Bohemian Grove: politici, militari e gente che conta brindano alla devastazione del mondo (NOMI e FOTO)

Un club per giornalisti, fondato da giornalisti. Da un’idea di Tommy Newcombe ed altri giornalisti del San Francisco Chronicle, nel 1892 nasce in California il Bohemian Club. Giovani cronisti, mossi dal desiderio di scappare per un po’ dalle caotiche redazioni dei giornali e riunirsi all’aria aperta, decisero d’instaurarsi nei boschi di Monte Rio, nella contea californiana di Sonoma, per chiacchierare e svolgere attività artistiche d’ogni tipo.

Il Bohemian Club è sopravvissuto fino ai giorni nostri, l’edizione di quest’anno del Bohemian Grove, l’accampamento estivo dei membri del Club, celebrato con cadenza annuale dal 1899, si svolge dall’8 al 27 Luglio, sempre nello stesso luogo scelto più di cento anni fa da quei giornalisti… ma dello spirito con cui è nato il Club, non c’è più nemmeno l’ombra.

Un tempo, tra gli oltre 1.000 ettari di sequoie secolari del “boschetto boemio” (di proprietà del Club) di Monte Rio, ci si incontrava per discutere e praticare le arti, la pittura, la poesia, la musica, tanto che la conditio sine qua non per essere ammessi in questa elitaria associazione era quella di praticare almeno una delle Sette Arti (cit. George Sterling, poeta americano).

“Weaving Spiders Come Not Here” è il motto del club (“Ragni tessitori non veniate qua”, ndr), parla chiaro: al Bohemian Grove si viene per passare un paio di settimane di feste e sollazzi, senza appesantire il soggiorno con le diatribe che attanagliano mente e corpo durante il resto dell’anno.

Al Bohemian Grove si è tutti semplicementi boemi, bon vivants, vivitori.

Il diritto d’ammissione al Club s’è comunque andato adattando ai tempi e, da un gruppo ristretto di giornalisti con aspirazione artistica, è diventato oggi il club di tutti i ricchi mecenati, imprenditori, personaggi di spicco dell’economia, della finanza, dell’istruzione, della politica e del mondo militare. L’importante è avere una barca di soldi ed essere riconosciuti internazionalmente come una delle persone più potenti ed influenti del pianeta.

Tutti riuniti attorno al fuoco come dei boy scouts, ogni anno, al Bohemian Grove si celebra lo stile di vita boemio e non ci si preoccupa di come va il mondo, almeno per una quindicina di giorni.

Questi signori, in versione ebbria, con pantaloni corti, calzettoni sotto il ginocchio e cubani in bocca, sono i diretti responsabili dell’attuale tracollo mondiale, delle guerre, delle epidemie mediche e della povertà globale ma… lasciamoli fare i campeggiatori, si devono riposare, sono solo quindici giorni, se lo meritano, vero?

Il Bohemian Club è un club rigorosamente per soli uomini (nel 1999, un po’ per imitazione, un po’ per non essere da meno, Susan Stautberg della Westinghouse Broadcasting ed Edie Weiner crearono il Belizean Grove, un club formato da circa 120 delle più potenti ed influenti donne del pianeta, tra politiche, artiste e militari, ndr) ed attualmente ospita ogni anno gli uomini più potenti e ricchi del mondo. Alcuni nomi (trovate l’elenco scaricabile in formato excel a fondo articolo, ndr): Henry Kissinger, David Rockfeller, Bush padre e figlio, Colim Powell, Tony Blair, Dick Cheney, Donald Rumsfeld, Karl Rove, Shimon Peres, Al Gore, George Shultz, Jack Kemp, Caspar Weinberger, Helmut Schmidt, Michel Rocard, James Baker,…

Al Bohemian Grove sono invitati tutti i membri del Club, per riunirsi e ricordare almeno una volta all’anno, che si è tutti parte di un gran gruppo, con uguali obiettivi e modus operandi. E allora… a campeggiare tra bungalow e tende, ovviamente con tutti gli svaghi possibili ed immaginabili (leggete l’articolo dello Spy Magazine, dove si parla un po’ delle cifre esorbitanti che vengono spese durante il Grove, ndr). Non manca di certo il caviale, lo champagne e tutto il meglio del delicatessen mondiale (tra gli ospiti del Grove ci sono rinomiati cuochi, sommelier e via dicendo).

Il B.G. si svolge al centro del sacro territorio di Sonoma, abitato un tempo dalla tribù pellerossa dei Pomo. In questo bosco, le tribù dei nativi americani praticavano riti divinatori e di cremazione, perché era considerato un punto alchimisticamente molto importante, l’incrocio di linee ed energie esoteriche, che sembra propiziassero questa tipologia di rituali. Era chiamata la “Via della Morte” ed ancora oggi, Bohemian Club a parte, è una zona ben conosciuta dai seguaci del movimento neopagano e dell’esoterismo.

Oggi il Bohemian Grove conta circa ottanta accampamenti, ognuno col suo nome (vedi documento excel a fondo articolo) ed ognuno ospita decine di neo-boemi. Tra le svariate attività che queste persone praticano durante il “campeggio” ci sono gare di piroghe (tipica imbarcazione Pomo, ndr), grigliate, concentrazioni per ascoltare i cosiddetti “Discorsi sulla riva del lago”, dove si alternano vari oratori per discutere un po’ d’arte, filosofia, religione e, perché no, di politica, economia e di cosa poter fare col pianeta.

Il primo sabato del campo estivo si compie il tradizionale rito del “Cremation of Care“, una processione funebre dove uomini vestiti in stile druido, con tuniche, torce e pali appuntiti, portano in una piroga una bara contenente l’effige di un essere umano (il “Care”), fino ai piedi di una statua alta circa 15 metri che rappresenta un gufo, la divinità adorata dai membri del Bohemian Club. Sotto il gufo viene recitato un sermone, con tanto di musiche ed effetti speciali (sviluppati con il susseguirsi delle edizioni del Grove) ed alla fine viene bruciata quest’effige umana, al grido di:

“Great Owl of Bohemia, we thank thee for thy adjuration.
Well should we know our living flame Of Fellowship can sear
The grasping claws of Care, Throttle his impious screams
And send his cowering carcass From this Grove.
Begone, detested Care, begone! …Once again Midsummer sets us free!”
(a fondo articolo potete leggera la traduzione di tutta la cerimonia della cremazione).

“Cremation of Care” è stato tradotto da alcuni italiani come “cremazione dell’intento” ma personalmente preferisco e credo sia molto più chiaro tradurlo letteralmente come “cremazione di ciò che importa” di “quello che veramente importa nella vita”. Insomma, questi loschi figuri bruciano durante un rituale pagano, che ricorda i riti sacrifical-propiziatori delle antiche civiltà (tipo l’adorazione di Moloch, dio biblico dello stato di Ammon, l’odierna Giordania, a cui si dedicavano sacrifici di bambini).

