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Socrate
giovedì 14 febbraio 2019
PROSSIMA MOSSA DEL GOVERNO? STATI UNITI D'EUROPA, ADDIO SOVRANITA' NAZIONALE E POPULISMO
SAPETE PERCHE' CI PARLANO SEMPRE DI PIU' DI AUTONOMIE REGIONALI? PER AVVIARE L'ITALIA AL PROCESSO DI CONFEDERAZIONE DEGLI STATI EUROPEI A MODELLO DEGLI USA. STATI UNITI D'EUROPA=NUOVO ORDINE MONDIALE!
Lo sai? Te lo raccontano i telegiornali che il ministro degli Affari Regionali e delle Autonomie sta elaborando in un testo “top secret” una profonda Riforma delle autonomie regionali, ma pensata solo per tre regioni del nord: Emilia, Veneto e Lombardia?
Facciamo mente locale: guarda che già Trentino, Valle d’Aosta e Friuli hanno i loro statuti speciali. Si profila dunque un Nord Italia “diverso”, tentato dal rinchiudersi in sé stesso, meno solidale che mai.
Certo, se “leggi” il mondo attraverso lo squallore della contabilità, e ti capita di confondere il fine ultimo della vita con l’accumulazione di ricchezze materiali, la tentazione si spiega.
Forse, però, sull’altare del dio denaro si finisce per sacrificare qualcosa di più prezioso, come le origini antiche, la cultura, la storia, la lingua, le tradizioni, la solidarietà ed un sentire comune che ha avuto nella Costituzione della Repubblica italiana il punto più alto di condivisione, ed ora rischia di dissolversi, per sempre, prima ancora di essere portato a compimento.
Quel disegno costituzionale è fatto, nella sua essenza, di una comunità repubblicana che avverte inderogabili doveri di solidarietà verso tutti i suoi membri, e di un lavoro dignitoso e ben remunerato per tutti, che sia contemporaneamente strumento di piena realizzazione della persona umana e modo per contribuire alla crescita materiale e spirituale della nazione. Che riconosce la proprietà privata e la libertà di iniziativa economica, ma le subordina all’utilità sociale.
È un modello consapevole dei bisogni non solo materiali degli esseri umani, che vivono di relazioni sane ed equilibrate.
In tal senso, mina alla radice gli interessi del capitalismo globale, e perfino quelli che erano a suo tempo gli interessi del comunismo reale.
Forse è per questo che sin dall’inizio, la sua attuazione è stata ostacolata da forze più o meno occulte che hanno infestato le Istituzioni italiane.
Sicuramente ha influito la circostanza che, quando è stata promulgata la Costituzione, gran parte degli italiani non sapevano né leggere e né scrivere. Sarebbe stato necessario un grande sforzo per spiegare il contenuto, il significato ed il valore di quel modello sociale; sforzo, purtroppo, appena accennato, ed oggi completamente abbandonato.
Ma, attenzione: finché vive, la Costituzione della Repubblica italiana rappresenta una minaccia mortale per il pensiero – ormai unico – del capitalismo globale.
Teniamo a mente la circostanza, importantissima, che la Costituzione è sempre una legge fondamentale (che fa da fondamenta a tutto il diritto), dalla quale discende la legittimità di qualsiasi altra legge ordinaria, e perfino di qualsiasi Trattato internazionale.
Nessuna norma è legittima, se contrasta con la Costituzione.
Purtroppo, questi principi non sono stati spiegati all’immaginario collettivo: non si insegna il “diritto” nelle scuole! Così finisce che il popolo, che è sovrano ma non sa di esserlo, è rassegnato a sottostare ai potenti che pretendono il rispetto di leggi, norme e regolamenti, che con la Costituzione fanno letteralmente a cazzotti, e pertanto non dovrebbero neppure esistere.
Osserva questa informazione alla luce del fatto che le moderne democrazie liberali di tutto il mondo, a partire dagli Stati Uniti d’America, si vantano un po’ ipocritamente di essere fondate sulla “rule of low”: sul rispetto della legge.
Il malinteso, è che i furbi pensano ed usano una qualunque legge. Il rispetto della “legalità formale” finisce così per essere la pretesa di rispetto di leggi scritte in maniera illeggibile dai potenti per i potenti, imposte un po’ attraverso la confusione interpretativa, che fa prevalere il potere organizzato, e quando serve attraverso la “violenza di stato”, con l’uso e l’abuso delle forze dell’ordine.
Tutto ciò viene accettato come “normale” e perfino “giusto”, nel mondo controllato dalle élite, quello che “appare”: quello dei giornali, delle TV, delle riunioni istituzionali e degli incontri mondani.
Allora capisci perché i difensori del capitalismo globale hanno bisogno di farla sparire, la nostra Costituzione italiana.
E capisci anche l’accanimento a fabbricare leggi elettorali che impediscano al popolo sovrano di scegliersi liberamente i propri rappresentanti per accedere alle Istituzioni repubblicane, perché un partito che sia realmente espressione della volontà popolare, farebbe tabula rasa di queste ipocrisie, e riprenderebbe saldamente in mano quel progetto da attuare.
Torniamo ora alle Regioni del Nord, e domandiamoci: che strano mondo è questo che da una parte vuole disgregare lo Stato Nazione verso il basso, passando il potere alle Regioni (ma solo ad alcune), e dall’altro lo vuole sciogliere verso l’alto, concependo gli Stati Uniti d’Europa? Perché lo hai capito, sì, che le élite di tutto il mondo stanno lavorando alacremente, ma dietro le quinte, per preparare il terreno agli Stati Uniti d’Europa?
Guarda: sembra una contraddizione, ma la realtà potrebbe essere un filino più cinica: il disegno “Regioni autonome + Stati Uniti” potrebbe essere un disegno unitario, ed avere il principale obiettivo di declassare o addirittura far sparire le Costituzioni repubblicane.
Dentro gli Stati Uniti d’Europa, infatti, le Regioni (o le macroregioni, di cui “l’Italia del Nord” sarebbe certamente una delle espressioni) avrebbero una forte autonomia normativa ed amministrativa, così come oggi avviene negli Usa per gli stati federati.
Naturalmente, verrebbe esclusa da questa autonomia il controllo della moneta, affidato ad una banca centrale fortemente “autonoma” dalle tentazioni della politica. Così come sarebbe escluso il controllo delle principali forze militari e di sicurezza: il diritto di esercitare la “violenza legale”, resta fortemente accentrato.
Ecco dunque il probabile senso di quella autonomia: libertà, ma solo di fare commerci.
Libertà, di accumulare ricchezze materiali. Protetti dalle forze di sicurezza federali, europee. Mai e poi mai, invece, verrebbe concessa la libertà di manovrare democraticamente i veri strumenti di controllo sociale: forze dell’ordine, e moneta.
Sarò strano io, ma a me quello appare il trionfo di uno squallido egoismo affaristico, dove “fare business”, SENZA IL FASTIDIO DI UNO STATO SOCIALE, diventa l’unica “licenza” (mi viene troppo difficile chiamarla libertà).
Si perfezionerebbe così il sogno perverso delle élite aristocratiche di tutto il mondo, di distruggere il modello costituzionale italiano; di seppellirlo nell’oblio della storia.
