martedì 2 aprile 2019

LOBBY ARMI – REPORT 1: GLI USA E IL SIONISTA DI BLACKROCK



RADIOGRAFIA DI 28 TOP HOLDINGS BELLICHE
E DEI LORO PRIMARI INVESTITORI AMERICANI
CHE DA NEW YORK, BOSTON E LOS ANGELES
SPECULANO SULLE SPORCHE GUERRE D’ORO
BOMBE LOCKHEED SULLO SCUOLABUS YEMENITA
LARRY FINK PREMIATO UOMO DEL PIANETA NERO

___di Fabio Giuseppe Carlo Carisio ___


«Gli inganni a volte funzionano, ma si suicidano sempre»
«Trickery succeds sometimes, but it always comits suicide»
(Gibran Kahlil Gibran – Sand and foam – Sabbia e schiuma)

Dagli Stati Uniti al Medioriente, da Israele all’Italia. Un esercito di avidi e spietati speculatori galoppa sulle vie dell’odio bestiale ed atavico di un’umanità sempre più disumana, cavalca il dorso di una miriade di tori metallici infuriati che muggiscono fiamme e proiettili dalle froge ipertecnologiche, bruciano terre, devastano città villaggi con un clic, seminano carestia e morte tra le anime dei guerrieri come tra quelle dei fanciulli innocenti annichiliti dai razzi di droni teleguidati. Ecco perchè in questo dossier a puntate l’immagine di uno di questi rispettabili manager in giacca e cravatta sarà sempre accanto a quella di un bimbo ucciso da una bomba intelligente nello Yemen, in Irak, in Siria e in Ucraina. Oggi in copertina c’è uno degli alunni yemeniti di uno scuolabus esploso nell’agosto 2018 per un ordigno made in USA. Un teatro quotidiano dell’orrore e della follia dove i sordidi giochi d’azzardo dei tycoon mondiali, in gran parte sionisti e sovente anche massoni, s’intrecciano con quelli di politici e banchieri di un occidente che ogni giorno strilla in un deserto d’ipocriti cuori l’appello cieco al rispetto dei diritti umani. Una macchina infernale che pare ormai attorcigliata in una spirale senza ritorno proprio come ogni inganno votato al suicidio.

Ormai senza guerra non c’è speranza per la cupidigia dei plutocrati contemporanei. Lo ha detto chiaramente, con garbato eufemismo, un politico della Repubblica Italiana di cui parleremo nei prossimi reportages di questo viaggio tra i signori delle armi e le più grandi multinazionali della difesa. Lo ribadisce l’ultimo rapporto diffuso lunedì 11 marzo del Sipri (Stockholm International Peace Research Institute): un centro di ricerca indipendente svedese che ogni anno analizza l’import-export di questo sempre mercato, dalle bombe ai fucili d’assalto, dagli apparecchi militari all’ingegneristica cibernetica di protezione o di sabotaggio, come ha scoperto il Venezuela nell’ultimo mese facendo da cavia alle tecnologie di una guerra occulta del terzo millennio. Un commercio sempre floridissimo perché sostenuto da opportune politiche internazionali guerrafondaie a dispetto del sempre più inutile Consiglio di Sicurezza dell’Onu.



MERCATO DELLE ARMI IN CRESCITA MA NON ABBASTANZA…

Le variazioni del mercato delle armi del Sipri dal 1079 al 2018 – clicca sull’immagini per i dati del dossier sul commercio nel mondo

Il trend è in forte crescita e vede gli Usa leader sempre più incontrastati dopo la cura del presidente Barack Obama, premiato con il Nobel per la Pace 2009 al suo insediamento, libero di scatenare un inferno di conflitti ovunque per risollevare così le sorti di un mercato che dopo il boom degli anni Ottanta stava languendo. Era in crisi anche a causa della diplomatica propensione pacifista di molte nazioni, sollecitate dal Santo pacifista Giovanni Paolo II, al secolo Karolo Woytjla, che dopo aver vissuto da polacco sia l’occupazione Nazista Tedesca che quella Comunista Russa, girò il mondo nel tentativo di strappare qualche reale impegno umanitario ai leader della terra, e ci riuscì. Guarda caso uno dei patti più importanti fu siglato proprio l’8 dicembre 1987, ricorrenza dell’Immacolata Concezione della Madonna, cui il Pontefice era devotissimo: fu quel trattato Inf sui missili nucleari a raggio intermedio firmato tra Usa e Russia e stracciato qualche settimana fa dal presidente americano Donald Trump con conseguente analago ritiro del presidente russo Vladimir Putin. E’ stato questo il segnale ufficiale di una brutale sterzata del capo di stato americano. Arrivato nel 2017 alla Casa Bianca un po’ a sorpresa, con una strategia internazionale di distensione tale da valergli i sospetti, ridicoli oltrechè fasullli, del Russiagate, è stato presto richiamato all’ordine dalla lobby yankee delle armi che aveva invece puntato sulla sua rivale democratica Hillary Clinton, ben più accreditata per la sua efficace esperienza da Segretario di Stato nella creazione e gestione di focolai di conflitto in Libia, Siria, Ucraina. Dopo le lezioni di mid-term e lo spettro del shut-down (blocco amministrativo) per la Camera del Congresso conquistata dai Dem, il repubblicano Trump ha dovuto aggiustare il tiro per salvarsi la reputazione presidenziale e lo ha fatto con la sua sfacciata esuberanza: senza nemmeno curarsi dell’ipocrita apparenza come il suo predecessore Obama. Non si possono leggere altrimenti le sue ultime gesta politiche che vanno dalla rottura dell’Inf al riconoscimento delle Alture del Golan, occupate arbitrariamente da Israele in sfregio ad ogni risoluzione Onu e a discapito di Siria e Libano, dalle minacce condite da tempeste di sabotaggi elettrici per il golpe a Cacaras all’occupazione di un’isola nel Mar Cinese e fino alle provocatorie gite nel Mar Nero delle navi militari Natodavanti alle coste della penisola di Crimea, annessa alla Russia grazie a un plebiscito mai riconosciuto dai paesi dell’Alleanza Atlantica.

In un precedente articolo sui sospetti di una cospirazione dietro la strage di Christchurch ho descritto la Triade Massonica di UK, Usa ed Israele quale “deep state” transnazionale di un governo macroeconomico che condiziona e dirige la politica delle nazioni più strategiche o preziose di risorse naturali (come Libia, Siria e Venezuela). Analizzeremo in altre riflessioni le radici storiche e le evidenze di questa entità occulta che, proprio come il diavolo, lavora ogni giorno per far credere che non esiste. Per ora mi limito a notare, dati alla mano, come queste tre potenze siano quelle finanziariamente più implicate nell’industria bellica di cui scriverò in tre distinti reportage: questo sugli Stati Uniti, il prossimo su Israele e l’ultimo su Gran Bretagna ed Europa. Gli intrecci sono tali e tanti che alcune informazioni diventeranno per forza tautologiche ma come dicevano i latini “repetita juvant”…



ECCO LE TOP DEFENSE HOLDINGS NEL MONDO

Ecco l’elenco delle prime 28 holding di armi e difesa – clicca sull’immagine per leggere l’elenco delle prime 100

I dati generalistici 2018 del citato Sipri sul traffico legale – ma sempre – confermano quelli del sito Defense News (riferiti però al 2017) che si addentra nei meandri delle varie corporations e mi ha consentito di scoprire che nelle prime 28 per fatturato ce ne sono 15 statunitensi, 3 russe, 3 britanniche, 2 francesi ed una rispettivamente di Germania, Olanda, Italia, Corea del Sud ed Israele. Analizzeremo nel dettaglio azionisti e management solo di quelle multinazionali il cui bilancio in ambito bellico è prioritario: ho ritenuto di escludere da questa radiografia societaria holdings come Boeing. Airbus e Rolls-Royce che pur avendo una produzione nel segmento difesa vedono il loro fatturato principalmente alimentato da altri settori. Ho invece radiografato altre società che sono tra le prime 100 ma non tra le prime 28 della tabella (così tagliata per banali di ragioni di screenshot ma visibile integralmente sul link). Poco c’è da scrivere sull’azionariato di quelle russe come Almaz-Antey, Tactical Missiles Corporation, Russian Helicopters perché sono tutte di proprietà statale e ciò forse spiega il motivo per cui Putin è molto più prudente dei suoi equipollenti nelle politiche estere di belligeranza: lui deve rispondere solo al popolo, gli altri ai grandi elettori delle lobby delle armi. Non è una clamorosa novità. Ma oggi chi leggerà Gospa Newspotrà togliersi lo sfizio di scoprire numeri, nomi e vedere volti. Oltre a qualche storia di scandali internazionali sul traffico di armi in paesi dilaniati da atroci guerre civili come Yemen e Ucraina o da instabilità governative come la Nigeria. I dati nudi e crudi delle partecipazioni azionarie nelle corporations sono a fine articolo. Ora vediamo di capire chi sono alcuni dei plutocrati affaristi che scommettono sul commercio degli armamenti.



IL GURU DEMOCRATICO DELLA FINANZA DI NEW YORK

Il 2018 è però stato l’anno in cui gli inganni hanno incominciato a suicidarsi (come predisse Gibran). Così alcuni tycoon guardacaso sionisti, che con la mano destra finanziano la produzione che arma eserciti regolari quanto terroristi jihadisti e con la sinistra vanno a fare beneficenza per lavarsi la coscienza, sono finiti alla berlina proprio per le loro acrobazie affaristiche sulle bombe intelligenti, che però ammazzano bambini a mucchi nello Yemen come in Siria. Parleremo nella prossima puntata dei fucili automatici d’assalto affibbiati dagli israeliani a squadristi nazisti dell’Ucraina nel più perverso degli ossimori antropologici o delle motovedette vendute alla misera e martoriata Nigeria con un sovrapprezzo di 15 milioni di dollari. Tutti fatti circostanziati con tanto di nomi, cognomi ma anche numeri: quelli delle astronomiche partecipazioni azionarie nelle industrie della guerra che secondo recenti statistiche fatturano 1800miliardi all’anno nel mondo quando ne basterebbero 50 per sfamare tutte le popolazioni indigenti della terra. Una vergogna talmente spudorata, arrogante ma consolidata che se si prova rammentarla nei salotti buoni dei paladini dei diritti umani ci si sente rispondere che tanto non si può fare nulla.

Il quartier generale di BlackRock a New York


Larry Fink, ceo di BlackRock

Qualcosa si può fare come pubblicare la foto e scrivere di Laurence Donald Fink, uno degli uomini più ricchi del pianeta e ritenuto anche tra i 28 più potenti, originario di famiglia ebrea ma ormai newyorkese fino al midollo e Democratico fino all’etternità, per sua stessa dichiarazione. Sarebbe interminabile un articolo sulla sua vita perciò mi limito ad alcune tappe essenziali che lo hanno portato ad essere chairman e Ceo, presidente esecutivo, di uno dei più importanti fondi d’investimento internazionali: il Blackrock con sede nella 55 E 52nd St di New York a poche centinaia di metri dal Rockfeller Center. Recenti stime attestano a 100miliardi di dollari il paniere di titoli amministrati, divisi tra pochi investitori istituzionali e moltissimi investitori retail. Ha circa 11mila dipendenti, opera in 26 Paesi divisi tra tutti i continenti e vanta clienti in oltre 100 diversi Stati. In Italia, ad esempio, gestisce più di 10 miliardi di investimenti divisi tra partecipazioni non qualificate in 22 delle società quotate a Piazza Affari (tra cui Intesa, Mediaset, Prysmian, Telecom, Pirelli con quote comprese tra il 2% e il 5%). I meriti di aver costruito questo colosso della finanza mondiale sono tutti del suo ideatore e fondatore Fink. «Laurence, per gli amici Larry, nasce nel 1952 – riporta L’Inkiesta in un dettagtliato articolo – Famiglia ebrea, un bachelor alla UCLA in Scienze Politiche e un MBA alla UCLA Graduate School of Management, Fink inizia a lavorare nel 1976 a First Boston, una banca d’investimento localizzata a New York. Nel mezzo si sposa, con Lori, con cui mantiene un rapporto idilliaco ed ha tre figli. La crescita, inarrestabile, lo porta nel 1988 a metter su BlackRock, società di asset management, con Robert Kapito, plurimedagliato in quanto a prestigio universitario avendo frequentato Harvard e Wharton. La separazione dal gruppo, inevitabile, avviene tra il 1992 e il 1994 con Fink, Ralph Schlosstein e Keith Anderson a porre Blackrock come società autonoma di risparmio gestito. La società cresce, inglobando al suo interno prima Merrill Lynch Investment Managers nel 2006 (con un raddoppio degli asset della società) e poi Barclays Global Investors (galassia Rotchschild – ndr) che, nel 2009, porta con sè in dote anche iShare, uno dei più grandi fornitori di ETF al mondo. Queste operazioni fanno sì che nel 2009 BlackRock possa diventare il più grande gestore di risparmio al mondo». Una holding con un patrimonio gestito di 102 miliardi di dollari nel 2017 che le ha consentito in tale anno di incrementare notevolmente i propri dati economici: ha registrato utili per 4,970 miliardi di dollari, con un fatturato annuo di 12,491 miliardi ed un incremento del 12% rispetto al precedente ciclo fiscale. Le azioni di BLK ieri erano scambiate a $ 438 per azione e la sua capitalizzazione di mercato è stata valutata a oltre $ 61,7 miliardi nell’ottobre 2018. Il gruppo è ora classificato 237° nell’elenco Fortune 500 delle maggiori società statunitensi per fatturato. Quanto questi risultati siano stati influenzati dalle partecipazioni nel mercato delle armi non è dato saperlo. Si sa però che gli investimenti sono massicci ed hanno procurato qualche grattacapo mediatico al chairman.



GLI INVESTIMENTI DI BLACKROCK NEL PIANETA DIFESAManagement e azionariato di BlackRock e la holding tedesca di armamenti Rheinmetall Ag

E’ lodevole l’impegno di Fink nella Robin Hood Foundation che cerca di combattere la povertà a New York, creata dalle stesse speculazioni monetarie della Fedederal Reserve (la banca centrale Usa che è di proprietà di banche private sioniste, vedi articolo sul Terrorismo economico a fondo pagina), ma nel suo ruolo di chairman del fondo BlackRock l’anno scorso si è visto tributare il titolo infamante di Black Planet Award Preisträger, letteralmente Vincitore del Premio Pianeta Nero destinato a chi sta contribuendo a rendere più malsana la terra. Se l’è guadagnato in virtù della detenzione diretta (e indiretta) di quote significative nella multinazionale bellica con sede ed origine tedesca Rheinmetall Ag a causa delle ormai famose bombe, almeno sui giornali di controinformazione, costruite in Italia e trovate nello Yemen in sfregio ad ogni embargo internazionale sulla vendita di armi nel paese massacrato da una tremenda guerra civile (vedi link articoli a fondo pagina). Il titolo di “uomo nero del pianeta” sembra ben meritato anche per altri motivi visto che la holding finanziaria internazionale che presiede, è azionista di ben 24 delle 28 holdings belliche da noi analizzate. Le percentuali variano da quelle americane Aerojet (14,7%), Caci (13,4%), Perspecta (9,99%), Saic (7,35%), Vectrus (7,11%), Harris (6,53%), Raytheon (5,59%), Lockheed Martin (4,5%) a quelle nelle europee come la britannica Melrose-Gkn (7,43%), la francese Thales (2,87%), la turca Asels (1,29%), la tedesca Rheinmetall (0,96%) e l’italiana Leonardo (0,86%) fino alla giapponese Nec (6,02%). Ora è evidente che in assenza di conflitti armati o guerra fredda il fondo speculativo non avrebbe grandi utili; mentre, al contrario, quando la genetica litigiosità umana di memoria biblica deflagra in scontri internazionali i dividendi per gli investitori salgono alle stelle. E’ quindi implicito che questo potente fondo, ovviamente molto presente in molteplici altri rami industriali e commerciali d’investimento, potrebbe avere evidenti vantaggi nel condizionare una politica guerrafondaia. Per tale motivo in questo primo reportage ci limiteremo ad analizzare principalmente coloro che speculano sul mercato degli armamenti più di coloro che li producono. La stessa ragione per cui un’associazione pacifista ed ecologista alla fine del 2017 premiò Fink per lo scandalo della Rheinmetall.



BOMBE RHEINMETALL NELLO YEMEN: PUNTA DELL’ICEBERG

Una delle bombe col marchio Rheinmetall trovate nello Yemen

La vicenda delle bombe tedesche della multinazionale tedesca Rheinmetall nello Yemen non è che la punta dell’iceberg dell’ipocrisia di quell’occidente che sostiene l’Unicef ed altre organizzazioni umanitarie e poi si volta dall’altra parte quando le industrie della guerra devono fare i loro affari sulla pelle dei più piccoli. E’ la spia di quei controlli sul mercato delle armi che vengono sempre aggirati con qualche cavillo legale. Della multinazionale teutonica e delle sue implicazioni istituzionali con palesi conflitti d’interessi politici parleremo nel dettaglio sull’ultimo reportage sull’Europa in quando i materiali di costruzione degli ordigni esplosivi rivenuti nei luoghi delle stragi nella penisola araba sono prodotti in Italia (ma assemblati altrove). Mi limito a ricordare che in Germania vige l’assoluto divieto di esportare armamenti nello Yemen e che pertanto la holding ha sfruttato la nota ambiguità normativa italiana per costruirli in una sua succursale in Sardegna. Da anni la questione rimbalza sui reportage della stampa nazionale ed internazionale ma, come da Gospa News evidenziato, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, prodigo di ammonimenti sui diritti umani in Venezuela, non ha mai proferito verbo nonostante le reiterate sollecitazioni di comitati spontanei per il disarmo. Parole pesanti le hanno messe invece per iscritto i responsabili dell’ong tedesca Ethecon, una fondazione di Dusseldorf per l’etica e l’economia in contrasto con i potenti gruppi corporativi, familiari, politici e statali tradizionali. «È una delle poche fondazioni di base, cioè “dal basso” e segue il mantra “Per un mondo senza sfruttamento e oppressione!” Questa giovane fondazione sta cercando ulteriori donazioni e membri sostenitori – scrive la fondazione nel suo sito – Dal 2006, Ethecon dà annualmente i due prezzi internazionali positivi e negativi: Ethecon International Blue Planet Award per l’eccezionale impegno a mantenere e salvare il pianeta blu ed Ethecon International Black Planet Award per la scioccante responsabilità per la rovina e la distruzione della terra. I vincitori del Blue Planet hanno incluso: Vandana Shiva dall’India, Uri Avnery da Israele e Jean Ziegler dalla Svizzera. Il Black Planet Award ha accusato, tra gli altri, i dirigenti e i principali azionisti delle società BP dal Regno Unito, Tepco dal Giappone, Deutsche Bank dalla Germania e Formosa Plastics da Taiwan».

Il comunicato della fondazione tedesca Ethecon – clicca per leggere l’originale in inglese

Nel novembre 2017 a Berlino, in una cerimonia pubblica che ha attirato i giornalisti dei più importanti media tedeschi, il premio blu è andato ad Hanna Poddig, che si batte per la pace, l’ambiente, i diritti umani ed è divenuta nota per le sue spettacolari azioni con cui, nel 2008 e nel 2012, riuscì a fermare i trasporti militari di uranio. Mentre quello Nero è andato proprio a Rheinmetall e quindi a BlackRock. «Armin Papperger (Presidente del Consiglio di Gestione) e Ulrich Grillo (Presidente del Consiglio di Sorveglianza), nonché i principali azionisti Larry Fink (Presidente e CEO di Blackrock Inc.) e Paul Manduca (Presidente di Prudential PLC) della società di armi Rheinmetall (Germania) sono esattamente l’opposto – rimarca Ethecon nel comunicato ufficiale – Agiscono sempre per il loro vantaggio e per il massimo profitto. In tal modo, calpestano l’ambiente, la pace e i diritti umani. Rheinmetall promuove la guerra, rovina i diritti umani e distrugge l’ambiente. Inoltre, illegali accordi di armi, evasioni fiscale e promozioni di guerra mostrano come i dirigenti di Rheinmetall ignorano l’etica e la morale in nome della massimizzazione del profitto. Attraverso le loro azioni rischiano la rovina e la distruzione del nostro Pianeta Blu e lo trasformano in un Pianeta Nero». E’ curioso notare che per una misteriosa nemesi il finanziere Fink si vede attaccato e biasimato per una delle società belliche in cui BLK detiene una partecipazione minima e non per quell’altra più famosa in cui ha una maggiore quota del 4,5%: la Lockheed Martin finita nell’occhio del ciclone per l’ordigno che, sempre nello Yemen, colpì uno scuolabus facendo una strage di ragazzini.



STRAGE SULLO SCUOLABUS CON LA BOMBA LOCKHEED MARTIN

Uno dei ragazzini uccisi nello scuolabus colpito da un attacco aereo della coalizione saudita il 9 agosto 2018 nello Yemen – CLICCA PER IL REPORTAGE VIDEO DI RUSSIA TODAY. ATTENZIONE! IMMAGINI SCIOCCANTI

«Non è stata la bomba fatta dagli Stati Uniti, ma piuttosto l’incapacità dei militari sauditi di usare correttamente le munizioni – nonostante tutta la formazione americana – che ha portato all’orrendo attentato ad uno scuolabus yemenita in agosto. L’attacco aereo dalla coalizione a guida saudita che ha ucciso 40 bambini e mutilato decine di altri nella trafficata città commerciale di Dhahyan nel nord dello Yemen il 9 agosto 2018, non è colpa di Washington». Lo ha scritto il network Russia Today riportando la dichiarazione del presidente americano Donald Trump in un’intervista ad Axios sulla tragedia fece 130 vittime, tra cui 51 morti e 79 feriti e menomnati.

Il giornalista investigativo di GreyZone mostra un frammento della Lockheed Martintrovata da un collega yemenita accanto allo scuolabus esploso

Il Pentagono sostenne che non si sarebbe mai potuto sapere chi aveva fornito gli ordigni «nonostante il fatto che pezzi di una bomba MK 82 laser-guidata da 500 libbre (227 chilogrammi) fatta da Lockheed Martin siano stati trovati sul luogo dell’esplosione» evidenziava l’articolo della tv russa aggiungendo che «Trump ha spostato la colpa della tragedia all’incapacità della coalizione di usare gli Stati Uniti forniti armi correttamente: “Sostanzialmente erano persone che non sapevano come usare l’arma, il che è orribile”». Il presidente americano si è ben guardato dal ricordare che buona parte del materiale bellico di fabbricazione americana è stato addirittura regalato dal Dipartimento di Stato degli Usa sotto forma di “aiuti militari”, sospesi di recente dal Congresso solo dopo il barbaro assassinio del giornalista Jamal Kashoggi nel consolato dell’Arabia Saudita a Istanbul in circostanze ancora misteriose. «Nonostante l’apparente traccia di vendita di armi tra Washington e Riyadh, il Pentagono ha dichiarato che potrebbe essere impossibile dire da dove provenisse la bomba che ha annientato lo scuolabus – scrisse sempre RT – Nel 2016, gli Stati Uniti hanno approvato le vendite di MK-82 in Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Francia e Iraq, estendendo l’accordo in Australia e Bahrain l’anno successivo. “Potremmo non sapere mai se la munizione fosse quella che gli Stati Uniti hanno venduto a loro”, ha detto a Vox l’Esercito Maggiore Josh Jacques, portavoce del Comando Centrale degli Stati Uniti. “Non abbiamo molte persone a terra”». Secondo i dati Onu nella cruenta guerra civile (vedi link sotto sullo Yemen) sono rimaste uccise già 10mila persone tra cui moltissimi civili nel 60 % dei casi a causa dei bombardamenti della potente coalizione a guida saudita e, secondo alcuni, alleata non dichiarata dei combattenti jifadisti di Al Qaeda che controllano parte del territorio.