L’anatema contro l’attuale Bohemian Club è doveroso: sono proprio i membri del Bohemian Club coloro i quali potrebbero dare una svolta al mondo in tutti gli ambiti, economico, medico e politico, non sono forse le persone più ricche, potenti ed influenti della Terra? Qualcosa di buono lo potrebbero fare, no? A parte creare fondazioni umanitarie fantoccio per lavare denaro sporco, ad esempio…

Se solo gli importasse, se solo mettessero da parte l’ego e pensassero alle altre persone che vivono su questo pianeta come una parte di se stessi, se solo volessero fare del bene, invece di “bruciare ciò che importa davvero”, prenderebbero a cuore la causa di questo martoriato pianeta e di tutti i suoi abitanti.

Se fossero buone persone, avrebbero chiaro che l’unica vera ricchezza è l’amore, l’empatia, la collaborazione e la cooperazione internazionale. Cominciando dal vicino di casa, fino alla giungla amazzonica, all’asia, all’africa, ovunque laddove si paga con la sofferenza, la miseria e la morte la spesa della grigliata e della festaccia di questi schifosi papponi, che di boemo, tra l’altro, non hanno proprio niente, se non la voglia di cazzeggio e di dominio.

Oggi, Luglio 2014, a poche ore dall’inizio del Bohemian Grove 2014, mentre il mondo sta morendo tra guerre ed epidemie, la gente si suicida vittima di un tracollo finanziario senza precedenti, i cittadini sono presi in giro da quelli che dovrebbero essere i propri rappresentati, i responsabili stanno facendo le valigie per andare a festeggiare per tutto il male ed il dolore che hanno creato.

Anche se può sembrare un Bilderberg estivo, il Bohemian Grove è ben più un paio di semplici e rilassati settimane nel bosco tra amici. Non è la documentazione che parla in questo caso (purtroppo, i vari giornalisti e spioni che hanno cercato di entrare sono stati arrestati, a parte Alex Jones che ha documentato tutta la cerimonia del Cremation of Care, vedi video a fondo articolo, Cathy O’Brien, una donna che afferma d’esser stata violentata durante le cerimonia del B.G., l’attivista Mary Moore e qualche anonimo lavoratore del catering/bus navetta del B.G., ndr) ma il senso comune.

Metti in un bosco mistico tutte le persone più importanti del mondo e chiamale a partecipare ad eventi rituali collettivi. Egiziani, Babilonesi, Romani, Greci, tutte le antiche civiltà lo facevano ed ora anche la nostra.

Invece di recitare un mea culpa e rinascere dentro, invece d’aiutare e riprogrammare le proprie agende, riconoscendo che non sono i nostri capi e che non è loro il pianeta Terra, come impiegano quei minuti preziosi che potrebbero salvare la vita di milioni di bambini africani, solo per fare un esempio? Un’allegra grigliata in costume da bagno. Che dura 15 giorni. Bravi, ben fatta.

Non c’è altro da aggiungere, credo. Non serve nemmeno seguire l’onda di chi crede che si svolgano, o si siano svolti in passato, sacrifici umani durante il Bohemian Grove o di chi punta l’attenzione solo sulle presunte feste orgiastiche con prostitute. Questo è puro folklore del Grove e con questo non dico che non sia vero ma, anche nell’eventualità, non mi stupirebbe affatto. Non perdiamo tempo con la forma, la sostanza dell’attuale Bohemian Club dev’essere il fulcro della nostra attenzione. Attenzione! Perché non se ne parla quasi mai ed invece è fondamentale per tutti noi sapere quello che succede nel boschetto di Sonoma, in California.

Viene bruciata un’effige di un essere umano durante la cerimonia della “Cremation of Care” ma i sacrifici umani avvengono soprattutto fuori dal Bohemian Grove, ogni giorno, centinaia di persone muoiono vittime delle guerre e di un sistema che è ben che crollato, perché fondato su pilastri completamente equivocati, primi tra tutti il denaro ed il potere.

I colpevoli di tutto ciò sono seduti oggi, e per quindici giorni consecutivi, su seggiole di legno con cappelli di paglia, sigari e coppe del miglior vino, praticando pseudo-rituali incappucciati. Che non hanno colpa a radunarsi al Bohemnia Grove? Avete perso il senso comune che vi permette di distinguere il bene dal male?

Spiegatemi cosa c’è da festeggiare e mi ci unisco anch’io al Bohemian Club.

Matteo Vitiello


Lo speciale sul Bohemian Grove di Spy Magazine (1989)


La traduzione della cerimonia “CREMATION OF CARE”



La lista dei partecipanti al Bohemian Grove (anno 2010)

BOHEMIAN-GROVE-MEMBERSHIP-LIST

Alcune immagini del Bohemian Club e Bohemian Grove

Alcune mappe dettagliate del Bohemian Grove

Seguono le foto più antiche delle prime edizioni del Bohemian Grove

3 VIDEO


Il giornalista americano Alex Jones si confronta con il politico David Gergen, membro del Bohemian Club



Cremation of Care – Bohemian Grove 2000



Bohemian Grove – Documentario completo Alex Jones


 Uno dei relati più importanti sul Bohemian Club e Bohemian Grove:

Bohemian Grove and Other Retreats: A Study in Ruling-Class Cohesiveness” 

(G. William Domhoff, 1974, Harper & Row)


La dissertazione del Dr. Peter Martin Phillips

A Relative Advantage: Sociology of the San Francisco Bohemian Club”



Bilderberg: ecco la sporca agenda segreta dei capi del mondo




«Il nostro lavoro non è dare alla gente quello che vuole, se no quello che noi decidiamo che debbano tenere» [Richard Salant, CBS News]


«I membri del Bilderberg stanno costruendo l’era del post-nazionalismo: non avremo più Paesi, ma solo regioni della Terra all’interno di un “mondo unico”. Questo significherà un’economia globalizzata, un “unico governo mondiale” (selezionato, più che eletto) ed una “religione universale”. Per assicurarsi il raggiungimento di tali obiettivi, il Bilderberg si concentra su “il controllo tecnologico e la scarsa sensibilizzazione della pubblica opinione”» [William Shannon]

«Qualcuno crede che formiamo parte di una cabala segreta che attua contro i migliori interessi degli Stati Uniti d’America, qualificando la mia famiglia e me stesso d’internazionalista ed accusandoci di cospirare con altri individui del mondo per creare una struttura economica e politica globale più integrata; un mondo, se si vuole chiamarlo così. Se questa è l’accusa, mi dichiaro colpevole e ne sono orgoglioso» [David Rockefeller]


Molti di voi già lo conoscono, almeno per sentito dire. Il Club Bilderberg, il meeting annuale dei potenti del mondo. Altrettanti di voi pensano che persone come Daniel Estulin, giornalista investigativo autore del famoso libro “I segreti del Club Bilderberg” , siano solo dei fanatici, che si perdono nelle loro teorie sulla cospirazione.

In questi casi, quando alcuni ci credono ed altri no, la cosa migliore è presentare i fatti.

Questo articolo nasce proprio con l’intento di fornire alcuni dettagli, che vi aiutino a capire perché le riunioni del Bilderberg non avvengono per discutere cosa sia meglio per l’umanità, quali misure adottare per aiutare l’Africa, ad esempio, o per salvarci dalla crisi economica.

L’unica grande obiettivo del Club Bilderberg è decidere sulle migliori è più subdole strategie da adottare per transitare, senza troppo clamore, anzi, col nostro consenso, verso l’era post-nazionalismo, dove un unico governo mondiale sostituisca il potere sovrano dei singoli Stati del mondo. Un’unica grande società globalizzata, con un unico esercito ed un unico sistema tributario: una società globale fondata su un sistema oligarchico, dove poche e ricchissime persone comandino il resto della popolazione, che zitto e quieto, lavori, senza reclamare niente che non sia permesso o concesso dai vertici del sistema.


Non ci credete? Non lo dico io, queste sono le parole, condivise dal magnate David Rockefeller (uno dei capi del Bilderberg, ndr), del fondatore del CFR (Council on Foreign Relations) Edward Mandell House: “la popolazione, i governi e le economie di tutti i paesi devono soddisfare le necessità delle banche e delle imprese multinazionali” [fonte: “Between two ages: America’s role in the Technetronic Era”, Zbigniew Brzezinski]. Questo lo dicevano nel 1970 e ne è passata di acqua sotto i ponti…

Oggi a che punto siamo? Vi guardate attorno? Viaggiate per l’Europa? Vedete le immagini della TV (limitatevi a guardare le immagini senza audio, ve lo consiglio, ndr)? Vi rendete conto di quanta gente è uccisa ogni giorno, perché reclama i propri diritti civili o perché chiede libertà, giustizia sociale, cibo, assistenza e condizioni di lavoro dignitose?

Cosa succede, ad esempio, a casa nostra? L’Unione Europea che tutti volevano (almeno i politici, ndr), piano piano, si è trasformata in un mostro che sta distruggendo i singoli Stati che ne fanno parte.

Avete visto che è arrivata la crisi? Perché? A quale scopo le stesse persone che stampano i soldi, poi cercano di convincerci in tv, radio e giornali che la crisi finanziaria si può superare, obbedendo a questo o a quell’altro ordine dell’Unione Europea o degli U.S.A.? Certo che la crisi si può superare, stampando più soldi e distribuendoli. Ahi! Proprio qua sta il primo paradosso della società contemporanea: i soldi. I soldi sono lo strumento creato dall’uomo per stabilire un ordine oligarchico, per consegnare il potere in mano a poche persone, affinché possano comandare e dire cosa fare e come farlo. I cittadini, d’altro canto, possono guadagnare tanto o poco, l’importante è che non mettano il naso in questioni che spettano solo alla classe dirigente, come decidere cosa dev’essere considerato bene e cosa male; e che non pensino che le decisioni importanti, che riguardano il presente ed il futuro del nostro pianeta, siano cosa che li riguardi.

Soluzione della crisi a parte, ricordatevi che l’attuale crisi non si supererà, perché è un punto ben preciso della transizione verso il sistema globalizzato mondiale. In altre parole, la crisi è stata voluta dalle stesse persone che oggi ci dicono come potremmo uscirne. Una presa in giro globale.

Si tratta di una strategia: farci vivere con meno soldi, farci arrabbiare e farci passare la fame, così poi saremo più malleabili ed accetteremo più facilmente le politiche per lo “sviluppo”, per il “sanamento del debito”, per “uscire dalla crisi”. Ci proporranno (e lo stanno già facendo, ndr) le soluzioni di enti sovrannazionali come l’UE e l’ONU, organizzazioni internazionali che si sono costruite quest’aurea di credibilità, che ci fa dire cose del tipo: “se lo dicono loro, se lo dice Kofi Annan, è per il bene di tutti”. Balle. Bastardi e bugiardi, ecco chi sono i capi dell’ONU. Egoisti e dittatori.


Insomma, è tutta una cospirazione? Sì. Non c’è bisogno di crederci o non crederci, è così. Un esempio concreto: la povera Africa. È la terra più ricca del mondo, tutti la sfruttano, usano la manodopera dei suoi abitanti e corrompono i suoi governanti. Poi ci vengono a chiedere di donare qualche soldo per la causa africana, per i bambini che muoiono di fame. Ma il mondo è pieno di soldi, il problema è che sono concentrati proprio nelle mani di queste persone a capo di Fondazioni umanitarie, di Governi e di organizzazioni internazionali. Capite bene che è sempre una grande presa in giro.

Se gli alti vertici del CFR americano, dell’inglese EIIR, della Commissione Trilaterale, della Conferenza di Dartmouth, dell’Istituto Aspen di Studi Umanistici, dell’Istituto Atlantico e del Club Bilderberg fossero interessati a salvare la vita dei bambini africani, l’Africa sarebbe già salva da almeno cinquant’anni.

Un altro esempio: il petrolio e i danni ambientali. Se gli alti vertici del CFR o del Club Bilderberg fossero interessati ad eliminare la dipendenza dal petrolio e permetterci di vivere in un pianeta più sano, avrebbero già chiuso i giacimenti.

Se (e concludo) agli alti vertici del CFR e del Club Bilderberg non piacessero le armi, non ne finanzierebbero la produzione.

Non è nell’attuale interesse degli alti vertici del CFR, del Club Bilderberg e della Commissione Trilaterale cambiare strada. Non entra nei loro cervelli, per ora, la concezione di vivere in un mondo dove tutti stiano bene e dove non esista la necessità di possedere denaro, quale strumento d’amministrazione del potere di pochi sulle masse.

Torniamo all’Unione Europea. Cosa sta succedendo? Qual è il programma per l’Europa? Perché la crisi e perché hanno cominciato a parlare di rating, di Stati con tripla A e così via? Non c’è bisogno di grandi spiegazioni forbite o talk show televisivi, la spiegazione è questa: mercati finanziari, Borse, economie e politiche confluiscono e sono fondate solo ed esclusivamente nell’interesse economico di un’élite di persone, che hanno l’obiettivo di possedere la maggior parte della ricchezza mondiale ed un potere tale, che gli permetta di comandare e decidere sulle sorti del mondo, a prescindere dal consenso o dalla condivisione del resto della popolazione. In altre parole, creare un sistema in cui il potere politico viene solo dopo il potere economico.