Un triste baratto, alla fine, fra élite sopra nazionali ed élite locali: io ti garantisco che puoi continuare a commerciare liberamente, inseguendo l’illusione della ricchezza, tu mi lasci in mano il potere vero, con il quale viene tenuto a freno il “fastidio della democrazia”.
Altro aspetto – importantissimo – di cui non si rendono conto i piccoli e medi imprenditori del nord Italia, ossatura delle élite locali fortemente tentata dall’idea di diventare “una delle regioni più ricche d’Europa, è che il contesto altamente competitivo è pensato e organizzato su regole concepite per sfiancare, alla distanza, la piccola dimensione, favorendo un processo lento ma inarrestabile di concentrazione verso l’altro. Sono “prede designate” di un grande capitale sopra nazionale che non ha fretta.
Mi domando se i nostri ricchi concittadini delle regioni del nord (élite locali) siano consapevoli dei rischi insiti in questa sostanziale cessione definitiva di sovranità, mascherata da autonomia. E non finiscano piuttosto per essere pedine di un gioco, abilmente manovrato dall’alto.
Attenzione, comunque: anche nelle “ricche regioni”, ovunque nel mondo, i poveri saranno tanti di più, quanto più spinta sarà la libertà di circolazione di capitali e merci. Questa è una regola universale, che andrebbe scolpita nella roccia, e che le fasce meno protette della popolazione del nord Italia dovrebbe attentamente considerare. Nei processi di concentrazione aziendale, sono sempre i lavoratori che scivolano verso la povertà.
Come difenderci, allora?
Ora, ragioniamo: l’Autonomia è una cosa serissima, su questo non ci deve essere dubbio. Ma va capita, definita nella sua essenza, e portata al giusto livello. Innanzitutto, va portata il più vicino possibile al Popolo Sovrano, se vogliamo rimanere nell’ambito definito dalla Costituzione di democrazia e di sovranità popolare.
Le Istituzioni regionali, con i loro uffici, assessori e dirigenti, sono a portata di mano delle lobbies economiche del territorio regionale (e soprattutto di quelle sopra nazionali), ma restano lontanissime dai cittadini: praticamente irraggiungibili, se non ai più testardi, organizzati e determinati.
L’Autonomia va data piuttosto ai Comuni, che sono senz’altro più vicini e accessibili tanto ai singoli cittadini, quanto alle loro aggregazioni politiche e sociali.
Le Regioni non servono, e vanno eliminate, perché rappresentano una inutile tentazione: un livello amministrativo in grado di minacciare gravemente l’unità statale (come stanno facendo) senza arrivare a portata di sovranità popolare.
Certo, a volte sono troppo piccoli, i Comuni, e allora vanno incentivate forme di integrazione, aggregazione e collaborazione, ma sempre per libera scelta, mai per imposizioni calate dall’alto. E le aree metropolitane, certamente poco “accessibili” ai cittadini, devono concedere una reale autonomia, anche finanziaria, ai Municipi.
Poche leggi quadro a livello statale, chiare e comprensibili da tutti, che garantiscano livelli standard minimi per tutti, e più autonomia possibile ai Comuni, compresa quella di gestire le risorse, di definire i “Beni Comuni” locali, e di controllare l’economia locale e perfino la finanza, inclusa la possibilità – disciplinata per legge statale – di emettere una moneta locale, che favorisca l’economia circolare nel territorio.
Perché una cosa va detta da subito, aspettando il giorno in cui anche i sassi avranno capito che il commercio fra territori deve tendere al pareggio, se amiamo la pace: facciamola finita con questa idea pelosa della finta solidarietà fatta di trasferimenti di soldi, con la quale gli sfruttatori si lavano la coscienza!
Quei trasferimenti (dai ricchi ai poveri) sono il segno ipocrita che garantisce l’equilibrio dello sfruttamento. Pensare di compensare con i trasferimenti di vile denaro le follie del modello mercantilista, che antepone i diritti dei capitali e delle merci di accumulare sbilanci, alla dignità degli esseri umani, è un’offesa intollerabile.
Decidiamoci a rimettere noi esseri umani, divini e sovrani, nel posto che ci spetta ed è immensamente al di sopra di quello che oggi riserviamo follemente ai capitali ed alle merci, se la pace ci sta a cuore.
Garantiamo a tutti l’accesso alle informazioni rese libere dal controllo del potere economico, e garantiamo l’accesso popolare diretto alle istituzioni dove si prendono le decisioni che ci riguardano, modificando strutturalmente sia le leggi elettorali, sia gli strumenti della partecipazione diretta.
Proteggiamoci dai prepotenti, garantendo la legalità nei territori con una la forza pubblica resa democratica e popolare.
Prendiamoci la responsabilità di gestione dell’economia del territorio, inclusa l’autonomia monetaria.
E il mondo cambia. Si rivoluziona. Torna ad essere a dimensione umana (che è sempre divina, e sovrana).
A quel punto, resta da domandarci: a cosa altro possono servire, gli Stati Uniti d’Europa?
Siamo proprio sicuri che per trovare forme di collaborazione pacifica, alle quali tutti noi sicuramente aspiriamo, dobbiamo costruire Istituzioni Politiche, grandi e lontane, di qualsiasi forma?
Quanto più il potere di decisione è lontano dai popoli sovrani, tanto più è vicino ed accessibile solo ed esclusivamente ai rappresentanti del grande capitale sopra nazionale, che della democrazia, non sanno cosa farsene.
Gli Stati Uniti d’Europa, sono a dimensione di multinazionale, non di popoli sovrani. Esattamente come lo sono, già oggi, gli Stati Uniti d’America.
Pensaci, seriamente: per collaborare, servono piuttosto luoghi di incontro, dove si dialoga, dove si espongono i punti di vista e si confrontano le esperienze. Luoghi di consultazione, di elaborazione di pensiero e di proposte e, eventualmente, di programmazione comune.
Più Relazioni fra i popoli, e meno Istituzioni per le élite, e viviamo tutti meglio, ed in pace.
LA VERA PROPOSTA RIVOLUZIONARIA DEI GILET GIALLI CHE I MEDIA NON CI DICONO
CRISI FINANZIARIA E RECESSIONE. TUTTO QUELLO CHE DEVI SAPERE
UE E BCE: CORSA ALL’ORO
CONSEGNARE L'ORO ALLA BCE? E' COME CONSEGNARSI AL CARNEFICE SPONTANEAMENTE. MEGLIO USCIRE DELL'UE QUANTO PRIMA PER NON RISCHIARE LA DERIVA ECONOMICO-FINANZIARIA DEL PAESE!
L’Italia è la terza nazione del pianeta per riserve auree, detiene 2.451,80 tonnellate d’oro per un controvalore di 69 miliardi di euro. Nella sua dettagliata relazione la Banca d’Italia rivela che 1.194,40 tonnellate (quasi la metà della riserva) sono stivate nei caveau di Palazzo Koch, a Roma in via Nazionale a Roma. La parte restante è immagazzinata presso i depositi della Federal Reserve di New York. E in parti più modeste l’oro italiano è conservato presso la Banca d’Inghilterra, a Londra, e presso la Banca Nazionale Svizzera a Berna. Presso la Sede della Banca d’Italia le riserve custodite sono sotto forma di monete per 4,1 tonnellate (871.713 pezzi, cosiddetto “oro monetato”) mentre le altre parti sono in forma di lingotti. E qui iniziano i problemi, entro il 2019 la Banca centrale europea dovrebbe pretendere (su espressa richiesta di maggiore integrazione da parte dell’Ue) che tutto l’oro italiano venga consegnato alla Bce. Operazione che verrebbe “consigliata” a tutti i Paesi a regime Euro, e per scongiurare nuove “Brexit”. Una parte dei lingotti italiani sono già stati consegnati alla Bce, componente delle riserve valutarie conferite alla Bce (ai sensi dell’articolo 30 dello Statuto del Sebc, Sistema Europeo Banche Centrali).