GLI ALTRI FONDI CHE SPECULANO SUL MERCATO DELLE ARMI

Il presidente Donald Trump ad un vertice internazionale accanto al ceo di BlackRock Larry Fink – foto de Il Fatto Quotidiano del 29-5-2018

E’ invece provata da foto pubbliche l’occasionale frequentazione tra il repubblicano Trump ed il democratico Fink, a conferma che quando ci sono di mezzo gli affari il presidente del fondo BlackRock è un interlocutore privilegiato, anche perché significativo azionista proprio della Lockheed, la prima industria bellica americana che nel 2017 ha chiuso il bilancio con $47,985 miliardi di dollari di fatturato, il 14 % dei quali provento proprio di missili, bombe e altri armamenti per la cosiddetta difesa. Ma in questa multinazionale non c’è soltanto il più noto fondo americano di New York: sono presenti anche altre società americane d’investimento che pur essendo meno famose si distinguono per la loro presenza anche in molteplici altre aziende dell’industria bellica. Come ben evidenzia il dossier sugli azionisti delle holding delle armi allegato a fine articolo The Vanguard Group inc, con sede a Malvern (Pennsylvania), oltre ad essere uno dei leader mondiali nelle speculazioni in borsa, detiene il 7,35 % della Lockheed mentre il suo rivale SsgA Funds Management di Boston (Massachussetts) addirittura il 16 %. Il Capital Research & Management, fondo del Capital Group di Los Angeles (California) ha ben tre quote azionarie differenziate per un totale che lo porta al 9,54 %, mentre detiene solo il 4 % il Wellington Management Co., che a dispetto del nome non è neozelandese ma anch’esso di Boston. Non si tratta di partecipazioni occasionali ma di una pianificata strategia.


Il ceo di Vanguard Group Tim Buckley

Vanguard, guidata dal nuovo Ceo Mortimer J. Buckley, è presente in ben 25 holding mondiali della difesa: anche nella Bae britannica dove BlackRock non figura (ma c’è la banca Barclays azionista e compartecipata dal fondo newyorkese). La SSgA presieduta da Cyrus Taraporevala ha investito in 11 di esse, il Capital Group guidato da Timothy D. Armour in 8 ed il Wellington in 7 per volontà del suo ceo Brendan Swords, dal cognome (spade in italiano) sicuramente vocato agli affari di armi. A questi fondi si aggiungono primarie banche internazionali newyorkesi come Goldman Sachs e Morgan Stanley, che hanno investito i patrimoni dei risparmiatori in 9 differenti aziende belliche. L’amara conclusione di questa analisi di macroeconomia settoriale è alquanto semplice: se si ferma la macchina della guerra a Wall Street avviene una strage di investitori. Per il business del sionista newyorkese dem Larry Fink e dei suoi colleghi (di cui narreremo la storia in altre occasioni) meglio che gli Usa continuino a seminare conflitti per i mondo e consentano ad Israele di fare altrettanto ora che ha le mani più libere per una recente privatizzazione. La più importante azienda militare nazionale di Tel Aviv, infatti, è stata acquisita dalla corporation privata di un tycoon israeliano, premiato qualche tempo fa dalla più importante loggia ebrea degli Usa. A conferma che la Triade Massonica non è affatto un miraggio. Ma questo lo racconteremo nella prossima puntata. Pregando Dio che non ci intercetti prima qualche drone ignorante…

Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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FONTI











PROPONIMENTO DEL GIORNO



Perdonerò di buon cuore tutti quelli che mi hanno offeso, e dirò: Signore, perdonate i miei peccati, siccome io perdono a quelli che mi hanno offeso.

LITURGIA DI OGGI

 

LITURGIA DEL GIORNO
- Rito Romano -
  
  



 PRIMA LETTURA 

Ez 47,1-9.12
Dal libro del profeta Ezechièle

In quei giorni [l’angelo] mi condusse all’ingresso del tempio [del Signore] e vidi che sotto la soglia del tempio usciva acqua verso oriente, poiché la facciata del tempio era verso oriente. Quell’acqua scendeva sotto il lato destro del tempio, dalla parte meridionale dell’altare. Mi condusse fuori dalla porta settentrionale e mi fece girare all’esterno, fino alla porta esterna rivolta a oriente, e vidi che l’acqua scaturiva dal lato destro.
Quell’uomo avanzò verso oriente e con una cordicella in mano misurò mille cùbiti, poi mi fece attraversare quell’acqua: mi giungeva alla caviglia. Misurò altri mille cùbiti, poi mi fece attraversare quell’acqua: mi giungeva al ginocchio. Misurò altri mille cùbiti, poi mi fece attraversare l’acqua: mi giungeva ai fianchi. Ne misurò altri mille: era un torrente che non potevo attraversare, perché le acque erano cresciute; erano acque navigabili, un torrente che non si poteva passare a guado. Allora egli mi disse: «Hai visto, figlio dell’uomo?». Poi mi fece ritornare sulla sponda del torrente; voltandomi, vidi che sulla sponda del torrente vi era una grandissima quantità di alberi da una parte e dall’altra.
Mi disse: «Queste acque scorrono verso la regione orientale, scendono nell’Aràba ed entrano nel mare: sfociate nel mare, ne risanano le acque. Ogni essere vivente che si muove dovunque arriva il torrente, vivrà: il pesce vi sarà abbondantissimo, perché dove giungono quelle acque, risanano, e là dove giungerà il torrente tutto rivivrà. Lungo il torrente, su una riva e sull’altra, crescerà ogni sorta di alberi da frutto, le cui foglie non appassiranno: i loro frutti non cesseranno e ogni mese matureranno, perché le loro acque sgorgano dal santuario. I loro frutti serviranno come cibo e le foglie come medicina».


  SALMO  

Sal 45
Dio è per noi rifugio e fortezza.

Dio è per noi rifugio e fortezza,
aiuto infallibile si è mostrato nelle angosce.
Perciò non temiamo se trema la terra,
se vacillano i monti nel fondo del mare.

Un fiume e i suoi canali rallegrano la città di Dio,
la più santa delle dimore dell’Altissimo.
Dio è in mezzo ad essa: non potrà vacillare.
Dio la soccorre allo spuntare dell’alba.

Il Signore degli eserciti è con noi,
nostro baluardo è il Dio di Giacobbe.
Venite, vedete le opere del Signore,
egli ha fatto cose tremende sulla terra.


 VANGELO 

Gv 5,1-16
Dal Vangelo secondo Giovanni

Ricorreva una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. A Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, vi è una piscina, chiamata in ebraico Betzatà, con cinque portici, sotto i quali giaceva un grande numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici.
Si trovava lì un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù, vedendolo giacere e sapendo che da molto tempo era così, gli disse: «Vuoi guarire?». Gli rispose il malato: «Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, un altro scende prima di me». Gesù gli disse: «Àlzati, prendi la tua barella e cammina». E all’istante quell’uomo guarì: prese la sua barella e cominciò a camminare.
Quel giorno però era un sabato. Dissero dunque i Giudei all’uomo che era stato guarito: «È sabato e non ti è lecito portare la tua barella». Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: “Prendi la tua barella e cammina”». Gli domandarono allora: «Chi è l’uomo che ti ha detto: “Prendi e cammina”?». Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato perché vi era folla in quel luogo.
Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: «Ecco: sei guarito! Non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio». Quell’uomo se ne andò e riferì ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo. Per questo i Giudei perseguitavano Gesù, perché faceva tali cose di sabato.

lunedì 1 aprile 2019

PROPONIMENTO DEL GIORNO



Mi impegno a vedere il mondo con umiltà, e ad avvicinarmi agli altri senza superiorità nè pregiudizi.

LITURGIA E DEVOZIONI DEL GIORNO

 

DEVOZIONI DEL GIORNO



 Mese di Aprile dedicato alla DIVINA MISERICORDA

  SANTO ROSARIO  da recitare on-line 


  VANGELI 





LITURGIA DEL GIORNO
- Rito Romano -
  
  



  PRIMA LETTURA 

Is 65,17-21
Dal libro del profeta Isaìa

Così dice il Signore:
«Ecco, io creo nuovi cieli e nuova terra;
non si ricorderà più il passato,
non verrà più in mente,
poiché si godrà e si gioirà sempre
di quello che sto per creare,
poiché creo Gerusalemme per la gioia,
e il suo popolo per il gaudio.
Io esulterò di Gerusalemme,
godrò del mio popolo.
Non si udranno più in essa
voci di pianto, grida di angoscia.
Non ci sarà più
un bimbo che viva solo pochi giorni,
né un vecchio che dei suoi giorni
non giunga alla pienezza,
poiché il più giovane morirà a cento anni
e chi non raggiunge i cento anni
sarà considerato maledetto.
Fabbricheranno case e le abiteranno,
pianteranno vigne e ne mangeranno il frutto».