Un paio di dichiarazioni da pelle d’oca a riguardo. “L’obiettivo è creare un potere economico mondiale superiore ai governi politici delle nazioni implicate, affinché i suoi creatori e leader, dirigano il futuro”. [fonte: “With no apologies” – Berry Goldwater, senatore statunitense]. “È necessario stabilire un gioco dialettico tra governi e multinazionali, il primo dovrà obbligare i paesi in via di sviluppo ad adottare una legislazione liberale ed abbandonino il nazionalismo, mentre le multinazionali dovranno trasmettere ai governi le conoscenze che posseggono dei paesi nei quali operano” [fonte: “The crisis of democracy” – Samuel Huntigton, investigatore politico di Harvard, Michel Crozier, sociologo francese e membro dell’Accademia delle Scienze Morali e Politiche di Francia, Joji Watanuki, membro giapponese della Commissione Trilaterale]


Torniamo al Bilderberg. Il gruppo Bilderberg è stato fondato da varie persone (pare che l’ideatore del Bilderberg Group fu Joseph Retinger, ndr), tra cui un ex-ufficiale delle SS di Hitler, il principe olandese Bernardo de Lippe-Biesterfeld, membro della giunta della Farben Bilder, una filiale del gruppo d’intelligence della Germania nazista (da cui si suppone provenga il nome Bilderberg e non dall’hotel sede del primo incontro del 1954, ndr). La famiglia di Bernardo de Lippe ha sempre cercato di interrare questa parte della storia del “buon” principe olandese, soprattutto quando, dopo la guerra mondiale, divenne il direttore generale del conglomerato olandese-britannico del petrolio Royal Duth Shell. Insomma, un ideologo nazi, per farla breve.


Assieme a lui, l’altro padre fondatore del Bilderberg fu Otto Wolf von Amerongen, direttore della compagnia petrolifera Exxon (a suo tempo, nel 1971, si chiamava ancora Standard Oil, ndr), nel cui curriculum spiccano: il traffico illegale di tungsteno per la produzione di armi, l’essere stato una spia nazista in Portogallo e l’aver venduto, una volta terminata la seconda guerra mondiale, le azioni che Hitler aveva espropriato agli ebrei durante la sua dittatura. Un altro buon personaggio, no?


E poi? Dopo il rappresentante regale, quello imprenditoriale, manca quello bancario no? Infatti, il terzo padre fondatore del Club Bilderberg è proprio David Rockefeller, capo della Chase Manhattan Bank. Un banchiere modello, un figlio di puttana con i fiocchi, che oltre a diventare l’uomo più ricco del mondo attraverso frodi e finanziamenti a guerre e traffici illeciti, controlla quasi il 10% delle azioni del network di notizie ABC , oltre il 15% della CBS e circa il 5% della RCA (Radio Corporation of America). Insomma, controlla che tipo di informazione dev’essere veicolata dalle televisioni e dai giornali. Tutte le notizie veicolate dai mass media ufficiali (ABC, CBS, NBC, da cui prendono le notizie, poi, i mass media europei, ndr) sono controllate da un’unica corporazione, quella che potremmo chiamare la “Rockfeller Broadcasting Company” [fonte: D. Estulin – “Bilderberg Secrets”].

Anche i mass media sono involucrati nel Bilderberg? Sì. I capi, direttori ed editori, delle catene si agenzie di notizie nordamericane ed europee fanno parte del Club Bilderberg, che decide cosa trasmettere e come creare una prestabilita “opinione pubblica” su una questione politica, piuttosto che economica. Insomma, lo ripeto una volta ancora: non crediate a quello che dicono e scrivono i mass media ufficiali. Una prova di tutto questo? William Paley, fondatore della catena televisiva CBS fu addestrato su come utilizzare al meglio la tecnica del lavaggio del cervello alle masse, durante la seconda guerra mondiale, presso l’inglese Istituto Tavistock di Analisi Comportamentale. Un altro nome? L’Istituto RAND. Magari non lo conoscete ma tutti i sondaggi di opinione pubblica trasmessi dalle televisioni e giornali passano per il suo filtro. Le persone che presiedono questa fantomatica organizzazione no-profit, sono esponenti del CFR e del Club Bilderberg. “Una delle aree chiave dell’esperienza dell’Istituto RAND – afferma D. Estulin – sono gli studi di disinformazione e manipolazione di grandi gruppi di popolazione. Spesso si basa sulla tattica dell’inganno, cioè l’uso orwelliano dell’ambiguità. Così, ad esempio, si chiama pace la guerra, terroristi i pacifisti e così via”.

Solo per riportare questo discorso più vicino a noi, senza sempre fare esempi con gli Stati Uniti, sappiate che Gianni Rotta, dal 2009 direttore del Sole24Ore, è un ospite del Bilderberg.



“Il Bilderberg, come la Commissione Trilaterale, è articolato su cerchi concentrici dove i veri iniziati stanno al centro, mentre il cerchio più esterno solitamente ospita figure come professori universitari o politici e capi di Stato in vista. Le decisioni del Bilderberg hanno efficacia anche dopo anni e vengono notificate a organismi come il G8 o vengono perfezionate in simposi tenuti dall’Aspen Institute, dal Club di Roma o dallo World Economie Forum di Davos. Superfluo sottolineare che i membri del Bilderberg (e della Commissione Trilaterale) sono in prevalenza massoni e che, soprattutto nei cerchi interni, non esistono forme di alternanza democratica, una contraddizione in termini a livello di élites, dove la stabilità è d’obbligo, e sono sempre le stesse figure ad apparire, come ad esempio David Rockefeller o Henry Kissinger […] . Giova ricordare che massoni presenti in Società Segrete, come appunto il Bilderberg Group, sono tuttavia divisi in due obbedienze: quelli del ramo angloamericano e quelli della Massoneria francofila-umanista, in continuità con la divisione «storica» della Massoneria, il Palladismo d’oltreoceano fiancheggiato dalle alte Società Segrete britanniche, la via angloamericana alla Repubblica Universale, che si avvale delle ricchezze principalmente dei Rockefeller, in concorrenza con quella europea della Sinarchia, imperniata sull’asse franco-tedesco e appoggiata dai Rothschild. Le distinzioni – occorre averlo sempre ben chiaro – non sono tuttavia mai così nette, come testimonia la presenza ad un tempo di massoni di entrambe le estrazioni nei circoli mondialisti, a significare uno scopo comune da perseguire al di là di ogni opposizione interna” [fonte: Massoneria e sette segrete: la faccia occulta della storia]

Insomma in Club Bilderberg è la riunione dove capi di Stato, banche e multinazionali decidono come salvare il mondo e che misure adottare per farci vivere tutti meglio? No. Il Bilderberg è un club di massoni formato da nazisti, banchieri senza scrupoli, trafficanti d’armi, mass media corrotti e politici minori, che si limitano ad accettare le decisioni prese dal nucleo centrale e più intimo del Bilderberg, che giocano al Monopoli ed al Risiko con il nostro mondo.