Nei documenti di Bankitalia si sostiene che “revisori esteri” già controllano annualmente le riserve auree di Palazzo Koch. Di fatto l’Unione europea intende continuare la guerra al denaro contante anche togliendo agli Stati il possesso materiale dell’oro. E questo perché il passo successivo è colpire i proprietari di oro, ovvero quelle persone che hanno fronteggiato la crisi acquistando oro e preziosi in genere.
“Il denaro contante e l’oro in lingotti - dicono dall’Ue - sono utilizzati per attività criminali, come il riciclaggio o il finanziamento del terrorismo, quindi vanno colpite tutte le tesaurizzazioni che non avvengono in moneta elettronica”. Di fatto Ue e Bce vogliono colpire ogni forma di risparmio, ben guardandosi dal rivolgere accuse a chi investe in Bitcoin e monete elettroniche varie. A Bruxelles hanno deciso di introdurre la facoltà di sequestrare contante e preziosi se superano il valore soglia dei 10mila euro: per valori superiori s’innescherebbe il sospetto di “presunta attività criminale”. Anche per la moneta elettronica non sarà più possibile l’anonimato, le carte prepagate verranno monitorate e sospettate di far parte della rete del “gioco illegale”.
L’eurodeputato Mady Delvaux aveva detto due settimane fa che “l’Ue lavora a rendere più severi i controlli sul contante, facilitare le ispezioni della polizia transfrontaliera e accelerare il congelamento dei beni e le decisioni di confisca: tutto fa parte del pacchetto denominato Unione per la sicurezza”.
In pratica l’Ue sta spingendo verso la “tesaurizzazione domestica” chi ancora ha dei risparmi. Persone che prelevano dai propri conti bancari a causa della crescente paura d’azzeramento dei conti, della fuga e volatilizzazione del contante. Il divieto sul denaro contante sta esacerbando gli animi. Le normative Ue si stanno rivelando degne delle “democrazie bancariamente protette”, dittature fiscali e finanziarie gestite dalle alte burocrazie di Unione europea e Bce.
Perché Russia, Turchia e Cina comprano oro a ritmo record
Le banche centrali di tutto il mondo stanno aumentando le loro riserve auree ad un ritmo incredibile. Solo negli ultimi tre mesi hanno acquistato oro per un valore di 5,82 miliardi di dollari, ovvero circa un quarto in più rispetto all'anno precedente. La Banca di Russia e la Banca centrale turca hanno infranto vari record in questi termini.
La corsa all'oro
Secondo i dati forniti dal World Gold Council, le banche centrali hanno acquistato fino a 148 tonnellate di oro, il 22%in più rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. La Banca di Russia è leader negli acquisti, che ammontano a 92 tonnellate. La Russia in precedenza aveva acquistato una quantità comparabile del metallo prezioso solo al culmine delle riforme del mercato del 1993.
Tenendo conto delle 106 tonnellate acquistate dal paese nel primo semestre, la riserva aurifera russa ha ora superato le 2.036 tonnellate, per un valore di circa 78 miliardi di dollari. La Russia è quindi entrata nelle prime cinque nazioni che detengono più oro, superata solo dagli Stati Uniti, la cui riserva ammonta a 8.133,5 tonnellate, dalla Germania con le sue 3369,7 tonnellate, dall'Italia (2,451,8 tonnellate) e dalla Francia (2.436 tonnellate).
Se la Russia continua i suoi acquisti allo stesso ritmo, supererà la Francia entro il 2020, mentre la Banca centrale sembra determinata a voler aumentare la sua riserva d'oro alla luce dello slogan del primo vice capo della Banca centrale Dmitry Tulin "una garanzia del 100 per cento contro rischi legali e politici".
Nel frattempo, lo status di alcuni dei più attivi compratori di oro è stato recentemente rivendicato da Turchia e Cina, entrambi paesi che hanno avuto recentemente un rapporto teso con gli Stati Uniti. Sono anche diventati importanti venditori di titoli del Tesoro USA nel corso dell'anno, con la Russia che ha tagliato i suoi investimenti nel debito nazionale USA a 1/8 di quello che era in precedenza.
Margine di sicurezza
Il mondo si approccia a una nuova era di instabilità, con la prospettiva di una crisi globale che sembra sempre più tangibile, e molti esprimono la certezza che l'imminente sconvolgimento inciderà principalmente sull'economia americana e sul dollaro. A metà ottobre, Ulf Lindahl, a capo della società AG Bisset Associates, specializzata in mercati valutari, ha dichiarato che il valore del dollaro potrebbe diminuire del 40% rispetto all'euro nei prossimi cinque anni.
Le aspettative negative degli investitori si riflettono anche in un recente sondaggio condotto da 174 gestori di fondi di investimento, le cui attività totali ammontano a 518 miliardi di dollari. Il sondaggio è stato condotto dalla Bank of America (BofA). Gli intervistati hanno affermato che negli ultimi due mesi hanno ridotto la quantità di titoli statunitensi del 17% in media, a causa della maggiore volatilità dei mercati del paese.
Le tariffe in alluminio e acciaio, così come i limiti delle importazioni cinesi introdotte da Donald Trump all'inizio di quest'anno, hanno già avuto un effetto negativo sui bilanci trimestrali delle principali società americane, 3M e Caterpillar in particolare. Separatamente, la guerra commerciale con la Cina ha portato a uno sconvolgimento per gli agricoltori statunitensi, dopo che Pechino ha frenato gli acquisti di prodotti agricoli statunitensi in risposta alle tariffe. I prezzi per i semi di soia sono diminuiti del 18%, il mais è venduto al 12% in meno e il maiale è sceso del 29%.
La Federal Reserve è pericolosa?
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Il 31% dei gestori di fondi di investimento considera le politiche della Federal Reserve come il secondo più grande rischio. "Aumentando i tassi di interesse per i prestiti in dollari, la Federal Reserve incrementa simultaneamente il ritmo del recupero di 3,5 trilioni di dollari, riversato nei mercati internazionali dopo la crisi del 2008", ha sottolineato il chief economist di ING Bank James Knightley. "Da ottobre, il volume delle operazioni volte a ridurre il saldo è cresciuto fino a 50 miliardi di dollari al mese: la Federal Reserve pondererà buoni del Tesoro del valore di 30 miliardi di dollari e mutui del valore di 20 miliardi".
A partire dalla fine di luglio, la Cina possiede un debito pubblico di 1,2 trilioni di dollari in titoli di debito nazionali statunitensi. Liberandosi dei titoli nel mercato, si ritiene che Pechino condanni l'economia americana ad una nuova crisi finanziaria, con il dollaro che dovrebbe perdere di valore. Pertanto, sulla soglia dei nuovi sconvolgimenti economici, sia gli investitori che le banche centrali continuano a fare affidamento sul buon vecchio oro.
