sabato 7 marzo 2020

L’emergenza coronavirus ha mostrato di che pasta è fatta la sanità lombarda

Nella regione dei contagi, la sinergia tra pubblico e privato funziona. Medici, infermieri e amministrativi fanno il possibile, ma «marzo sarà critico»



È la regione record dei contagi (2.251 al 5 marzo) ma anche quella del principio di sussidiarietà che da vent’anni (dal varo della legge n. 31 del 11/7/1997 e seguenti), permette ad ogni povero cristo d’Italia di ricevere cure in strutture di eccellenza grazie all’accreditamento del privato nel servizio sanitario. C’è chi ha usato il coronavirus per polemizzare col partenariato, c’è chi ha attaccato un sistema che vanta centinaia di migliaia di ricoveri extraregionali e indici di migrazione sanitaria tra i più bassi del paese. Ma è una “fortuna” che il coronavirus sia esploso nella patria italiana di libera scelta, ricerca e innovazione, e dove il Piano messo a punto a Palazzo Lombardia questa settimana si fonda sul pilastro che regge il sistema sanitario da oltre un ventennio: un’alleanza tra strutture sanitarie private accreditate e ospedali pubblici che non costerà nulla ai cittadini. «La sanità privata sta mettendo a disposizione i propri spazi – aveva spiegato l’assessore lombardo al welfare Giulio Gallera nel corso del vertice con Aiop (Associazione italiana ospedalità privata), Aris (Associazione religiosa istituti socio-sanitari) e Assolombarda – è un utilizzo che avviene attraverso i budget già assegnati alle strutture, non ci sono costi in più per il pubblico: il sistema si sta stringendo senza porre la questione del rendiconto economico».

Posti letto

«Il privato si è attivato fin dal 21 febbraio (giorno della diagnosi del “paziente uno” di Codogno, ndr) quando è suonato il primo campanello d’allarme, in poche ore c’è stato un incontro con i vertici regionali e il giorno successivo con i direttori sanitari per diventare immediatamente operativi a supporto degli ospedali pubblici – spiega a tempi.it Dario Beretta presidente di Aiop Lombardia -. Questo significava far fronte subito a tre richieste: posti letto in terapia intensiva per pazienti “coronapositivi”, posti letto per la degenza di questi pazienti, posti letto per ricoveri ordinari che sgravassero gli ospedali pubblici da pazienti con patologie differenti dal Coronavirus».

Ancora prima dell’appello della Regione, il San Raffaele aveva già reso disponibili 20 posti di terapia intensiva e circa 80 di degenza, ricoverando subito 12 pazienti coronapositivi. E il 4 marzo aveva già recuperato e trasferito a Milano quattro pazienti “molto gravi”, ricoverati in Terapia intensiva all’ospedale di Lodi e ventilati a causa di serie difficoltà respiratorie. La decisione era stata presa dalla task force del Gruppo San Donato e a gestire le operazioni di trasferimento, a bordo delle ambulanze, c’era Alberto Zangrillo, direttore della Terapia intensiva cardiovascolare e generale del San Raffaele.

Le competenze

«La pronta risposta del San Raffale è esemplare di quanto può fare il privato per contenere l’emergenza. Il giorno del vertice avevamo già reso disponibili una cinquantina di letti nei reparti di Rianimazione (140 quelli ricavati nei pubblici e quasi del tutto occupati, ndr). Oggi in Lombardia ci sono 350 posti tra quelli delle strutture private dotate di terapia intensiva e unità coronarica, e circa 8.000 posti letto per acuti. L’obiettivo è incrementare il più possibile le disponibilità, liberarne un centinaio tra i primi e diverse centinaia fra i secondi. Il problema però non sono solo i posti letto».

Beretta loda la delibera approvata il 4 marzo da Regione Lombardia e che consente, come già anticipato da San Raffaele e da altri ospedali del Gruppo San Donato, da cui sono partiti già domenica scorsa una ventina tra anestesisti e intensivisti per aiutare i colleghi nelle zone più critiche, di inviare medici e personale di strutture private a lavorare nel pubblico nei prossimi giorni, «in questo momento c’è bisogno di letti, ma anche di competenze, di personale medico e infermieristico addestrato. Buona parte dei pazienti col Coronavirus soffre di insufficienza respiratoria non sempre trattabile con ossigenoterapia: in molti casi sono necessari i Cpap, ovvero i caschi respiratori (dall’acronimo inglese che indica “ventilazione meccanica a pressione positiva continua”, ndr), intubazione. Noi stiamo addestrando il personale». Quaranta milioni stanziati subito dalla Regione per acquistare i nuovi ventilatori, adeguare i reparti, 10 per assumere nuovo personale sanitario subito.

Terapie intensive

«Stimiamo in 500 il numero di medici di cui abbiamo bisogno e mille gli infermieri qualificati», è l’appello di Gallera. «Il governo ha scritto alle Regioni di aumentare del 50 per cento le terapie intensive e del 100 per cento le pneumologie», ma per farli funzionare «servono personale e risorse». E in fretta, aggiunge Beretta, «la sfera di cristallo non ce l’ha nessuno ma marzo sarà un mese critico».

E la regione si prepara ad affrontarlo. Con i suoi ospedali pubblici, il 40 per cento dei quali gestiti dai privati, i suoi 11 Irccs privati, un sistema di eccellenza che non ha bisogno di presentazioni, un’alleanza tra pubblico e privato fatta di medici, cure, terapie e strategie mai così necessarie come ai tempi del Coronavirus.

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