Mentre il governo italiano ha annunciato che il deficit pubblico sarebbe pari al 2,4% del PIL anziché l’1,6 richiesto dall’Europa, Steve Ohana analizza i rischi che corrono sia l’Unione europea sia l'Italia.
di Steve Ohana*.
*professore di finanza presso ESCP Europe.
Venerdì scorso è stato un giorno di verità per l’Italia e l’Europa. Mentre per diverse settimane, investitori e commentatori sembravano rassicurati in merito alla situazione italiana e accoglievano con favore la presenza nel governo dell’economista Giovanni Tria come guardiano delle finanze italiane, i due leader della maggioranza, il leader della Lega Matteo Salvini e quello del Movimento Cinque Stelle Luigi Di Maio hanno annunciato che il deficit pubblico per il 2019 non sarebbe stato pari all’1,6% del PIL, come previsto dai mercati, ma attorno al 2,4%.
Non c’è voluto di più per far preoccupare i mercati: i tassi italiani a 10 anni sono aumentati dello 0,25% nella giornata di venerdì, raggiungendo il 3,15%. Il mercato azionario italiano ha ceduto quasi il 4%, appesantito dalle banche italiane, tra cui il gigante Unicredit che ha perso quasi il 7% e la Banca Popolare di Milano oltre il 9%. L’intero settore bancario europeo era in rosso, con perdite tra il 3 e il 4% per tutte le mega-banche francesi e tedesche.
Quali sono le intenzioni del governo italiano in questo nuovo gioco di poker che è ha appena iniziato con le istituzioni europee?
La marea “giallo-verde” del marzo 2018 è nata dalla crisi di sfiducia del pubblico italiano nei confronti delle istituzioni europee. L’Italia, con una crescita zero del PIL pro capite dall’avvio dell’euro e una disoccupazione che rimane ostinatamente superiore alla media europea, si percepisce giustamente come la principale sconfitta dell’euro. E questo, nonostante tutti i suoi sforzi per conformarsi all’ortodossia economica e fiscale europea (torneremo su questo). La mancanza di solidarietà dei paesi europei nei confronti di paesi che, come l’Italia e la Grecia, sono stati in prima linea nell’accogliere i migranti dal 2015, ha inoltre alimentato fortemente questa ondata euroscettica.
È in questo contesto che Salvini e Di Maio hanno cercato dal maggio 2018 di iniziare un tiro alla fune con l’UE sulle questioni migratorie, economiche e di bilancio. Mostrando spettacolari gesti di disobbedienza alle regole della governance europea, i due leader italiani stanno minando progressivamente la credibilità delle istituzioni che fanno la guardia a queste regole. Istituzioni internazionali come l’FMI e la Commissione europea sostengono un deficit pubblico dello 0,8% del PIL per ridurre lo stock di debito pubblico italiano dal 132% di oggi al 110% nel 2025? La coalizione annuncia il triplo di questo deficit per il 2019. I precedenti governi hanno deindiccizzato le pensioni sull’inflazione e hanno prolungato l’età legale della pensione per accontentare Bruxelles? Questa riforma sarà rivista. Il Jobs Act del leader democratico Matteo Renzi mirava a rispettare la doxa europea sulla flessibilizzazione del mercato del lavoro? La maggioranza annuncia la sua intenzione di tornare sulle possibilità di rinnovare i contratti a tempo determinato e le facilitazioni di licenziamento offerte alle società. E così via con tutte le regole della governance europea, dal patto fiscale alla privatizzazione delle autostrade, passando per le regole di accoglienza dei migranti.
Questa strategia di sfiducia frontale ai trattati europei lascia solo cattive soluzioni ai leader europei. Se chiudono un occhio sulle trasgressioni italiane, tolgono la poca credibilità che rimane alle regole comuni. Se entrano in conflitto, anche verbalmente, con il governo italiano, permettono a Di Maio e Salvini di rappresentare i garanti della sovranità popolare contro l’establishment. Inoltre, Emmanuel Macron o Bruno Le Maire hanno davvero il diritto di impartire una lezione all’ Italia, loro che hanno appena annunciato un deficit del 2,8% del PIL per il 2019 (con del resto, a differenza dell’Italia , un saldo primario ancora in deficit)? Come potrebbe la Commissione europea far la predica all’Italia senza dire nulla per la Francia?
La strategia di Salvini e Di Maio non è quindi destinata a causare a breve termine una “grande notte”, per non dire un’uscita dall’UE o dalla zona euro, azione per la quale attualmente non dispongono di una maggioranza di consenso. Per il momento, l’obiettivo del capo della Lega sembra quello di polarizzare l’opinione pubblica italiana ed europea per le elezioni europee del maggio 2019, dove spera di portare al Parlamento europeo la maggioranza dei membri che condividono la sua linea su sovranità e anti-immigrazione . È in questo senso che ha lanciato con Steve Bannon una coalizione di partiti politici simili alla Lega, che i suoi due fondatori chiamerebbero “Il movimento”.