DIFENDIAMO IL CATTOLICESIMO E LA TRADIZIONE
SCONCERTANTI ASSERZIONI DEL VESCOVO DI ROMA DA SUOI DISCORSI PUBBLICI ED ENCICLICHE. SCONCERTANTE....
Papa Francesco che sarebbe più veritiero chiamare il signor Bergoglio sta distruggendo 2000 anni di storia della chiesa attraverso una strategia del terrore che paralizza i consacrati e una serie di affermazioni che confondono le menti dei fedeli.
Attacco all'oro dell'Italia
IL GOVERNO DIFENDA L'ORO ITALIANO CHE DEVE RIMANERE AL POPOLO CHE HA CONTRIBUITO A CREARLO.
UN ARTICOLO DEL 2011 CHE DENUNCIAVA L'ATTACCO AL NOSTRO SISTEMA ECONOMICO E ALLE RISERVE AUREE DELL'ITALIA COME SISTEMATICO E "SISTEMICO".
UN ARTICOLO DEL 2011 CHE DENUNCIAVA L'ATTACCO AL NOSTRO SISTEMA ECONOMICO E ALLE RISERVE AUREE DELL'ITALIA COME SISTEMATICO E "SISTEMICO".
Cosa si nasconde dietro gli attacchi all’Italia? L’Italia è un paese in crisi economica con un debito pubblico che rappresenta praticamente il 120% del PIL, ma ha ancora enormi ricchezze e tante imprese pubbliche che fanno grossi guadagni e quindi molto appetibili. Ma c’è una ricchezza di cui nessuno parla: l’Italia ha la quarta riserva di oro al mondo. L’attacco all’Italia è finalizzato a “derubarla” delle sue imprese pubbliche e delle sue immense riserve auree. L’oro è un prodotto strategico e lo sarà sempre di più nel futuro immediato, per cui fa gola.
Lo scorso mese di maggio l’agenzia di rating, Standard & Poor's, aveva tagliato la prospettiva italiana da stabile a negativa, con la motivazione che il potenziale ingorgo politico poteva contribuire ad un rilassamento nella gestione del debito pubblico, da cui derivava un impegno incerto nelle riforme a sostegno della produttività. Quindi per S&P's diminuiscono le prospettive dell'Italia per ridurre il debito pubblico.
Dopo Standard & Poor's anche Moody's inizia il pressing contro l’Italia, annunciando che il rating italiano ”Aa2” è sotto osservazione e potrebbe essere ridotto. Le motivazioni, ovviamente sono le solite: le debolezze strutturali dell’Italia, la probabile crescita degli interessi, l’incapacità di tenere sotto controllo i conti pubblici e quindi il debito pubblico.
Dalla settimana scorsa, l’attacco all’Italia si concretizza: inizia il crollo della borsa, aumentano gli interessi sul debito pubblico Italiano e la manovra presentata dal Governo con l’inasprimento di bolli e balzelli sui titoli di stato potrebbe far allontanare gli investitori da questi titoli, con la conseguenza di far aumentare ulteriormente gli interessi. Successivamente tale manovra è stata ritirata.
Nella sola giornata del’11 luglio i buoni italiani a due anni sono crollati del 19,88%, passando da 3,53 a 4,203; negli ultimi giorni hanno un pò recuperato, ma siamo sempre a livelli che triplicano i tassi dell’aprile del 2010, poco più di un anno fa; infatti il 16 aprile i bond a 2 anni erano a 1,27.
Anche la borsa italiana è scesa fino a 18.295,19 l’11 luglio, per poi risalire leggermente nei giorni successivi e chiudere la settimana del 15 luglio a 18.450,45; se consideriamo che lo scorso 18 febbraio aveva raggiunto il massimo per l’anno in corso a 23.273,80, significa che da allora, in questi ultimi cinque mesi ha perso il 20% circa.
Inoltre, se consideriamo che l’indice della borsa italiana era a 41.074,00 il 9 di ottobre del 2007, giorno in cui il Dow Jones fece registrare il suo massimo storico, significa che da allora sta perdendo circa il 55% e se, infine, consideriamo che approssimativamente 4 anni fa, il 18 maggio del 2007 l’indice della borsa italiana era a 44.364,00 significa che da allora sta perdendo il 60% circa. Ricordiamo anche, che il 9 marzo del 2009 l’indice FTSE MIB era sceso a 12.332,00; quindi al momento è ancora ben sopra quella quota e dunque se dovesse continuare a scendere non sarebbe una novità. Due anni fa, insomma la borsa era in una situazione peggiore.
Come mai l’attacco all’Italia?
Il Financial Times in un articolo dello scorso 10 luglio titolava: "Gli hedge fund Usa scommettono contro i bond italiani". In realtà, da anni i giornali anglo-americani ed in particolare gli organi ufficiali del capitalismo, come il “The Economist” o il “Financial Times” sono all’attacco dell’Italia. Si sono scagliati anche contro Silvio Berlusconi, massimo rappresentante del capitalismo italiano, praticamente da 17 anni alla guida del paese, alternandosi con i rappresentanti del liberismo del centro-sinistra (Ciampi, Dini, Amato, Prodi).
Come abbiamo già scritto in varie occasioni, il signor Berlusconi, sceso in politica per risolvere esclusivamente i suoi problemi, nel pensare troppo agli affari suoi ha finito per frapporsi agli interessi delle grandi multinazionali, della globalizzazione, dei fautori di progetti vuoti come il "Nabucco".
Il Cavaliere sa bene che le necessità energetiche (primariamente quelle sue e poi, indirettamente quelle degli italiani) non possono essere coperte dai globalisti, dagli anglo-statunitensi e con la sua adesione al progetto di oleodotto South Stream, che si contrappone all’oleodotto “Nabucco”, di interesse anglo-statunitense, necessariamente ha finito per inimicarsi gli USA, che evidentemente hanno deciso di scaricarlo, di liberarsi di lui quanto prima (consiglio sul tema l’articolo: “Gli Stati Uniti, il gasdotto South Strean, Berlusconi e la sinistra”).
Per questa ragione, ultimamente abbiamo assistito a continui viaggi in Usa di politici italiani, alleati (oggi ex) ed avversari di Berlusconi. Negli USA sono stati il suo ex alleato Gianfranco Fini (vedasi: "E' Fini la nuova carta degli USA" oppure "Gianfranco Fini interlocutore privilegiato degli USA") e Massimo D'Alema, rappresentante del partito anglo-statunitense in Italia, di cui la fedeltà al liberismo è ben provata, fin dall'epoca dei bombardamenti della ex Jugoslavia, quando era capo del governo italiano; negli USA è stato perfino Nichi Vendola che ha incontrato il non certo progressista Schwarzenegger (vedasi: "Vendola incontra Schwarzenegger").
Sembra veramente strano, ma tutti stanno giocando contro l’Italia ed in particolare contro Berlusconi che alla fine, per certi versi, un po' facendo marcia indietro, un po' grazie alle circostanze è risuscito, almeno per il momento, a salvare la pelle, ovviamente quella politica, ossia la sua carica di capo del governo. In ogni caso il suo destino è segnato; non andrà avanti per troppo tempo.