Per concludere, ecco l’agenda Bilderberg, gli attuali obiettivi dei governatori del mondo [liberamente tratto da “Il Club Bilderberg” – D.E.]:


1. Un’identità internazionale. Distruggere l’identità nazionale, cioè depauperare la sovranità degli Stati (come sta accadendo sotto i nostri occhi, ndr), per stabilire valori universali obbedienti ad un unico governo mondiale.

2. Un controllo centralizzato della popolazione. Lavando il cervello alla popolazione (attraverso la televisione e gli altri mezzi di comunicazione, anche Internet, ndr), l’obiettivo è quello di eliminare la classe media. Ci saranno solo governanti e schiavi, più o meno coscienti del loro status di servi del potere (un po’ già è così, no?, ndr).

3. Una società a crescita zero. Se c’è prosperità, c’è progresso e la prosperità ed il progresso impediscono esercitare la repressione. Prevedono che il fine della prosperità avverrà con lo sviluppo dell’energia elettrica nucleare e con la completa industrializzazione (a parte per i settori informatici e dei servizi) e con la completa esportazione delle più grandi imprese nei paesi dove la manodopera è più economica (è uno degli obiettivi principali del TLCAN, il “Trattato di Libero Commercio dell’America del Nord”, ndr)

4. Uno stato di disequilibrio perpetuo. Se si creano crisi artificiali che sottomettano la popolazione ad una coazione continua (dal punto di vista fisico, psichico ed emozionale), si può mantenere uno stato di disequilibrio continuo. Questi signori pensano che, troppo stanchi e disillusi, in situazione di crisi profonda, i cittadini si dimostreranno confusi e demoralizzati, a tal punto che, sopraffatti dalle troppe opzioni, si faranno vincere da un’apatia generale, che prenderà il sopravvento su scala mondiale e porterà all’accettazione dei programmi salvifici, proposti da enti come l’ONU e le altre organizzazioni internazionali che “operano per il bene di tutti i cittadini del mondo”(lo stiamo cominciando a vivere ora con l’attuale crisi finanziaria, ndr)

5. Un controllo centralizzato dell’educazione. L’Unione Europea e le future Unione Americana e Unione Asiatica puntano ad avere un controllo sulla cultura e sull’educazione dei giovani, sterilizzando il più possibile la storia del mondo. Oggi, ad esempio, i libri di storia sono controllati, rivisti e spesso censurati in alcuni paesi dell’America Latina ed i toni, in generale, sono sempre pacati e smorzati, soprattutto per quanto concerne i temi “caldi” della storia (schiavitù, nazismo, sperimentazione medica, e così via, ndr)

6. Un controllo centralizzato di tutte le politiche nazionali ed internazionali. Tutto ciò che fanno gli Stati Uniti, coinvolge anche il resto del mondo, lo sappiamo. In Europa, gli Stati stanno perdendo, giorno dopo giorno, il proprio potere sovrano, soffocati dalle regole dettate dall’Unione Europea (vedi Grecia, Italia, Spagna e piano piano toccherà a tutti, ndr). In Europa, il cammino verso l’annichilimento dei singoli Stati cominciò già negli anni Cinquanta, con la creazione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, poi continuò con il mercato Unico Europeo, per giungere all’adozione della Moneta Unita ed alla creazione della mitica Unione Europea. Un tempo gli Stati europei possedevano la propria sovranità, una sovranità che l’UE è andata rodendo poco a poco e che oggi sta usurpando, attraverso il controllo dell’economia e della politica delle singole nazioni. Pensate che solo qualche anno fa, chi diceva che un giorno l’UE minerà il potere dei singoli Stati che ne fanno parte, era ridicolizzato o additato come pessimista e cospirazionista. Oggi è una realtà.

7. La concessione di un maggior potere alle Nazioni Unite. Il sistema dell’ONU ha come obiettivo costruire un governo mondiale dichiarato ed in seguito un governo mondiale di fatto, per poi esigere una tassazione diretta da parte nostra in quanto “cittadini mondiali”. Bella la globalizzazione, vero?

8. Un blocco commerciale occidentale. In seguito all’espansione del North American Free Trade Agreement (NAFTA), si formerà un’Unione Americano-Europea per fomentare il libero commercio e gli investimenti a livello intercontinentale.

9. L’espansione della NATO. Man mano che la ONU continuerà ad intervenire sempre più nei conflitti bellici in Medio Oriente, Africa e così via, la NATO si convertirà nell’esercito mondiale, sotto comando della ONU.

10. Un sistema giuridico unico. Il tribunale Internazionale di Giustizia diventerà l’unico sistema giuridico del mondo.

11. Uno stato di benessere socialista. Scopo dei rappresentanti del Bilderberg, CFR e della Commissione Trilaterale è creare uno stato di benessere socialista, nel quale si compensano gli schiavi obbedienti e si sterminano gli anticonformisti.

Il gruppo Bilderberg dispone del potere e delle influenze necessarie per imporre le sue politiche in qualsiasi Paese del mondo.

Quanto più vorremo e sapremo agiremo uniti, tanto meglio potremo sviare questi signorotti dai propri obiettivi. Questi potenti riccaccioni hanno il gioco facile, visto che sono abituati trattare con pecore, quali siamo. Per farla finita con tanta ipocrisia, ineguaglianza, guerra e povertà dobbiamo cominciare a costruire noi il nostro mondo, senza fare solo rivoluzioni che muoiono in piazza o vengono smantellate dalla polizia ma costruendo un sistema che prescinda da tutte queste persone, malvagie ed egoiste e, soprattutto, dal denaro.

Vi fidate ancora di politici e banchieri?

Per un futuro dove non ci sia più bisogno del denaro e dove nessuno muoia di fame e di miseria, dovete cominciare a fondare la vostra vita quotidiana su valori incorruttibili, difendendo e lottando per i vostri diritti di cittadini liberi e, innanzitutto, di uomini liberi. Senza scuse, senza compromessi, senza farvi manipolare e corrompere, senza continuare a comportarvi e vivere come pecore timorose.