È improbabile che le istituzioni europee siano in grado di battere questa guerriglia mettendo in ginocchio il governo italiano, come hanno fatto con il leader greco Alexis Tsipras nel 2015.
Certo, l’UE può contare sui mercati e sul famoso “spread” – il divario tra i tassi di indebitamento tedesco e italiano – per “disciplinare” la coalizione sovranista. Questa pressione del mercato è diventata ancora più importante in quanto la BCE ha annunciato la fine del suo programma di acquisto dei titoli di Stato sul mercato (“Quantitative Easing”) nel dicembre 2018 e l’agenzia di rating Moody ha detto di voler declassare il debito italiano nel mese di ottobre 2018. Ma non bisogna esagerare l’importanza di questa pressione dei mercati perché, anche se l’aumento dello spread si è dimostrato dannoso per la solvibilità dei soggetti privati e delle banche, quindi per il credito e in definitiva per la crescita e l’occupazione, l’elettorato della coalizione non incolperà Salvini e Di Maio. Alcuni economisti molto popolari in Italia criticano la BCE per non aver fatto tutto quanto è in suo potere per garantire la convergenza dei tassi italiani nei confronti dei tassi francesi e tedeschi, nonostante una situazione fiscale abbastanza invidiabile (l’Italia è l’unico principale paese dell’OCSE a mantenere un saldo primario – il saldo di bilancio al netto degli interessi sul debito – in attivo rispetto ai primi anni ’90). D’altro canto, finché l’Italia riesce a finanziarsi abbastanza bene sui mercati, non deve preoccuparsi troppo delle variazioni giornaliere dei tassi di indebitamento. Il debito pubblico ha infatti una scadenza media di sette anni, le fluttuazioni a breve termine dei suoi tassi debitori hanno poco impatto sui suoi interessi passivi complessivi. Questi carichi molto elevati (poco meno del 4% del PIL, quasi il doppio della Francia) derivano dal peso del suo debito pubblico ereditato dagli anni ’70 e ‘80 e dalla crisi finanziaria del 2008 e dal livello elevato dei suoi tassi d’interesse dal 2010. Un retaggio di cui l’attuale coalizione al potere non è responsabile.
Se, a seguito din panico dei creditori, seguiti da un rifiuto della BCE di venire in suo aiuto, l’Italia non potesse più rifinanziare a costi ragionevoli il proprio debito sui mercati, quindi, come ha ben dimostrato la giornata di venerdì, il problema italiano diventerebbe quello di tutta l’Europa e anche ben oltre: l’Italia rappresenta infatti il primo mercato obbligazionario europeo e il terzo più grande mercato obbligazionario dopo Stati Uniti e Giappone. La sua banca Unicredit è una banca sistemica la cui caduta potrebbe portare a una crisi bancaria globale. Mentre il debito pubblico italiano è detenuto a maggioranza (e sempre più) dai residenti, le mega-banche francesi rimangono fortemente esposte al rischio sovrano e bancario italiano (si stima questa esposizione intorno a 320 miliardi di euro).
E se la BCE dovesse decidere non solo di far volare i tassi di prestito del governo italiano, ma anche privare di liquidità le banche italiane, in una ripetizione della crisi greca durante l’estate del 2015, Salvini e Di Maio potrebbero cogliere l’opportunità di emettere una nuova valuta. Questo scenario è stato già menzionato implicitamente nel programma elettorale della Lega mediante l’eventuale uso di “Mini-Bots” tale imposta moneta parallela all’euro che il governo è disposto a rilasciare, se necessario. Si può pensare che la maggioranza stia attivamente preparando per tali scenari ove si conoscano gli scritti di economisti scettici che sono ora in posizioni chiave in seno al governo e al Parlamento italiano (Paolo Savona, Claudio Borghi e Alberto Bagnai). Dato il peso politico, economico e finanziario della penisola nel dell’Unione monetaria, il suo ritiro della zona euro potrebbe portare l’Italia a creare a sua volta la fine disordinata dell’euro, un Armageddon politico e finanziario che gli altri paesi europei sono probabilmente meno preparati dell’Italia ad affrontare …
Se mettere in ginocchio il governo italiano è probabilmente impossibile per l’UE, sostenere questa guerriglia permanente della terza economia della zona euro può parimenti risultare in una sfida esistenziale per l’edificio comunitario. Da parte italiana, se la guerra di attrito con l’UE si trascina, è probabile che l’elettorato della Lega e del M5S si spazientisca e che il governo italiano finisca per perdere il forte capitale di fiducia di cui gode oggi (i due partiti nella coalizione sono accreditati con il 62% nei sondaggi, con la Lega che è avanzata di 12 punti rispetto alle elezioni dello scorso marzo).
Questo è probabilmente il motivo per cui sia Salvini che i leader europei attaccati ai risultati acquisiti del mercato unico e dell’euro, Emmanuel Macron in testa, ripongono così tante aspettative nelle elezioni europee del maggio 2019. Il risultato di tali elezioni sarà abbastanza chiaro per determinare l’esito della guerriglia italiana contro l’UE?
Fonti: