giovedì 14 febbraio 2019

«Io medico, pago per aver detto no al mobbing dell’Asl Roma B»


Nel 2006 il dottor Antonio Auricchio chiede, all’azienda sanitaria presso cui presta servizio, orari e condizioni meno sfibranti: «Lì inizia il mio calvario, fatto di referti che negano i danni alla salute e stipendi tagliati, che ora mi lasciano con una pensione da 800 euro»

Si può essere stritolati dal mobbing perché “antipatici”? Pare di sì, almeno ad ascoltare l’amarezza di Antonio Auricchio, 66 anni, medico in servizio all’Asl Roma B fino al 2017, dall’anno scorso in pensione e in condizioni economiche indegne di un ente previdenziale come l’Enpam. «Sopravvivo con 800 euro al mese perché ho preteso di vedere riconosciuti i miei diritti», dice. «Mi spiego: ho lavorato all’Asl per oltre un quarto di secolo, dal 1991. Mansioni durissime: visite fiscali ai detenuti ai domiciliari o agli inquilini destinatari di sgomberi. Nel 2006 chiedo di poter lavorare per qualche ora settimanale in più ma in condizioni meno sfibranti. L’Asl lo prende come un affronto. Mi ammalo. E a quel punto inizia un calvario di visite mediche in cui la mia stessa Azienda sanitaria di appartenenza non riconosce le patologie gravi che imporrebbero di risarcirmi. Al contrario, giacché sono in stato di malattia, mi decurtano lo stipendio, ed ecco perché oggi ho una pensione da fame».

Ha chiesto l’invalidità permanente, l’esenzione dai ticket e agevolazioni banali come la tariffa ridotta sugli autobus della Capitale: «Niente da fare, grazie a certificazioni predisposte ad arte, come vendetta per aver osato chiedere condizioni di lavoro migliori». Sette anni fa, in un colloquio con la legale di Auricchio, Federica Giandinoto, il direttore amministrativo dell’Ordine dei medici di Roma, Dino Cosi, taglia corto: «Il suo assistito? Puntano a farlo fuori, così si liberano del problema».

Esagerazioni? Intanto pende, non archiviato, un fascicolo presso la Procura di Roma aperto in seguito a un esposto di Auricchio, che ancora due settimane fa ne ha presentato un altro ai Carabinieri di Casalbertone. «Sono stato penalizzato, hanno ignorato i rischi di trombosi e di infarto, riscontrati da altre strutture sanitarie già nel 2012. Infarto che poi si è verificato. Nei certificati prodotti dall’Asl», racconta Auricchio, «le mie richieste di non essere calpestato, come dipendente e come persona, sono ribaltate in diagnosi del tipo ‘affetto da disturbi paranoici’, ‘soggetto vendicativo e disforico’. Ho chiesto a un noto psichiatra di verificare queste valutazioni, ha trovato nulla più di qualche inevitabile sintomo ansioso-depressivo. Hanno persino negato che l’ipotiroidismo mi fosse stato provocato da orari e condizioni incompatibili con il diritto del lavoro».

Resta in ogni caso l’assurdo di un medico ridotto in condizioni drammatiche, a cui neppure si riconosce la piena invalidità e che forse ha il solo torto di essersi battuto con ostinazione. Anziché adattarsi all’adulazione gerarchica, unico infallibile sistema di autopromozione per i dipendenti pubblici.

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