…CONTINUA…

Matteo Vitiello

Il regime di verità del libero mercato L’Europa, la Trilateral Commission e il gruppo Bilderberg



Le pressioni della Trilateral Commission e del gruppo Bilderberg sulle commissioni europee e l’invenzione del Patto di stabilità per estromettere i governi nazionali dalle scelte economiche: quando la politica, obbligata a fare i conti con il voto e il consenso popolare, è un lusso che il neoliberismo non si può più permettere



Poche cose generano disinteresse negli italiani quanto l’Unione europea, le sue regole, i vari trattati che l’hanno creata, le istituzioni. Un disinteresse radicato, nonostante la consapevolezza, o il sentore, che l’Unione stia fagocitando pian piano l’autonomia decisionale di ogni Paese membro.
Le ultime elezioni europee del 2009 hanno visto un’affluenza del 65%, in calo rispetto alle votazioni precedenti dell’8%. Una persona consapevole ma ottimista (quasi un ossimoro) potrebbe valutare il disinteresse come una presa di coscienza da parte degli italiani del fatto che la politica, in Europa, ha un peso talmente irrisorio, che esercitare il proprio diritto di voto per decidere da chi farsi rappresentare al Parlamento europeo è una farsa a cui si sottraggono volentieri. Ma proprio in virtù dell’ossimoro, risulta difficile dare questa interpretazione. Più probabile che la complessità delle strutture europee, e quindi l’impegno che richiede il conoscerle e farsi un’opinione, sia la ragione alla base del disinteresse.

Nel 1992, anno della firma del Trattato di Maastricht, l’Unione europea era stata presentata agli italiani come la terra promessa, l’unica possibile salvezza da un sistema Paese in fallimento, in preda a Tangentopoli, falcidiato nella sua classe politica corrotta; come il solo modo per uscire dalla dinamica di un debito pubblico in perenne aumento e da una lira buttata fuori dal Sistema monetario europeo (Sme). In nome dei parametri del Trattato – inerenti ai valori di debito pubblico, deficit, inflazione, tasso d’interesse a lungo termine e permanenza nei due anni precedenti nello Sme – fu lanciata la campagna delle privatizzazioni delle imprese pubbliche (svendute ai grandi gruppi privati come nemmeno a un mercato delle pulci); fu approvata dal Parlamento italiano – 1996, governo Prodi – una manovra economica da 62.500 miliardi di lire, perno dell’affannata rincorsa, risultata vittoriosa, per entrare nel primo gruppo che avrebbe adottato l’euro. Quel che a tutti i costi si doveva agguantare, infatti, era l’unione economica dell’Europa: il treno del libero mercato, lanciato a piena velocità.

La mano invisibile, la legge naturale della domanda e dell’offerta che genera i giusti prezzi e la competizione tra pari: nel ’92 il libero mercato era già divenuto quel che Foucault avrebbe definito un ‘regime di verità’. Aveva cioè già imposto il proprio processo di veridizione, stabilendo in modo autoreferenziale l’insieme delle regole che sanciscono che cosa è vero e che cosa è falso. Tra quelle vere, la principale è l’automatismo delle dinamiche del mercato, che produce maggior ricchezza per tutta la popolazione a patto sia lasciato libero di agire. A patto, dunque, che la politica adotti la logica del ‘governo minimo’ – privatizzare, abbandonare il welfare, ritirarsi dal ruolo di mediatore dei conflitti sociali e dal tavolo della contrattazione collettiva sul lavoro. Le sue azioni quindi non sono più giudicate sulla base di criteri come legittimo o illegittimo, ma esclusivamente sugli effetti che producono in termini di utilità. Il ‘governo del fare’, ben prima che Berlusconi lanciasse lo slogan.

Ne nasce, inevitabilmente, un primato dell’economia sulla politica, e un governo della società in tal senso. Non è una novità (con la definizione di struttura/sovrastruttura, Marx aveva già individuato e analizzato questa dinamica), ma viene a mancare quel discorso dialettico che politica ed economia sono sempre state costrette a tenere in piedi, con le conseguenze che questa mancanza comporta. Prima fra tutte, la questione della libertà degli individui, che perde la caratteristica giuridica – naturale, direbbe Rousseau – per abbracciare quella mercantile. Il libero mercato ‘consuma’ libertà, ne deve dunque produrre per sopravvivere: libertà del venditore, dell’acquirente e del consumatore; libertà di proprietà, d’impresa e del mercato del lavoro. La formula del liberalismo, scriveva Foucault, non è ‘sii libero’, ma: ‘ti procurerò di che essere libero’.

Al ricco banchetto del libero mercato, siede però un convitato di pietra: i cittadini. Non tanto perché possono scendere in piazza a protestare – dato che il concetto di democrazia ormai sacralizzato, vuole che il conflitto sociale sia pacifico, colorato, fantasioso negli slogan e rispettoso delle ‘zone rosse’: quando trasgredisce queste regole, si trasforma automaticamente in facinoroso e terrorista e opinione pubblica, mass-media e politica fanno a gara per condannarlo. Il problema è che i cittadini hanno il diritto di voto.

La politica, in realtà, ha già trovato il modo per rendere innocuo tale diritto, creando quel che a tutti gli effetti è un sistema unipolare: la visione economica infatti è una, destra e sinistra hanno entrambe abbracciato l’ideologia del libero mercato. Ma l’inseguimento del consenso elettorale, per giochi di potere, produce inevitabilmente lentezze decisionali, che provocano gravi danni in un contesto economico che vive di rapidità e immediatezza, ancora più necessarie in una fase di crisi come quella attuale. Lo dichiara candidamente anche lo stesso Sacconi, in un’intervista rilasciata al Corsera l’8 novembre scorso, quando afferma che la crisi ha innescato un passaggio epocale: da una parte vi sono Paesi come la Cina, “con sistemi istituzionali molto semplici e perciò veloci nelle decisioni, dall’altra i Paesi di vecchia industrializzazione che non possono più far leva sul debito pubblico, come l’Italia”. Far leva sul debito pubblico, nelle parole del ministro, significa sostenere quella politica di welfare che produce consenso elettorale. Non è più possibile farlo, e per ragioni ormai evidenti: il mercato, lasciato totalmente libero di agire, penalizza, attraverso la speculazione finanziaria, i Paesi troppo indebitati. Tuttavia non è nemmeno possibile diventare la Cina: la democrazia è sacra, con il suo diritto di voto, e non si può tornare indietro, a un regime dittatoriale.
La soluzione trovata a questa impasse è l’esautorazione della politica dalle decisioni economiche, e l’Europa vi è riuscita così bene che Bernanke, governatore della Fed, la indica come la futura strada maestra.

In un convegno a Rhode Island, il 4 ottobre scorso, egli afferma che il progressivo aumento e invecchiamento della popolazione in tutti i Paesi occidentali – data la crescita delle aspettative di vita creata dal benessere economico – rischia di generare enormi spese sanitarie e pensionistiche, che andranno ad aumentare sempre più i debiti pubblici. Tagliare e privatizzare tutto è l’unico modo per evitarlo, dato che le imposte sulle imprese, i redditi alti e i patrimoni non si possono aumentare – sono i principali attori del libero mercato, non li si può ‘impoverire’ – e nemmeno si può più spennare un pollo – il ceto medio-basso – ormai rimasto senza piume. Una soluzione tuttavia che rischia di provocare problemi di consenso elettorale. Occorre dunque affidare la politica economica a organismi non elettivi e vincolarla all’applicazione di rigide ‘regole fiscali’, impersonali, asettiche, non derogabili.

L’invidia di Bernanke nasce dal fatto che l’Europa, ben prima degli Stati Uniti, è riuscita a mettere in pratica l’esautorazione, con l’invenzione del Patto di stabilità. Comodo paravento dietro cui la politica si nasconde, evitando così di rispondere del fatto che è essa stessa ad aver innalzato il libero mercato a luogo di verità – dal momento che ancora, il potere legislativo è unicamente nelle sue mani – i cittadini si sentono dire che non è responsabilità del governo italiano una manovra economica da 24 miliardi di euro, perché la esige l’Unione europea, il Patto di stabilità, la difesa dalla speculazione. 
Il processo di veridizione si è talmente compiuto che Tremonti è, nell’elettorato di destra come in quello di sinistra, il ministro più apprezzato: ha tenuto i conti pubblici in ordine, recita il mantra trasversale. Senza che alcuno si chieda quale ordine dovrebbe essere ritenuto legittimo, per uno Stato che non ha sottoscritto alcun contratto economico con chicchessia bensì, al limite, un contratto sociale con i propri cittadini.

Gli attori protagonisti dell’intero sistema sono diventati i banchieri. Tengono per lo scroto sia gli Stati, sia l’economica produttiva, che agisce ormai con un unico fine: creare gruppi industriali sempre più grandi. La ragione è duplice: realizzare quelle economie di sistema che permettono di essere competitivi e (dolce chimera) agguantare posizioni dominanti o addirittura di monopolio; e diventare talmente grandi da non poter fallire. Raggiungere ossia quella posizione per cui il fallimento dell’impresa trascinerebbe con sé nel baratro talmente tante banche creditrici, che sono loro stesse a correre continuamente in soccorso con nuovo credito. In un circolo vizioso e virtuale di un giro di denaro che esiste ormai solo dentro i computer.

Non stupisce, in tale contesto, che si siano creati consessi di poteri forti, lobby chiuse, ristrette, riservate; spazi in cui banchieri, politici e industriali tracciano le linee guida comuni e strategiche per salvaguardare il sistema e possibilmente farlo crescere, e rappresentanti del mondo accademico e dell’informazione si occupano di mettere in circolo il pensiero unico del ‘vero’ e del ‘falso’ sancito dal processo di veridizione. La Trilateral Commission, il gruppo Bilderberg. Nomi che il solo pronunciare genera accuse di complottismo e dietrologia. Nulla di tutto questo. Come nulla di più normale che un sistema basato su pochi attori principali crei spazi adibiti al confronto programmatico: né più né meno di un consiglio di amministrazione.

La Trilaterale nasce nel 1973, su iniziativa di David Rockefeller. Il nome rimanda alle tre aree all’epoca punto di riferimento dell’economia del libero mercato, nord America, Europa e Giappone, in cui sono tuttora presenti le tre direzioni regionali, a Washington, Parigi e Tokyo. Nel tempo il gruppo si è allargato, inglobando i vari Stati dell’est Europa e dell’Asia che abbracciavano il neoliberismo, e dai 180 membri iniziali – 60 per ogni area – si è arrivati oggi a circa 400, suddivisi per Paese in base a un principio di rappresentanza stabilito sul doppio parametro Pil/popolazione. 
La struttura è insomma quella di un Parlamento globale, ma con meno membri della sola Camera italiana e, soprattutto, non elettivo: si entra a farne parte su invito, e vi si contano soprattutto banchieri (tutti i presidenti dei grandi istituti, compresi quelli centrali delle varie nazioni, della Banca europea, della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale, e gli amministratori delegati dei maggiori fondi speculativi); politici (ministri e parlamentari seduti nelle Camere dei loro Paesi e/o in quella europea e nelle commissioni europee); industriali (i rappresentanti delle principali multinazionali: Coca Cola, Nokia, Rothschild, Shell, Sony ecc.); rappresentanti del mondo accademico, giornalisti e soprattutto editori (Les Echos, Le Figaro, Financial Times, Frankfurter Allgemeine Zeitung, El Pais, Politiken [Danimarca], Helsingin Sanomat, The New York Times, Time Magazine, The Wall Street Journal, The Globe and Mail [Canada], New York Daily News, The Asahi Shimbun [Giappone]). Si riunisce in seduta plenaria una volta l’anno, a rotazione nei diversi Paesi membri, e la sua mission è favorire la globalizzazione. Nella riunione del 1975, i tre relatori principali – il francese Michel Crozier, l’americano Samuel Huntington e il giapponese Joji Watanuki – analizzarono la crisi economica del periodo come il risultato di un “sovraccarico del sistema decisionale”: la soluzione proposta fu quella di spingere per un radicale cambiamento, verso la riduzione dell’intervento statale e un rafforzamento del potere politico esecutivo a scapito del Parlamento e degli istituti di democrazia diretta, come il referendum (1).
L’elenco completo dei partecipanti alla riunione del 2010 è appetitosa e scaricabile dal sito stesso della Trilateral (2), vale la pena giusto indicare qualche nome, italiano e non, conosciuto (vedi box Trilateral Commission).





Il Gruppo Bilderberg è ancora più ristretto: un comitato esecutivo (di cui si conosce solo il nome del presidente, l’ex commissario europeo V.E. Davignon, e non l’identità e il numero dei componenti) e circa 120 persone – alcuni ospiti fissi ai meeting annuali, altri saltuari – tra politici, banchieri, industriali, accademici e giornalisti appartenenti all’area del nord America e dell’Europa. La prima riunione data 1954. Rispetto alla Trilateral, è più chiuso e riservato: i suoi ritrovi sono off-the-record (a ogni partecipante è imposto l’obbligo della segretezza), blindati alla stampa e protetti da rigide misure di sicurezza.