  SALMO  

Sal 29
Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato.

Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato
e non hai permesso ai miei nemici di gioire su di me.
Signore, hai fatto risalire la mia vita dagli inferi,
mi hai fatto rivivere perché non scendessi nella fossa.

Cantate inni al Signore, o suoi fedeli,
della sua santità celebrate il ricordo,
perché la sua collera dura un istante,
la sua bontà per tutta la vita.
Alla sera è ospite il pianto
e al mattino la gioia.

Ascolta, Signore, abbi pietà di me,
Signore, vieni in mio aiuto!
Hai mutato il mio lamento in danza,
Signore, mio Dio, ti renderò grazie per sempre.


 VANGELO 

Gv 4,43-54
Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù partì [dalla Samarìa] per la Galilea. Gesù stesso infatti aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella propria patria. Quando dunque giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero, perché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme, durante la festa; anch’essi infatti erano andati alla festa.
Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafàrnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per morire.
Gesù gli disse: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete». Il funzionario del re gli disse: «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia». Gesù gli rispose: «Va’, tuo figlio vive». Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino.
Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i suoi servi a dirgli: «Tuo figlio vive!». Volle sapere da loro a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: «Ieri, un’ora dopo mezzogiorno, la febbre lo ha lasciato». Il padre riconobbe che proprio a quell’ora Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive», e credette lui con tutta la sua famiglia.
Questo fu il secondo segno, che Gesù fece quando tornò dalla Giudea in Galilea.

sabato 30 marzo 2019

MATTARELLA PROTEGGE I BANCHIERI PIRANHA DEI RISPARMIATORI


– MPS USO’ 4 MILIARDI DI STATO PER SALVARE DE BENEDETTI
A CUI DOVRA’ PURE REGALARE GLI UTILI DI SORGENIA!
– IL PAPA’ DELLA BOSCHI MULTATO PER IL CRACK ETRURIA
– 234MILA CASE PIGNORATE AI CITTADINI NEL 2017
– MA IL CAPO DELLO STATO MINACCIA IL PARLAMENTO:
«LA COMMISSIONE D’INCHIESTA SULLE BANCHE
NON PUO’ INDAGARE SU CREDITO E ISPETTORI»

___di Fabio Giuseppe Carlo Carisio ___

A pochi giorni dalla sentenza con cui la Corte di Cassazione ha condannato ad una salatissima multa il padre di un ex ministro per le sue responsabilità nel fallimento di una Banca, costruito negli anni nonostante i molteplici organismi di controllo che evidentemente non hanno funzionato a dovere, il Presidente della Repubblica Italiana getta la maschera di patrocinatore dei finanzieri mondialisti che lo hanno voluto sul Colle più alto d’Italia ed entra a gamba tesa per azzoppare la Commissione d’inchiesta sulle Banche voluta dal Parlamento. Essendo lui l’arbitro del gioco politico del paese – almeno fino ad un eventuale impeachment – nessuno può fischiare il calcio di rigore per spedirlo fuori dallo stadio dove ogni giorno la democrazia esce sconfitta. Soprattutto in quel perverso sistema del credito che nel 2017 ha tolto la casa a 234mila cittadini pignorati per insolvenza del mutuo immobiliare. Sergio Mattarella, forse timoroso che le investigazioni possano scandagliare le azioni dei politici ed amministratori del suo Partito Democratico implicato indirettamente nei dissesti di Monte dei Paschi di Siena ed Etruria o magari vadano a curiosare nelle inchieste giudiziarie sulle manipolazioni del rating da parte delle agenzie internazionali che complottarono sullo spread nel 2011 per ordire il Golpe finanziario contro il Governo Berlusconi, avverte il Parlamento che deve ben guardarsi dall’andare a fare troppe indagini o sovrapporsi agli enti di controllo che l’autonomia bancaria renderebbe, a suo giudizio, incostituzionali.



L’AMMONIMENTO DEL CAPO DI STATO AL PARLAMENTO

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella

Il Capo di Stato è un callidissimo ed espertissimo politico, legale e giurista. Sa benissimo che non può rifiutarsi di firmare la legge istitutiva di una Commissione parlamentare onde evitare di rischiare davvero una messa sotto accusa per impeachment, ma, forte del suo trascorso nella Consulta (2011-2015), in una lettera perentoria e molto articolata, scrive ai presidenti di Camera e Senato quella che ha l’evidente aspetto di una “minaccia” ai politici che siedono a Palazzo Madama e Montecitorio. Il senso è chiaro: attenti a come agite perché altrimenti potrebbe essere chiamata in causa la Corte Costituzionale. L’ammonimento al Parlamento si traduce però implicitamente anche in un suggerimento agli istituti di credito ed agli enti di controllo sulla linea difensiva da adottare per tutelare la loro riservatezza. Da avvocato Azzecca-Garbugli del terzo millennio offre l’assist a banchieri con conti troppi scheletri negli armadi e ad ispettori miopi per rispondere picche ad eventuali istanze indiscrete dei commissari parlamentari: appellarsi alla lentissima Consulta per ipotetici conflitti di potere dello Stato. Nonostante l’inquilino del Quirinale sia anche Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura (Csm) pare non essersi accorto del ciclone di scandali finanziari e giudiziari che hanno ottenebrato l’orizzonte bancario italiano negli ultimi vent’anni, dai Bond Parmalat in poi, e sono deflagrati in potenti uragani capaci di devastare le semine dei risparmiatori proprio nel settennato dell’oligarchia Pd. Sembra quasi che Mattarella voglia evitare che un’inchiesta fatta dai rappresentanti del popolo riapra il cahiers de doléances e verifichi magari quale sorte sia toccata ai 20 miliardi di euro di soldi pubblici stanziati dal Governo Gentiloni nel 2016 per salvare Monte dei Paschi di Siena che a sua volta aveva investito 600 milioni di euro, pari a circa il 2 % del suo intero patrimonio, per salvare la Sorgenia controllata dalla Cir del cittadino italo-svizzero Carlo De Benedetti, prima tessera dello stesso Partito Democratico: una società energetica creata grazie al mercato libero del Decreto Bersani, ovvero l’ex ministro Pier Luigi un altro compagno allora DS e poi PD. Ma quante rosse coincidenze…

MATTARELLA: «NO A CONDIZIONAMENTI POLITICI DELLE BANCHE»