E gli italiani, in particolare il proletariato italiano, andrà di male in peggio! I neo moralisti e puritani nostrani che stanno attaccando Berlusconi per via degli scandali sessuali e che presto si sostituiranno al governo di Silvio Berlusconi, sono i rappresentanti di Goldman Sachs, della BCE, del FMI, del partito dei globalisti e degli anglo-statunitensi, che continuamente attaccano l’Italia.
Dunque, perchè i continui attacchi anglosassoni al Cavaliere ed all’Italia? Berlusconi certamente non è attaccato per i suoi scandali sessuali! E’ da ingenui credere una cosa del genere.
L’Italia è un paese in crisi, in profonda crisi economica, con un debito pubblico praticamente impagabile, attorno al 120% del PIL e con le principali imprese del paese che a causa della caduta dei tassi di guadagno si stanno spostando altrove, in zone che permettono guadagni superiori a quelli dell’Italia. Ma l’Italia, pur in profonda crisi ha ancora tanti gioielli, molto appetibili e che le multinazionali anglo-americane sperano di “comprare” a prezzi stracciati.
Gli interessi dei globalisti e degli anglosassoni puntano a privatizzare quanto c'è rimasto da privatizzare in Italia: dall'ENI, di cui una parte è ancora in mano allo stato, così come pure l’Enel, oltre a Finmeccanica, Fincantieri, Trenitalia, Poste, Televisione pubblica, Ospedali e centri sanitari all’avanguardia nella ricerca, Università, Scuole e imprese municipalizzate, come quelle dell'acqua e della raccolta dei rifiuti. A tutto ciò va aggiunto che l’Italia possiede un ricco patrimonio paesaggistico e ambientale, decisamente invidiabile e un ricchissimo patrimonio artistico; in Italia è concentrato il 60/65% di tutti i beni artistici e archeologici dell’umanità.
A tutto questo va aggiunta una ulteriore ricchezza posseduta dall’Italia, di cui nessuno parla: il suo oro!
Nessuno ne parla, ma l’Italia ha la quarta riserva di oro del mondo, che allo scorso giugno ammontava a ben 2.451,80 tonnellate, che al prezzo odierno dell’oro equivale a circa 100 miliardi di euro. Solo FMI e due stati, USA e Germania, hanno riserve auree superiori alla riserva italiana. L’oro è un prodotto altamente strategico destinato a rivalutarsi fortemente nel futuro immediato, per cui questa ricchezza è molto appetibile.
In questo momento, l’oro italiano è il principale obiettivo su cui hanno messo gli occhi i globalizzatori.
Quindi, l’Italia pur essendo un paese in forte crisi, possiede ingenti ricchezze. Come impossessarsi o meglio derubare queste ricchezze all’Italia ed al popolo italiano? Approfittando dell’enorme debito pubblico, i grandi predatori con l’aiuto dei propri rappresentanti all’interno del paese, ovvero i liberisti nostrani, gli stipendiati di Goldman Sachs, FMI, BCE, Federal Reserve, World Bank, WTO ed affini faranno pressione per ridurre il debito pubblico attraverso la privatizzazione, la vendita, ovviamente a prezzi fortemente scontati, dei beni sopra citati. Come già successo con la privatizzazione delle grandi banche statali, ad esempio, negli anni novanta, lo stato incasserà delle somme che andranno ad incidere in minima parte sulla riduzione del debito, ma allo stesso tempo l’Italia perderà definitivamente i grandi guadagni che queste imprese producono.
La privatizzazione, come insegna la storia, non è mai servita a risolvere i problema di un paese, anzi li ha ingigantiti. Pertanto, nei prossimi anni l’Italia andrà incontro a problemi economici molto più gravi. Il mancato introito dei guadagni derivanti dalle imprese pubbliche privatizzate, la riduzione della spesa pubblica e lo smantellamento del welfare state, dello stato assistenziale, ma anche l’incremento della disoccupazione e la riduzione dei consumi accentuerà la crisi, che porterà alla chiusura di ulteriori imprese; tutto ciò si ripercuote ovviamente anche sugli introiti dello stato, dato che si determina una riduzione del gettito fiscale, una riduzione delle imposte dirette ed indirette e per conseguenza lo stato avrà sempre meno soldi da distribuire. Come insegna la storia recente, per esempio dell’Argentina o dell’Ecuador, per restare all’America Latina, la conseguenza diretta sarà una inevitabile esplosione sociale, placabile solo con la repressione, con la forza ovvero con una dittatura.
Il futuro dell’Italia appare sempre più nero ed inevitabilmente il popolo italiano sarà costretto a riprendere la via dell’emigrazione.
Come mai gli attacchi a Berlusconi, uno dei massimi rappresentati del capitalismo italiano? Berlusconi, da quando è al governo, fra una orgia e l’altra non ha avuto il tempo di continuare con la svendita del patrimonio italiano, occupandosi esclusivamente degli affari suoi, ovvero di come risolvere i propri problema giudiziari. Ai globalizzatori ha concesso poco, certamente molto meno di chi lo ha preceduto e quindi è normale che sia attaccato. Berlusconi, però dovrebbe comunque essere ringraziato dai globalizzatori anglo-americani, perchè con la sua politica ha contribuito non poco ad incrementare il debito pubblico italiano, dando quindi una grossa mano ai globalizzatori che sulla base del forte debito pubblico, lasciato in eredità anche da Berlusconi, potranno chiedere a gran voce che si proceda con la massima urgenza alla privatizzazione di tutto quanto è possibile svendere.
Ricordiamo che Berlusconi, la prima volta che arriva al Governo era stato preceduto da Carlo Azeglio Ciampi, e questi poco dopo essere diventato capo del governo, il 30 giugno del 1993 nomina un Comitato di consulenza per le privatizzazioni, presieduto da Mario Draghi, uomo Goldman Sachs, non a caso, oggi, arrivato alla presidenza della BCE.
Ciampi aveva proseguito la svendita del patrimonio italiano iniziata dal socialista Giuliano Amato, braccio destro di Craxi (inspiegabile miracolato dai giudici che provvidero a far piazza pulita della classe politica italiana di allora) e dal “lottizzatore” democristiano Romano Prodi; Romani Prodi venne così definito, per il suo comportamento quando era presidente dell’IRI, da Franco Bechis in un articolo pubblicato su Milano Finanza: “Prodi, all'Iri, lottizzò come un democristiano“.
Sul tema delle privatizzazioni in Italia, invitiamo ancora una volta a leggere l'articolo di Eugenio Caruso su Impresa oggi: "Iri tra conservazione e privatizzazioni"
Insomma l’attacco al Cavaliere si spiega perchè non è considerato all'altezza dei suoi predecessori privatizzatori e quindi si preme per un immediato ritorno di questi.
L’attacco all’Italia è finalizzato al furto del suo oro, del suo enorme patrimonio ambientale, artistico e archeologico e delle imprese pubbliche dai grandi guadagni.
Come mai gli attacchi a Berlusconi, uno dei massimi rappresentati del capitalismo italiano? Berlusconi, da quando è al governo, fra una orgia e l’altra non ha avuto il tempo di continuare con la svendita del patrimonio italiano, occupandosi esclusivamente degli affari suoi, ovvero di come risolvere i propri problema giudiziari. Ai globalizzatori ha concesso poco, certamente molto meno di chi lo ha preceduto e quindi è normale che sia attaccato. Berlusconi, però dovrebbe comunque essere ringraziato dai globalizzatori anglo-americani, perchè con la sua politica ha contribuito non poco ad incrementare il debito pubblico italiano, dando quindi una grossa mano ai globalizzatori che sulla base del forte debito pubblico, lasciato in eredità anche da Berlusconi, potranno chiedere a gran voce che si proceda con la massima urgenza alla privatizzazione di tutto quanto è possibile svendere.
