mercoledì 3 giugno 2020

Epidemic Intelligence, ennesima sfida per i servizi segreti


LE INTELLIGENCE SARANNO SEMPRE PIU' IN FERMENTO DOPO IL COVID19. ALTRE SFIDE E MINACCE EPIDEMIOLOGICHE POTREBBERO ESSERE MESSE IN CAMPO PER DESTABILIZZARE E CREARE IL CAOS. LE FORZE OSCURE DEL NUOVO ORDINE MONDIALE POTREBBERO NON FERMARSI AI VIRUS PER PIEGARE LE MASSE.... 

L’allarme pare (il condizionale è d’obbligo considerata la delicatezza del tema) fosse stato diramato forte e chiaro. Purtroppo, pare (vale la stessa nota di cui sopra) che la gran parte dei governi abbia fatto orecchie da mercante. Gli unici a dare l’allarme sono stati le agenzie di intelligence di molti paesi del mondo. Insomma, secondo molti esperti, la pandemia CODIV-19 non deve essere confusa con un fulmine a ciel sereno che ha folgorato le leadership mondiali.

Secondo “The Washington Post” la Casa Bianca ha ricevuto i primi segnali di “allarme rosso” già il 3 gennaio scorso. Avvertimenti precisi (e super segreti) che la CIA e l’Ufficio del direttore dell’intelligence nazionale americana hanno continuato a fare risuonare nelle settimane successive fornendo informazioni precise sulla diffusione del virus in Cina e sulla campagna di disinformazione delle autorità cinesi impegnate a minimizzare la serietà del pericolo.


Appare sensato immaginare che Trump non fosse il solo leader mondiale a conoscenza della situazione. Dopotutto, e non è un segreto, la CIA (e le altre agenzie di intelligence mondiali) hanno sempre prestato grande attenzione alla minaccia biologica.

Questo perché i germi non rispettano le frontiere. Ed è chiaro che, a prescindere dalla loro origine, possono avere un silenzioso, veloce impatto globale.

Sebbene pochi paesi siano detentori di arsenali biologici, sviluppare, armare e diffondere rapidamente agenti biologici è incredibilmente facile. Inoltre, non è semplice distinguere tra una ricerca biologica legittima e una finalizzata alla produzione di agenti patogeni.

Lo stesso team di ricercatori, le stesse attrezzature possono essere utilizzati per entrambi gli scopi. Probabilmente, a livello globale, la maggior parte dei laboratori farmaceutici possiede know-how e mezzi per produrre e diffondere (magari involontariamente a causa di un incidente) un’arma letale.


In poco tempo, questi superbatteri possono diffondersi silenziosamente e colpire uomini, animali, vegetali. Per agire non hanno bisogno di particolari strumenti: non serve un missile per trasmettere un virus al proprio nemico. Arma efficace, costo limitato, trasmissione semplice e impatto sociale devastante.

A questo scenario, già di per sé preoccupante, si aggiunga il fatto che, nella maggior parte dei casi, i virus hanno origine naturale. Nonostante tutto ciò, pochissimi governi hanno finora mobilitato risorse adeguate a implementare sistemi di bio-sorveglianza.

Ma gli effetti del COVID-19 sono tali che presto assisteremo a un cambio di paradigma. Molto simile per portata, intensità e focalizzazione a quello che si è verificato dopo l’attacco alle Torri Gemelle, l’11 settembre 2001.

Una rivoluzione che impatterà a 360° gradi sulle attività dei servizi di Intelligence e della Difesa. Tra i primi provvedimenti, un potenziamento della Medical Intelligence rispetto alla minaccia epidemiologica, con la creazione di una specifica verticalizzazione dedicata alla “Epidemic Intelligence”.


Quali sono i tre elementi cardine di questa nuova branca dell’intelligence? In primis, servirà arricchire l’organico del team degli specialisti CBRN (Chemical Biological Radiological Nuclear), selezionando e arruolando altri esperti della materia.

In Italia solo l’EI in tutto il sistema di Difesa ha mantenuto una competenza specifica, che va tuttavia allargata, accresciuta e resa trasversale a tutti gli “stakeholder” governativi della sicurezza nazionale.

Il secondo pilastro è rappresentato dalla rete di sensori dedicati alla raccolta di dati (collection):
quelli generati dalle organizzazioni sanitarie senza dimenticare i dati veterinari, vista l’elevata trasmissibilità verso l’uomo di molti virus di origine animale,
le fonti aperte (per supportare la digital disease detection, ovvero la possibilità di identificare situazioni di potenziale rischio biologico dall’analisi dei contenuti sui social network),
le immagini satellitari (la NASA ha colto la portata del COVID-19 ed in particolare gli effetti del lockdown, misurando un decremento delle emissioni inquinanti sul territorio cinese), i paper scientifici.


In terzo luogo sarà necessario dotarsi delle migliori tecnologie software di Artificial Intelligence, senza le quali risulterà impossibile trattare e correlare miliardi di dati, in tempo reale, per cercare la presenza combinata di segnali deboli, dunque di eventi da sottoporre alla successiva validazione da parte degli specialisti medici.

Gli attuali strumenti di Artificial Intelligence e il derivato machine learning possono dare un contributo significativo, sia sul versante dell’analisi dei dati non strutturati, come quelli di testo, che quelli strutturati sui quali diventa fondamentale il data mining.

La parola chiave sarà: segnali deboli. Ovvero quelle informazioni spesso ignorate, contenute in dati che non interessano al mainstream, ma che contengono e racchiudono già tutto quanto potrebbe accadere. I segnali deboli degli ultimi 5 anni sul COVID-19 sono tantissimi, e tutti contenuti su fonti aperte.

Nel frattempo, sarà bene potenziare la cyber resilienza delle organizzazioni sanitarie, dei laboratori di ricerca, delle case farmaceutiche. I loro dati, già preziosissimi, sono entrati nel mirino degli hacker, consapevoli del valore degli studi clinici utili a sviluppare un vaccino.

Per evitare di ripiombare nel disastro, insomma, serve anche una buona Epidemic Intelligence. E forse, da parte dei nostri leader, di una maggior capacità di percepire gli allarmi lanciati dalla Homeland Security e dalla Difesa Nazionale.

Foto: Twitter, China TV e Xinhua

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