La sede della Banca d’Italia a Milano – Gian Mattia D’Alberto / LaPresseì

Basterebbe questo piccolo promemoria di correlazioni politico –finanziarie, di cui nel prossimo paragrafo analizzeremo nel dettaglio gli eventi, per acclarare in modo lapalissiano quanto la politica si sia impicciata dell’alta finanza bancaria con conseguenze purtroppo disastrose quando a farlo è la sinistra visto che Mediolanum, la banca del più longevo statista di centrodestra Berlusconi, è invece una delle più sane di tutta l’Europa. Ecco perché appaiono assurde, per non dire sfacciatamente faziose, alcune delle motivazioni con cui Mattarella ha posto paletti virtualmente – ma non giuridicamente – ingiuntivi alle azioni investigative. «L’eventualità che soggetti, partecipi dell’alta funzione parlamentare ma pur sempre portatori di interessi politici, possano, anche involontariamente, condizionare, direttamente o indirettamente, le banche nell’esercizio del credito, nell’erogazione di finanziamenti o di mutui e le società per quanto riguarda le scelte di investimento si colloca decisamente al di fuori dei criteri che ispirano le norme della Costituzione». Questo scrive il Presidente della Repubblica scambiando per matricolati fessi tutti i deputati, senatori e cittadini italiani ben consapevoli degli annosi intrighi perniciosi tra politica e pianeta bancario. Per una coincidenza fatale, infatti, questa sua affermazione giunge a pochi giorni dalla sentenza di conferma della maximulta affibbiata al padre dell’ex ministra piddina e sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio Maria Elena Boschi per il caso Etruria che vedremo più avanti. Ora proseguiamo la lettura della missiva di Mattarella: «Non è in alcun modo in discussione, ovviamente, il potere del Parlamento di istituire commissioni di inchiesta ma non può, tuttavia, passare inosservato che, rispetto a tutte le banche, e anche agli operatori finanziari, questa volta viene, tra l’altro, previsto che la Commissione possa analizzare la gestione degli enti creditizi e delle imprese di investimento. Queste indicazioni, così ampie e generali, non devono poter sfociare in un controllo dell’attività creditizia». Tradotto dal politichese iperburocratico significa che i commissari possono indagare perché è un loro diritto ma non intromettersi troppo sulle manovre finanziarie che hanno creato i dissesti: praticamente possono fare una ricognizione aerea dei luoghi della strage dei risparmiatori ma non le perizie per analizzare gli esplosivi che le hanno determinate. Il pericolo per il Capo dello Stato è evidente: «occorre evitare il rischio che il ruolo della Commissione finisca con il sovrapporsi – quasi che si trattasse di un organismo ad esse sopra ordinato – all’esercizio dei compiti propri di Banca d’Italia, Consob, Ivass, Covip, Banca Centrale Europea. Ciò urterebbe con il loro carattere di Autorità indipendenti, sancito, da norme dell’ordinamento italiano e da disposizioni dell’Unione Europea, vincolanti sulla base dei relativi trattati». Per prima così fa d’uopo ricordare allo scaltro inquilino del Colle che Banca d’Italia è una società a capitale misto pubblico-privato compartecipata dalle stesse banche di cui la stessa MPS finita sull’orlo del fallimento, detiene il 2,5 % delle quote azionarie. Ovvero il controllore è partecipato dai controllati: esattamante come nella società per azioni Bce. «La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito – recita l’art- 47 della Costituzione – Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese».


Le vecchie banconote da 500 lire emesse dalla Repubblica Italiana

Peccato che a forza di riforme del sistema monetario e bancario la Repubblica che emetteva direttamente tramite la Zecca di Stato le famose banconote cartacee da 500 lire con la Testa di Mercurio abbia ceduto tale sovranità monetaria prima alla stessa istituzione pubblica Banca d’Italia e poi ad una società privata come la Bce. Che la proprietà delle abitazioni per i meccanismi del credito sia passata sempre più dalla popolazione alle banche e che, come detto, anche la funzione di controllo sia finita di fatto nelle mani di istituti di credito privati. Tutto ciò renderebbe sacrosanto il diritto di una Commissione di parlamentari a ispezionare quello che vogliono in nome del popolo italiano che rappresentano. «Ricordo che né le banche centrali né, tantomeno, la Banca Centrale Europea possono sollecitare o accettare istruzioni dai governi o da qualsiasi altro organismo degli Stati membri – aggiunge invece Mattarella – Il principio di non interferenza e quello di leale collaborazione vanno affermati anche nei rapporti tra inchiesta parlamentare e inchiesta giudiziaria: l’inchiesta parlamentare non deve influire sul normale corso della giustizia ed è precluso all’organo parlamentare l’accertamento delle modalità di esercizio della funzione giurisdizionale e le relative responsabilità». Se è ben vero che il Parlamento, cui compete il potere legislativo, non può intromettersi in quello giudiziario, è altrettanto vero che le attività della magistratura possono essere invece vagliate dal CSM presieduto da Mattarella ed affiancato nella vicepresidenza dall’avvocato David Ermini, ex deputato PD esattamente come lui: a conferma che la sinistra sa sempre piazzare i suoi politici nei gangli nervalgici dello Stato. Ecco quindi gli ammonimenti finali del Quirinale ai destinatari della missiva, cioé i presidenti di Camera e Senato, Roberto Fico e Maria Elisabetta Casellati: «Sono certo che i presidenti del Senato e della Camera, nell’esercizio delle loro prerogative, seguiranno con attenzione lo svolgimento dei lavori della Commissione affinché sia assicurato il rispetto dei limiti derivanti dalla Costituzione e dall’ordinamento della Ue nonché il rispetto dei diversi ruoli e responsabilità».

BANCAROTTA IN BANCA ETRURIA: MAXI-MULTA A PAPA’ BOSCHI

L’ex vicepresidente di banca Etruria Pierluigi Boschi e sua figlia Maria Elena ex ministra del Governo Renzi e sottosegretaria del Governo Gentiloni che approvò il Decreto SalvaBanche per Mps

Quello di cui sono certo io – dopo aver analizzato le vergognose vicende sui Bond Parmalat e seguendo ora quelle su Etruria, Mps e sulle manipolazioni dei giudizi da parte delle agenzie di rating – è che certamente molte cose non sono funzionate negli organismi di controllo. Come comprova un episodio accaduto nel 2005 a Vercelli dove un investitore fu risarcito integralmente del danno dalla sua banca, con secretazione dell’accordo stragiudiziale, a condizione che ritirasse la querela per truffa contro il funzionario che gli vendette 30mila euro di obbligazioni dell’azienda del latte 4 giorni prima del default, quando anche le pietre sapevano che il crack a Parma era imminente. Ciò avvenne solo in virtù dell’attenzione mediatica e della determinazione della magistratura a perseguire il singolo dipendente che avrebbe potuto rappresentare un’inchiesta pilota. L’ennesima conferma è giunta di recente dal procedimento penale per il crack Etruria nel quale il 31 gennaio «il gup di Arezzo Giampiero Borraccia ha condannato in abbreviato quattro ex dirigenti di Banca Etruria nel filone di inchiesta per bancarotta – scriveva l’Ansa – Il giudice ha deciso una pena di 5 anni (scontati per il rito) per l’ex presidente Giuseppe Fornasari e l’ex dg Luca Bronchi, e di 2 anni per l’ex dg Alfredo Berni, tutti imputati per bancarotta fraudolenta. Pena di 1 anno per l’ex consigliere del cda Rossano Soldini accusato di bancarotta semplice. Il gup Borraccia ha inoltre rinviato a giudizio gli altri 27 imputati».


La sede di Banca Etruria ad Arezzo

«Qui si è fatto giurisprudenza, le accuse hanno retto tutte e anche il contributo delle parti civili è stato essenziale. Siamo molto soddisfatti – aveva commentato il presidente di Federconsumatori di Arezzo Pietro Ferrari che fornisce l’assistenza legale ai 1.563 risparmiatori costituitisi parti civili – Si tratta di un passo importante anche per la parte che adesso andrà a svilupparsi davanti al tribunale e per gli altri filoni processuali ancora aperti». Tra i rinviati a giudizio non c’è Pier Luigi Boschi, padre dell’ex ministra Pd, perché, pur essendo vicepresidente, non aveva preso parte alle delibere sui prestiti ad alto rischio che contribuirono a causare il dissesto e la successiva liquidazione coatta amministrativa per un passivo di 526 milioni di euro e crediti deteriorati per 2,8 miliardi di euro (due miliardi di sofferenze e 800 milioni di incagli). Tra i finanziamenti contestati dai pm del pool investigativo c’è lo yacht di Civitavecchia (perdita da 25 milioni) progettato per diventare il panfilo più grande del mondo e rimasto a invecchiare nel cantiere. Il prestito Sacci, ovvero cinquanta milioni mai rientrati concessi a una società il cui amministratore Augusto Federici, ora imputato, era anche membro del Cda della banca. E ancora l’operazione San Carlo Borromeo, relais di lusso di Armando Verdiglione su cui Banca Etruria aveva la sola garanzia di un’ipoteca di quarto grado. Ma l’estraneità ai rilievi penali non ha esimato l’ex vicepresidente della banca da una maxi multa. «La Corte di Cassazione ha reso definitiva la pena pecuniaria che gli ispettori di Ignazio Visco hanno inflitto a Luciano Nataloni, Pier Luigi Boschi e Andrea Orlandi – riporta il quotidiano Libero di Vittorio Feltri – Facevano tutti parte del consiglio di amministrazione di Banca Etruria al momento del fallimento. Il papà di Maria Elena rivestiva la carica di vicepresidente Con una sentenza depositata ieri, la seconda sezione civile della Suprema Corte ha rigettato i ricorsi degli imputati. A questo punto non c’ è più nulla fare: Nataloni dovrà pagare 156mila euro, Boschi e Orlandi 144mila ciascuno». Merita un più articolato approfondimento la vicenda Monte dei Paschi di Siena, emblematico caso di intrecci tra politica e finanza. Ma prima di analizzarlo vediamo come si sta invece comportando il sistema bancario nei confronti dei cittadini qualunque…