Ricordiamo che Berlusconi, la prima volta che arriva al Governo era stato preceduto da Carlo Azeglio Ciampi, e questi poco dopo essere diventato capo del governo, il 30 giugno del 1993 nomina un Comitato di consulenza per le privatizzazioni, presieduto da Mario Draghi, uomo Goldman Sachs, non a caso, oggi, arrivato alla presidenza della BCE.
Ciampi aveva proseguito la svendita del patrimonio italiano iniziata dal socialista Giuliano Amato, braccio destro di Craxi (inspiegabile miracolato dai giudici che provvidero a far piazza pulita della classe politica italiana di allora) e dal “lottizzatore” democristiano Romano Prodi; Romani Prodi venne così definito, per il suo comportamento quando era presidente dell’IRI, da Franco Bechis in un articolo pubblicato su Milano Finanza: “Prodi, all'Iri, lottizzò come un democristiano“.
Sul tema delle privatizzazioni in Italia, invitiamo ancora una volta a leggere l'articolo di Eugenio Caruso su Impresa oggi: "Iri tra conservazione e privatizzazioni"
Insomma l’attacco al Cavaliere si spiega perchè non è considerato all'altezza dei suoi predecessori privatizzatori e quindi si preme per un immediato ritorno di questi.
L’attacco all’Italia è finalizzato al furto del suo oro, del suo enorme patrimonio ambientale, artistico e archeologico e delle imprese pubbliche dai grandi guadagni.
Così i nazisti sottrassero l'oro della Banca d'Italia
Con l'8 settembre l'Italia precipitò in una situazione di caos enorme. Ci andò di mezzo anche la riserva aurea della Banca d'Italia. Un quantitativo enorme di ricchezza che nessuno fu capace di salvare dalle rapaci mani dei nazisti: per la precisione 119.252 chilogrammi d'oro. La storia ha dell'incredibile e i contorni della vicenda non sono mai stati chiariti del tutto. Già nel 1941 Mussolini aveva pensato di far trasferire le nostre riserve a L'Aquila. I lavori per creare le necessarie strutture blindate, però, procedettero enormemente a rilento. Nella primavera del '43 il problema divenne ancora più pressante e si stava pensando a un qualche luogo nel nord Italia, anche l'Aquila iniziava ad apparire come troppo vulnerabile. Poi la caduta del regime, il 25 luglio, congelò qualunque piano. Anche se, a quanto pare, il governo Badoglio tornò rapidamente a porsi il problema.
E qui cominciano i misteri e i rimpalli di responsabilità. Badoglio sicuramente disse al governatore della Banca, Vincenzo Azzolini, di organizzare un trasporto blindato dell'oro verso nord in località sicura e vicina alla Svizzera (per poter spostare l'oro oltre confine?). Azzolini sostenne a più riprese di aver girato l'incarico organizzativo al direttore generale Giovanni Acanfora. Nei processi seguiti al Conflitto Acanfora negò di aver ricevuto qualunque delega. Sta di fatto che le 119 tonnellate rimasero a Roma in via Nazionale. Così quando la città cadde il loro destino fu segnato. La storia di come l'oro prese la strada della Germania e di quanto fu difficile per l'Italia recuperarne almeno una parte (circa 2/3) è raccontato nel saggio scritto da Sergio Cardarelli e Renata Martano I nazisti e l'oro della Banca d'Italia. Sottrazione e recupero (1943-1958).
L’ORO DELLA BANCA D’ITALIA. IL FURTO DEL MILLENNIO, PROBABILMENTE.
UN ARTICOLO MOLTO INTERESSANTE DEL 2016 CHE CONTRIBUISCE A FARE CHIAREZZA SULLE GIUSTE PRETESE DEL GOVERNO ITALIANO RISPETTO ALL'ORO PATRIO. I 5 STELLE CHIEDANO LUMI A GRILLO CIRCA GLI SCELLERATI ACCORDI DEL "BRITANNIA".....
Il tema delle sovranità è la questione centrale dell’epoca in cui viviamo, anche se la percezione che ne hanno i nostri connazionali è confusa e alterata dalle menzogne del sistema politico, economico e mediatico. Una questione da troppi ignorata, ma dalle dimensioni immense, è quella delle riserve d’oro italiane, che ammontano a 2.452 tonnellate e sono al terzo posto nel mondo. Alle quotazioni correnti del metallo giallo, il controvalore in euro è di almeno 75/80 miliardi. Le domande fondamentali sono almeno tre: dove sia custodito l’oro, chi ne abbia la proprietà, a che cosa può servire.
Il tema delle sovranità è la questione centrale dell’epoca in cui viviamo, anche se la percezione che ne hanno i nostri connazionali è confusa e alterata dalle menzogne del sistema politico, economico e mediatico. Una questione da troppi ignorata, ma dalle dimensioni immense, è quella delle riserve d’oro italiane, che ammontano a 2.452 tonnellate e sono al terzo posto nel mondo. Alle quotazioni correnti del metallo giallo, il controvalore in euro è di almeno 75/80 miliardi. Le domande fondamentali sono almeno tre: dove sia custodito l’oro, chi ne abbia la proprietà, a che cosa può servire.
Le risposte sono drammaticamente negative per il nostro popolo. Negli ultimi mesi, alcuni deputati sono riusciti a visitare i santuari-caveaux della Banca d’Italia. I fatti sono i seguenti: solo circa 1.200 tonnellate si trovano a Palazzo Koch, storica sede di Bankitalia ,meno della metà. La proprietà, giuridicamente, è in capo alla stessa Banca, che, repetita iuvant, è un organismo privato, sia pure investito di funzioni pubbliche, partecipante della Banca Centrale Europea, ed i suoi azionisti sono le maggiori banche “italiane”, tranne uno striminzito 5 per cento in mano all’INPS . Le virgolette poste sull’aggettivo italiane riguarda il fatto che tutte, diciamo tutte, le banche interessate hanno importanti azionisti esteri, in alcuni casi sono controllate da istituti stranieri, a partire dai due giganti Unicredit e Intesa San Paolo. Anche la Banca detta d’Italia, che alcuni ancora chiamano banca “nazionale” è quindi eterodiretta, ed i suoi domines sono il gotha della finanza mondiale.
Quanto all’uso o alla funzione della riserva aurea, le cosiddette autorità finanziarie affermano che essa “costituisce un presidio fondamentale di garanzia per la fiducia nel sistema Paese”. Due osservazioni: poiché Bankitalia fa parte dell’Eurosistema, la garanzia si estende agli altri Stati che fanno parte dell’Eurozona, il che pare quanto meno improprio; se poi occorre garantire attraverso l’oro il “sistema Paese”, orribile espressione sinonimo di Italia, chi, se non lo Stato, deve detenerla ed eventualmente deciderne un utilizzo, attraverso governo e parlamento ? Eh no, poiché , dicono lor banchieri, la riserva è nostra, è della sacra istituzione di cui è governatore Ignazio Visco. Ebbene, questo è il punto: le riserve auree sono indiscutibilmente proprietà del popolo italiano nella sua continuità storica, di cui la banca di emissione ( ormai ex, il potere è di BCE) è solo uno strumento tecnico.