È riuscito a restare praticamente nell’ombra fino agli anni Duemila, quando sono iniziate a circolare voci – fuori dall’ambiente politico/economico il quale, al contrario, della sua esistenza ha sempre saputo. Per la sua segretezza è stato più volte accusato di essere una loggia massonica coperta. Probabilmente è per questo che recentemente ha iniziato un percorso di parziale (o simil) trasparenza, con un sito ufficiale (3) in cui sono pubblicate le date, i luoghi, le scalette tematiche degli incontri annuali dal 1954 a oggi e, dalla riunione del 2008, anche le liste dei partecipanti (quanto complete non è dato saperlo: il presidente del Consiglio europeo, Van Rompuy, per esempio, pare che a domanda diretta non abbia smentito la sua partecipazione alla riunione del 2009; eppure, nell’elenco disponibile sul sito non compare).

Gli argomenti affrontati in quelli che vengono definiti dei semplici forum riguardano l’economia globale, la finanza, il mercato monetario, la governance mondiale, la sicurezza internazionale, le risorse energetiche, i conflitti militari. In un’intervista del settembre 2005 alla BBC (4), il presidente del Bilderberg dichiara che il gruppo nasce semplicemente perché persone influenti sono naturalmente interessate a parlare con altre persone influenti; parla di common sense, senso comune, che lega fra loro i dirigenti politici ed economico/finanziari interessati a far crescere il libero mercato mondiale; afferma che il fatto che importanti leader politici (Bill Clinton, Tony Blair e tutti i presidenti della Commissione europea) prima di diventare tali abbiano fatto parte del Bilderberg, non significa che il gruppo selezioni la classe dirigente del mondo occidentale ma semplicemente che fa del suo meglio per valutare chi siano gli astri nascenti: appartenere al Bilderberg, dice Davignon, non è un caso nella loro carriera, ma poi dipende dalle loro capacità. Reti informali e private come il Bilderberg hanno contribuito a oliare gli ingranaggi della politica mondiale e della globalizzazione per mezzo secolo, conclude Davignon; e finché affari e politica resteranno reciprocamente dipendenti, queste reti continueranno a prosperare.
Anche per il Bilderberg, l’elenco dei partecipanti alle riunioni è appetitoso, quanto se non più della Trilateral (vedi box Bilderberg).





Dal 1998 inizia ad apparire, al Parlamento europeo, qualche sporadica interrogazione parlamentare (5) che chiede di far luce sulla ragione della presenza di numerosi commissari europei alle riunioni del Bilderberg (tra cui anche Emma Bonino, nel 1998); alcune chiedono anche se Mario Monti e Romano Prodi facciano parte del comitato esecutivo del gruppo. Le richieste di chiarimenti si intensificano negli anni. Le risposte sono sempre le medesime: i commissari partecipano in quanto invitati, e certamente sono invitati in qualità dei ruoli che rivestono; la loro partecipazione resta comunque a titolo personale, e soprattutto non significa che si fanno rappresentanti degli interessi del gruppo Bilderberg all’interno dell’Unione europea né di quelli dell’Unione europea all’interno del Bilderberg. Negazione categorica, invece, per quanto riguarda la partecipazione di alcuno al comitato direttivo, sia del Bilderberg che della Trilateral.

Il progetto dell’Unione europea è ormai giunto al suo compimento. E non è un caso che l’unica unione realmente attuata sia quella economica: non quella politica, né tanto meno quella sociale, dal basso, identitaria. Due ultimi passaggi hanno definito le regole di appartenenza all’Unione: uno già completato, con il Trattato di Lisbona, l’altro in via di attuazione.
Il primo è l’inserimento della possibilità di recesso volontario e unilaterale di uno Stato membro dall’Unione. La logica è economica, e risponde alla regola del più forte: non ce la fai a stare nel gioco? Ne devi uscire. Sia il Bilderberg che la Trilateral, d’altra parte, sono realtà ‘a invito’. Poiché è indubbio che al recesso volontario un Paese possa esserci spinto, con forti pressioni; o, al contrario, che la minaccia dell’uscita possa essere usata nei confronti di quei Paesi i cui governi, recalcitranti per ragioni di consenso, si attardino a varare quelle ‘riforme’ non ancora attuate e profondamente necessarie al libero mercato – pensioni e mercato del lavoro, soprattutto.

Il secondo riguarda il nuovo Patto di stabilità e l’istituzione del Fondo anti-crisi.
Il patto sarà reso ancora più stringente, con un inasprimento delle regole e un meccanismo di sanzioni, per lo Stato che le viola, quasi automatico. Germania e Francia – le economie forti dell’Unione – vorrebbero anche introdurre una sanzione politica: la sospensione del diritto di voto nel Consiglio europeo per i Paesi non in regola con i parametri del Patto.
Il Fondo, oggi provvisorio, sarà reso permanente e vi potranno accedere non solo gli Stati ma anche i privati. L’Unione europea si prepara dunque a sostenere banche, fondi d’investimento e chissà quale altra realtà finanziaria privata, e a farlo con soldi pubblici – la parola ‘pubblico’ suona ormai stonata accostata alla Ue, resta il fatto che in quanto istituzione politica è per definizione pubblica. E lo farà bypassando i governi nazionali. Perché se è vero che degli 85 miliardi di euro concessi all’Irlanda (22,5 dall’Unione e i restanti tra Fmi, prestiti bilaterali internazionali e contributo irlandese proveniente dalle riserve di cassa e dal Fondo nazionale di riserva per le pensioni), 35 vanno nelle casse delle banche private del Paese per evitarne il fallimento, è pur vero che la scelta della forma sotto la quale concedere il denaro è stata finora una prerogativa della politica nazionale: entrare come Stato nella proprietà della banca o semplicemente concedere a prestito.

Le sanzioni politiche e l’istituzione del Fondo, per essere rese operative, necessitano di una modifica del Trattato di Lisbona. Secondo le regole che lo stesso Trattato si è dato, una simile variazione dovrebbe passare attraverso un referendum popolare. Non avverrà, ovviamente. Gruppi di studio sono già al lavoro per trovare i giusti cavilli giuridici e far rientrare le modifiche tra quelle che non devono essere sottoposte alla verifica della volontà popolare.
Poco male, una farsa in meno. La stessa Costituzione europea uscita dalla porta, grazie ai referendum negativi di Francia e Olanda, è poi rientrata dalla finestra praticamente variata solo nel nome: Trattato di Lisbona. Ci eviteremo così il teatrino di un ulteriore inutile esercizio del voto, e prima o poi, magari, si smetterà anche di parlare di democrazia. In modo consapevole, e pessimista.




(1) Cfr. La crisi della democrazia: rapporto sulla governabilità delle democrazie alla Commissione Trilaterale, Michel Crozier, Samuel Huntington, Joji Watanuki, Franco Angeli, 1977 (con prefazione di Gianni Agnelli)