PIGNORATE LE CASE DI 234MILA CITTADINI

«Nel Portale delle vendite pubbliche del Ministero della Giustizia ci sono oggi 36.700 annunci di vendita in asta di immobili residenziali. Case finite lì perché il proprietario non è riuscito a fare fronte ai propri debiti. Dietro questi immobili ci sono storie diverse. Non è solo la difficoltà a pagare le rate del mutuo a precipitare molte persone in una situazione drammatica. C’è chi ha acceso altri finanziamenti da cui non riesce più a rientrare, chi non paga le spese condominiali, ci sono le storie di chi ha perso il lavoro o si è trovato in una situazione finanziaria di difficoltà per una separazione – ha scritto Alessandro Piu in un illuminante articolo sul sito Wall Street Italia – Quale che sia la causa del problema, sta di fatto che è in crescita. Secondo i dati del sito specializzato Enti e Tribunali nel 2015 ci sono state 226.000 esecuzioni immobiliari, nel 2016 sono state 267.000 e nel 2017 oltre 234.000. Con un ritmo di oltre 200.000 pignoramenti l’anno il rischio è di arrivare a quota 1,5 milioni di immobili in asta nei prossimi cinque anni. Nel 70% dei casi si tratta di abitazioni, nel 4% di negozi e uffici, nel 7% di capannoni industriali e nel 13% di terreni. Poco meno dell’1% di immobili in asta è rappresentata da hotel e strutture alberghiere, nella maggior parte dei casi si tratta di micro-strutture a conduzione familiare. Mentre nel restante 6% dei casi, sono presenti una serie di unità immobiliari di diversa natura e anche di difficile ricollocazione. Questi dati sono stati ricordati da William Cappa, fondatore di Cappa & Associati società specializzata nel settore del debito con un focus sui pignoramenti, nel corso di una presentazione a Milano». L’unico commento da fare è che ci sono i poveri cittadini stritolati da un sistema bancario cinico che si fa però aiutare dallo Stato quando si trova in rosso per colpa del salvataggio di imprenditori politicamente amici…

LA SORGENIA DI DE BENEDETTI SALVATA DA MPS


L’imprenditore Carlo De Benedetti fondatore di Sorgenia poi rilevata da Monte dei Paschi di Siena insieme ad altre banche Foto Roberto Monaldo

Prima di ricordare come fu aiutata la banca senese andiamo a vedere come la sua storia si connette con quella di uno degli storici esponenti del Partito Democratico Carlo De Benedetti, residente in Svizzera e ideatore di Sorgenia, società energetica impegnata da anni, attraverso una società controllata, a cercare di far decollare a Gioia Tauro uno dei più grandi impianti di rigassificazione del Mediterraneo. Si tratta di uno stabilimento che consentirebbe di riconvertire il gas metano liquido, più facile da trasportare sulle navi cisterna perché meno ingombrante, allo stato gassoso per la sua distribuzione in tutta la rete energetica del paese. «All’inizio, quando nasce nel 1999 in seguito al Decreto Bersani sulla liberalizzazione dell’energia elettrica, si chiama Energia SpA. E fa parte della galassia CIR-De Benedetti che detiene, attraverso Energia Holding, il 73,4% del capitale mentre il 26,6% è in mano al gruppo energetico austriaco Verbund (controllato con il 51% dallo Stato austriaco) – scrive Wikipedia con la doviziosa e puntuale citazione d’innumerevoli fonti – Nel 2000 la società avvia la fornitura di energia elettrica ai primi clienti industriali, nel 2003 inizia anche la fornitura di gas dalla Libia tramite il gasdotto Green Stream. E porta avanti con gli investimenti i progetti greenfield relativi alle centrali elettriche a ciclo combinato alimentate a gas naturale di Termoli (CB), Modugno (Bari), Aprilia (Latina), Bertonico-Turano Lodigiano (Lodi). Nel 2003 il business energetico (808 milioni di euro di fatturato contro i 574 dell’anno precedente) rappresenta ormai un terzo dei ricavi CIR. Nel luglio 2006 Energia SpA, in cui gli austriaci di Verbund hanno da pochi mesi sottoscritto, pur essendo azionisti di Energia Holding, un aumento di capitale di 150 milioni in cambio di una partecipazione del 6%, cambia nome e diventa Sorgenia SpA. Il maggiore azionista è sempre la CIR di De Benedetti». Gli investimenti procedono a ritmo incalzante soprattutto nella creazione di sinergie internazionali. Il progetto più strategico è quello del rigassificatore di Gioia Tauro elaborato dalla societù LNG Medgas, controllata al 70 % dalla Fingas che è a sua volta partecipata al 50 % da Sorgenia (il resto è di Iren). Si tratta di un progetto colossale e rivoluzionario per l’Italia. Ma proprio per questo incontra rallentamenti nelle autorizzazioni dei vari enti pubblici interessati. I ricavi netti della società energetica controllata da De Debenedetti, invece, tra il 2005 ed il 2006 precipitano con un -3,9 milioni annuo e l’indebitamento netto sale da 429 a 491 milioni. E’ l’inizio del tracollo divenuto mostruoso nel 2013 con un indebitamento di 1,8 miliardi di euro nei confronti di 21 banche. La principale banca creditrice risulta Mps che da sola si è caricata di ben un terzo di quel fardello: 600 milioni, a suo tempo elargiti per finanziare la società elettrica. Proprio Monte dei Paschi di Siena è però a sua volta con l’acqua alla gola: ha chiuso il primo semestre 2012 con un buco di 1,617 miliardi ed il peso del credito verso Sorgenia comincia a far sentire il suo peso. Ma è in quel momento che il Governo di Mario Monti – nel quale siede come Ministro delle Infrastrutture anche l’esperto banchiere Corrado Passera manager con De Benedetti nella Olivetti – interviene in soccorso di MPS (e di Unicredit) attraverso un prestito dello Stato di 3,9 miliardi di euro sotto forma di obbligazioni: i cosiddetti Monti bond. Questi danno alla banca senese il respiro finanziario indispensabile per aiutare Sorgenia. «Di fronte ad una pesante crisi, i De Benedetti non si sono resi disponibili a ricapitalizzare la società come avevano invece richiesto le banche. Con un accordo di moratoria (standstill) con gli istituti finanziatori, è così avviato un processo di ristrutturazione con un aumento di capitale sottoscritto solo dalle banche: CIR e Verbund escono dalla società e, alla fine, Sorgenia finisce in mano alle banche creditrici che hanno convertito l’esposizione creditizia in azioni. Perciò Mps si è ritrovata ad essere azionista di Sorgenia con il 22% del capitale e ad averla tra gli incagli dei suoi conti. Le altre banche coinvolte: Ubi Banca con il 18%, Banco Popolare con l’11,5% Intesa Sanpaolo e Unicredit entrambe con il 10%, Bpm con il 9%». Ma con che coraggio Monte dei Paschi di Siena accettò di trasformare in azioni un credito così ingente proprio nel momento in cui aveva bisogno di sempre maggiore liquidità per evitare il dissesto? E’ evidente che poteva contare sulle promesse di aiuti politici molti significativi…