Due righe di storia: la Banca d’Italia nacque nel 1893, per volontà governativa a seguito dello scandalo della Banca Romana . Le furono conferite, insieme con i poteri di emissione, circa 150 tonnellate d’oro, provenienti per la metà dalle casseforti delle banche regnicole dei deposti Borbone. Non dimentichiamo che la quantità di moneta emessa , oggetto principale dello scandalo del 1893, era legata al possesso di riserve in metallo prezioso. Dopo la seconda guerra mondiale, e varie vicissitudini e trasferimenti che determinarono la perdita di 25 tonnellate, la riserva aumentò sino all’attuale consistenza, nell’ambito della proprietà pubblica dell’istituto di Via Nazionale, attraverso le banche di interesse nazionale di cui alle leggi bancarie del fascismo.
La sua privatizzazione fu conseguenza degli scellerati, criminali accordi del panfilo Britannia, presenti Andreatta, Carlo Azeglio Ciampi ed il giovane allora dirigente di Goldman & Sachs Mario Draghi, ma le banche azioniste, comprate per poco più di un tozzo di pane, non hanno mai acquisito ufficialmente la proprietà dell’oro. Fortunatamente, per statuto, non possono disporne, come del resto neppure i sedicenti proprietari, ovvero l’istituto privato di diritto pubblico ( un ircocervo !) Banca d’Italia. Non vi è dubbio che l’oro è stato acquisito con il sacrificio di molte generazioni di italiani, e che dunque la proprietà deve essere restituita al nostro popolo.
Giulio Tremonti riuscì a far approvare una legge, la 262 del 2005, che stabilisce la proprietà pubblica di Bankitalia. Legge inapplicata, come tante altre del nostro incredibile Stato, ed il perché è piuttosto evidente, e si può riassumere nell’avviso scritto sui tram di una volta: non disturbare il manovratore.
Disturbiamolo, invece, lanciando una campagna civile morale e patriottica prima che politica perché sia restituito al legittimo proprietario, noi, l’oro che è simbolo del sudore di milioni di italiani. Prima ancora, occorre sapere ufficialmente dove si trovi e perché sia lì la metà abbondante del tesoro, che, ricordiamolo, nelle nostre mani potrebbe cambiare il corso della storia economica nazionale, e forse anche ristabilire la sovranità economica della Patria. Probabilmente, la maggior parte è in America, presso la Federal Reserve, altri lingotti dormono nei forzieri della banca centrale svizzera e della Bank of England. Le spiegazioni ufficiali fanno sorridere, verrebbero forse credute nelle prime classi elementari: si afferma che la custodia in varie casseforti avrebbe ragioni di sicurezza e di cautela rispetto ad instabilità politiche ed economiche.
La realtà è ben più grave: innanzitutto, esiste ancora quell’oro? Quali furono, e sono, i motivi della sua esportazione? C’entrano forse clausole indicibili del trattato di pace con le potenze vincitrici della seconda guerra mondiale ? Chi, ed a quali condizioni ha titolo per chiederne, o pretenderne il rimpatrio ? Esiste un recente caso, in cui la Germania (leggasi Bundesbank) ha chiesto ed ottenuto dagli Usa la restituzione di parte della sue riserve. Analoghe richieste di restituzione provengono , per la Francia, da parte di Marine Le Pen. Troppi segreti si celano attorno all’oro, anzi all’ ”oro fisico”, come lo chiamano nel mondo di carta della finanza speculativa. La Cina sta rapidamente aumentando le sue disponibilità, ed ha inaugurato quest’anno un mercato di metalli preziosi denominato in yuan a Pechino, la stessa Russia sta cautamente procedendo ad acquisti.
Qualunque motivazione abbia portato il nostro oro lontano dall’Italia, forse venduto, forse dato in pegno, è comunque da considerare criminale ed i responsabili, in tempi seri, sarebbero chiamati a rispondere di alto tradimento. C’è anche chi sospetta che l’oro sia stato prestato più volte, generando illegalmente un interesse che, su somme così ingenti, sarebbe comunque una cifra assai importante, oppure che sia stato oggetto di spericolate manovre per manipolare il prezzo del metallo sul mercato.
Insomma, un altro furto, quello del millennio, a danno di tutti noi. Quel che colpisce profondamente è il disinteresse della classe politica, ma la spiegazione non è tanto difficile: chi tocca i fili muore. Ne sa qualcosa il governo italiano di centro-destra, pessimo ma legittimo, oggetto di un colpo di Stato per motivi finanziari del 2011. Tremonti chiedeva gli Eurobond, sgraditi a Francoforte, Berlusconi ipotizzava forse di uscire dall’euro, si accordava con Putin , il novello Gengis Khan e con Gheddafi, prima statista rispettato, poi nemico pubblico franco- britannico. Agli italiani, però, potrebbe interessare conoscere la storia di 80 miliardi di euro ( ma la somma è destinata a salire) spariti dalle loro mani.
Perché, però, l’oro continua ad essere tanto importante per gli uomini e gli Stati , anche adesso che non esiste più la riserva obbligatoria, abolita da Nixon il 15 agosto 1971, e che gli usi industriali dell’oro non giustificano la corsa al metallo color del sole? Da un punto di vista metastorico, ne dette una spiegazione molto suggestiva Mircea Eliade , il grande studioso rumeno delle tradizioni e delle civiltà tradizionali, nel seguente passo : “L’oro non appartiene alla mitologia dell’homo faber ma è una creazione dell’homo religiosus; questo metallo cominciò infatti ad assumere valore per motivi di natura essenzialmente simbolica e religiosa. L’oro è stato il primo metallo utilizzato dall’uomo, pur non potendo essere adoperato né come utensile né come arma. Nella storia delle rivoluzioni tecnologiche – cioè nel passaggio dalla tecnologia litica alla produzione del bronzo, poi all’industria del ferro ed infine a quella dell’acciaio – l’oro non ha svolto alcun ruolo […] E tuttavia, dai tempi preistorici fino alla nostra epoca, gli uomini hanno faticosamente perseguito la ricerca disperata dell’oro. Il valore simbolico primordiale di questo metallo non ha potuto essere abolito malgrado la desacralizzazione progressiva della Natura e dell’esistenza umana. “
Più prosaicamente, il mercato dell’oro resta elemento centrale del mondo economico, ed è dominato, manco a dirlo, dalla finanza, in particolare da quella legata alla galassia Rothschild. L’oro è il bene rifugio per eccellenza, ed i nostri anni tempestosi di conflitti e uragani economici lo rendono ancora più appetito. Dal punto di vista mineralogico, nell’ultimo quarto di secolo le quantità estratte sono state ampiamente superiori ai nuovi filoni scoperti: anche l’oro, dunque, viene sfruttato in misura maggiore di quanto ne rimanga disponibile.