IL GOVERNO GENTILONI SOSTENUTO DAL PD SALVA MONTE DEI PASCHI


I due ex premier Paolo Gentiloni e Matteo Renzi

«A dicembre del 2016 è stato deciso il salvataggio di Monte dei Paschi di Siena (quarto gruppo bancario in Italia), anche questa in crisi dopo anni di cattiva gestione. Diversamente da quanto successo alle quattro banche del centro Italia, nel caso di Mps lo Stato ha finanziato parte dell’operazione, attingendo a un fondo di 20 miliardi di euro presi a debito varato a questo scopo – riferisce un articolo molto esaustivo de Il Foglio – Questi, circa 3,9 sono stati spesi per la ricapitalizzazione e al massimo 1,5 riservati al ristoro degli investitori al dettaglio che detengono le passività subordinate della banca oggetto di conversione in azioni nell’ambito del burden sharing. Azionisti e obbligazionisti hanno da parte loro contribuito per altri 2,8 miliardi, secondo il principio della condivisione degli oneri previsto dalla normativa dell’Ue. A pagare sono stati quindi sia i contribuenti sia i privati, e anche in questo caso i soci proprietari hanno visto il proprio capitale azzerarsi mentre parte dei risparmiatori è stata tutelata. A dicembre 2016 la banca senese deteneva 39 miliardi di euro in conti correnti (in parte comunque tutelati dal Fondo Interbancario) e circa 18 miliardi di obbligazioni ordinarie, che sarebbero stati persi in caso di liquidazione della banca. A proposito del fondo varato dal governo, è importante evidenziare che si è trattato di una acquisizione di attività, le azioni della banca, e non di un contributo a fondo perduto: potrà dunque tornare allo stato attraverso la vendita. Se la manovra avrà costituito un guadagno o una perdita dipenderà dall’andamento delle azioni nei prossimi tre anni: il Tesoro dovrà infatti uscire da Mps entro il 2021». Quel che si scorda di dire il quotidiano Il Foglio è che quei 3,9 miliardi di euro del decreto approvato dal Governo del premier Paolo Gentiloni, sostenuto dal Pd di Matteo Renzi, sono serviti per coprire i precedenti Monti Bond in scadenza e di essi 600 milioni erano quelli conseguenti all’esposizione di Sorgenia. In pratica, dunque, lo Stato non ha salvato solo Monte dei Paschi ma la stessa azienda di De Benedetti. Un cittadino semplice ed onesto potrebbe a questo punto domandarsi: perché lo Stato è entrato direttamente in Sorgenia rilevando un debito insieme ad un patrimonio di centrali elettriche anziché finanziare quella che di fatto è stata una speculazione finanziaria privata? E’ a queste domande che Mattarella teme che la Commissione parlamentare d’inchiesta possa dare risposta? Oppure all’acquisto da parte della stessa MPS di una Banca Antonveneta pagata 1,5 miliardi inpiù del suo valore? Resta il fato che grazie al Monte dei Paschi la società Sorgenia ha iniziato il suo decollo: nel 2016 ha chiuso con un fatturato di 1,5 miliardi di euro (+13,9%) e un utile di 14,5 milioni. L’indebitamento è sceso a 882,6 milioni ed è iniziata la parziale restituzione del debito agli istituti creditori. Nel maggio 2017 è stato chiuso un nuovo accordo di ristrutturazione del debito con le banche che vede tra l’altro un allungamento di 2-3 anni del piano di ripagamento del debito.

L’area interessata dal progetto per il rigassificatore di Gioia Tauro in cui è coinvolta anche Sorgenia

Ma nel frattempo la controllata LNG Medgas continua a sperare di fare il colpaccio del rigassificatore di Gioia Tauro, auspicato da banche e strateghi dell’energia, fortemente boicottato dagli ambientalisti. Fin qui è una storia a lieto fine di un’ordinaria speculazione bancaria sulle spalle dell’indebitamento pubblico di Stato dato che quei 20 miliardi versati dallo stato nel cosiddetto Decreto SalvaBanche rappresentano circa la metà dell’ammontare del Documento Economico Finanziario 2019 e più del doppio della cifra necessaria per il contenimento del deficit. Non sono bruscolini ma fette di un’amara torta da digerire per gli italiani cui viene invece tolta la prima casa. Ma c’è anche una ciliegina al veleno sopra la panna rancida di questa storia. Una clausola davvero vergognosa della speculazione: «Una volta rimborsato il debito e ottenuta la remunerazione del 10% sul capitale investito, le banche si sono impegnate a girare a CIR e Verbund il 10% della eventuale plusvalenza che otterranno cedendo la società risanata». Oltre al danno anche la beffa: gli italiani si sono puppati l’innalzamento del debito pubblico conseguente gli interessi passivi su quei 20 miliardi prestati alle banche fino al 2021. Se Sorgenia sarà venduta con profitto ci guadagnerà invece De Benedetti: italiano per arraffare, svizzero quando deve pagare le tasse.

Fabio Giuseppe Carlo Carisio
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“May una gioia” pronta a dimettersi pur di salvare l’accordo sulla Brexit



QUESTA FOTO VI DICE NIENTE? QUESTE TRE SIGNORE CHE OGGI SONO PREMIER DEI LORO RISPETTIVI PAESI (GERMANIA, GRAN BRETAGNA E LITUANIA), SONO STATE "EDUCATE" A DIVENTARLO FIN DA BAMBINE, QUANDO GIA' SI CONOSCEVANO E SEMBRAVANO MOLTO LEGATE E COMPLICI. TUTTE E TRE ESCONO DALLA "SCUOLA DEGLI ILLUMINATI". LA MAY STA PRENDENDO IN GIRO GLI INGLESI CHE VOLEVANO USCIRE DALL'UE CONTINUANDO A PRENDERE TEMPO PER PORTARE GLI INGLESI DEL "LEAVE" ALL'ESASPERAZIONE, FINO A QUANDO MOLLERANNO E DECIDERANNO DI RIMANERE. UN TIRA E MOLLA SOSPETTO. ANCHE L'INGHILTERRA E' CADUTA NELLA TRAPPOLA BEN CONGEGNATA DAGLI ILLUMINATI CON LA BREXIT? LA MAY E' ARRIVATA ALLA GUIDA DEL REGNO UNITO PROPRIO QUANDO, ATTRAVERSO IL REFERENDUM SULLA BREXIT, GLI ILLUMINATI HANNO TEMUTO PER L'USCITA DEL PAESE DALL'UE. TUTTO CHIARO?....

“Sono pronta a lasciare l’incarico in anticipo pur di assicurare una Brexit ordinata”. Sono le parole con cui Theresa May si sarebbe rivolta ai deputati Tory riuniti nel comitato 1922, stando a fonti citate dalla Bbc. E’ l’extrema ratio della May, l’ultima carta da giocare per salvare l’accordo che ha raggiunto con Bruxelles per l’uscita del Regno Unito dalla Ue.
La Camera dei Comuni ha bocciato tutte e otto le proposte parlamentari di piano B sulla Brexit alternative all’accordo di divorzio raggiunto dalla premier May con l’Ue e poi respinto da Westminster in due successive occasioni. Ogni singola opzione ha ottenuto più no che sì. Le due più votate sono state quella a favore di un referendum bis, con 268 sì, ma 295 no; e quella del conservatore moderato Kenneth Clarke favorevole all’unione doganale, con 264 sì e 272 no, la più vicina alla maggioranza.

Il sacrificio di “May una gioia”

Sono pronta a lasciare questo lavoro prima del previsto per fare ciò che è giusto per il nostro Paese e per il nostro partito“, ha detto la leader Tory in una riunione con il comitato 1922, il gruppo parlamentare composto da tutti i membri conservatori della Camera bassa del Regno Unito. Il primo ministro ha continuato dicendo di essere consapevole che il suo partito non vuole che sia lei a guidare la fase successiva dei colloqui Brexit, giurando che “non si opporrà” a questo. La settimana scorsa, il Sunday Timesaveva riferito che almeno undici ministri del governo britannico fossero in combutta per costringere la May a dimettersi.
Il governo britannico ha intanto formalmente rigettato la petizione in favore della revoca dell’articolo 50, e quindi della Brexit, che si è chiusa con il sostegno record di 5,8 milioni di firme e che sarà discussa (senza voto) lunedì in Parlamento. Un numero “considerevole”, ha riconosciuto il ministero per la Brexit, ma che non cancella la volontà maggioritaria pro-Leave espressa nel referendum del 2016 “da 17,4 milioni di elettori“, né la “fermezza politica del governo di onorarne” il risultato.

Ue: “Nuovo vertice ad aprile”

Da parte Ue il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha affermato che il vertice della scorsa settimana a Bruxelles “non è stato l’ultimo prima delle elezioni europee” ed “è molto probabile” che “ci incontreremo ad aprile per discutere di Brexit” e “sicuramente a Sibiu” in Romania “il 9 maggio per discutere la nostra strategia a lungo termine della Ue”.