Il vero choc, però, è quello relativo al suo mercato. Centro del business è Londra, ed il suo London Bullion Market, di cui sono soci Barclay, Deutsche Bank, Société Generale, HSBC e Scotia Mocatta, fondato da un Rothschild nel 1919. Cinque persone, rappresentanti delle entità citate, ne fissano due volte al giorno il prezzo in dollari ad oncia troy (31,1035 grammi). La gran parte delle transazioni avviene over the counter, cioè fuori dai canali ufficiali e in qualche misura controllabili, per cui la manipolazione dei prezzi e l’illegalità è sospetto costante. Ogni cinque giorni la finanza muove sulla piazza londinese certificati legati all’oro, futures, derivati e tutte le altre pirotecniche invenzioni dei signori del denaro, per oltre 15 milioni di once, che è la produzione annua di quell’entità esoterica che è l’”oro fisico”. Circolano per il vasto mondo , dunque, pezzi di carta legati all’oro in quantità infinitamente superiore al fino realmente esistente .
Anche qui, scommesse sul nulla gestite da biscazzieri in grisaglia, aggiotaggio, insider trading e tutto il resto. I croupier fanno girare la pallina a Londra due volte al giorno per conto dei soliti noti, ma il tavolo verde non c’è ed i giocatori da spennare sono al buio. Inevitabilmente, in condizioni di instabilità politica , crisi economica e deflazione monetaria, il prezzo dell’oro aumenta. Come negli altri settori, si scambiano promesse, previsioni, possibilità. Di oro vero, fisico, poco o nulla. Poi qualcuno scuote la tovaglia e il banco, più ancora che al casinò, vince sempre.
Probabilmente, sino al punto di rapinare senza un fruscio l’oro dei popoli depositato nelle banche che un tempo si chiamavano centrali e nazionali, compresa quella che ha il nome dell’Italia.
Dobbiamo ribellarci, ed almeno sapere e capire, oppure la schiavitù è il nostro normale destino, di cui siamo artefici e colpevoli, come si dicono Bruto e Cassio nel Giulio Cesare di Shakespeare, o come già intuiva la pratica saggezza romana populus vult decipi, il popolo vuol essere ingannato, per cui , proseguono i nostri progenitori, lo si inganna. I Rothschild conoscono bene la lezione, i loro colleghi altrettanto. Noi paghiamo il conto.
ROBERTO PECCHIOLI
MA DOV'È FINITO L'ORO?
C’era una volta un tempo in cui l’oro circolava regolarmente come moneta: poi, nel 1933, vent’anni dopo la privatizzazione della FED (la banca centrale americana) avvenuta nel 1913, il cosiddetto New Deal di Roosevelt dichiarò illegale la circolazione delle monete auree, con la sola eccezione di quelle da collezione e dei gioielli.
In compenso la quantità di moneta-debito che veniva emessa per la collettività restava ancora vincolata al mattone giallo.
Quarant’anni dopo si andò oltre: il Presidente Nixon decise che tale copertura non era più fattibile, e da quel momento si cominciò a stampare letteralmente… della carta straccia, che però aveva valore poiché la comunità mondiale – pressoché disinformata dello storico cambiamento – continuava indisturbata le sue transazioni.
Da allora, pian piano, l’oro delle nazioni – e dunque dei cittadini – fu concentrato e trattenuto nelle cosiddette bullion banks – banche del lingotto – tra cui Fort Knox, nel Kentucky (USA) e soprattutto la FED, considerata tutt’oggi la cassetta di sicurezza del Pianeta.
Si stima che Fort Knox oggi possegga più di 4.000 tonnellate di oro, mentre la FED più di 10.000.
La differenza tra i due forzieri è che il primo contiene l’oro americano (almeno in prevalenza) mentre il secondo l’oro di tre quarti del Pianeta, soprattutto delle nazioni che hanno perso le guerre mondiali e i vari conflitti successivi con gli Stati Uniti.
Sappiamo per certo, dunque, che anni addietro le banche centrali di molte nazioni furono costrette ad affidare il loro oro agli Stati Uniti, cosa che, a detta di molti insider, viene oggi venduto e rivenduto… dichiarando molto di più di ciò che si possiede (in sostanza la FED rilascia pezzi di carta, tanto nessuno controlla l’effettiva quantità dei metalli, visti i sistemi di sicurezza e il grande alone di mistero e segretezza sull’oro “statale “ e/o di “proprietà” degli americani).
Qualcuno potrà chiedersi come sia possibile che ciò accada: be’, cosa vi aspettate da un sistema economico folle, che genera denaro dal nulla e indebita fintamente tutto il mondo generando crisi e giochi di fame? Onestà? Trasparenza, forse?
Fort Knox, dal canto suo, rimane una struttura chiusa, presidiata solo da forze militari e, stando alle parole di un funzionario rimasto anonimo, è dal 1974 che nessun politico americano vi mette piede.
Presso la banca centrale, invece, si organizzano visite guidate nei caveau per ciascuna nazione: il punto è che il personale della FED sposta i lingotti da un posto all’altro, e ciascuno stato depositario può contare e verificare solo quelli di propria pertinenza.
Un’altra certezza è che oggi molti di questi lingotti sono fatti di tungsteno, alias un metallo simile all’oro ma dal valore notevolmente inferiore.
Una strana coincidenza – purtroppo – proviene dal casato dei Rothschild: questi hanno dominato il mercato mondiale dell’oro dal 1919 al 2014, stabilendone ogni giorno il valore nei loro uffici londinesi. Poi, improvvisamente, si sono ritirati: che l’oro – quello vero – sia ormai un miraggio?
Non mi stupirei di nulla, dico davvero!
Proprio nel 2014, la Germania ha chiesto un censimento del metallo prezioso agli Stati Uniti: la corte dei conti tedesca, infatti, ha ordinato alla banca federale, la Deutsche Bundesbank, di verificare le riserve auree del paese, che ammontano a circa 3.400 tonnellate, e sono le seconde più grandi del mondo.
Come la Germania, anche il Venezuela ha chiesto la ricognizione del proprio oro, mentre la Svizzera ha mostrato molta agitazione in proposito, forse perché si sta comprendendo – vista la crisi pilotata dall’alto – che l’oro non è più dove deve essere (o almeno non è lo stesso).
In sostanza i lingotti sarebbero solo coperti d’oro, ma il substrato – appunto – sarebbe tungsteno.
In questo momento l’oro è gestito in modo molto strano a livello planetario, con indecifrabili e ingiustificate ripartizioni tra Banca d’Inghilterra (una banca privata) Banca di Francia (idem) e FED (idem).
Ma il punto nodale è che l’esistenza del metallo prezioso ormai è un problema irrilevante, nel senso che l’unica cosa che conta è la contabilità: se la FED dichiara che la Bundesbank possiede 3.400 tonnellate di oro, la banca centrale tedesca agirà proprio come se le possedesse.
Insomma anche se la corte dei conti tedesca non dovesse accettare certi meccanismi, poco importa: l’ispezione fatta da banchieri… nei confronti di altri banchieri porterà sempre alla “positività”, mentre la totale restituzione resterà ovviamente un miraggio.
Sono convinto che quando sarà scoperto lo scandalo dei finti lingotti e della sostanziale inesistenza dell’oro a livello mondiale, l’attuale sistema economico affonderà completamente, dato che l’ultimo pilastro di fiducia dei cittadini è proprio il metallo aurifero.
Tutto ciò, forse, accadrà a tempo debito, quando i mondialisti saranno pronti a sferrare il loro famigerato “Governo Mondiale”.
Mi spiace per loro, però: sempre più persone ormai hanno capito il gioco delle tre carte dell’economia mondiale, e fossi in loro, mi procurerei sul serio e a breve… una bella astronave!
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